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Autore: LondonRiver16    01/04/2014    3 recensioni
Adam si voltò verso di lui per poterlo guardare in faccia.
- Da cosa stai scappando, TJ? Noi due ci siamo sempre detti tutto, perché questa volta parlarmi ti risulta così difficile?
Per una manciata di secondi Tommy non fece altro che perdersi negli occhi del suo ragazzo, che quel giorno e con quel sole splendente erano di un irresistibile color acquamarina, quindi li abbandonò per sistemarsi una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio, fissare l’oceano che avevano di fronte e confessare tutto in un mormorio che per un soffio non si perse nel vento.
- Perché stavolta riguarda te.
(Seguito di "I'm gonna make this place your home")
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Adam Lambert, Nuovo personaggio, Tommy Joe Ratliff
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Home'
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*riemerge circospetta dalla selva delle analisi statistiche con la mitica fascetta di Rambo*

Finalmente sono riuscita a finire questo capitolo, la cui prima metà languiva ormai da secoli sul mio pc, dentro un tristissimo file word che stava per cadere in depressione! Ci ho messo un secolo, lo so e chiedo venia! Vedete quanti punti esclamativi vi sto mettendo, vuol dire che sono super-mega-arci-ultra-dispiaciuta che sia passato più di un mese dall’ultimo aggiornamento!

Ma ora sono qui. Basta accampare scuse. Basta punti esclamativi.

Grazie infinite a and soon the darkness_, Sunset_Lily e MoonLightAdam per aver recensito lo scorso capitolo, grazie a Fidia2, che li ha recuperati tutti con le sue recensioni (!!!) e infine grazie a chiunque stia dietro a questa storia, che faccia parte delle 13 che la seguono, delle 5 che la preferiscono, sia l’1 che la ricorda o sia un’anonima imbucata… luv u all.

Detto questo, spero che ciò che segue vi piaccia. Buona lettura :)

 





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- Una tazza di tè, Adam?

Anche se era stata la voce di Julie ad accoglierlo, per Adam non fu una vera e propria sorpresa trovare entrambi i coniugi O'Reilly oltre la soglia della veranda. Nei mesi passati ad aiutarli a preparare pranzi e cene che poi si erano goduti assieme, a conversare con loro come con amici di un'altra generazione e a far la spola fra casa loro e la propria scarrozzando Tommy, il ventiduenne aveva avuto modo di capire quanto fosse forte il legame che condividevano. Dopo tanto pensare Adam era giunto alla conclusione che gli anni insieme e gli sforzi immani in cui entrambi si erano spesi affinché la coppia resistesse anche all'impossibilità di avere i tanto desiderati figli erano ciò che li aveva resi indivisibili. Certamente anche amici, oltre che coniugi, o almeno questa era stata la sua impressione.

Se Julie sedeva sull’angolo del divanetto di vimini, sull’orlo del cuscino color panna i cui cloni erano posizionati su ogni posto disponibile, Rick stava sulla poltrona alla destra di Adam, i gomiti poggiati poco sopra le ginocchia, le dita chiuse a coppa attorno a una tazza fumante, la mano della moglie ancora intenta ad accarezzargli un braccio in segno di supporto. Notando l’arrivo del ragazzo entrambi avevano alzato lo sguardo, ma non avevano rinnegato l’atmosfera di dispiacere del momento ritraendosi. Non si vergognavano dei propri errori né del bisogno di confortarsi l’un l’altro e ne avevano ogni diritto, pensò Adam.

Vedendolo esitare sulla soglia con una mano sullo stipite, Julie allargò appena il proprio sorriso di benvenuto, rendendolo un poco più convinto e accogliente.

- Non stare sulla porta, caro. Entra – lo esortò con un cenno condiscendente della testa. - Non ti mangiamo, sai?

Adam sorrise a sua volta a quelle parole, altrettanto poco convinto, e senza indugiare oltre percorse i pochi metri che lo condussero oltre il tavolino dove, sopra una tovaglietta color lavanda, attendeva un vassoio completo di teiera fumante, un paio di tazze ancora pulite, la zuccheriera, un minuscolo bricco di latte e qualche fettina di limone adagiata su un piattino. Oltre i vetri incorniciati dal legno bianco che teneva la veranda al caldo e al riparo nei mesi più freddi e durante le notti estive, nel buio, Adam riconobbe qualche ombra familiare di alberi e piante che conosceva bene, quindi prese posto accanto a Julie. Senza una parola la donna prese una delle tazze ancora vuote, vi verso del tè e aggiunse il limone senza nemmeno chiedere al ragazzo, di cui conosceva alla perfezione i gusti a riguardo. Niente zucchero, niente latte, abbondanza di limone.

- Grazie – mormorò Adam nell’atto di accettare la tazza, sentendosi stranamente in imbarazzo.

Rick non aveva smesso di fissarlo da quando si era unito a lui e alla moglie, ma fu solo quando gli occhi cerulei del ventiduenne incontrarono i suoi che deglutì, come se bastasse quello sguardo a farlo sentire sotto giudizio. Adam dovette costringersi a non riprendere a scrutare le profondità della propria tisana in attesa che l’uomo si decidesse a dare voce a ciò che lo tormentava. Fu necessario qualche secondo di silenzio arduo da tollerare.

- Se sei arrabbiato con me posso capirlo.

Adam lo considerò ancora per qualche attimo, poi scosse la testa. - Non lo sono.

- Posso crederti? – indagò Rick, alzando un sopracciglio, e il ragazzo poggiò la tazza di tè per avere le mani libere e intrecciare le dita fra loro con un sospiro, lo sguardo che spaziava da Rick a Julie e viceversa.

- Posso essere completamente sincero?

- Te ne prego – annuì Rick, tentando di nascondere l’insicurezza dietro l'immobilità dell’espressione.

Anche Julie si affidò completamente ad Adam, in trepida attesa, e il ragazzo prese un respiro profondo prima di iniziare, cercando di riordinare pensieri e sentimenti.

- Da quando ho ritrovato Tommy la scorsa estate ho sempre creduto che il fatto che condividiamo un pezzo di passato abbastanza violento, un passato che è sempre stato la causa primaria del mio bisogno di difenderlo, mi avrebbe spinto a saltare al collo a chiunque avesse osato toccarlo – cominciò, per poi umettarsi le labbra asciutte e alzare di nuovo lo sguardo sui genitori adottivi della persona che gli stava più cara al mondo. - Conoscete bene quanto me il male che gli è stato fatto e ancora oggi io mi sento responsabile della sua incolumità, nonostante ci siate anche voi a occuparvi di lui. Ma è proprio questo il punto, Rick – affermò, concentrandosi sugli occhi seri di lui. - Tu non gli hai fatto male. Non lo hai colpito gratuitamente come tutti quelli che ti hanno preceduto, lo hai fatto davvero per educarlo, per insegnargli qualcosa, lo hai fatto per lui – spiegò, onesto. – Non ho sentito l’impulso di fermarti e ti do ragione, credo che Tommy se lo sia meritato. L'ho detto anche a lui e sebbene adesso non capisca io credo che un giorno non molto lontano ci riuscirà.

Pensava di essere stato convincente, anche perché aveva parlato col cuore e senza nascondere nulla, come avrebbe fatto con un amico, eppure Rick scosse la testa e abbassò lo sguardo sulle proprie mani, impegnate a torcersi d’inquietudine.

- Sento di avervi mancato di rispetto – rivelò, conscio delle occhiate apprensive della moglie. - Per tutto quello che avete subìto in passato e per tutto quello che tu hai fatto perché Tommy non dovesse più vivere fra persone che lo trattavano come non merita.

- Ma tu non l’hai maltrattato! – s’indignò Adam, agitandosi un poco sul posto, perché gli risultava inconcepibile che quell’uom0 fosse così insicuro delle proprie posizioni. - Posso parlare solo per me stesso, Rick, ma ti prego di credermi quando ti dico che non hai sbagliato, anzi. Vorrei aver avuto un padre come te – aggiunse in ultima istanza.

Rick sorrise d’istinto, un poco rincuorato.

- Sei molto gentile, Adam, grazie.

- Non lo dico tanto per dire. Chiedi pure a Kevin e ti confermerà che avrei avuto bisogno di una persona responsabile che mi tirasse le orecchie ogni tanto. C’è stato lui, certo, ma a quanto pare un solo babysitter non era sufficiente per me – dichiarò, riuscendo a ottenere un sorriso da parte di entrambi. – E forse non lo è neanche per Tommy, sapete, ma non dovete arrendervi.

Julie sorrise grata e commossa di fronte alla sincerità che trapelava dal suo discorso e Rick annuì con posata compostezza, il suo illimitato senso di responsabilità che gli si rifletteva sul viso già un poco segnato dagli anni.

- Hai parlato con Tommy? – domandò Julie dopo una manciata di secondi.

- Ci ho provato. Non era molto in vena – rispose Adam, piegando le labbra di lato in una smorfia contrita, tutta la delusione a cui aveva intenzione di arrendersi. - È evidente che ha un problema, ma a quant0 pare fa attenzione a tenerselo per sé.

Julie sospirò e il suo sguardo dolce e malinconico scivolò verso terra, ferendo Adam quanto Rick. Il più giovane del trio che si era riunito su quelle poltroncine di vimini fece per cavarsi di bocca qualcosa che potesse consolarla, ma la donna fu più svelta a riprendersi da sé.

- Hai compiuto un piccolo miracolo con lui l'estate scorsa – mormorò, accennando un altro dei suoi sorrisi stanchi ma benevoli quando i suoi occhi scuri e quelli celesti di Adam s’incontrarono di nuovo. - Non è che ti ricordi come hai fatto?

Fu la volta del ventiduenne di abbassare lo sguardo sulla propria tazza di tè, che languiva sul tavolino, il vapore che vi si levava appena un po’ meno insistente di qualche minuto prima, e senza sforzarsi si perse dietro ai pensieri che quella frase con cui la signora O’Reilly lo aveva affettuosamente provocato gli avevano ispirato. Già, come aveva fatto? Da luglio non era trascorso molto tempo e nel frattempo ciò che provava per Tommy non era cambiato se non per maturare, perciò non avrebbe dovuto essere troppo difficile capire come andare incontro alle nuove difficoltà del suo ragazzo. Dopotutto restava sempre lo stesso adolescente dalla testa dura a cui si era avvicinato quasi per caso, o forse, al contrario, perché quell’incomprensibile energia che alcuni chiamano destino aveva voluto così.

Ragiona, come hai fatto?

Gli aveva parlato, lo aveva ascoltato, lo aveva praticamente costretto a rivolgergli la parola e a stare con lui abbastanza a lungo da tessere un legame minimo, ma in questo era stato preceduto da altri. La vera domanda era, come aveva fatto a trasformare tutto ciò in qualcosa di più importante? Come aveva fatto a convincere un ragazzino tradito mille volte che valeva la pena fidarsi di uno conosciuto solo qualche giorno prima al punto da aprirgli il cuore e consentirgli di spingerlo verso chi avrebbe potuto salvarlo dai suoi concreti incubi quotidiani?

La risposta colpì Adam dritto al petto e lo costrinse a deglutire per la pesantezza di quella consapevolezza mentre rialzava lo sguardo verso Julie e Rick.

Sono stato il primo a mostrargli le mie debolezze. Senza paura, gli ho aperto la strada perché capisse che molte volte non è colpa nostra e che comunque non c’è nulla di male nell’essere deboli.

- Credo di avere ancora una carta da giocare a riguardo – annunciò agli O’Reilly, che lo fissavano come in attesa di una rivelazione, ma fu ben attento a non svelare tutto ciò che aveva appena riscoperto. Benché fosse stata Julie a far partire quella riflessione, infatti, Adam sentiva che tutto ciò riguardava solamente lui e Tommy. - Forse c'è qualcosa che potrebbe aiutarmi a persuaderlo a parlarne, ma ho bisogno di aiuto. Ho bisogno che gli concediate un po' di libertà.

Se Julie restò in ascolto senza fare una piega, Rick si accigliò. - Che cosa intendi?

Adam si concentrò su di lui, ben consapevole che sarebbe stato l’osso più duro da convincere.

- Vorrei il permesso di portarlo con me per qualche giorno – espose allora. - In un posto speciale.

Rick lo scrutò per qualche secondo, come per testarlo, e Adam ricambiò con una serietà evidente quanto matura, per nulla forzata, per fargli comprendere che non intendeva assolutamente prendersi gioco di lui né della sua autorità in quella che era casa sua e nei confronti di Tommy.

- Scusa, ma non mi sembra il caso – decretò però l’uomo dopo un paio di secondi, destinando a sua volta la tazza al tavolino, temendo di scaldarsi troppo per trattenerla fra le mani. I suoi occhi erano uno specchio d’onestà che ancora una volta il ventiduenne si trovò a stimare. - Mi pento di aver alzato le mani, questo è certo, ma ciò non vuol dire che sia incline a dimenticare o perdonare così facilmente il suo comportamento. Mi dispiace e ti ringrazio della disponibilità, ma non è il momento di regalargli un viaggio – concluse alzandosi in piedi, come a dar a intendere che considerava chiusa la questione.

- Ma non sarebbe un premio! – protestò a viva voce Adam, facendo per seguirlo, ma in quel momento Julie intervenne posando una mano sul ginocchio di quello che al pari di Tommy considerava suo figlio, per chiedergli di rimanere seduto, e l’altra sul braccio teso del marito, rivolgendo a quest’ultimo uno sguardo che sfiorava la supplica.

- Rick, pensaci bene – lo incitò quindi, domandandogli con gli occhi di riflettere su quanto il loro rapporto con il figlio adottivo stesse diventando difficile anche senza che lui s’impuntasse su precetti educativi che non erano davvero delle priorità in quel momento. - Per favore.

- Tommy si è intestardito – si sentì nel giusto ad aggiungere Adam, restando accanto a Julie come la donna gli aveva implicitamente chiesto, ma senza retrocedere di fronte alla durezza degli occhi azzurri di suo marito. - Io penso di sapere come prenderlo, ma stai sicuro che non parlerà finché resta qui, gli serve un cambiamento che gli faccia abbassare la guardia, che lo costringa a farlo.

Ancora una volta Rick lo mise alla prova senza bisogno di proferire una sola parola. Gli scavò dentro con quei suoi occhi chiari che un estraneo al primo incontro avrebbe potuto scambiare per quelli di Adam, esitò finché non seppe di potersi arrendere senza poi soffrire di rimorsi.

- D'accordo – sospirò dopo un’analisi che al ventiduenne parve infinita, per poi pretendere di allontanare da sé l’intera discussione con un semplice movimento della mano. - Portalo dove vuoi, fai ciò che ritieni più giusto. Fai ciò che io non riesco a fare.

- Non è questo che intendevo – intervenne all’istante il ragazzo, questa volta alzandosi in piedi senza che Julie provasse nemmeno a trattenerlo. Non aveva intenzione di lasciare che quell’uomo si accollasse colpe non sue, non dopo tutta la bontà e la pazienza che molte volte aveva dimostrato saper elargire. - Rick, tu sai quanto ti vuole bene Tommy. Credimi, sono davvero convinto che il problema sia esterno alla famiglia.

Solo allora, dopo aver compiuto un paio di passi nella sua direzione e avergli messo una mano sulla spalla per stringergliela, Rick gli concesse un sorriso.

- Finché sarà uno della famiglia a occuparsene, io sarò tranquillo – dichiarò con semplicità.

Accolse con piacere il sorriso con cui Adam ricambiò la sua fiducia, gli batté un paio di colpetti sulla spalla per sottolineare il suo punto di vista, quindi passò a dare un bacio a Julie prima di congedarsi con un cenno della mano e scomparire nel corridoio buio, verso le scale che lo avrebbero portato in camera da letto, lasciando la moglie tranquilla e Adam con l’animo ubriaco di una gioia che impiegò un po’ a decifrare, essendo ancora nuovo alle sensazioni che si provano avendo un padre accanto.

 

Adam rimase ad aspettare Tommy fuori dal suo liceo per ore, seduto dietro al volante della sua auto, che comunque non avrebbe attirato neanche il più disperato dei ladri. Nonostante la notte precedente fossero arrivati a casa O’Reilly poco prima dell’alba, quella mattina il diciassettenne era sgattaiolato fuori senza che nessuno ci facesse caso per evitare qualsiasi discussione attorno al tavolo della colazione. Non appena se ne era accorto Adam era corso davanti alla sua scuola con la macchina, pregando qualsiasi divinità esistente che quel piccolo indemoniato fosse davvero andato a lezione e non fuggito in qualche altro posto, questa volta senza prendere in considerazione la sua opinione.

Farai meglio a essere in classe o questa volta quando ti trovo un calcio in culo non te lo leva nessuno, pensò il ventiduenne, schiumante di rabbia al solo pensiero, girando con furia l’ennesima pagina della rivista che aveva appena riesumato dal baule nel vano tentativo di far passare più velocemente il tempo.

La sensazione di essere sul punto di perdere completamente anche i pochi punti di contatto con Tommy gli stringeva cuore e stomaco in una morsa che lanciava fitte lancinanti ad alternanza e Adam voleva solo che quella tortura smettesse. Era pronto a dare tutto se stesso perché smettesse.

Non me la fai, Tommy. Vincerò io, come sempre. Agitati quanto vuoi, che tu voglia lasciarmelo fare o no ti aiuterò, stronzetto.

L’ansia diminuì un poco quando, circa cinque minuti dopo il suono della campanella che annunciava la fine delle lezioni del mattino, il ventiduenne scorse Tommy avviarsi lungo il marciapiede assieme a un’orda infinita di liceali che alla fine si dispersero con incredibile rapidità, così da permettere al biondo di scorgere l’inconfondibile carretta del suo ragazzo proprio davanti all’edificio dei laboratori di chimica e biologia.

Adam lo vide fermarsi, tentennare sul posto, ma poi, forte dell’accusa già insita nelle occhiate che il maggiore gli stava lanciando, si arrese alle circostanze e raggiunse l’auto con passi lenti e strascicati. Quando finalmente arrivò alla portiera del passeggero, Adam si chinò un poco in avanti per poter continuare a guardare gli occhi scuri che, malgrado recassero i segni di una notte insonne e di una collera ancora non del tutto sopita, non potevano non smuovergli qualcosa in petto ogni volta che li incrociava.

- Sali – ordinò con voce asciutta, senza risparmiargli ogni goccia di irritazione, cosicché si rendesse conto di quanto lo aveva fatto penare nelle ultime ore, e facendo uno sforzo si allungò fino a socchiudere la portiera dal suo lato. - Ti devo parlare.

Tommy non si mosse, anzi, si limitò a continuare a fissarlo con la stessa aria indispettita.

- Non mi piace quella faccia – commentò dopo aver atteso che un gruppo di quattordicenni starnazzanti si fosse allontanato fra mille risatine, e Adam inarcò le sopracciglia con incredulità prima di prendere un respiro profondo e reprimere a forza un acuto che avrebbe finito con l’allarmare ogni essere vivente nel giro di duecento metri.

- Peccato, zuccherino, caso vuole che sia l'unica disponibile – commentò invece con un sorriso falso quanto la sua improvvisa dolcezza, per poi bruciarlo con un’occhiata rovente che prometteva guai se non avesse obbedito all’istante e senza bisogno di ulteriori esortazioni. Ma Tommy sembrava pronto a correre il rischio piuttosto che arrendersi e recepire il messaggio.

- É la tua tipica faccia da predica e credo di essermene già sorbite abbastanza nelle ultime ore – dichiarò, il mento che gli tremava in maniera appena percettibile e non certo per paura.

Di fronte a tanta caparbietà la voce di Adam si ridusse a un tono minaccioso che scandì accuratamente l’ultima chance che era pronto a concedere al diciassettenne.

- Sali in macchina.

Per tutta risposta Tommy rimase a fissarlo per qualche momento di staticità, lasciando trasparire il furore solamente dagli occhi e dal colore delle gote, che gli si imporporarono di colpo per la vergogna e la frustrazione di venire comandato come un bambino anche dal suo ragazzo. Adam stava per aggiungere qualcos’altro che potesse convincerlo ad abbassare del tutto le arie e a dargli ascolto quando improvvisamente il biondo gli voltò le spalle e s’incamminò di nuovo verso la scuola con lunghi passi decisi.

- Dove credi di andare adesso?

Il più grande bestemmiò picchiando i palmi delle mani sul volante e saltò fuori dall’auto, sbattendo la portiera dietro di sé prima di mettersi alle calcagna dell’adolescente, che continuò a ignorarlo e a marciare come se non esistesse, fissando dritto davanti a sé, la borsa dei libri che gli pendeva dalla spalla e ad ogni falcata gli colpiva il fianco con un tonfo.

- Ehi, sto parlando con te! – lo ammonì Adam, ignorando gli sguardi straniti degli studenti che gli camminavano attorno e accelerando il passo dietro a Tommy finché non riuscì a bloccarlo afferrandolo per un braccio. Incurante dei suoi tentativi di opporre resistenza lo costrinse a voltarsi verso di lui per guardarlo in faccia mentre gli rinfacciava ciò che lo aveva fatto rodere durante l’intera mattinata. - Piantala di scappare via, piantala di fare il bambino – gli sibilò a pochi centimetri dal viso contratto dalla rabbia.

Tommy gli concesse la propria attenzione solo per un attimo, poi i suoi occhi corsero alla mano con cui il maggiore gli stava stringendo il braccio per non permettergli di sfuggirgli di nuovo.

- Lasciami andare...

- No – si oppose Adam, e quando l’altro provò a liberarsi con uno strattone perse definitivamente la pazienza, lottò contro di lui per riuscire a impadronirsi anche dell’altro suo avambraccio e lo costrinse a tenerli entrambi davanti al viso, rafforzando la presa mentre i suoi occhi chiari, ora brucianti di collera, trafiggevano quelli nocciola del più piccolo, che non si era mai visto trattare così da lui. - Ora basta, Thomas!

- Non mi chiamare in quel modo, sai quanto lo odio – ringhiò.

- Ti chiamo come meriti di essere chiamato – si sfogò Adam. Se ne pentì un attimo dopo, quando un lampo di dolore balenò nelle iridi di Tommy, al quale il proprio nome per intero avrebbe sempre ricordato tutti i genitori adottivi che lo avevano maltrattato, perché era così che lo avevano sempre chiamato. Il maggiore si morse le labbra con sincera contrizione, ma non cedette riguardo ai suoi scopi, le sue mani non mollarono la presa attorno ai polsi del più giovane né i suoi occhi, ora meno infervorati, si separarono un attimo dai suoi. - Smettila di agitarti, resta qui e ascoltami e ti chiamerò come vuoi essere chiamato. Non mi sembra di chiedere la luna, Tommy.

Lo sentì rilassarsi a quel suono. Il diminutivo che lasciava usare solo a coloro a cui si sentiva legato sapeva di casa, riusciva sempre a tranquillizzarlo nei momenti difficili e in quella particolare occasione ebbe un effetto benefico. Il ragazzo lasciò andare i nervi così come la tensione nello sguardo e abbassò gli occhi a terra per un paio di secondi di tregua prima di tornare a quelli di Adam, che con una fitta allo stomaco scoprì che la malinconia delle ultime ore era tornata a sostituire l’astio in quelle iridi scure. La morsa delle sue dita attorno ai polsi del più piccolo si allentò d’istinto di fronte a quell’amara vittoria.

- Mi stai mettendo in imbarazzo – fremette Tommy dopo un’altra manciata di secondi, e mentre il suo sguardo riprecipitava sui loro piedi Adam si diede un’occhiata attorno per rendersi conto che la discussione aveva calamitato su di loro l’attenzione di una decina di liceali che ora li fissavano con curiosità più o meno maligna.

D’un tratto si rese conto che era colpa sua e gli dispiacque che Tommy avesse da sentirsi ancora peggio per colpa del livello di esasperazione raggiunto dalla sua apprensione. Sospirando con sincero rammarico lasciò cadere la mano sinistra lungo il fianco e fece scivolare la destra dal polso del diciassettenne alle sue dita, che avvolse con rispetto prima di allontanarsi da quel posto portandolo con sé. Non aspettò che Tommy intrecciasse le dita con le sue come facevano spesso passeggiando assieme né fu così egoista o insicuro da credere che prima o poi, se avessero continuato a camminare, lo avrebbe fatto. Avevano appena affrontato una delle litigate più aspre della loro storia e non ne erano ancora venuti fuori.

Adam s’inoltrò nel prato che confinava con il cortile della scuola, laddove non era rimasto più nessuno, e lo condusse a una panchina solitaria che dava le spalle al campo da football che entrambi avevano sempre evitato. Il ventiduenne si sedette senza lasciare la sua mano e dopo qualche secondo Tommy acconsentì di buon grado a sedersi a una trentina di centimetri di distanza. Abbandonò la sua mano, impiegò le dita per cominciare a torturare il legno scheggiato con le unghie, gli occhi mesti fissi sul proprio lavoro, e Adam capì che era ora di mettere le carte in tavola.

- Apri bene le orecchie – esordì, una nota di rabbia che persisteva nel colorargli la voce di nero, e senza pretendere che Tommy smettesse di straziare il ciglio della panchina proseguì. - Ho parlato con Julie e Rick. Anche loro, come me, pensano che tu abbia un problema di cui non vuoi parlare e che da questo derivi il tuo comportamento delle ultime settimane.

Nel sentire quelle parole Tommy fu rapido a puntare gli occhi decisi nei suoi.

- Io non ho nessun prob-...

- Zitto, lo sto facendo per te – lo interruppe però Adam, mettendolo a tacere con un’occhiataccia di fronte alla quale il più giovane non si sentì di replicare alcunché. - Ho parlato con loro, dicevo, e li ho convinti che hai bisogno di una pausa di qualche giorno. Mi hanno dato il permesso di farti saltare qualche giorno di lezione per portarti in un posto che voglio mostrarti – Stanco di litigare e della tensione che si era andata creando fra loro, allungò una carezza sulla guancia del più piccolo per indurlo a tornare a fidarsi di lui e a guardarlo con l’affetto di sempre e per tranquillizzarlo addolcì i toni prima di quell’ultima frase, rivelata al suo orecchio con un bisbiglio che sapeva di complicità. - Solo io e te per un’intera settimana.

Tommy rabbrividì e di colpo si tirò indietro per piantargli addosso gli occhi sgranati, cercando sul suo viso qualche indizio che fosse tutto uno scherzo.

- Dici sul serio? Non mi stai prendendo in giro, vero?

Quando il sorriso di Adam lo rassicurò, Tommy quasi si soffocò con la propria risata e senza esitare gli buttò le braccia al collo.

- Oh, Ad, sarà fantastico!

Con la sensazione di essere stato invaso da una corrente di acqua fresca nel momento in cui quell’impeto di gioia si era fatto strada sul volto del più piccolo, illuminandolo come aveva quasi dimenticato potesse fare, il ventiduenne ricambiò l’abbraccio. Poteva capire il suo entusiasmo, dato che non avevano mai trascorso più di una giornata intera assieme senza che altri si aggiungessero alla compagnia, e pur sapendo che non sarebbe stata solamente una semplice vacanza non volle rovinare quel momento tornando a parlare di argomenti spiacevoli. Dopotutto avevano già discusso abbastanza per quel giorno e dopo ciò che era successo nelle ultime ore erano entrambi troppo stanchi per fare anche un solo passo verso la soluzione.

- Sì, sarà fantastico. Partiremo domani mattina sul presto - Seppur con dispiacere, Adam si prese l’incarico di sciogliere quell’attesissimo abbraccio e ancora una volta fu per il bisogno di guardare l’altro dritto negli occhi. - A patto che prima di partire ti scusi con Rick per quello che hai detto. Penso che anche lui abbia qualcosa da dirti e non voglio che vi separiate prima di aver aggiustato almeno questa cosa.

Tommy reagì a quella richiesta con una smorfia seccata, ma dinnanzi alla risolutezza di Adam non poté che capitolare.

- D’accordo – sospirò infine - Lo farò.

Fiero che avesse impiegato così poco a prendere la decisione più saggia, Adam gli sorrise e gli portò una mano alla guancia.

- Bravo il mio cucciolo – sussurrò un attimo prima di chiudere gli occhi, tendersi verso di lui e premiarlo con un bacio che Tommy si divertì a fargli prolungare fino all’inverosimile. Quando finalmente si separarono Adam attinse dalle guance accaldate, dagli occhi scintillanti e dall’intera figura illuminata dal sole di Tommy tutta la forza e il coraggio che gli sarebbero serviti per superare l’ardua prova in cui stava per imbarcarsi, quindi sorrise con affetto, diede un ultimo bacio veloce sulle labbra raggianti del più piccolo e si alzò dalla panchina.

- Dai, andiamo – lo incitò, accennando con la testa a dove aveva lasciato l’auto. - Ti accompagno a casa e vediamo se riusciamo a mettere insieme una valigia.



 

   
 
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