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Autore: Lady Aquaria    31/03/2014    3 recensioni
"La verità è che io faccio fatica a non pensarci, alla fine mi sono arreso. Ho smesso di provare a liberarmi un po' la testa ma non riesco perché lei c'è. C'è sempre. Con il suo sorriso e i suoi occhi, perfino col suo caratteraccio. E quando non c'è la cerco. La cerco in casa, a Rodorio, la cerco nelle canzoni dei Kiss che ho imparato ad apprezzare e dentro le frasi dei pochi libri che ha letto qui. E sai cosa? C'è ancora. E' ancora dappertutto. L'ho cacciata, ma non riesco a levarmela dalla testa."
E tutto questo, a partire da quel giorno al Goro-Ho.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le vie del Destino'
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capitolo 19 prequel rivisto
19.
Disillusion.

 

How can I forget you when my world is breaking down
you’re all I had, you’re all I want
disillusion, disillusions now, that’s all I have
[Disillusion, Abba]
 
In quelle ultime tre settimane il Goro-Ho non era cambiato di una virgola: a quanto pareva la vita era trascorsa placida come sempre, i suoi equilibri millenari erano rimasti immutati.
Eppure le sembrava di essere lontana da quel luogo da così tanto tempo che in quel momento le pareva impossibile pensare di tornare a viverci: era e sarebbe sempre stata casa sua, ma non era per nulla sollevata di trovarsi di nuovo lì, dopo tre settimane vissute come fuori dal mondo.
Era cambiata a tal punto?
Era cambiata così tanto in quel breve soggiorno greco da non sentirsi più a suo agio in quel luogo che l'aveva accolta e protetta da quando era una bambina?
In verità temeva la routine di tutti i giorni: era stato bello trascorrere del tempo con un ragazzo che la faceva stare bene, che si occupava di lei, che non la trattava come la schiavetta tuttofare di casa.
Era stato bello sentirsi amata.
"Tutto bene?"
Sobbalzò e scosse la testa, incapace di spiegare a Milo ciò che sentiva.
"Diciamo di sì."
"Quel diciamo non mi piace nemmeno un po'."
"Lo so. Ma mentirei se ti dicessi che va tutto bene."
Le sorrise, tentando di esserle di conforto.
"Se c'è qualcosa che posso fare, o se avessi mai bisogno di qualcosa …"
"No, ho già tutto ciò di cui ho bisogno." rispose Mei, lanciando un'occhiata alla pagoda.
Di cos'altro poteva mai avere bisogno, pensò, amara, quando in quella casa aveva tutto ciò che potesse mai desiderare?
"Di qualunque cosa tu possa improvvisamente aver bisogno, non esitare a chiamarmi, d'accordo? Mei, sono serio." disse Milo, scribacchiando qualcosa su un foglietto.
Un numero di cellulare. Suo malgrado, visto che aveva voglia di fare tutto, fuorché di sorridere, Mei sorrise.
"Mi costerà una fortuna in bollette telefoniche. Magari chiederò al Maestro di contattarti per me."
Milo le sfiorò un braccio.
"Anzi, no. Verrò personalmente di tanto in tanto per visitarti. Ci conosciamo da poco eppure so già che non chiederai al Maestro di chiamarmi, né tantomeno comporrai quel numero." disse Milo. "Perciò, che ti piaccia o no, ogni tanto mi vedrai arrivare per romperti un po' le scatole."
"Grazie di tutto, Milo. Davvero."
"Credimi… il modo in cui ti ha trattata è stato… atroce, ma non l'ha fatto per cattiveria. Lui non è così."
"Pensa se l'avesse fatto per cattiveria." commentò Mei.
"Lui è uno stronzo."
Mei sospirò.
"Ti chiedo scusa fin da adesso per tutte le cose offensive che dirà." disse a bassa voce, riferendosi a Shiryu, che stava arrivando e aveva sentito le parole di Milo.
"Intanto modera i termini. E poi… ti spiace? Starei parlando con tua sorella." rispose Milo, sbuffando. "Di cose private che non richiedono la tua saccente presenza."
"Shiryu, rientra in casa, subito."
"Al posto tuo seguirei il consiglio di tua sorella."
"Con chi ho l'onore di parlare?"
"Milo dello Scorpione." rispose l'interessato, incrociando le braccia sul petto.
Uno dei dodici Gold Saint, quindi parigrado di Camus.
"Dunque quel dannato è anche così codardo da mandare avanti il suo compare? Aveva paura di farsi vedere e affrontarmi?"
Milo lo guardò un istante, prima di scoppiargli a ridere in faccia dopo le ultime parole: Camus? Avere paura di uno come lui?
"Io ho impedito a Camus di riportarmi qui." interloquì Mei.
"Hai fatto bene, non sarebbe tornato a casa tutto intero." proseguì Shiryu, inducendo Milo a ridere più forte.
"Questa è proprio bella."
"Le mie parole sono così divertenti?"
"Non ne hai idea." ridacchiò Milo. "Perché tu non avresti alcuna speranza contro Camus."
Nonostante l'atteggiamento velatamente aggressivo del Gold Saint, Shiryu non mollò l'osso.
"Quello è un autentico bastardo, esattamente come immaginavo che fosse. Se Mei è qui ed è in questo stato, significa che s'è approfittato di lei, e questo è il risultato." berciò Shiryu, ignorando l'allusione. "Sono cieco, ma sento benissimo come sta e riesco ancora bene a mettere ko qualcuno. Perciò dì al tuo compare che è molto meglio per lui se non si fa mai più vedere qui, non se vuole tenersi la pelle ben attaccata al corpo."
Milo lo squadrò da capo a piedi, inarcando un sopracciglio, ironico.
"Dubito seriamente che tu riesca a capire davvero che cosa prova tua sorella. Ad ogni modo, parli un po' troppo per i miei gusti, ragazzo, dovresti imparare a chiudere la bocca, di tanto in tanto." disse Milo. "Soprattutto su questioni che non ti riguardano."
"Quello che riguarda Mei riguarda anche me."
"Ah no, Shiryu." sbottò Mei. "Io non m'intrometto nelle tue questioni private con Shunrei, e voglio la stessa discrezione da parte tua."
 Sentì il ragazzo aumentare il Cosmo, come se stesse per attaccarlo."Frena il tuo ardore, ragazzino. Sono sicuro che ci rivedremo presto. E adesso vorrei parlare con tua sorella. Da solo." insisté Milo, aspettando a parlare finché non lo vide rientrare in casa con Shunrei. "Ascolta, se per qualunque motivo hai bisogno di stare da sola o hai la necessità di trovare un posto alternativo per vivere se Shiryu ti rende la vita impossibile, sappi che puoi sempre usare la casetta che ho a Milos, dove mi sono allenato. E' ovvio, non è un villone hollywoodiano né tantomeno un resort turistico, è già tanto se c'è l'acqua corrente e spesso… molto spesso in verità, l'elettricità le fa un po' girare, ma per staccare la spina è un ottimo posto."
Mei si massaggiò le tempie.
"Accetterei volentieri la tua generosa offerta, Milo, ma… se lo scoprisse Camus sarebbero problemi e… non voglio essere io la causa della vostra rottura. La vostra è una gran bella amicizia, come raramente ne ho viste, e dato che non voglio causarvi problemi sono costretta a declinare."
"Considero Camus molto più che un semplice amico e per me ha un valore inestimabile, ma nemmeno lui può dirmi che cosa posso o non posso fare, perché è una cosa che non permetto a nessuno. Perciò sappi che se avessi bisogno io sarò sempre disponibile ad aiutarti." controllò l'orologio e fece una smorfia. "Ora credo sia meglio che vada, Camus si starà chiedendo perché ci sto mettendo così tanto e non ho alcuna intenzione di sentirmelo nelle orecchie."
"Allora non farlo insospettire." rispose Mei.
"Bene. Ci vediamo presto." promise Milo, accompagnandola sulla soglia di casa e scomparendo per tornare al Santuario.
"Lasciate ogni speranza voi ch'entrate." sussurrò Mei, poco prima di entrare.
Infatti, così come aveva previsto, una volta varcata quella soglia fu subito raggiunta da Shiryu.
"Che cos'è successo?"
"Niente."
"Cosa ti ha fatto quel porco?"
"Niente."
"Il suo compare tornerà di nuovo?"
"Niente." replicò ancora Mei, meccanicamente.
"Cosa…? Mei, che…?"
"Niente. Niente, niente, NIENTE!!!! Non è successo niente che ti riguardi, Shiryu!" scattò Mei. "Stammi lontano, non voglio né vederti, né sentirti. Inizieresti con i tuoi sermoni filosofici, inizieresti a bombardarmi di parole e consigli non richiesti, proveresti come sempre a mettermi contro Camus! E io non voglio ascoltarti! Stammi lontano."
Corse su per le scale, si chiuse la porta della propria stanza alle spalle e vi si appoggiò, cercando di riprendere fiato.
"Fermati Shiryu." disse Dohko, bloccandolo prima di raggiungere le scale. "Tua sorella ha bisogno di stare da sola per un po'."
 
*
 
Tornato al Santuario, Milo evitò volutamente l'undicesima casa preferendo troncare sul nascere discussioni che comunque non avrebbero portato a nulla.
Scelse un film e l'infilò nel lettore, quindi versò l'acqua bollente nel barattolo di noodles precotti e richiuse l'involucro di alluminio, prima di versarsi una generosa pinta di birra ripensando a quella lunghissima e folle giornata.
Come si poteva essere così idioti?
E sì che Camus era uno degli uomini più intelligenti che avesse mai incontrato, eppure mai aveva visto una persona comportarsi in un modo così imbecille.
"Sei proprio un'idiota."
"Ce l'hai con me?"
Milo si voltò, guardando Camus fuori dal salotto.
"…qui dentro vedi un altro idiota coi capelli rossi che ha appena preso a calci nel sedere la propria vita?"
Camus levò gli occhi al cielo.
"Se n'è appena andata. Per quanto tempo intendi torturarmi con Mei?"
Lo sguardo di Milo si velò d'un certo sadismo.
"Per tutto il tempo che riterrò necessario." replicò, afferrando le bacchette e mescolando il condimento nei noodles bollenti. "Non posso prenderti a cuspidate, quindi procedo con qualcosa di più sottile e doloroso del mero dolore fisico. "
Ci fu uno sbuffo da parte di Camus, ma non di disappunto né di rabbia.
"Speravo che almeno tu mi comprendessi, Milo. Invece scopro che sei una delusione." rispose, dopo qualche istante.
"La cosa è reciproca." disse Milo. Sobbalzò poco dopo quando Camus assestò un pugno allo stipite della porta, rabbioso.
"Eh bien, va donc te faire foutre!"
 
**
 
La strana stanchezza che si sentiva addosso da qualche giorno non accennava affatto a diminuire, anzi. Alla stanchezza iniziale, che aveva attribuito al cambio di fuso orario e alla rabbia che aveva provato contro Camus, si era aggiunta anche una debolezza, un senso di ossa rotte che non le piaceva affatto. Sulle prime aveva liquidato il tutto alla reclusione forzata che si era autoimposta: da quando Milo l'aveva riaccompagnata a casa, in effetti, si era rintanata in camera, senza uscirne nemmeno per cenare insieme a Shiryu, Dohko e Shunrei, intenzionata a rimanere in un limbo tutto suo nel quale a nessuno era permesso entrare.
Poi però il tutto non era scomparso nemmeno con il paracetamolo, e stava seriamente iniziando a preoccuparsi: e se fosse stata l'influenza aviaria che aveva iniziato a girare, la causa di tutto?
Ti prego, no. Fa' che non sia l'aviaria. La prospettiva di finire in quarantena, analizzata come un microbo su un vetrino non l'allettava di certo. Forse però è il caso di consultare un medico.
 
"Lasciala stare, Shiryu. Quando se la sentirà, ti parlerà. Adesso lasciala stare, vieni via." disse Dohko, in fondo al corridoio.
"Sono preoccupato. Esce da quella dannata stanza solo quando è certa di essere sola in casa, mangia poco e da sola, si rifiuta di vedere chiunque, di prendere un po' d'aria… e sono trascorse quasi tre maledette settimane da quand'è tornata. Non posso più tollerare di saperla in quello stato."
"Siamo tutti preoccupati, ragazzo mio." lo corresse Dohko. "Ma non è con l'insistenza che otterrai qualcosa. Se nemmeno Mu riesce a smuoverla, sarà bene lasciarla sola e lasciarle lo spazio del quale ha bisogno."
"Temo voglia commettere qualche sciocchezza."
"Tua sorella non è stupida, non crucciarti inutilmente."
Mu si fece avanti.
"Io ci provo. Voglio dire, posso provare a parlarle, a smuoverla ma… ognuno ha i suoi tempi di reazione e non posso forzarla a fare qualcosa contro la sua volontà."
"Qualunque cosa sarà comunque d'aiuto." interloquì Shunrei. "Non fa entrare neanche me."
Mu annuì, quindi la seguì lungo il corridoio, esitando un istante sulla porta e trovandola, come aveva previsto, chiusa a chiave.
"… mi servirebbe una forcina e una chiave." domandò a Shunrei, che gli porse lo spillone che le teneva su lo chignon.
Seguendo tutto con un gran sorriso, Dohko si rivolse a Mu.
"Hai un nuovo hobby? Fai anche lo scassinatore?"
"Sono diventato un esperto grazie a quella piaga che è mio fratello." spiegò Mu, armeggiando con lo spillone e la maniglia, finché non udì il tintinnio della chiave sul pavimento della camera. "Non è una cosa moralmente corretta, ma in casi d'emergenza…"
Quando entrò nella stanza fu assalito da una cappa d'afa spaventosa, coadiuvata dalle finestre serrate.
"C'è da soffocare qui." commentò a bassa voce, prima di avvicinarsi al letto.
 
La vivida luce della lampada dietro le palpebre serrate, poi una mano posata sul fianco: una mano grande ma leggera, che la strappò al sonno.
Che ora era? Era giorno o notte?
"Mei."
Si decise a riaprire gli occhi, incontrando l'espressione gentile di Mu.
"Zăoshang hăo." sorrise quest'ultimo, con dolcezza. [Buongiorno]
Lei si stropicciò gli occhi, poi lo guardò.
"Maestro! Cosa…?" biascicò appena con la voce roca e la bocca impastata. Cercò di voltarsi ma un dolore improvviso alla schiena la costrinse a desistere. "Ci mancava anche la schiena…"
"Forse perché sei ferma a letto da troppo tempo. Ascolta. Shunrei, il Maestro e tuo fratello hanno insistito affinché venissi qui a farti visita." spiegò Mu. "Hanno detto che non fai che dormire."
"Sono stanca."
"Come stanca? Dormi ininterrottamente da due giorni." obiettò Shiryu, fermo sulla porta. A Mu non sfuggì l'occhiataccia che Mei rivolse al fratello, e si schiarì la voce.
"Posso parlare con tua sorella da solo, Shiryu? Te ne sarei grato." domandò Mu, con calma. "Allora, che cosa succede?"
"Nulla."
"Shiryu dice che non esci da questa stanza da almeno tre giorni. "
"E' così."
"Ti va di parlarne?"
E cosa c'era da dire che lui già non sapesse?
Mal interpretando il suo silenzio, Mu proseguì.
"Preferisci parlare con Milo?"
"No, Maestro, non è questo il punto. E' che non so come spiegare a parole ciò che sento ora. Mi sento stanca, le ossa rotte e voglio solo dormire e non pensare più a niente." spiegò Mei. "Ma sto bene! Starò bene, sono forte io. Ho le spalle forti, ho sopportato di peggio. Magari è una stupida forma d'influenza stagionale."
"A giugno? Sai, Mei… qualche volta bisogna permettere a sé stessi di abbassare la guardia e smettere di fingere di stare bene. E dubito sia influenza. Il tuo malessere ha un nome ben preciso."
Camus.
D'improvviso la stanchezza parve trasformarsi in quella rabbia repressa che faticava a sfogare.
"Al diavolo. Ho abbassato la guardia una volta sola ed ecco com'è finita. Mi ero ripromessa di non soffrire più dopo Tokyo, dopo tutto quello che mi è successo e invece…" sussurrò Mei, asciugandosi rabbiosamente gli occhi. "Invece mi son lasciata incantare da un paio d'occhi blu."
"Pensi che piangere ti farà sentire meglio?"
Sicuramente no, dato il mal di testa che aveva.
"No."
"Allora non pensi sia il caso di rimboccarti le maniche e riprendere in mano la tua vita? Hai già pianto abbastanza per quel cretino, non credi?" intervenne Milo, comparendo nella stanza.
"Credo sia meglio non farti trovare qui, Shiryu è sul piede di guerra." disse Mu.
"Ma davvero? Che venga pure, sono dell'umore adatto." disse Milo, sfoderando Antares. "Non posso fracassare la testa vuota del mio migliore amico, quindi me la prendo col primo decerebrato disponibile. Qualcosa in contrario, Mei?"
"Avete litigato ancora?" domandò Mu.
"Litigato è un parolone. Ho passato le ultime due ore a urlare come un dannato mentre lui stava lì, impassibile. E mi ha lasciato addosso una tale voglia di fracassare qualcosa che…"
Mei scosse la testa, tirandosi le coperte fino a coprirsi totalmente.
"Fa' quello che devi, basta che poi mi lasciate in pace."
"Senti, adesso basta." Milo afferrò le lenzuola con le quali Mei si copriva e le scaraventò a terra. "Alza il culo da quel letto, forza."
"Che modi sono questi? Milo, non credo questo sia l'atteggiamento giusto per…" intervenne Mu.
"Senti… se quell'idiota ha deciso di mandare all'aria la sua vita, non significa che anche lei debba farlo. Mei, ti concedo trenta minuti per renderti presentabile, dopodiché ti prenderò di peso e ti getterò fuori di qui."
Mei ficcò la testa sotto il cuscino.
"Non hai nulla di meglio da fare?"
"Ti restano ventinove minuti e trenta secondi, fossi in te li userei con cura." l'ammonì Milo.
Non le avrebbe dato tregua, perciò si decise ad alzarsi dal letto, le gambe un po' malferme.
"Dovresti mangiare, ancora un po' scompari." commentò Mu. "Non ti reggi nemmeno in piedi."
Annuì appena, sorridendo stanca in sua direzione mentre Milo armeggiava in bagno.
"Vorresti anche spogliarmi e lavarmi la schiena?" lo prese in giro.
In risposta Milo si rimboccò le maniche.
"Non avrei alcun problema a riguardo." replicò, prima che Mu lo sospingesse verso la porta.
"Dì meno sciocchezze Milo." lo riprese, chiudendosi la porta alle spalle.
Si trascinò in bagno reggendosi a fatica, quindi si spogliò e s'infilò nella doccia lasciando che l'acqua le togliesse di dosso tutta la stanchezza e il torpore che i giorni trascorsi a letto le avevano causato.
Shunrei entrò nella camera di Mei e aprì subito la finestra lasciando che l'aria fresca di quella bella giornata estiva la invadesse, quindi cambiò le lenzuola, infilando quelle sporche e i vestiti che Mei si era tolta in un gran cesto di vimini.
"Davvero non ha mangiato per giorni?" domandò Mu, quando la ragazza uscì dalla stanza.
Shunrei gli spiegò che dopo i primi giorni durante i quali l'aveva sentita piangere, Mei si era isolata dal resto del mondo uscendo dalla propria stanza solo quando non c'era nessuno in casa -giusto per mangiare- e che negli ultimi giorni era caduta in una specie di sonno profondo senza voler né vedere né sentire nessuno. Aveva anche provato a lasciarle un vassoio con i pasti sul tavolino del corridoio, trovandolo sempre intonso.
"Ci penso io." decise Milo, ascoltando quanto Mu gli aveva appena tradotto. "Non può annullarsi per quel cretino."
"Non essere severo con Camus, non puoi sapere che cosa si cela nell'angolo più intimo del suo cuore." gli rispose Mu. "E poi, al posto suo non sai come avresti agito."
"Sì invece." lo corresse Milo. "Non sarei stato così avventato."
Mu scosse la testa.
"E' facile parlare quando sei al di fuori di una situazione." proseguì. "Stai aiutando Mei e ciò ti rende onore, ma pensa anche a Camus quando torneremo al Santuario. A modo suo sta soffrendo anche lui."
Milo stava per rispondere piccato quando Mei finalmente uscì dalla stanza.
"Soddisfatto? Sono anche in anticipo di cinque minuti rispetto quanto ordinato." commentò Mei, ironica.
Aveva intrecciato i capelli ancora umidi e tentato di coprire il colorito grigiastro del viso con qualche pennellata di fondotinta, ma i segni dei giorni trascorsi chiusa nelle quattro pareti della sua stanza si vedevano ancora bene.
"Bene. Mi conosci abbastanza da sapere che non parlo mai a vanvera quando minaccio qualcosa."
"Milo…"
"Oh, dimenticavo, mio signore… ciò che indosso è di vostro gradimento o devo provvedere a indossare qualcos'altro?"
Un respiro profondo.
"La mia risposta potrebbe non piacerti."
"No, perché se desiderate, potrei sempre prendere l'abito da sera nel baule di mia madre."
"PER LA MISERIA MEI, ORA BASTA!" sbottò Milo, afferrandola per un polso. "Basta!!!"
Riapparvero tutti e tre all'interno di una casetta dalle pareti bianco calce, in un luogo che Mei non aveva mai visto prima.
"Posso almeno sapere dove mi hai portato?"
Milo spalancò la porta della casa, mostrandole il mar Egeo.
"Milos, mio luogo di nascita e di addestramento."
Mei si guardò intorno.
"Ma… ti avevo detto che non avevo alcuna intenzione di venire qui! Non posso lasciare il Goro-Ho!"
Lui azzerò il proprio cosmo, quindi guardò i due amici.
"Rilassati, nessun trasferimento. Ti ho portato qui per farti mangiare." rispose, mentre Mu sgranava gli occhi. "Sì, per mangiare. Da sola non l'avrebbe fatto, quindi ecco che ci pensa thio Milo."
 
*
 
Camus volse lo sguardo a est, pensieroso: aveva chiaramente percepito gli spostamenti di Milo e di Mu: dalla Cina si erano mossi verso ovest fino a Milos e aveva chiamato a sé tutta la forza di volontà disponibile per non seguirli e scoprire che cosa stava succedendo alle sue spalle.
"Spero tu non stia facendo nulla di ciò che penso."
"Non sapevo di doverti avvertire anche per un piatto di trippa nella mia taverna preferita."
"Milo."
"Ho deciso di portare Mu a provare la favolosa trippa alle olive di Ireni."
"Xenia."
"Scusami?"
"Xenia. Se è la taverna che penso io, la proprietaria si chiama Xenia."
"Xenia, Ireni… che differenza fa?"
"Come pensavo. Non solo stai offendendo la mia intelligenza, ma continui a prendermi in giro." rispose. "Ma d'accordo, continua a farlo finché credi, ma sappi che se sei con chi penso io, e sono sicuro che lei è lì con te, d'ora in avanti ti converrà stare il più possibile lontano dalla mia casa."
Milo parve esitare un attimo.
"Parleremo quando torno."
Camus serrò i pugni.
"Non disturbarti." rispose infine, chiudendo la comunicazione telepatica con Milo.
Pestò un pugno sul parapetto di pietra accorgendosi solo in quel momento che in parte era ricoperto da una crosta -non troppo spessa, in verità- di ghiaccio.
Sto perdendo la ragione.
"Nobile Camus, siete atteso."
Espirò lentamente, quindi si girò e senza degnare d'uno sguardo l'ancella che l'aveva chiamato, si diresse al tredicesimo tempio.
Una volta all'interno, marciò dritto verso il trono, trovandolo vuoto.
"Per di qua, Aquarius." lo chiamò Ares, seduto con indolenza su un ampio rialzo coperto di cuscini e tappeti preziosissimi, attorniato da diverse ragazze come un sultano d'altri tempi nel proprio harem personale.
Come da prassi, s'inginocchiò e si tolse l'elmo, attendendo il permesso di rialzarsi, che arrivò poco dopo.
"Questa tua udienza giunge in un momento nel quale i miei compiti sono più che mai impegnativi."
Camus non perse tempo a guardarsi intorno, si limitò a tenere a freno la lingua e l'ironia che aveva imparato a usare grazie a Milo, per rispondere con molta diplomazia anche se era palese la natura dei compiti appena interrotti.
"Me ne rendo conto, Eccellenza." rispose.
Ares gl'indicò l'angolo opposto del rialzo e, dietro la maschera, sorrise.
"Prendi posto, mettiti a tuo agio mentre mi spieghi il perché di questa riunione."
Non aveva alcuna intenzione di imitarlo: la lascivia era un atteggiamento che non l'aveva mai sfiorato in passato quand'era solo, figurarsi in quel momento. Lasciarsi toccare da quelle ragazze, o da qualunque altra ragazza, avrebbe infranto una tacita promessa che aveva fatto a sé stesso e a Mei, il giorno in cui se n'era andata, una promessa che riteneva sacra.
"Preferisco restare qui." rispose, con fermezza.
"Oh, d'accordo." sogghignò Ares. "Non sai a cosa rinunci, però."
Passò in rassegna, rapido, le fanciulle: alcune carine, altre piuttosto belle. Quelle ragazze potevano anche avere forme scultoree e perfette e curve invitanti, capelli d'oro o cioccolato, occhi d'ametista o grigio perla, ma nessuna di loro era lei.
A quelle oche arrendevoli preferiva di gran lunga una ragazza che a dispetto delle altre aveva un carattere particolare –impossibile, si corresse-, occhi semplicemente verdi e imperfetti capelli neri, di quelli che la mattina la facevano assomigliare a un leone con la criniera scomposta piuttosto che a una modella patinata appena uscita da una sessione di trucco.
Non sapeva a cosa rinunciava, ma sapeva che cosa avrebbe perso.
D'un tratto però, sentì una mano insinuarsi tra i suoi capelli e giocare sinuosa con essi fino a sfiorargli il collo: scattò rapido afferrando il polso di una delle ancelle che fino a poco prima era stata in adorazione di Ares: una ragazzina che non doveva avere più di diciassette anni, dalla pelle chiarissima e intensi occhi viola.
"Non farlo mai più." l'ammonì allontanandola con un gesto stizzito e fermo e con un tono di voce freddo come i suoi occhi, in uno sguardo che parve spaventarla. "Non sono interessato a questo genere d'intrattenimento." aggiunse, in direzione di Ares, che dopo qualche attimo si alzò, allontanando le fanciulle da sé.
"Cora, non otterrai nulla dal fedele Camus, mia cara. Egli appartiene già a una donna." lo prese in giro, non ottenendo alcuna reazione da parte dell'interessato. "Andate, riprenderemo più tardi." 
Camus attese finché le ragazze non furono uscite, quindi si schiarì la voce.
 
Ottenuto quanto richiesto al Grande Sacerdote, s'affrettò a tornare all'undicesima casa alla svelta, prima che Ares potesse tornare sui suoi passi e impedirgli di partire.
Uscendo dal tredicesimo tempio, incrociò ancora le stesse ragazze di prima; alla sua vista la fanciulla che Ares aveva chiamato Cora abbassò lo sguardo e si prostrò ai suoi piedi.
"Supplico il vostro perdono per avervi recato offesa, mio signore." balbettò la giovane, scossa.
Quasi provò pena per quella ragazza, che sicuramente era stata indotta a comportarsi in quel modo, poco prima in sala: sul polso spiccavano ancora i segni della sua presa e, pensò, doveva averle anche fatto male.
"Rialzati. E non chiamarmi signore." le disse, oltrepassandola.
 
 
*
 
Sotto continua insistenza di Milo, Mei aveva messo a tacere lo stomaco con due abbondanti porzioni di tyropita e una coppa di yogurt e miele.
"Cominciavo ad avere fame, in effetti." fece Mei, dopo aver spazzolato gli ultimi residui di yogurt.
"Ma dai?" la riprese Mu. "Il rantolo del tuo stomaco si sentiva fino in Jamir."
"Esagerato." replicò lei. "E' quest'aria di mare che mette addosso la fame… poi i vari chioschetti e bancarelle di stuzzichini aiutano…"
Lasciò vagare lo sguardo sull'Egeo e sul sole morente, mentre il suo stomaco continuava a protestare.
"Potresti accettare la proposta di Milo e sistemarti qui per un po'. Potrebbe farti bene cambiare aria."
"No. Avrei troppo tempo libero per pensare." replicò Mei. "Troverò un lavoro e m'iscriverò all'Università come avevo in programma di fare. Il passato appartiene al passato ed è lì che deve stare."
Milo si sedette di nuovo, posando una bottiglia d'acqua sul tavolo.
"Era lui." asserì Mei.
"Lui chi?"
"Andiamo, Milo. Quando comunicate tra voi percepisco chiaramente il vostro Cosmo. Ed era piuttosto arrabbiato."
"Sì."
"E sa che siamo qui. Cioè… che siete qui con me."
"Parlerò dopo con lui, ma come ti ho già detto, non devo dar conto a… lui di quel che faccio." ripeté Milo.
"Puoi anche pronunciare il suo nome, stiamo parlando di Camus, non di Lord Voldemort." sospirò Mei.
"Pensavo…"
"Cosa? Non è il suo nome che mi ferisce, è la sua costante presenza." obiettò lei. "Per smettere di pensarci dovrei strapparmi via il cervello e senza non si può stare."
Mu posò il bicchiere di retsina.
"…vuoi dire il cuore." la corresse.
"No. A quello ci ha già pensato Camus." replicò Mei. "Sentite, ho altri piani per la mia vita che  star qui con le mani in mano a piangermi addosso, visto che l'ho già fatto negli ultimi tre giorni."
"Ben detto."
"Parli sul serio o è l'alcool a parlare per te?" Mu indicò la bottiglia di retzina quasi vuota.
"Non ho bevuto, veramente." obiettò.
"Giusto." disse Milo. "Ti sistemi, vai ad abitare da sola, ti trovi un compagno e tutto questo sarà un ricordo."
Mei lo fermò.
"No, frena." disse. "Nessun compagno."
"Come?"
"Nessun compagno. Non metterò mai più la mia vita nelle mani di un uomo. Provvederò a me stessa e basta, d'ora in avanti."
"Ma sei giovane… piuttosto carina… non vuoi avere qualcuno che ti accolga, un domani, quando torni da lavoro e sei stanca? E che magari ti massaggi i piedi?" proseguì Milo.
Mei rise.
"Miei Dèi, no. Mi basterà un bel gattone o un cane. Sai, credo che solo un animale possa darti quel tipo d'amore incondizionato e fedele."
"Non hai mica intenzione di diventare una gattara acida?"
"Anche no. Un gattone e magari, come Samantha Jones, qualche bel fusto che mi scaldi di tanto in tanto."
Mu alzò lo sguardo e la fissò.
"Co…?"
"Scherzavo." lo tranquillizzò Mei.
 
Mu tornò al Santuario prima di Milo, lasciando che fosse quest'ultimo a riaccompagnare Mei a casa."Guarda che so benissimo che tutto il discorso di prima era un discorso fatto così, a caso." fece Milo.
"Ehi, non è vero. La mia prozia è esistita davvero ed ha vissuto davvero tutta la vita senza mai sposarsi. Si è divertita parecchio anche senza essere sposata." rispose Mei. "Ma… uhm… ha anche avuto dodici figli da otto uomini diversi..."
"…che cosa??!"
"Sì… mio padre non aveva una buona opinione di sua zia, ma comunque chi sono io per giudicarla? Sono fermamente convinta a non ripercorrere le sue orme, perciò tranquilli… non farò la stessa cosa. Divertirmi , cacciarmi nei guai come stava per succedere, no."
Milo piegò di lato la testa, guardandola.
"Quest'armatura che ti sei costruita addosso forse riesce a convincere Mu, ma non convince me. So che ti manca e non c'è nulla di male nell'ammetterlo. Camus manca anche a me se restiamo lontani per troppo tempo… insomma, è già dura sentire la mancanza del tuo migliore amico, figurarsi del tuo grande amore."
"Grande amore? Non starai sopravvalutando un tantino la cosa? Grande amore forse per me, ma non per lui. E poi… chi ti dice che sia stato grande? So come vanno queste cose, okay? Non sono stupida, so come va il mondo. Aveva voglia di compagnia, ha trovato me e… beh, ammetto che ci siamo divertiti… e ha chiuso la storia così come fanno tutti gli uomini o le donne che non vogliono impegnarsi. Succede."
Milo assottigliò lo sguardo.
"Ti ho già detto che con me la tua armatura non funziona?"
Mei si arrese.
"."
"Allora smettila di dire stronzate."
Come diamine spiegargli che in tre settimane non era riuscita in alcun modo a dimenticarlo, a farsi una ragione di quanto successo? Come spiegargli che aveva alternato momenti nei quali era stata apatica e incapace di non fare nient'altro a parte pensare e guardare il soffitto e altri momenti nei quali la rabbia era stata così esplosiva da offuscare anche la ragione?
"Bene, dai. Non mi resta che tornare alla base e affrontare quella zucca vuota." disse Milo. "Come ti ho già detto, aspettati altre visite, non intendo lasciarti sola."
Lei annuì, sorridendo appena.
"Se potessi…" iniziò poi, interrompendosi di colpo. Stava per chiedergli di fare cosa, per lei?
"Sì?"
"Nulla."
"Devo dirgli qualcosa?" intuì Milo.
Sì.
Che l'amava.
Che l'avrebbe aspettato, anche per sempre. Che avrebbe potuto mandarlo al diavolo come aveva già fatto, all'inferno, dappertutto e nei posti più balordi, ma che sarebbe andata ovunque, per riprenderselo. Avrebbe dovuto dirgli che per lui, avrebbe –citando un film- attraversato gli oceani del tempo, per ritrovarlo.
"Maledizione." Mei s'asciugò le guance. "Maledizione, non riesco a odiarlo come dovrei. Mi è entrato nella pelle, lo sento dentro di me come se… come se fosse impresso a fuoco sulla mia carne." 
"E' la stessa cosa che mi ha detto lui, tempo fa, su di te."
Stentava a crederci, ma non glielo disse.
"Non… non digli niente, okay? Per favore. Non dirgli quel che ho detto su di lui, non voglio diventare ancora l'oggetto del suo scherno."
"Tranquilla."
 
*
 
Entrò come una furia all'undicesima casa, sbattendo la porta e facendo quasi prendere un colpo a Camus, in salotto.
"L'hai uccisa."
Camus lo guardò.
"Excuse-moi?"
"Tu l'hai uccisa, Camus. Hai ucciso la Mei che abbiamo imparato a conoscere e al suo posto hai lasciato un relitto." sbottò Milo. "Si è reclusa in casa per tre settimane e negli ultimi tre giorni non ha fatto che dormire! Ha un aspetto pessimo ed è colpa tua."
"Si rimetterà in fretta." mormorò, in risposta.
"Sai bene che non sarà così. Sono stato da lei. Io e Mu abbiamo sudato sette camicie per convincerla a uscire da quella stanza, per convincerla a mangiare un boccone e smettere di dormire. Non è più una ragazza, è un relitto. Ed è colpa tua."
Camus tentò di mettere la discussione su un piano ironico.
"Oh, immagino fosse così malmessa da necessitare dell'arrivo del baldo cavaliere dalla scintillante armatura che la traesse in salvo dal cattivone di turno sul proprio candido destriero."
Milo frugò nei jeans e prese una piccola fotocamera.
"La tua definizione di malmessa si avvicina almeno un po' a questa?"
Consapevole che se non l'avesse guardata almeno una volta Milo non l'avrebbe lasciato in pace, Camus prese la fotocamera e sbirciò il display, zittendosi quasi all'istante e sgranando gli occhi: sguardo spento e occhiaie sotto gli occhi, colorito strano, zigomi pronunciati. I vestiti che parevano cascarle addosso.
"Questa non è Mei." mormorò.
"Sì invece, guarda bene."
"Non può essere."
Milo incrociò le braccia sul petto, assottigliando lo sguardo.
"…non riesco a odiarlo come dovrei. Mi è entrato nella pelle, lo sento dentro di me come se fosse impresso a fuoco sulla mia carne." ripeté, ottenendo l'attenzione di Camus.
"Come?"
"Avevo promesso a Mei di non dirti niente, eppure eccomi qui che infrango una promessa per cercare di farti capire che cosa hanno causato le tue azioni."
Camus poggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese la testa tra le mani, come faceva quando era preda di una forte emicrania.
"… e che cosa potevo dirle? Oh, Mei, scusami. Devo chiederti di tornare in Cina, sai… domani, o fra settimane o mesi, ci sarà un attacco qui, e… vedi? Potrei morire, o uccidere tuo fratello." sbottò Camus. "Sii serio, dannazione."
Milo lo guardò, negli occhi uno sguardo di fuoco.
"E pensi di averle fatto del bene così? L'hai vista com'è, pensi che sia contenta? Io le avrei detto la verità, le avrei spiegato tutto, avrebbe capito. E avrebbe deciso da sola che cosa fare, come doveva essere."
"Sarebbe rimasta con me, e con lei qui non avrei combattuto con la necessaria lucidità. E metti che gli invasori siano davvero chi Arles ha profetizzato… tra loro potrebbe esserci suo fratello, con che coraggio le avrei chiesto di scegliere tra me, uno sconosciuto, e suo fratello? Hai idea di quanto tiene a lui?"
"E tu hai idea di quanto tiene a te?"
"No."
"Appunto. Senti, dopo sei libero di farmela pagare come mi hai promesso oggi, ma lascia che ti dica una cosa: fa' che tutto questo sia solo temporaneo, fa' che un domani, senza l'ombra della guerra, possiate riprendere da dove avete interrotto. Altrimenti la daresti davvero vinta a Shiryu." disse Milo. "E adesso dai, coraggio."
L'altro sospirò, stanco.
"Lasciami solo." replicò, alzandosi mentre continuava a premersi le tempie, la testa che gli pulsava dolorosamente.
"D'accordo. Cerca di abituarti, Cam, perché è esattamente così che finirai se continui a percorrere questa strada." replicò Milo, prima di lasciarlo solo, come egli stesso desiderava.
Al diavolo, pensò, andando nel suo studio a cercare gli antidolorifici nel cassetto della scrivania. Se è così che dovrò vivere, così sia.
Eppure, desiderò per un attimo essere diverso, essere un'altra persona. Essere un ragazzo comune e poter amare liberamente come chiunque, poter amare senza avere il terrore di danneggiare nessuno.
…dopo Joséphine, hai smesso di essere un essere vivente per diventare un cinico blocco di ghiaccio senza sentimenti!
Joséphine… ricordava ancora, a distanza di anni, l'ultimo sguardo di sua madre: un ricordo che gli gravava sul petto come un macigno, un ricordo che si andava sommando allo sguardo deluso e stanco di Mei.
Mi hai sempre presa in giro… sono insignificante, ma a letto non lo ero, vero?... vorrei non averti mai incontrato!
No, non lo era.
Se solo avesse potuto dirle tutto, se avesse potuto farle capire che l'aveva fatto per lei e per nessun altra, se solo avesse capito che avrebbe preferito morire piuttosto che ferirla in quel modo…
Diede un pugno alla prima cosa che gli capitò sotto tiro, pentendosene subito dopo.
 

***

Lady Aquaria's corner:
(Capitolo revisionato in data 18 giugno 2015)
Lo so. Questo capitolo contiene qualche parolaccia e una frase alquanto colorita, chiedo venia.
By the way, passo alle note.
-"Eh bien, va donc te faire foutre!" è l'equivalente francese di "Ma và a quel paese!" E sì, ho volutamente trascritto la traduzione più "fine".
-L'Aviaria iniziò a svilupparsi all'incirca nel 2003, quando cioè è in parte ambientata la fic.
-Thio: zio
-Retsina: particolare tipo di vino greco
-"L’avrei mandato al Diavolo, all’Inferno, da qualunque parte, ma giuro, sarei sempre andata a riprenderlo." è una frase che ho beccato su Facebook e che, cercandola su Google, ho trovato in numerosi riscontri. Non conoscendo l'autore certo, rimando al primo blog nel quale l'ho trovata, questo.
-"Ho attraversato gli oceani del tempo per trovarti" è l'esatta frase che ho riadattato. Chiedo venia al grande Gary Oldman e al suo Dracula per averla indegnamente presa in prestito.
So di essere anche in ritardo con la long-fic principale e mi spiace per questo. Ho perso troppo tempo in chiacchiere e amenità varie e l'ho trascurata D: in ogni caso sto pian piano correggendo i vecchi e obsoleti capitoli e spero di proseguire con i nuovi quanto prima, stavolta senza incertezze e intoppi.
Ringrazio come sempre chi segue, chi legge e chi mi fa sapere che ne pensa, lo apprezzo sempre molto.
Alla prossima!
Lady Aquaria
   
 
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