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Autore: SparklingLetters    01/04/2014    1 recensioni
Henry si svegliò nel nero della notte al suono di un bussare sul vetro.
Abbastanza sicuro che fosse solo un sogno, si girò sull’altro fianco e si rannicchiò sotto la coperta, serrando gli occhi per tornare a dormire.
Toc-toc-toc.
Gli occhi di Henry si spalancarono. Loro vivevano al terzo piano. Le persone non venivano a bussare alla tua finestra al terzo piano.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Beautiful Nightmare

Forse era tutta la pizza che aveva mangiato prima di andare a letto. Forse era il livello 23 di Heroes and Villains, che aveva tanto cercato – fallendo di nuovo – di superare. O forse era qualcos’altro, qualcosa che al tempo era sembrato perfettamente innocente.
Henry si svegliò nel nero della notte al suono di un bussare sul vetro.
Abbastanza sicuro che fosse solo un sogno, si girò sull’altro fianco e si rannicchiò sotto la coperta, serrando gli occhi per tornare a dormire.
Toc-toc-toc.
Gli occhi di Henry si spalancarono. Loro vivevano al terzo piano. Le persone non venivano a bussare alla tua finestra al terzo piano.
Per un momento lui combatté l’urgenza di saltar fuori dal letto e correre nella camera da letto di Ma, per strisciare tra le coperte e rannicchiarsi contro di lei come faceva quand’era più piccolo e spaventato. Calciò via le coperte e si mise a sedere.
Il bussare si era fermato.
Henry si alzò e, ansioso di non perdere coraggio a metà strada, praticamente corse alla finestra. Gettò da una parte le tende e guardò fuori.
Là fuori non c’era nulla se non la notte: l’oscurità illuminata da lampioni e insegne, e la pallida luce delle stelle che non poteva competere con tutto lo splendore artificiale di New York City.
Henry tornò a letto strascicando i piedi. Doveva averlo sognato, in fin dei conti.
Non appena si riarrampicò sotto la coperta, eccolo di nuovo, proprio come prima, non più forte ma persistente.
Toc-toc-toc.
Lui tornò a balzare fuori dal letto, controllò di nuovo la finestra, ma ancora non trovò nulla fuori dall’ordinario. Stupefatto, si grattò la testa e si guardò attorno. I suoi occhi caddero sullo specchio riposto nel lontano angolo sinistro. La Ma lo aveva comprato ad una recente spesa folle al mercatino delle pulci per un qualche strano capriccio, ma non sembrava star bene da nessuna parte, così per ora si trovava in un angolo della stanza di Henry coperto da un vecchio scendiletto.
E adesso qualcuno stava bussando sul vetro, e non proveniva dalla finestra.
Henry si avvicinò allo specchio e tirò via la coperta.
Non successe niente. La superficie liscia scintillava per le luci della strada, riflettendo la sua stanza in forme stranamente distorte. Henry fece un ampio sorriso al suo momentaneo senso di disappunto – cosa si era aspettato?
Esaminò lo specchio, facendo scorrere le dita sulla cornice ornata. Era bello ma completamente fuori luogo – apparteneva ad uno di quei posti da snob pieni di antichità. Poi, senza pensare, lui sfiorò con le nocche il vetro freddo, e il momento successivo cedette ad un impulso inspiegabile.
Toc-toc-toc.
Sorpreso dalla sua stessa azione, Henry indietreggiò. Si aspettava quasi una risposta – un toc-toc-toc come quelli che lo avevano svegliato – ma non ne giunse nessuna. Pronto a girarsi, colse un movimento con la coda dell’occhio.
Un’ombra si mosse nella cornice dorata. Henry diede un’occhiata al di sopra della propria spalla per cercare l’effettiva fonte del riflesso che cambiava. I lampioni continuavano a splendere, indisturbati, come prima. Qualsiasi cosa stesse succedendo sembrava stesse succedendo solo nello specchio, non nel mondo all’esterno.
Fili di nero e grigio si avvolgono e si svolgono, poi si dissolvono in vorticanti serpenti di fumo. Henry trattenne il fiato. Il fumo iniziò a sgombrarsi, e sagome indistinte stavano venendo in vista. Cercò di distinguerle ma non ci riuscì subito: una vena di rosso in un mare di nero. Ma la foschia si stava disperdendo, e i contorni si stavano facendo più netti.
Un volto ricambiò il suo sguardo.
Henry indietreggiò per la paura, sbattendo contro il letto e atterrando sul materasso. Sbatté le palpebre numerose volte – forse l’immagine sarebbe andata via. Non lo fece.
Una donna stava ricambiando il suo sguardo dallo specchio, aveva i capelli corvini ed era vestita di nero con intarsi di rosso, lo stava fissando ad occhi spalancati e chiaramente sconvolta. Lei allungò una mano verso l’immagine – verso di lui – e per un bizzarro momento Henry pensò che lei potesse davvero raggiungerlo attraverso il vetro, e sentì un’ondata di panico. Poi lei ritrasse rapidamente la mano, come se all’improvviso fosse spaventata di toccarlo.
Ma i suoi occhi erano ancora fissi su di lui, e scintillarono in modo strano.
«H-Henry?» balbettò, con una voce tanto quieta che lui poté a stento sentire.
La mente di Henry ebbe un vuoto per un momento. Non avrebbe potuto dire come tutto questo lo stava facendo sentire.
«Che trucco è questo?» riuscì a dire, afferrando le lenzuola del letto – quelle erano familiari, quelle erano reali, e sicure.
Per un bel po’, lei non disse niente. Sembrava persino avere problemi a respirare. I suoi occhi scintillavano maggiormente con ogni secondo, e lei non li distolse mai dal suo volto.
«È magia, Henry» respirò alla fine. «Ma… non so come…» Fece scorrere le dita lungo la cornice, prudente a non toccare il vetro. Henry si chiese se l’immagine sarebbe svanita se lei l’avesse fatto. Forse non lo sapeva neanche lei ma non voleva rischiare.
Finalmente la mente di Henry sembrò comprendere, e lui aggrottò la fronte. «Come sai il mio nome? Non esiste una cosa come la magia».
A questo il volto di lei cambiò, e lei deglutì.
«Be’…» disse lentamente con un sorriso storto, «se non c’è una cosa come la magia, non mi è possibile rispondere».
Come faceva a sapere il suo nome? Ora lei era più o meno tornata a respirare normalmente ma parlare sembrava difficile. Cosa significava tutto questo? Una cosa era certa – lei non sembrava una minaccia.
Henry non era più spaventato.
«Perché sei qui?» chiese. Adesso che sapeva che lei non era pericolosa, un milione di domande inondò improvvisamente la sua mente.
La donna scosse la testa. «Non lo so».
Si fece di nuovo silenziosa, e lui pensò che quello fosse tutto ciò che avrebbe detto, quando lei fece un passo avanti e i suoi occhi ressero quelli di lui con intensità ancora maggiore.
«Volevo così tanto vederti di nuovo» si lasciò sfuggire, «per sapere che stai bene…»
Poi distolse gli occhi dal suo volto per la prima volta, ed abbassò lo sguardo con le guance arrossate.
«Ma… non so come sia successo» mormorò.
Tutto quello a cui Henry poteva pensare era la strana sensazione che lei somigliasse a qualcuno che lui aveva già visto.
«Io non ti conosco» disse. «Chi sei?»
La testa di lei scattò indietro per poterlo guardare, poi di nuovo altrove, come se quella vista le facesse male.
«Sono tua…» iniziò, poi si batté allarmata una mano sulla bocca. Tutto il colore aveva lasciato le sue guance, e adesso lei sembrava molto pallida, quasi come qualcuno sul punto di ammalarsi. I suoi occhi non erano a fuoco, e lei prese un respiro profondo prima di guardarlo ancora.
«Sono Regina» disse pesantemente. I suoi occhi si svuotarono. «La… Regina Cattiva» concluse con un grande sforzo. Una lacrime rotolò sulla sua guancia, e altre seguirono.
Henry guardò con sorpresa mentre lei si limitava a stare immobile a guardarlo e lasciava cadere le lacrime, senza neanche cercare di fermarle. Fu preso dalla voglia di fermarle lui.
«Adesso non sembri molto cattiva» disse.
Lei cercò di sfoderare un sorriso, e si asciugò persino qualcuna delle lacrime. Quando si rimise un po’ in sesto, Henry provò un senso di sollievo, ma un secondo più tardi il viso di lei tornò ad essere serio. Henry si agitò sotto il suo sguardo intenso.
«Henry» disse lei con urgenza, «sei felice?»
«Cosa?» Era una cosa così strana da chiedere. Le persone non gli chiedevano robe del genere, di sicuro non gli estranei. Allora perché lei – Regina – aveva l’aria che la sua vita dipendesse dalla sua risposta?
«Sei felice?» ripeté lei, quasi supplicando.
Henry non voleva mentire, così si prese un momento per pensare – non ci aveva mai pensato in questo modo, prima. Aveva la Ma, e insieme erano una famiglia, e si divertivano assieme e si amavano l’un l’altra. Avevano anche una coppia di amici, e una bella vita, davvero.
«Sì… Credo di esserlo» disse, «non mi lamento».
Un sorriso beato le illuminò il volto, anche se le lacrime iniziarono di nuovo a stillare sulle sue guance.
«Fatti guardare un po’ più a lungo» gli disse, assaporandolo. «Ti prego, non avere paura».
Non ne aveva. Era solo sconcertato. Mentre gli occhi di lei scivolavano sui suoi lineamenti con una fame strana ma completamente non-minacciosa, Henry si avvicinò allo specchio e iniziò a guardarla più attentamente a propria volta.
Gli occhi di lei erano di un profondo castano e sembravano dire mille parole, e le sue ciglia scure erano pesanti di lacrime. Le sue labbra si arricciarono morbidamente – lui immaginò che fosse più probabile che una ninnananna uscisse da quella bocca che qualcosa di crudele. I suoi capelli erano raccolti in alto ma una ciocca si era liberata dall’acconciatura. Talvolta alla Ma piaceva dirgli come da bambino lo affascinasse afferrarle i capelli. Si chiese perché i capelli di Regina gli facevano pensare a questo. Probabilmente perché la ciocca allentata era posizionata così convenientemente, e sembrava così morbida. Eppure era comunque una cosa strana da pensare.
Gli occhi di Henry vagarono dietro il colletto dell’abito da sera di Regina, e lui cercò di distinguere i dettagli dello sfondo. Era per lo più scuro, e per lo più verde.
«Dove sei?» le chiese.
Ci volle un momento perché lei tornasse di colpo alla realtà. Poi si guardò attorno, come se avesse bisogno di controllare per essere sicura.
«Nella Foresta Incantata» sospirò.
Il nome fece suonare una campanella, ma era uno strano genere di campanella.
«Come una fiaba?»
Stava iniziando ad avere senso. La notte precedente stava sfogliando un libro di fiabe. Non che volesse leggerle – era sin troppo grande per questo – ma aveva pensato di poter aver lasciato lì un segnalibro, ed aveva ragione. Si trovava proprio lì alla storia di Biancaneve, tra le pagine ingiallite, e segnava una grossa immagine della Regina Cattiva.
E adesso lui stava parlando con la Regina Cattiva nella Terra delle Fiabe attraverso uno specchio magico in camera sua.
«È un sogno? Lo è, non è vero?» Doveva esserlo, o altrimenti stava impazzendo. Ma una parte di lui desiderava non lo fosse, e questo peggiorava solo le cose.
Regina deglutì. Sembrava essere in conflitto. Strano che dovessero sentirsi entrambi in quel modo. Per una frazione di secondo, lei sembrò quasi speranzosa – i suoi occhi parvero sorridere. Poi il suo volto s’intristì, e lei chiuse gli occhi; le sue ciglia brillavano di lacrime. Quando li riaprì, non c’erano più lacrime – solo dolore.
«Sì, Henry» annuì. «È solo un sogno». Inclinò leggermente la testa e lo sguardo che gli diede sembrò quasi una carezza mentre gli diceva: «Torna a letto, tesoro…»
La sua voce si spezzò sull’ultima parola. Lui esitò. Dopotutto non era sicuro di volersi svegliare subito da questo sogno.
«Va’. Ti prego…»
E Henry si girò, sorpreso da quanto fu difficile, e si spostò di nuovo verso il letto. Non pensava di poter guardare ancora lo specchio, così si arrampicò sotto la coperta e serrò gli occhi.
Lei stava ancora guardando, o se n’era andata?
Un debole singhiozzo venne dall’angolo.
Henry aprì gli occhi quel tanto che bastava per dare una sbirciata allo specchio.
La Foresta Incantata era scomparsa, e tutto ciò che vide fu il riflesso distorto della cornice della finestra su cui era seduto il suo vecchio panda di peluche.

Mentre si vestiva per la scuola, Henry continuò a rimuginare su ogni dettaglio dello strano sogno della notte prima.
Era stato solo un sogno. Certo che lo era stato, cos’altro avrebbe potuto essere? Persino Regina – non poteva pensare a lei come a una specie di Regina Cattiva, dopo il modo in cui l’aveva vista nello specchio – glielo aveva detto.
Henry fece un ampio sorriso: un sogno era un sogno perché qualcuno che lui aveva sognato gli aveva detto così? Si stava comportando in modo ridicolo.
Ma era sembrato così reale.
Era qualcosa di lei, qualcosa del modo in cui lo guardava, la maniera in cui aveva detto il suo nome. Volevo così tanto vederti di nuovo… Sei felice? Era sembrata davvero commossa e premurosa, quasi come una vecchia amica, o di più. E aveva detto “di nuovo” – come se si fossero incontrati prima.
Henry passò una mano sopra lo specchio. Era lì cieco e senza vita, freddo al tocco.
Fece per andare a recuperare il libro dell’ultima sera, ma girò sui tacchi alla porta. Era ridicolo. Era troppo grande per credere ancora in cose come le fiabe o Babbo Natale o la magia. Tornò nella sua camera e, scuotendo la testa al pizzico di esitazione che sentì, gettò di nuovo la vecchia coperta sullo specchio.
Era solo una lastra di vetro lustrata con un sottile strato di argento – niente di più.
Regina era stata solo un prodotto della sua mente – niente di più.
Ma se era stato tutto un sogno, come aveva fatto la coperta ad andare da sopra lo specchio la sera a sopra al pavimento la mattina?

Quella notte a quasi esattamente lo stesso momento di quella precedente, Henry si svegliò e ascoltò – ma non c’era nessuno che bussava. Fissò il soffitto per quelle che sembrarono ore prima di tornare finalmente a dormire.
Per tre notti di seguito si trovò a svegliarsi esattamente allo stesso momento, perseguitato dal ricordo del sogno.
La quarta notte, non poté dormire per niente. Quando l’ora si avvicinò a quella a cui aveva sentito il bussare per la prima volta, Henry uscì dal letto. Non aveva un piano, ma qualcosa sembrava guidarlo ugualmente. A un pelo dallo specchio, tirò via la coperta e bussò tre volte.
Toc-toc-toc.
Poté a stento aspettare che il fumo finalmente si dissipasse, e non realizzò quanto aveva sperato che funzionasse finché non vide di nuovo il suo viso dall’altra parte.
«Henry!» ansimò lei, e per un momento lui si sentì ferito al pensiero che lei potesse non averlo voluto. C’era shock sul suo viso, e sollievo, e gioia, e poi lei sbiancò e si guardò attorno, finché i suoi occhi caddero sulla propria mano alzata, e lei la occhieggiò con sospetto ed una punta di colpevolezza.
«Stavi per bussare?» chiese Henry. Un intero destino dipendeva dalla sua risposta, anche se lui non capiva bene perché.
«Io… non lo so» mormorò. «Forse».
«Volevo solo vederti di nuovo,» Henry scrollò le spalle, ansioso per la sua reazione.
Il suo viso si illuminò e improvvisamente lei stava splendendo di felicità.
«Oh, Henry… Volevo vederti anch’io!»
Ed Henry sentì la propria apprensione scomparire.
Si sedette di fronte allo specchio e la inondò di domande su di lei e sulla Terra delle Fiabe, solo per essere investito di domande in cambio.

La notte seguente, lui bussò di nuovo, e parlarono di nuovo – e anche la notte dopo, e la notte dopo ancora. Poco a poco, caddero in uno schema dove lui sarebbe stato quello a bussare per primo una notte, e lei sarebbe stata quella a bussare per prima l’altra.
Una notte stavano parlando da ore quando lei si fermò bruscamente e guardò di traverso qualcosa dietro di lui.
«Che ore sono?» chiese.
Henry diede un’occhiata alla sveglia sul comodino. Erano l’1.08 di notte.
«Il tempo vola quando ci si diverte,» lui scrollò le spalle alla sua espressione inorridita.
«Dovresti star dormendo» si accigliò lei. «Non c’è scuola domani?»
«Avete quel genere di cose nella Terra delle Fiabe?» Se era così, il mondo delle fiabe faceva schifo.
«No» ammise lei e sospirò. «Non voglio che tu sia bocciato a scuola, okay?»
«Non lo sarò» sorrise lui. «Ho preso A in tutto». Il volto di lei splendette d’orgoglio. «Ma tu sei mia amica. Mi piace parlare con te».
I lineamenti di lei si ammorbidirono e i suoi occhi scintillarono nella luce tenue.
«E tu sei il mio piccolo principe» disse con un sorriso tenero, un po’ apprensivo. Lui rise sommessamente, e il viso di lei si illuminò.
Ma tuttora lei non vacillò – anche se la sua voce era morbida e gentile, non lasciava spazio per i compromessi: «Adesso, va’ a dormire, piccolo principe».

La pila di libri sul suo letto cresceva costantemente, ed Henry non aveva ancora finito di saccheggiare gli scaffali.
Apparentemente, la magia era una cosa vera nel mondo delle fiabe, e Henry era nel mezzo di una serie di libri su un giovane mago che aveva preso in prestito da Avery. C’erano state molte risate quando aveva chiesto a Regina come funzionava la magia in confronto a quei libri, e c’era qualcosa di ridicolo per lei da confutare. Come le bacchette: non avevi bisogno delle bacchette per fare la magia, ed Henry pensava fosse molto più fico. Per il disappunto di Henry, nemmeno il Quidditch era reale – quanto fico sarebbe stato? Fico – quando quella parola veniva fuori riferita alla magia, era usualmente allora che Regina diventava seria e diceva qualcosa su come avesse sempre un prezzo e non era la soluzione a tutti i problemi.
C’era così tanto che Regina gli aveva già detto sulla Foresta Incantata, ma lui voleva saperne di più. Improvvisamente, non si sentiva più troppo vecchio per le fiabe. Per lei, erano reali. Così lui si era immerso nei suoi vecchi libri di fiabe, e se le godeva più che mai.
Stranamente, Regina sembrava conoscere le sue parti preferite persino prima che lui gliele dicesse. Ogni volta che lui si meravigliava su come fosse possibile, lei si limitava a sorridere enigmaticamente e i suoi occhi si perdevano con emozione in qualche memoria distante.
Ma tali momenti non duravano mai a lungo, e presto lei aveva di nuovo occhi e orecchie solo per lui. Henry aveva realizzato nel frattempo cosa lo aveva sconcertato così tanto dall’inizio a proposito di Regina – era il modo in cui lo guardava. Il modo in cui a volte lui coglieva Ma a guardarlo.
Tutto di questa strana amicizia era meraviglioso.

Poi un giorno tutto andò male.
Non appena lei apparve nello specchio, Henry seppe che qualcosa di male stava accadendo, perché il viso di Regina era tutto bianco e i suoi occhi sembravano gonfi.
«Henry» parlò lei prima che lui avesse l’occasione di farlo, le parole sgorgarono di fretta dalla sua bocca, «non possiamo più farlo. Devo essere forte. Questo…» la sua voce s’intoppò, e lei continuò dopo un respiro profondo, «questo deve fermarsi».
«Cosa vuoi dire? Non voglio che si fermi». Non capiva. Perché avrebbe dovuto fermarsi? Chi lo avrebbe potuto fermare? Per quel che lo riguardava, nessuno neanche lo sapeva.
«Non lo voglio neanch’io» disse Regina, e il suo labbro tremò, «ma è per il me…»
Lui non voleva sentire che era tutto per il meglio, perché non era vero. Come poteva essere, quando lo stava facendo sentire così frustrato, così… triste?
«Pensavo fossi mia amica!» urlò. «E ora mi abbandonerai così e basta!»
«Henry!» esclamò lei con orrore, e il suo dolore era così evidente che lui si sentì quasi dispiaciuto di essersi incavolato così. La sua voce lacrimosa non rendeva affatto le cose migliori. «No, non dire questo! Io ti… A me importa di te» concluse urgentemente. «È per questo che devo farlo. Non voglio, ma è per il tuo bene».
«Non ti credo». A volte gli adulti erano così ridicoli. Niente di questo era buono, lui non si stava sentendo neanche remotamente bene. Si sentiva solamente tradito. «Sei stanca di me?» L’idea era piuttosto orribile, ma aveva senso. «Ci sono molte cose più interessanti nella tua terra che un ragazzo ordinario come me, giusto?»
«No!» gridò lei, scioccata.
Stava dicendo la verità. Il sollievo lo inondò, ma non durò a lungo.
«Henry, ti prego. Io… io ti voglio bene». Adesso la sua voce non era più di un respiro. «Mi dispiace».
«Allora non andare».
«Ma devo» balbettò lei. «Guarda cosa ti sto facendo. Non voglio questo per te. Tutto ciò che voglio è che tu sia felice. Tu sei felice con Emma, giusto?»
Non gli importava neanche di come lei conoscesse il nome della Ma.
«Sì, ma ora mi piace anche trascorrere del tempo con te».
Il volto di lei si rilassò in un sorriso. «Anche a me» disse, e Henry le restituì il sorriso, sentendosi di nuovo speranzoso. Poi il suo volto si tese di nuovo, e lei deglutì prima di continuare. «Ma non può durare. Henry. Ti sto mettendo in pericolo e non potrei mai farlo».
«Solo una volta di più, allora. Ti prego».
Poteva vedere il suo dolore e il suo desiderio, e gli diede la speranza che lei si sarebbe arresa alle sue suppliche. Se lei si arrendeva una volta, avrebbe potuto arrendersi un’altra volta, e un’altra, e alla fine, avrebbe potuto semplicemente rimanere.
Sfortunatamente, lei sembrava aver raggiunto la stessa conclusione.
«Non posso,» lei scosse la testa, e i suoi occhi stavano traboccando di lacrime. A Henry non importava, era troppo occupato a trattenere le proprie. «Non potrei. Se lo facciamo di nuovo, temo che non sarei forte abbastanza per fermarmi. Ti prego» sussurrò disperatamente, «ho bisogno che tu capisca».
«Ma non capisco!»
«Lo so… Henry…» Lentamente, molto lentamente, con gli occhi bagnati di lacrime e fissi sul suo volto, la sua mano si spinse appena verso l’immagine. «Sappi solo che ti voglio bene».
Un singhiozzo irruppe da lei e le lacrime scossero la sua figura minuta, ma lei lo fece comunque – toccò la superficie dello specchio dall’altra parte, e una nuvola di fumo saltò dentro dai margini e la coprì completamente.
«No! Non sei mia amica!» urlò Henry, gli occhi che bruciavano di rabbia. «Un amico non mi lascerebbe! Ti odio!» Scoppiò in lacrime, calde e amare, e continuò a colpire la cornice dorata con i pugni finché non ebbe più energie rimanenti.

Per giorni aspettò di fronte allo specchio, sperando che lei tornasse.
Bussò e bussò, ascoltando per una risposta, un sospiro, o un singhiozzo. Bussò e bussò, e le parlò come se fosse stata lì anche se non c’era. Bussò e bussò, di notte e di giorno, sperando di trovarla di nuovo.
Lei non venne mai.
«Ti voglio bene anch’io» sussurrò alle profondità cieche e senza vita dello specchio.

Un pomeriggio Henry tornò da scuola e lo specchio non c’era.
«Ma, dov’è lo specchio della mia stanza?» si lasciò sfuggire per prima cosa quando le sue chiavi tintinnarono nella serratura.
«Oh, quel vecchio oggetto?» disse la Ma. «Visto che è stato in giro per secoli e non l’abbiamo mai usato, l’ho venduto. Indovina,» gli fece l’occhiolino, «ci ho preso la cena. La tua preferita».
Henry fissò la scatola della pizza nelle mani della Ma senza assimilarla. Lo specchio non c’era più. Cos’avrebbe fatto adesso?
La Ma appoggiò la scatola e gli alzò cautamente il viso per far sì che lui la guardasse. «Henry, mi dispiace, ti ci eri affezionato?»
Henry inghiottì.
«No. No, non è così. Era solo uno specchio. Niente di speciale».
Solo un fascio di sogni. La sua sfrenata immaginazione – sebbene prima non ne avesse mai avuta tanta – che lo ingannava.
Solo uno specchio, e solo dei sogni.
Incubi. Ma bellissimi. Ma solo dei sogni.
Forse se fosse riuscito a indursi a crederlo, avrebbe fatto meno male.
  
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