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Autore: zoey_gwen    31/03/2014    2 recensioni
*storia scritta in collaborazione con Sara_Rocker*
Ciaooo! Sono Gwen, ma ormai qualcuno di voi dovrebbe conoscermi :3
Ho deciso di scrivere questa storia con la mia amica Sara, dato che è una scrittrice fantastica e
dato che avevamo l'ispirazione... Così, ecco qua questa long!
Parla di Gwen, una dama aristocratica del 1775, che vive insieme al suo ricco futuro sposo,
Trent. Cosa succederà quando proprio quest'ultimo deciderà di invitare al matrimonio, come futuro sposo,
il sergente militare Duncan, un suo vecchio amico d'infanzia?
Una storia ricca di amore, passione e colpi di scena, tutta da vivere insieme ai suoi protagonisti.
*Love In War*
Il link di Sara_Rocker: http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=216786
Dolci :3
Gwen&Sara
Genere: Avventura, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Duncan, Gwen, Trent | Coppie: Duncan/Gwen, Trent/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Capitolo III http://it.tinypic.com?ref=ws2yd3" target="_blank">Image and video hosting by TinyPic<br />
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Americani. Gwendoline non riusciva a comprendere pienamente quel termine recentemente coniato da un paio in britannici nati oltreoceano. La ragazza definiva 'americane' quelle poche civiltà -ormai completamente scomparse a causa dei folli stermini- nate in quelle terre selvagge e poco conosciute. Non amava per nulla rivolgersi ad un conquistatore come tanti, appellandolo come 'americano'. Lo trovava offensivo, e non solo.<br />
Gli inglesi che, nei due secoli precedenti, si erano stanziati nel nuovo mondo la repellevano: li trovava grezzi e vagabondi, le sembravano un branco di nomadi particolarmente sfruttatori. Setacciavano terre, ne eliminavano gli abitati originari, ed infine le prosciugavano -razziavano oro, cibo ed acqua-. Erano poi privi di identità -a parer di lei- in quanto, abbandonando il loro reale paese, avevano osato rinunciare ad una cultura antica e prospera come la loro. In sintesi, Gwendoline era sempre stata più che certa che mai, in tutta la sua vita, si sarebbe abbassata anche solo a parlare con un americano. Eppure, ora che si trovava a pochi metri da quel ragazzo dai capelli corvini e gli occhi chiari, dovette ricredersi.<br />
Osservò attentamente il volto spigoloso, contratto in un'espressione particolarmente fredda e rabbiosa. Probabilmente -constatò successivamente lei- anche il suo viso, solitamente tanto dolce ed accomodante, doveva essersi contratto in quel modo tanto sgarbato. Analizzò attentamente gli abiti che indossava: i pantaloni scuri e la camicia dai toni del bianco sporco. Sembrava appena sbarcato da una nave in quanto mozzo, invece che come lusingato sergente di una truppa al servizio della Corona Inglese. Persino il suo odore la infastidiva. Doveva ammettere che, quando era venuta a sapere che sarebbe giunto un sergente americano, nonostante non avesse potuto dimostrarsi contenta della notizia, aveva per lo meno immaginato di incontrare un uomo dal volto gentile e le maniere educate, ma ciò che le si presentò di fronte screditò in breve ogni aspettativa della giovane.<br />
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Lo vide appoggiare a terra una borsa scura a tracolla, per poi osservarsi qualche momento attorno. Gwen non capì: la aveva osservata a lungo, ed allora per quale ragione non si avvicinava? Istintivamente si voltò in direzione di Trent, incontrandolo sorridente impegnato nell'agitare una mano all'aria, così da mostrarsi all'amico poco lontano. Prestò poi nuovamente attenzione al militare, il quale doveva avere probabilmente notato l'amico, in quanto aveva accennato un sorriso, raccolto la proporia borsa, e ripreso a camminare in loro direzione.<br />
Una volta accostatosi ai due, l'americano -tornato ad ostentare la propria espressione indifferente- appoggiò una mano sulla spalla di Trent, salutandolo.<br />
"Effettivamente sì, Trent. Mi sei mancato molto anche tu, ed è un vero piacere rivederti, nonostante avrei preferito farlo in situazioni migliori" si limitò a dire il sergente, alzando il braccio destro, mostrando così all'amico e a Gwendoline le garze che lo rivestivano. Il nobile annuì, leggermente sconsolato. La ragazza analizzò attentamente l'arto fasciato, ricordando come -anni prima- anche lei era stata costretta a medicare più volte il fratello, costantemente in movimento e privo di freni. Accennò un sorriso, tentando di allontanare tutta la nostalgia per il ragazzo.
"Posso capirlo, Duncan, ma sostengo comunque che questo nostro incontro sia da festeggiare" parlò Trent, sistemandosi leggermente la camicia che aveva indosso sotto la sontuosa ed elegante giacca doppiopetto "Alla mia villa, nelle cantine, ho dell'ottimo vino, vedrai"
"Beh, non mi vedo in condizione di rifiutare" accennò sarcasticamente il militare, per poi guardare, oltre l'amico, la carrozza che lo aveva accompagnato. Era guidata da due destrieri dal manto lucido, visibilmente in salute. Per la prima volta da quando era arrivato, Duncan sorrise sinceramente: amava cavalcare.
"Non sarebbe il caso di prendere la tua carrozza, allora?" domandò poi il sergente, ottenendo in breve un'occhiata decisamente colma di disappunto da Gwendoline. Non solo il militare non si era degnato di salutarla, ma aveva anche avuto il coraggio di fare una domanda tanto sgarbata. Non potè fare a meno di ritenere quel comportamento tipicamente americano.
Trent si voltò in direzione del proprio veicolo e, dopo averlo ammirato qualche secondo con fierezza, tornò a prestare attenzione all'amico "Certo, lo sarebbe decisamente, ma prima.." disse il nobiluomo, afferrando la mano di Gwendoline e portandosela alle labbra, baciandone la superficie rivestita dal guanto "Vorrei presentarti la mia futura moglie, Gwendoline"

Il volto della ragazza si imporporò in pochi istanti. Non si era aspettata che Trent si comportasse in modo tanto galante di fronte l'amico, ma soprattutto che la presentasse con così poche cerimonie, non che la infastidisse, anzi! ll signor Wright era ben conosciuto per le sue lussuose feste in pompa magna, e doveva ammettere che quel comportamento tanto intimo e semplice le aveva quasi risollevato il morale -quasi-.
Duncan, invece, udendo quella frase, aveva leggermente sussultato, sinceramente sorpreso dalla notizia. Aveva notato -e come negarlo?- la carinissima ragazza dai tratti fini ed i lineamenti delicati poco prima, ma era stato sin da principio convinto che si trattasse di una semplice governante come tante, magari venuta con l'amico per aiutare il sergente con le valige. Sinceramente, dovette ammettere il militare, venire a sapere che la giovane di fronte a lui non era altro che l'ennesima nobildonna quasi lo avvilì. Detestava la maggior parte dei ricchi inglesi -e non solo-, li trovava spocchiosi e vanitosi. Trent era stato il solo a conquistare la simpatia del ragazzo dagli occhi chiari, e dubitava sinceramente che la donna di fronte a lui ce l'avrebbe fatta. Lo squadrava, alle volte con astio, ed altre con incertezza e confusione, e Duncan lo aveva notato più volte.

Dopo quei brevi attimi di confusione, l'americano, ricordando le buone maniere londinesi, si accostò alla ragazza e, dopo averle afferrato delicatamente la mano, le posò un leggero bacio sul dorso di essa.
"E' un piacere conoscervi, signorina" si limitò poi a mormorare, ancora sorpreso di fronte la notizia appena appresa. La ragazza si irrigidì. Non credeva che il militare sarebbe arrivato a tanto, eppure ora erano lì, l'uno di fronte a l'altra, ad osservarsi entrambi spaesati, perchè sì, lei aveva notato il disorientamento nel volto di lui.
"Il piacere è tutto mio" soffiò Gwendoline una volta ripresasi. Scostò poi la mano bruscamente, prestando la propria attenzione a Trent "Che dite, Mr. Wright? Ora che i convenevoli sono fatti, potremmo andare?" domandò gentilmente la ragazza.
Il futuro marito si limitò ad annuire, per poi incamminarsi in direzione della lussuosa carrozza seguito dai due. Gwen reggeva tra le mani il proprio parasole dai toni scuri, tenendolo poggiato sulla spalla destra, e lasciandolo oscillare all'aria con disinvoltura. Lo chiuse una volta apprestatasi a salire. Si accomodò al fianco di Trent, trovandosi Duncan di fronte. Non appena il nobile ebbe dato segno al cocchiere di partire, i due tornarono a parlare.
"Posso farti una domanda, Duncan?"
Il militare alzò lo sguardo verso l'amico, annuendo semplicemente.
"Perdona la mia curiosità, ma non capisco per quale motivo indossi abiti tanto rozzi..." si lasciò sfuggire Trent, attirando anche l'attenzione della sua giovane futura sposa che, solo poco prima, si era posta la medesima domanda.
"Oh, vedi... Mi cercano..." esordì Duncan, passandosi una mano tra i capelli folti e spettinati "Questo è un piccolo appunto che ho omesso nella missiva che ti è stata inviata" rivelò, accennando un sorriso particolarmente scaltro, che rese Gwendoline diffidente.
"Che intendi?" domandò il nobile, corrugando la fronte ed arcuando le sopracciglia sinceramente allarmato dalle parole dell'amico.
"Vedi, quando sono venuti a conoscenza del mio effettivo schieramento, hanno iniziato a cercarmi per uccidermi. Sono riusciti a ferirmi al braccio, come vedi. Sulla nave da cui sono appena sbarcato ero vestito in questo modo per evitare di venire scoperto... E per salvaguardare completamente la mia vita avevo bisogno di un rifugio..." ammise Duncan, abbassando lo sguardo sui propri stivali logori in pelle "Sono desolato per averti mentito, ma non ero certo che mi avresti accettato con altrettanto calore, altrimenti" concluse infine.
Trent lo osservò in silenzio per minuti che al militare parvero infiniti. Nel frattempo, i suoni di quella londra settecentesca riempivano il piccolo abitacolo della carrozza, provenienti dall'esterno. Gwendoline prestò disinteresse di fronte la discussione tra i due -si era distratta poco prima-, tenendo il viso voltato in direzione del piccolo finestrino al suo fianco, oltre il quale la confusione tipica della media borghesia risuonava ampiamente. Amava quelle grida, quei caplestii e quegli schiamazzi che le ricordavano la casa che si era sentita in dovere di abbandonare una volta ricevuta la proposta da parte di Trent. Inizialmente, non aveva creduto che avrebbe sofferto tanto quella lontananza, ma si era sbagliata. Soprattutto in quegli ultimi mesi, quando ormai il matrimonio era vicino, si sentiva totalmente destabilizzata e confusa.
"Non devi preoccuparti, Duncan. Non cambia nulla, davvero. Una simile piccolezza non può privarmi del mio migliore amico" sentenziò infine il nobile, sorridendo sincero all'altro, il quale ricambiò l'espressione con un'improvvisa sicurezza.

Con un ultima spinta, la carrozza arrestò il proprio cammino una volta giunta in prossimità delle stalle. Il sole era ancora alto, e la cena sarebbe stata servita dai domestici solo entro un paio d'ore. Il primo a scendere fu Duncan, incoraggiato dall'amico, poi fu il turno di Trent, ed infine di Gwen, la quale venne subito aiutata dal cocchiere, che le sorrise cordiale accompagnandola con la mano sino all'ultimo gradino.
"Mille grazie" gli disse lei con un sorriso, per poi voltarsi in direzione della maestosa villa alle sue spalle. Ammirò ogni angolo della perfetta facciata come fosse la prima volta: le ampie finestre, le tende perfettamente abbinate, dai toni tenui ed il tessuto piacevole al tatto, vi era poi la meravigliosa porta in mogano, lucidata in modo maniacale e perfetto. Osservò i davanzali straripanti di fiori meravigliosi, sbocciati da poco in quella primavera ancora giovane e fresca. Analizzò persino il tetto spiovente che tanto le piaceva, ricordandole le villette a schiera tipiche del centro, quelle affacciate sulle caotiche strade di ciottoli londinesi, attraversate da uomini e carrozze, quelle vie che le ricordavano casa. Sorrise impercettibilmente, mentre Trent la osservava da poco lontano, anche lui solare in volto.
"Noi entriamo, Gwendoline" disse poi, attirando l'attenzione della ragazza "Vuoi unirti a noi?"
La giovane declinò l'invito, scuotendo appena il capo, e giustificandosi dicendo che avrebbe preferito fare una breve passeggiata all'aria aperta, così da godere a pieno delle ultime ore di luce rimaste. Trent non si oppose, ed invitò l'amico in casa, entrando anch'egli.
Gwendoline attese qualche momento in quella posizione, rivolta in direzione del maestoso edificio in silenzio, udendo i vocii all'interno farsi sempre più animati e scherzosi, segno che -con ogni probabilità- era stato stappato il vino. Sospirò poi con leggerezza, voltandosi in direzione del cocchiere, totalmente occupato nel liberare i due purosangue dalle briglie che li costringevano. Si sistemò l'ampia gonna verde, per poi avvicinarsi all'uomo.
"Buongiorno" gli disse con gentilezza. L'altro alzò lo sguardo, per poi fare una piccola riverenza, a causa della quale quasi perse il proprio tipico cappello a cilindro. Se lo sistemò goffamente, facendo sorridere divertita la ragazza.
"Avete bisogno del mio aiuto, signorina?" le domandò l'uomo dopo pochi istanti, una volta controllata la perfetta piega del panciotto "Se volete scusarmi solo un istante, starei portando i cavalli nell-" "E' appunto per questo" lo interruppe velocemente lei, per poi arrossire immediatamente e portarsi una mano sulle labbra. Non era consono ad una signora come lei intervenire in modo tanto diretto e sgarbato, ed abbassò dunque immediatamente il viso imbarazzata.
L'uomo le sorrise, capendo immediatamente. Conosceva Gwendoline da tempo ormai, da quando si era trasferita alla villa. Sapeva cosa voleva.
"Non dovete fare così, signorina, lo sapete bene! Io sono solo un uomo di servizio, e comunque..." disse, avvicinandosi alla ragazza e portando con sé un cavallo "Tenete" le mormorò infine, avendo compreso fin da principio cosa era in procinto di chiedergli. Non era cosa rara che la giovane andasse a cavalcare in completa solitudine, alle volte senza neppure riferirlo al signor Wright. Amava in modo smisurato i cavalli e quel sentore di libertà che essi erano in grado di darle, cosa non totalmente condivisa con il futuro marito, purtroppo.
Gwendoline sorrise, afferrando la redine che il cocchiere le stava porgendo, ed una volta accompagnato l'animale di qualche passo, ringraziò l'uomo, posò il parasole a terra, e salì in groppa la proprio destriero.

Calvalcò a lungo, beandosi dell'aria che le attraversava i capelli e le colpiva il volto. Aveva bisogno di stare sola e riflettere. L'americano era stata solo l'ennesima dannatissima pulce ad infastidirle la vita, e questo le aveva fatto avvertire una profonda frustrazione divorarla totalmente. Già prima si sentiva costamente sottopressione tra il pensiero del matrimonio, del fratello oltreoceano e dei suoi costanti obblighi da mantenere in quanto signora. Duncan aveva rappresentato la tipica 'goccia' in grado di fare traboccare il vaso. Eppure, non lo avrebbe mai potuto ammettere, non a Trent per lo meno.
Erano tempi ardui quelli e lei lo sapeva bene. Erano anni in cui l'amicizia e l'amore erano tra i pochi valori effettivamente rimasti intatti, perciò, come dire al proprio futuro sposo di abbandonare al proprio destino il migliore amico? Impossibile, disumano, aberrante.
Gwendoline non era una cattiva persona, non lo era mai stata. Semplicemente, ciò che a lungo l'aveva solo che circondata, come la ricchezza ed il lusso, ora che erano divenuti parte della sua vita, erano in procinto di soffocarla letteralmente, cosa che lei non poteva più sopportare. Non era in grado di restare rigida, perfetta ed accomodante ogni momento, e questo la preoccupava. Se solo dopo pochi mesi si sentiva così, come avrebbe potuto affrontare un'intera vita del genere?
Serrò gli occhi imbarazzata. Poche erano le donne -d'apprima contadine- a potere avere simile fortuna. Lei, tra tutte le splendide ragazze del suo quartiere, era stata notata da un uomo nobile e gentile. Gwendoline aveva un futuro roseo di fronte a lei, ma non lo desiderava, e questo la faceva sentire in imbarazzo e a disagio. Nonostante tutto fosse divenuto come una perfetta favola, lei non era pronta. Non si sentiva adatta ad una vita fatta di agi e priva di libertà.
Con il tallone, diede al cavallo un colpo, facendogli così aumentare velocità. Desiderava smettere di pensare, voleva annegare in quel vortice d'aria che la avvolgeva meravigliosamente, e non essere ritrovata mai da nessuno. Poteva sentire la gonna aderirle alle gambe a causa dell'aria forte, e dimenticò l'insopportabile fastidio dovuto alle stecche del busto che la costringevano orribilmente. Ogni giorno desiderava solo che tornare a dormire. Inizalmente si era divertita, questo doveva ammetterlo; le era piaciuto scoprire un mondo nuovo, nel quale non vieni insultata -o peggio- quando sei una donna amante della lettura, ma lentamente le stanze infinite, il vino frizzante e gli abiti in seta lucida l'avevano annoiata. Ricordava con chiarezza la sua vita in precedenza, quando dovevano ritenersi fortunati nell'avere qualche sterlina in più per della cioccolata. Sorrise, desiderando tornare a quei tempi nei quali suo fratello ancora la rimproverava per avere allacciato male i mocassini logori. 
Strinse con forza la presa sulle redini, per poi tirarle verso di sé, arrestando il passo del cavallo. Gli diede poi un buffetto sulla spalla, facendolo voltare nuovamente in direzione della villa. Il sole stava per tramontare e, nonostante potesse sognare per tutto il tempo che desiderava, doveva arrendersi all'idea che nulla sarebbe mai tornato come prima.

Giunse di fronte alle stalle quando il firmamento si era ormai tinteggiato di quel colore caldo e tendente al rosso. Smontò dalla sella con un salto, cadendo ben equilibrata sul terreno, senza neppure barcollare. Si sistemò velocemente la gonna, sfregando su di essa le mani così da lisciarla perfettamente, per poi sistemarsi con attenzione i capelli, leggermente spettinati a causa del vento. Fece scorrere le proprie dita tra le varie ciocche, percorrendone l'intera lunghezza, ed una volta sistematasi, afferrò le briglie del cavallo, e lo accompagnò dentro la stalla. Non appena ebbe riposto l'animale, la ragazza si voltò, intenta ad entrare nella villa, quando una voce la fece distrarre.
"Trent vi sta cercando, signorina Gwendoline"
Si guardò attorno, fino a che non scorse nel buio, in un angolo della stalla, la figura di quell'americano, Duncan. Storse immediatamente il labbro, infastidita dall'atteggiamento dell'uomo.
"stavo appunto andando" si limitò a dire lei.
"Siete andata a cavallo ?" le domandò il militare, uscendo dall'ombra ed avvicinandosi alla ragazza, la quale non si dimostrò per nulla sottomessa.
"Vi interessa molto saperlo?"
Immediatamente, Gwendoline si morse la lingua. Come aveva osato parlare così al ragazzo? Non era cosa rispettosa che una signora si atteggiasse in quel modo; Duncan sarebbe certamente andato a dirlo a Trent, e lui si sarebbe potuto arrabbiare. Oppure -peggio- poteva essere il militare stesso ad arrabbiarsi, magari persino a punirla. Quell'ultima possibilità, in particolare, la fece quasi tremare. Fu probabilmente a causa di tutte queste sue pessime aspettative che, quando vide il ragazzo sorridere, non potè fare a meno di avvertire il cuore perdere un battito.
"Siete sfacciata" le disse, non riuscendo a nascondere un sorriso sinceramente divertito. Non era arrabbiato o vendicativo, semplicemente allegro. La ragazza sgranò gli occhi, mentre non riusciva a controllare le proprie labbra, ora semiaperte dalla confusione.
"I-Io-" "Mi piace." la interruppe lui, continuando a sorriderle "Sinceramente, non avevo mai visto una nobile atteggiarsi in modo tanto irrispettoso. Solitamente vi insegnano le buone maniere"
Gwendoline non dovette ragionare molto per capire che ciò che l'uomo le stava rivolgendo, non era altro che una sfida. Sorrise ghemba "Avete detto bene, signore. 'Le nobili' sono molto istruite. Le contadine non allo stesso modo" gli disse dunque, sottolineando con attenzione la parola 'nobili', facendola cautamente contrastare con 'contadine'. Quella volta fu Duncan ad irrigidirsi, decisamente sorpreso dalla notizia. Non replicò in alcun modo, limitandosi a guardarla per minuti che alla ragazza parvero infiniti, tanto che si sentì in dovere di interrompere quel silenzio improvviso.
"Comunque sì, ero andata a cavalcare. Non volevo infastidire il signor Wright, lui non ama quanto me l'equitazione, e poi ero ben certa che avesse scartoffie e documenti da controllare."
"Infatti" acconsentì l'uomo, ripresosi. Guardò la ragazza con attenzione: il viso pallido, le labbra carnose e gli occhi grandi. La trovò bellissima, eppure non fece nulla.
"Sapete, anche io amo cavalcare" le mormorò con un sorriso, prima di uscire dalla stalla e dirigersi dentro la villa. Entro breve sarebbe stata servita la cena.

  
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