·Queen·
·Arya·
Al di
là dell’Eden
Una
distesa immensa di nuvole
sopra di lei. Avanzava nella luce tenera del pomeriggio, libera e
fiera, se
stessa come non poteva esserlo nella realtà. Fiocchi rosa le
vorticavano
intorno, danzandole nelle mani a palmi aperti rivolti al cielo.
Il
portale che la riconduceva
a casa sua apparve troppo presto e Arya salutò con sguardo
grato il magnifico
giardino che l’aveva cullata.
-Tornerò
presto- disse alla
pioggia.
-Vegliate
sul mio mondo-
chiese alle stelle.
-Racconta
storie sempre nuove-
raccomandò al vento.
Una
carezza gentile delle
labbra sulle incisioni nella pietra venata di nero e il chiavistello si
aprì di
scatto.
I suoni
armoniosi la
accompagnarono fino alla fine del sentiero di muschio soffice e fresco,
e poi
attraversò la frontiera.
·Rebecca·
L’alba
della libertà
Nella
fredda luce invernale di
Amburgo era di nuovo Rebecca, nel cuore poche persone –
più di quante in realtà
volesse contarne-, nella mente occhi di ghiaccio, profondi e ben
delineati, sangue
e lacrime e tenerezza rude nelle ossa, qualche urlo di piacere o di
dolore che
si era intrecciato nei suoi capelli scuri, ricordo dei sogni di quella
notte.
La stoffa
calda proteggeva la
pelle chiara, la schiena ancora dolorante dopo il lungo volo
all’alba. Una sola
ora di evasione, prima del caos distruttivo e ansioso della routine.
Aveva
visto con occhi blu i
colori del mondo illuminarsi al pallido risveglio del sole, le nuvole
trafitte
d’oro e rosso, voragini guarite in pochi attimi dal vento.
Le sue
ali, piume e pelle e
cartilagine, lo avevano cavalcato, si erano riposate nella brezza e
avevano
goduto del freddo soffio portato dal mare.
Lo
sguardo si era riempito
d’onde e infinito e aveva cinguettato di gioia, ma troppo
presto il suo tempo
era scaduto e il laccio che la ancorava alla terra si era fatto sempre
più
pesante. Era abituata e non se ne curò. Non era ancora
pronta a spezzarlo, ma
lo sarebbe stata presto. E allora niente l’avrebbe fermata.
·Miku·
Seppellire
preziose memorie
Gli
artigli scavavano veloci,
scostando la terra più facilmente delle mani, ricavando un
rifugio sicuro per
il suo tesoro. Raccolse il fagotto con cautela e lo depositò
piano, attenta a
non trapassare il tessuto coi denti affilati.
Lo
ricoprì con calma e ultimò
il lavoro con le mani, appiattendo il terriccio in superficie e
disegnando un
cerchio.
Il suo
primo abito, la sua
prima penna e un oggetto che le ricordasse tutti coloro a cui teneva.
Un tesoro
immenso per lei, incomprensibile a chiunque altro.
Tornò
indietro con lentezza,
assaporando ogni secondo, ricordando i cambiamenti nella sua vita. I
capelli
cerulei scivolavano tra le foglie senza lasciare altra traccia che il
profumo
delizioso di menta e mare aperto.
Nelle
radure della foresta –la
sua foresta- aveva lasciato il suo spirito di lupo, freddo e forte, per
incontrare la sua metà, una ragazza piena di sogni.
L’abito giallo che
indossava si aprì in una ruota quando danzò con
grazia nella nebbia,
accompagnata dalla sinfonia di mille strumenti invisibili.
Con un
sorriso scintillante
Miku si volse, per poi correre leggera verso la valle.
·Kanade·
Divino
desiderio carnale
La
pioggia era ormai una
tempesta, i tuoni infuriavano, i lampi illuminavano porzioni di nero
fumo
inconsistente.
La risata
allegra le uscì come
un coro di campanelle. I nastri rossi che le legavano i capelli si
sciolsero
immediatamente sotto le sue mani e l’acqua gelida
tracciò percorsi intricati
scivolando sul suo viso pallido.
Allungò
un palmo verso
l’infinito che si stendeva sopra di lei e chiese con voce
tremante per il
freddo: -Sei arrabbiato con me?-
Sorrise
ancora più ampiamente
quella perfetta e immacolata creatura, mentre il ruggito si faceva
più roco e
profondo.
Coperta
di vento, Kanade si distese
sul marmo duro e candido e bagnato, osservando ilare le stelle che
spuntavano
sempre più tra le nubi.
Il
desiderio non la sfiorava,
attendeva paziente. Nessuno poteva toccarla, nemmeno un dio.
Sospirò
nel vedere la resa di
quella bufera. Non aveva paura, la luna candida la osservava da
lontano, piena
di promesse per il futuro.
Il velo
del sonno si fece
pesante e si addormentò, l’anello al dito che
luccicava nel buio.
·Umi·
Lontana
dai doveri
Umi
lasciò in fretta il
salone. Il rumore secco dei passi nel corridoio si trasformava in
un’eco che la
seguiva in ogni stanza. Le gonne pesanti le ostacolavano la corsa, il
busto
stretto le impediva profondi respiri. L’incoronazione le
aveva assicurato
eterna compagnia e le mancava la solitudine dell’infanzia.
Raggiunse
in fretta la sua
vecchia stanza dei giochi e finalmente si liberò degli
anelli, delle collane,
delle stoffe pregiate e delle scarpette scomode.
Silenzio.
Nessun pettegolezzo,
nessuna risatina, nessuno sguardo equivoco.
Dal
pianoforte sgorgavano note
senza senso, direttamente dal profondo del suo animo, le dita correvano
leggere
e veloci sui tasti, i riccioli le accarezzavano le spalle e la schiena
coperte
da una leggerissima sottoveste semitrasparente.
Nella
notte nera, la luce
tremolante della candela produceva ombre sinistre eppure confortanti.
Nulla
sarebbe stato lo stesso, era alla svolta, all’addio, alla
conclusione del primo
atto, la prossima scena prendeva già forma.
Si chiese
incerta cosa ne
sarebbe stato di lei.
·Fear·
Pronta
ad affondare il pugnale
Il vetro
s’infranse e lo
schianto rimbombò nella stanza. Tremava di rabbia e
stringeva le rose bianche
-dolce velluto- tra le dita. Le spine erano state recise, se ne accorse
solo
dopo, e rimpianse un po’ di dolore che l’avrebbe
distratta.
Lo
specchio le restituì lo
sguardo, occhi ingranditi dalla furia. Il disprezzo si fece strada
nelle vene,
il battito del cuore irregolare e frenetico.
Uscì
nel calore del
mezzogiorno, soffocando insulti e minacce.
La
frustrazione la seguì anche
a casa e le diede libero sfogo in parole prive di suono, su fogli di
carta
bianchi, sporchi di lacrime.
L’inchiostro
non bastava. Si
graffiò le mani con stizza e si ricompose.
Niente
che la ferisse rimaneva
impunito, e Fear gustava il sapore di ruggine e sale, densa e
dissetante
prelibatezza.
Dimentica
della dolcezza,
colorò la sua mente di oblii eterni e il profumo della
lavanda che aleggiava
intorno a lei assunse una sfumatura agre, come di campi percorsi dalle
fiamme.
·Haruka·
Schiava
dagli occhi di dolci promesse
Le guance
si imporporavano
così in fretta, il coraggio che teneva nascosto in scintille
dentro di sé si librava
fuggendo come lucciole.
Esaminò
poco alla volta da
lontano le labbra, le mani, i capelli, le spalle, rabbrividendo
indisturbata.
Rinchiusa
tra le mura della
torre, costretta a osservare il cielo solo da piccole feritoie, Haruka
si
impegnava, però, per essere la migliore.
Canto,
disegno, musica,
lingue, geografia, storia, politica, scienza nell’attesa di
un suo cenno la
sera, che la invitasse a sedersi accanto al suo calore.
Le
cavigliere suonavano lievi,
ricordandole la sua condizione eppure accendendo in lei la speranza di
riscattarsi.
Volteggiava
dolcemente, seguendo
il suono della lira, muovendo il cuore a un ritmo più
veloce, sopportando lo
sforzo, in attesa del brivido, del momento giusto.
La mia
Reinette ha tanti nomi,
e in ognuno racchiude una parte di sé. È una
scrittrice, è una giovane donna, è
una bambina capricciosa e viziata, è un lupo fiero e leale,
è un fiore non
ancora sbocciato, è un esperimento in corso.
Il
fascino delle sue parole,
della sua visione del mondo, infiamma l’interesse, rende
storditi e
meravigliati. È capace di profondità e di
leggerezza, lascia un’impronta
indelebile in tutti coloro che riescono anche solo a sfiorarla. Nelle
sue
storie trovate mondi vasti e intriganti, trame avvincenti, sentimenti
puri e
personaggi indimenticabili. Niente è lasciato al caso, ogni
filo si intreccia
alla perfezione in motivi colorati e seducenti. Ma l’incanto
non è solo nei
suoi lavori. Dietro il sipario, alla fine dello spettacolo,
c’è la meraviglia
dell’essere perfettamente imperfetto che dietro le quinte
dirige l’opera
gratuitamente. L’involucro esterno, occhi blu, capelli scuri,
protegge un’anima
formidabile capace di amare intensamente, di accoglierti nel suo mondo
e
donarti, se lo meriti, un biglietto gratuito per le montagne russe
più alte e
stupefacenti dell’universo. Non c’è modo
di restarle indifferenti.
Y
***
Ti ho
calata nei panni di
sette diverse vite.
In Arya
sei capace di
oltrepassare un portale che ti porta in un altro mondo dove sei libera
da
qualsiasi giogo, in comunione assoluta con ogni particella vitale.
In
Rebecca ti tramuti in un
fragile uccellino azzurro che vola ogni mattina per un’ora
soltanto perché
trattenuto da una corda che ti impedisce di allontanarti.
In Miku
sei di nuovo la
ragazza-lupo che conserva un tesoro prezioso nella Grande Foresta del
Nord.
In Kanade
sei desiderata da un
dio che però rifiuti di accontentare perché
fedele al tuo matrimonio e,
nonostante la bufera terribile che testimonia la sua ira, ti prendi
gioco di
lui.
In Umi
sei la giovane regina
di un giovane regno, salita al trono dopo l’inaspettata e
precoce morte dei
tuoi due fratelli maggiori. Nessuno si curava di te finché
non sei diventata
regina, perciò ti manca stare in pace, senza essere oggetto
di discorsi e
sguardi inopportuni di coloro che cercano ora di entrare nelle tue
grazie.
In Fear
sei in collera e
pronta a vendicarti di due stupide che hanno osato raccontare menzogne
crudeli
su di te e sulla tua famiglia.
In Haruka
sei una concubina
dell’harem di un sultano, la preferita di suo figlio. Ti
impegni per essere
perfetta e compiacerlo, in attesa che faccia di te la sua consorte
principale.
Non basta
una vita sola per
delineare ogni piega della tua anima, e nemmeno sette sono sufficienti.
Vorrei
saperti mostrare meglio come ti vedo io, quante possibilità,
quante incredibili
e stupende persone puoi diventare, quale magica creatura tu sia
già ora.
Ti voglio
bene, tanto.
Goccia