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Autore: Dim    31/03/2014    1 recensioni
Due fratelli gemelli, due mercenari.
Un lavoro che si mischia alla vendetta.
Una filastrocca che detta la morte.
Il Ragno che si contorce nella sua stessa ragnatela.
La regola è solo una: l'Autunno detta il ritmo, gli altri si limitano ad eseguire.
E a cadere.
Genere: Dark, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Feitan, Genei Ryodan, Hisoka, Kuroro Lucifer, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Ciao, sono Dim. Non ho intenzione di commentare questo capitolo, perché ammetto che si tratta davvero di un capitolo crudele. Dico solo che vi saranno un po' di riferimenti alla Saga del Male. Riliane sarebbe la principessa, Alexiel e Allen sono la stessa persona, ovvero il suo gemello, solo che Alexiel è il suo vero nome e Allen il suo nome da servitore.
Quindi vi lascio alla lettura e sono qui, in caso voleste sfogarvi o qualsiasi altra cosa.

Dim

Capitolo 17

-Ru ri ra, ru ri ra... Ru ri ra...- 
Una bambina bionda canticchiava queste tre sillabe, camminando lentamente e mettendo i piedi uno davanti all’altro, con attenzione, tenendo le braccia leggermente allargate come se dovesse mantenere l’equilibrio. Poi afferrò il bordo della lunga gonna gialla che indossava e tenendola sollevata girò su se stessa, scoppiando a ridere subito dopo. 
-Aki? Sei qui?- Un’altra testa bionda spuntò dalla fessura tra la parete e la porta socchiusa. La bambina si voltò con un enorme sorriso stampato sul viso. 
-Aka!- esclamò correndogli incontro e abbracciandolo. -Sei tornato! Sei tornato!- strillava radiosa. -Sono tornato, ma non soffocarmi!- tentò di protestare lui, senza fare nessun tentativo concreto di svincolarsi da quell’abbraccio stritolatore. Quando infine i due gemelli si separarono, continuarono comunque a tenersi per mano. 
Lui la squadrò perplesso. -Con quel vestito sembri una principessa- fu il suo commento. 
-Davvero?- fece lei, gli occhi che le brillavano per la contentezza. -Come Riliane?- 
Aka sospirò. -Proprio non riesci a togliertela dalla testa quella favola, eh sorellina?- chiese falsamente esasperato. 
-No! E non fingere che a te non sia piaciuta!- esclamò Aki guardandolo male. Il bambino sospirò di nuovo e scosse la testa. 
-Non cambierai mai- affermò convinto. -E comunque sì, un po’ - un po’, eh - assomigli a Riliane- ammise infine. -Ma solo perché anche lei veste sempre di giallo!- si affrettò a precisare. 
La bambina gli fece una linguaccia, poi fece una seconda piroetta. -E tu sarai il mio Alexiel?- domandò porgendo la mano al fratello, che la prese e la baciò dopo essersi esibito in un teatrale inchino. -Io sarò il tuo Allen, mia signora- la corresse. 
Lei s’aprì in un radioso sorriso. -Solo...- fece dopo un istante. -Non morire mai per me, ok?- 
Aka sorrise a sua volta, ma era più un sorriso mesto. -Se sarà necessario, mia signora, morirò.- dichiarò. 
-Non dire idiozie!- esclamò Aki dandogli una spinta. 
Il bambino studiò l’espressione sconvolta e terrorizzata della sorella. Si costrinse a ridere. -Scherzavo, Aki! Scherzavo- mentì. 
Lei parve tranquillizzarsi, e il sorriso tornò sulle sue labbra. -E, soprattutto, non innamorarti di nessuna senza la mia autorizzazione!- esclamò. 
-Certo, mia signora! Le farò firmare un permesso scritto quando deciderà che sua fratello è abbastanza cresciuto da potersi interessare alle ragazze!- la prese in giro Aka. 
Inaspettatamente, sua sorella gli gettò le braccia al collo e lo abbracciò. Stretto, come se non volesse mai lasciarlo andare. 
-Promettimi che non te ne andrai mai- mormorò. -Che rimarrai sempre con me- 
Il bambino si sorprese per l’ennesima volta di quanto Aki potesse essere fragile. La strinse a sua volta, con ancor più decisione di lei. 
-Promesso- disse. -Staremo sempre insieme-

Aki era rannicchiata sul letto del fratello, in posizione fetale, le braccia avvinghiate alle spalle e le unghie affondate nella carne. 
Non sapeva da quanto era lì. 
Il bisogno umano di mangiare e bere non la toccava neppure lontanamente, ed erano giorni che era immobile in quella posizione. La stanza era disastrata, ovunque erano sparsi i pezzi degli oggetti che la ragazza aveva scagliato contro le pareti in preda ad un attacco d'isteria e disperazione. 
All'inizio aveva pianto, certo, si era disperata a lungo, crogiolandosi nel dolore per la perdita incolmabile che aveva subito. Ma ormai non aveva più lacrime, e si limitava a starsene lì immobile, non del tutto cosciente, indecisa sul metodo più infallibile per uccidersi. 
Prima aveva perso suo padre, ora anche suo fratello. Non poteva credere che Aka non ci fosse davvero più. Non era possibile, semplicemente non era possibile. Doveva esserci stato un errore, doveva essere così. Aka non poteva essere... Riusciva a malapena a pensarci. Non poteva essere morto! Non era giusto. Non era affatto giusto. 
In quel momento uno squillo insistente riempì il silenzio pressante in cui era immersa la stanza. Era il telefono di Aka. Probabilmente a chiamarlo era l’uomo che aveva commissionato loro quell’incarico. Certo, lui non poteva sapere. Non poteva sapere a cosa aveva portato tutto quello. Dopo appena un minuto il cellulare tornò a tacere. 
La ragazza si mise seduta quasi di scatto al centro del letto, le gambe incrociate tra loro. Si dondolò in avanti e indietro, in avanti e indietro, gli occhi spalancati e i denti tanto stretti tra loro da ferire la gengiva. Un rivoletto di sangue scarlatto le colò dal labbro sino al mento, ma lei non lo asciugò. Una goccia cadde a sporcarle la maglia, subito seguita da una seconda e da una terza. Ripensò al sangue che Aka aveva tossito quella sera, a come lei era stata troppo cieca per notarlo e per rendersi conto delle reali condizioni di suo fratello. Magari avrebbe potuto trovare una soluzione, magari avrebbe potuto salvarlo. Ma sapeva benissimo che era già troppo tardi. Era colpa sua. Colpa sua sua sua sua... 
Aki strofinò freneticamente la pelle del mento e del labbro, cancellando inorridita quella minima traccia di sangue. Poi si portò le mani alle orecchie, come se volesse soffocare un qualche suono insopportabile proveniente dall'esterno. 
E gridò. 
Gridò sino a rovinarsi le corde vocali, fino a perdere la voce. 
Gridò per sovrastare il rumore incessante dei suoi pensieri, troppo confusi per essere ascoltati e compresi. 
Gridò per sovrastare il dolore che la divorava da giorni interi. 
Era certa di voler morire, era certa che si sarebbe uccisa all'istante se solo avesse avuto la forza di alzarsi di farlo. 
La voce le si spense in gola, senza più fiato ad alimentarla, e lei si scaraventò con forza giù dal letto, barcollando e appoggiandosi alla parete per non franare a terra. Fece per un paio di volte il giro della stanza, gli occhi che fissavano il soffitto senza realmente vederlo. Poi si diresse verso un mobile ancora miracolosamente intatto e vi si appoggiò contro. Frugò in uno dei cassetti, sino a che trovò un pezzo di carta ancora immacolato. Si lasciò cadere sul pavimento cosparso di cocci e pezzi di vetro; prese un frammento abbastanza grosso e stette a fissarlo per almeno cinque minuti, rigirandoselo nella mano con aria assorta. Poi, senza preavviso, lo strinse più forte e lo conficcò nel palmo sinistro. Subito il sangue iniziò a gocciolare dalla ferita. 
Era scarlatto, come gli occhi del ragazzo che aveva ucciso suo fratello. Anche lui era alla ricerca della sua vendetta. 
Vendetta. 
Il Ragno. 
Intinse la punta dell'indice destro nel proprio sangue e lo portò sopra la carta, di un bianco immacolato. Poi tracciò un nome. 
Aka. 
Rosso. 
Sangue. 
Prima suo padre. 
Poi suo fratello. 
Ora aveva un motivo in più per vendicarsi della Genei. 
La ragazza sorrise. 
Pazza.

-Aki? Sei qui?- 
Aka salì di corsa la scalinata dell’ingresso, chiamando a gran voce sua sorella. Senza ricevere risposta. 
-Su principessa! Non fare questo genere di scherzi! Dove ti sei cacciata, Aki?- gridò. 
Infine giunse nel salotto, e lì si pietrificò: a terra vi era un lago di sangue. E sua sorella sedeva nel mezzo, le ginocchia contro il petto e il corpo scosso da singulti. 
Solo dopo un istante Aka capì che non stava affatto piangendo, ma ridendo. Non era la sua solita risata, però. Era lugubre, inquietante. Malvagia. 
Terrorizzato, il ragazzino s’avvicinò. Aki sollevò la testa, guardandolo in volto. I suoi occhi azzurrissimi erano incrinati. Il sorriso folle che le increspava le labbra sottili divenne una smorfia di dolore. Le lacrime iniziarono a scenderle lungo le guance. 
-L’ha lasciato morire- sussurrò con un filo di voce. Aka non capì cosa intendesse, non subito almeno, ma aveva visto la marionetta seviziata accanto alla ragazzina. 
Aki non aveva mai dato prova di poter controllare il potere del padre. 
Non capiva, forse, ma prese sua sorella e la strinse a sé. -Sarai con me, Allen?- mormorò lei, lo sguardo vacuo. 
Suo fratello allora sciolse l’abbraccio, la guardò negli occhi e le prese la mano destra - quasi completamente ricoperta di sangue - e la baciò delicatamente. 
-Certo, mia signora- rispose, costringendosi a mantenere ferma la voce. -Sempre- 
Aki annuì. -Andiamo via di qui, allora- 
Aka l’aiutò ad alzarsi, poi recuperò una giacca e gliela mise sulle spalle. -Andiamo- disse. 
Quando uscirono da quella casa maledetta, nevicava.

Feitan aveva un pessimo presentimento. E raramente il suo sesto senso sbagliava. Sentiva chiaramente che stava per succedere qualcosa di spiacevole. 
Anche se, a pensarci bene, non sapeva cosa ci sarebbe stato di più spiacevole di così. 
Si trovava ancora nel Ryuseigai, non voleva allontanarsi troppo da lì. Dopo la morte delle ragazze il Ragno - quel poco che ne rimaneva - si era semplicemente sfaldato: Shalnark era andato a morire; di Phinks non aveva notizie e Kuroro non si faceva sentire da giorni e giorni. La Genei aveva subito troppe ferite e troppo profonde per potersi riassemblare, per riuscire a far ricrescere le zampe mozzate. E quella ragazza non si trovava. Sapeva che era stata lei. 
Una parte della sua mente l’aveva sempre saputo, a voler essere sinceri. Ma molto probabilmente non aveva voluto accettarlo. In ogni caso, non aveva neppure più la volontà di vendicarsi. Era tutto troppo pesante da sopportare, per lui. Molto più semplice lasciar perdere. 
Comunque continuava ad avere quel pessimo presentimento. Svoltò l’angolo, nervoso, e quello che vide lo fece fermare di botto. 
Avrebbe riconosciuto quella figura ovunque. 
La ragazza era accucciata su qualcosa che nel primo momento non visualizzò, troppo occupato ad analizzare i capelli intrecciati, sporchi, le occhiaie e lo sguardo allucinato; il sorriso macabro sul suo volto. E poi scese sulla maglia, leggera nonostante il freddo, scivolò lungo le braccia ed arrivò alle mani. Registrò le unghie spezzate, i polpastrelli sporchi di sangue. 
Sangue? 
Feitan era un tipo pallido, ma non appena vide il cadavere sbiancò ancora di più, se possibile. Capelli castani, occhi marrone scuro spalancati, fronte ampia, sopracciglia rasate. Phinks. Il ragazzo strinse i pugni, e d’istinto fece per scattare in avanti. Qualcuno l’afferrò per un braccio e lo trattenne: Kuroro. 
La ragazza sollevò la testa e li vide. Con un movimento rapido estrasse il pugnale dal corpo dell’uomo e osservò ammaliata il riflesso vermiglio della lama. 
-Lasciami- sibilò Feitan. 
L’altro scosse la testa. -È così che deve andare- replicò. 
Il moro sgranò gli occhi, guardandolo scandalizzato. -Cosa?!- fece. -Tu eri qui sin dall’inizio e non hai fatto niente!? Non hai fatto NIENTE!?- 
Colui che un tempo era stato la testa del Ragno scosse di nuovo il capo. 
Feitan si liberò con uno strattone, aprì bocca per gridargli ancora contro e... capì. 
Si ricordò di qualcosa che una volta Akito gli aveva detto. 
La ragazza gli rivolse un lungo sguardo, uno sguardo pieno di parole che non avevano bisogno di essere pronunciate. Poi si voltò e corse via. 
Senza ragionarci neppure un istante, Feitan l’inseguì.

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