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Autore: V a l y    07/07/2008    15 recensioni
Ciò che accade quando l'amore si nasconde in parole argute...
[Il mio piccolo tributo allo ShikaTema5Days]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shikamaru Nara, Temari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Temari, avvolta nel buio dell'incoscienza, ancora con gli occhi chiusi, aveva tossito precisamente sette volte. Ne erano stati sette contati dal compagno: sette sputi di fiato, cadenzati e torrenziali, densi come il fumo della sigaretta che stava fumando. Fu in seguito a questi sette brutali rigetti polmonari che lei aprì gli occhi.
Aveva la vista poco chiara e le orecchie attente, che percepivano i flussi di carrelli trasportati nei corridoi adiacenti, voci concitate e bisbigliate, qualche risatina fuori la finestra. Ma più di ogni altra cosa era l'olfatto il senso che funzionava meglio, ancora disgustato dal fumo che l'aveva fatta tossire così tanto. Col naso seguì l'odore; fu così che arrivò a lui.
Con gli occhi ancora appannati, riuscì a sentire:
“To', ben svegliata.”
La voce si stancava a scandire le sillabe, era annoiata e visibilmente scocciata. Questo e il fumo bastavano per capire chi fosse la suddetta persona.
Temari sbuffò. Con le forze che aveva era l'unica cosa che le riusciva fare in quel momento. Con gli occhi stanchi si rivolse a lui.
“Davvero una bella mossa. Vedi che succede a non ragionare? Ti ritrovi all'ospedale col veleno ancora addosso e una gamba paralizzata,” l'apostrofò il ragazzo con tono e sguardo apatico. La ninja di Suna cercò di aprir bocca, ma di nuovo le uscì solo un'altra tosse.
“Ti copro io, faccio io, so quello che faccio, non sono una stupida,” la scimmiottò lui. “Così mi hai detto. Credo che sarà l'ultima volta che ti ascolterò durante una missione,” sentenziò, ritornando serio.
“Puzzi di... nicotina...” farfugliò Temari con voce sommessa ed affaticata.
“Ehi, hai ancora la forza di comportarti da seccatura. Bastassero le parole acide per vincere una missione ninja avresti già battuto tutti,” intimò la voce che finora era stata solo spietata. Era sempre stato spietato con lei. E con il resto della popolazione mondiale sempre annoiato. Temari ebbe un mancamento e cadde all'indietro con la testa sul cuscino, il corpo ancora fermo e ancorato sul letto, i suoi muscoli, ogni filamento, che parevano esser stati legati con delle catene al materasso. Quando aprì di nuovo gli occhi, la vista le era del tutto tornata.
E così anche la memoria.
Aveva fatto un passo falso, quel giorno stesso, e assicurato che non le sarebbe accaduto nulla. “E' uno sbaglio,” diceva lui, “ho ragione io,” contrariava lei, “fidati di me”. E a quelle parole astruse il ragazzo raccomandava sempre: “non è mai questione di fiducia, è solo questione di tattica ed intelligenza”. Ma i due non avevano avuto uno dei migliori tempi per esaminare la cosa, visto che ne avevano parlato mentre erano già nel bel mezzo del combattimento per difendere il vecchio signore del villaggio di Suna che aveva richiesto la missione. Lui, lei e altri tre sconosciuti del continente della sabbia. Non importava quanti fossero, il leader era lui. Ma a quanto pareva a una biondina dal temperamento poco modulato la cosa fregava poco.
Lei lasciò stare gli ordini, si fidò del suo istinto, e anche di quel senso di protezione nel pericolo, quando uno dei nemici si catapultò contro il leader. Non doveva pensare, doveva solo agire. Contrattaccò il nemico, il ventaglio vigile e ben incastonato tra le dita delle sue forti mani, e riuscì a spazzarlo subito via. La tattica aveva effettivamente funzionato, fin quando, schiena scoperta, un ulteriore nemico le si avvicinò con un coltello contundente, e uno strano liquido colorato di viola ne imbrattava la lama.
Il resto era buio, poi il puzzo della nicotina che si infilava fastidiosa nelle sue narici, ed infine il risveglio.
Shikamaru era seduto su uno sgabello smunto e traballante, la schiena protesa in avanti, i gomiti poggiati sulle gambe divaricate e guardava sghembo la bionda prostrata sul letto d'ospedale, con un accento nello sguardo di appagamento e supponenza, che sembravano volerle dire “te l'avevo detto”, oppure, semplicemente, “quanto sei cretina”. Certo, si denotava in lui, per la maggior parte, della noia e della reticenza nei suoi modi. E allora le sorse spontanea una domanda, che uscì faticosamente dalle sue labbra:
“Perché sei qui...?”
Shikamaru fece spallucce.
“Per darti noia, seccatura. Imparerai come ci si sente ad avere uno scocciatore tra i piedi,” rispose strafottente. La ragazza permanette zitta, il fiatone incastrato nella gola e qualche brivido lungo la schiena. Odiava i veleni. Preferiva una ferita netta che un veleno che la facesse soffrire con più lentezza. In egual modo, in uno scontro personale preferiva sacrosanti pugni e calci alle botte e risposte velenose a parole, soprattutto se uno dei due dava l'aria di non averne la forza. Non psicologica: semplicemente fisica. Stava convalescente su un letto d'ospedale e quello stronzo non smetteva di romperle l'anima.
“Oh, così però non c'è gusto,” disse per l'appunto lui, grattandosi la testa con fare menefreghista. La biondina gli rivolse uno sguardo che se un'occhiata fosse qualcosa di tangibile come una mano l'avrebbe scaraventato con forza fuori la finestra. Immaginatevi dunque il trucidamento nei suoi occhi, paragonatelo a un leone in digiuno da giorni in mezzo a tante gazzelle e ci sarete, seppure in piccola parte, vicino.
“Vederti così in silenzio deprime anche me...” se ne uscì il Nara.
“E allora perché sei qui...?” richiese Temari.
“Per rinfacciarti la mia vittoria,” rispose con semplicità lui.
“Ti odio...” mormorò la ragazza, e mentre aveva parlato fece nuovamente entrare nei polmoni l'aria cattiva del mozzicone semi spento sul tavolino vicino al letto. Tossì per la nona volta. “E odio anche le tue sigarette...”
“Che ragazza delicata,” ironizzò Shikamaru divertito, non tanto per l'affermazione appena riferita a lei, quanto più per la possibilità residua di essere vera: dare della delicata a Temari era come dare del loquace a Shino e del timido a Naruto.
Così, la ragazza, con immane forza motoria e di volontà, alzò il dito e lo indirizzò sul cartello attaccato al muro oltre la testa del Nara. Vietato fumare. La cosa, negli ospedali, era sottintesa, ma a quanto pareva il QI di Shikamaru che era tanto alto da farlo riuscire a vincere qualunque partita a shogi non era stato tanto accorto per un dettaglio così ovvio. Temari dovette, anche se con sforzo, sorridere vittoriosa.
Il fumo fa male alla salute. Per le persone che stanno qui dentro direi che non cambierà più di tanto la loro condizione...” brontolò il Nara, buttando la cicca fuori dalla finestra. Che stupida, inutile, malsana regola, pensava. La stessa dei loro giochi di sadica e reciproca violenza verbale, la maggior parte delle volte costellati di accidenti per essersi conosciuti, con una unica e fondamentale regola assieme alle tre appena dette: di non avere regole. Come in guerra, in cui vale ogni mezzo. Anche il più infimo. Persino in quel momento, quando lui la riprendeva senza che lei potesse rispondergli, e lei non sapeva dire altro che ancora:
“Ma cosa vuoi? Perché sei qui?”
A quella solita domanda riuscì a trovare la terza risposta:
“Perché oggi non ho niente da fare. Non avendo niente da fare, girovagando a casaccio per il villaggio, mi son trovato qui.”
Quello stupido, sciocco, sadico nell'anima e bislacco ragazzino dal ciuffo che condensava con la sua forma distorta tutte le sue stesse cattive virtù! Quel giorno non aveva avuto altro da fare che rompergliele di santa ragione. Appena se ne fosse uscita dalla convalescenza, Temari gliela avrebbe fatta pagare, magari riservandogli lo stesso trattamento. Magari un po' peggio. L'orgoglio femminile certe volte è mostruoso.
“Te la farò pagare...” sussurrò la bionda.
“Ne è valsa la pena,” rispose l'altro, “qualunque cosa mi succeda.”
“Approfitti... della mia pazienza...”
“Tu paziente?!” urlò Shikamaru, e finalmente dal suo temperamento smorto fuoriuscì della potente emozione sentita.
“Sono l'unica... che riesce a stare con te... più di cinque minuti...”
Un altro capogiro, e riaccasciò la testa sul cuscino. Ma ne valse la pena. Meglio morire soddisfatti che sopravvivere disfatti, tanto per esagerare un po'. Era il suo motto preferito, dopo il can che abbaia lo mordo. Il cane in questione, la noiosa bestia che continuava ad abbaiare, era Shikamaru. Come riusciva, si chiedeva Temari, a trovare la forza di spadroneggiare e subire i suoi lamenti e le sue litigate? Era una domanda che non trovava risposta, e che lei, in quel momento, non poteva in ogni caso risolvere con le forze mancanti, quindi richiese per l'ultima volta, seria e sostenuta:
“Perché sei qui?”
Contegnosamente, Shikamaru si rimise a sedere sullo sgabello, stavolta ben eretto con la schiena, i gomiti appoggiati alle gambe e le mani intrecciate tra loro in un complesso gioco di grovigli, e con voce piatta le rispose:
“Perché sono il messaggero di Konoha, e affinché mantenga nel modo più possibilmente migliore l'alleanza tra il nostro villaggio e il vostro devo salvaguardare la tua salute e prendermi qualunque responsabilità. Nel caso ti succeda qualcosa rischierei l'espulsione o, nei peggiori dei casi, un motivo di guerra da parte del villaggio di Suna.”
“Tutto... qui...?”
Shikamaru annuì.
“Sì, tutto qui.”
“Quindi non sei del tutto sadico e... bastardo nell'anima... c'è anche un motivo... di fondo... più concreto...” considerò la bionda tra un affanno e l'altro, cercando, per quel che poteva, di sorridere.
“Semplicemente, colgo i mie vantaggi,” scherzò il Nara. “Darti noia, mia cara seccatura, è uno dei miei dieci motivi di vita.”
Che stronzo, pensò Temari. C'era un vaso poggiato sul comodino. Magari, con un po' di forza e molta fortuna...
“A proposito della missione...” esordì Shikamaru, “riguardo al nostro cliente se l'è cavata, anche se con un braccio rotto. Si trova anche lui in questo ospedale.”
Le ire segrete e mentali della ragazza di Suna si abbatterono tutte assieme, lasciando posto al rassicurazione di quella buona notizia. Ciò le calmo i nervi, la rilassò e, di nuovo, le fece cadere la testa sul cuscino. Chiuse gli occhi e dopo un lungo sospiro sorrise. Shikamaru la guardava senza fiatare. Attaccare la preda nel momento della sua calma sarebbe sembrato ancora più riprovevole di quanto già lo sembrava di per sé quella situazione, ed ebbe così una scusa per contemplarla di nascosto, accucciato in un angolino di fronte alle vetrate delle finestre, le mani nelle tasche come sempre, chiedendosi, mentalmente, come ogni rara volta in cui lei sorrideva con sincerità e dolcezza, chissà se un giorno anch'io la farò sorridere così. E, diavolo, com'era bella, arrabbiata o docile o-
Temari tossì per la decima volta, disincantandosi dal festoso stato d'animo; non mancò di sottolineare il disappunto con una sussurrata parolaccia a denti stretti.
Era bella anche così.
“Ehi,” la chiamò il Nara dopo essersi affacciato alla finestra. “Si parla del Diavolo... il signor Itou è lì fuori con un'infermiera.”
La cagionevole bionda ebbe abbastanza energie da alzarsi di scatto con il busto, invigorita da un'improvvisa baldanza, e si girò su se stessa, posando ambedue i piedi nudi sul fresco pavimento marmoreo. Ma quando tentò di mettersi totalmente eretta, le forze le vennero a meno e ricadde goffamente sul letto.
Un'altra parolaccia a stento trattenuta tra i denti.
Il quoziente intellettivo di Shikamaru ebbe l'apice della sua perizia in quel preciso momento. Chiederle se le serviva una mano? Per l'amor del cielo, gliela avrebbe morsa con la stessa ferocia di un orso affamato. Orgogliosa da capo a piedi, ricoperta da un grande guscio – guscio?, ragionò lui, si tratta per lo meno di venti strati di cemento armato! – di supponenza che nascondeva a ogni essere vivente qualunque sua debolezza, se avesse cercato di aiutarla avrebbe certamente ricevuto un indecoroso “vattene in quel posto lì” come risposta. Quindi, semplicemente, le si avvicinò senza chiederle nulla, aiutandola ad alzarsi, con distacco e rudezza, circondandole la schiena con il proprio braccio, mettendo quello della ragazza sulle sue spalle. Temari lasciò fare – la tattica aveva funzionato – e arrancò verso la finestra sostenuta dal compagno. Appoggiò debolmente una mano sul vetro, ancora spossata dal combattimento di quello stesso giorno, e cercò con gli occhi il sopravvissuto, la loro missione finita bene.
“E' stata una fortuna che sia andata così... per colpa tua stava per rimetterci le penne anche lui, insieme a te,” le disse Shikamaru. “Il veleno ti ha presa di striscio, ma potevi anche morire.”
Temari arrise con supponenza. “Ti stavi preoccupando per me?” chiese con aria strafottente, come ogni volta che si sentiva dire cose di questo genere, secondo la propria opinione melliflui sentimentalismi privi di dignità e rigore. Roba da ragazzine! Era una ragazza coi piedi per terra, lei, fin troppo coi piedi per terra! Sapeva che una persona di quel calibro non avrebbe mai amato, quindi Shikamaru restava al gioco e le rispondeva:
“Mi preoccupavo per ciò che poteva farmi tuo fratello minore e l'intero popolo del villaggio di Suna.”
Le bugie si rincorrevano, una dietro l'altra, senza ormai avere più il senso di esistere e di essere enunciate: parole astiose, sguardo annoiato, mani in tasca, una sigaretta in bocca. Shikamaru era l'apoteosi del menefreghismo. Eppure, tre ore prima, manteneva con folle sgomento il corpo esanime di Temari afflitto dalla collera del veleno, scuotendolo come un pazzo, urlando selvaggiamente di riprendersi, ed inveiva contro i tre ninja che li avevano accompagnati, chiedendo loro aiuto, maledicendoli perché non sapevano cosa fare, riprendendoli perché non erano capaci di una basilare conoscenza medica. Era stato quasi in procinto di picchiarne uno, compromettendo la sua alleanza con Suna. E nel mentre gridava selvaticamente il suo nome, con la speranza che più alzava il tono di voce più lei avrebbe avuto la possibilità di sentirlo, Temari, dal corpo abbandonato, il viso paonazzo, gli occhi cerei, aperti, che non erano rivolti verso nessuna parte perché in quel momento non si trovavano lì.
Era seguita una delle peggiori mezzore della sua vita. L'aveva passata seduto su una di quelle file monotone di sedie degli ospedali congiunte alle pareti, le mani sulla fronte grondante di sudore, le dita aggrovigliate, gli occhi chiusi, ermetici, serrati con forza disumana, sperando di svegliarsi e aver sognato tutto e trovarsi sdraiato su uno di quei magnifici colli alberati e verdi di natura in cui andava a rifugiarsi per guardare le nuvole quando voleva scappare dalla realtà. La mezz'ora trascorse e l'infermiera uscì. Il primo pensiero di Shikamaru fu quello di sparire all'istante, cambiare casa, cambiare nome, cambiare vita, e non sapere niente, niente, niente...
Ma l'infermiera sorrise.
Per molto, Shikamaru rimase imbambolato come un allocco.
“Guarda cosa mi fai fare...” aveva mormorato un po' dopo alla Temari inerte ancorata sul letto. Si era portato una sigaretta in bocca, le mani ancora nervose e tremolanti, che per poco non avevano fatto cadere il rotolino di tabacco per terra, che non riuscivano neanche a reggerlo con un minimo di decenza. “Guarda che mi fai fare...” ripeté, scostandole dolcemente un ciuffo biondo dal viso per poterla vedere ancora una volta.
“Le donne son tutte una seccatura.”
Era davvero una seccatura portarsela appresso senza poter fare nient'altro a parte guardarle di nascosto, con la coda dell'occhio, il volto infiammato dai raggi del sole che tramontava oltre la finestra d'ospedale, rinvigorendola dal pallore che l'aveva pervasa qualche ora prima. Era una seccatura sorreggerla domandandosi chissà cosa mi farà se io provassi a baciarla o accarezzarla, ridacchiando poi tra sé. Il Nara era un tipo di persona facile al ragionamento e difficile alla fantasticheria, quindi null'altro predisponevano i suoi pensieri a parte lei mi sopporta appena, a chi la voglio dare a bere? Con mani in tasca, sguardo perso, sigaretta in bocca e parole ardite, lui le stava accanto più che poteva, così, a questo modo, che era l'unico che conosceva assieme a lei.
Però, quando capitava, lui approfittava della situazione, come in quel momento: l'avvicinò a sé, stringendola dolcemente, con la scusa che, magari, aveva agito così perché stavano entrambi perdendo l'equilibrio e dovevano appropinquarsi per sostenersi meglio a vicenda. Almeno, casomai Temari glielo avesse chiesto, lui avrebbe avuto già la risposta pronta.
Ma lei non domandò nulla, e con la testa si appoggiò sulla sua spalla, inalando l'odore di nicotina che tanto le piaceva.













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Si sono entrambi autoconvinti di odiarsi, credendo che comportarsi così sia l'unica soluzione. Forse è così anche nel manga? Chi lo sa...
Per lo ShikaTema5Days e tutte le moschine nere di quel forum, con amore e affetto :*
Sayonara, sperando in una nuova e miracolosa ispirazione per un'altra ShikaTema! xD


  
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