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Autore: blackmiranda    01/04/2014    12 recensioni
Cinque mesi dopo la sonora sconfitta, Ade riesce finalmente ad uscire dal fiume infernale in cui Ercole l'ha scaraventato. Purtroppo per lui, i progetti di vendetta dovranno attendere: una nuova minaccia si profila all'orizzonte, preannunciata da una profezia delle Parche, unita a quella che ha tutta l'aria di essere una proposta di matrimonio...
“E' molto semplice, fiorellino. Vedi, sono in giro da un bel po', e, anche a seguito di recenti avvenimenti non molto piacevoli, mi sono ritrovato, come dire, un po' solo. E così ho pensato, ehi, perché non cercare moglie?”
Persefone rimase interdetta. La situazione si faceva sempre più surreale, minuto dopo minuto.
“Tu... vorresti sposarmi?” balbettò incredula.

Questa è la storia di Ade e Persefone, ovvero di un matrimonio complicato. Molto complicato.
Genere: Comico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Ercole, Megara, Persefone
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Revelations

 

Persefone aprì gli occhi in uno sfarfallio di ciglia.

Non ricordava affatto di essersi addormentata. Confusa, si tirò su a sedere tentando di trattenere uno sbadiglio. Si stiracchiò, cercando di capire che ore fossero, ma senza successo: la luce in quel posto non cambiava mai, non c'erano né albe né tramonti.

Facendo una smorfia, si alzò in piedi. Non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando si era appisolata, il che era effettivamente insolito, per una dea.

Forse sarebbe stato saggio andare a vedere come andavano le cose là fuori, e soprattutto verificare di persona se Ade fosse tornato o no. Il pensiero di colui che ormai si era quasi abituata – o meglio rassegnata – a definire suo marito faceva capolino nella sua mente di frequente; un po' troppo di frequente, per i suoi gusti.

Sbuffò, irritata. Ovvio che pensasse a lui: l'aveva piantata in asso da un momento all'altro, e chissà quando sarebbe tornato, e... non che gliene importasse un fico secco di lui, beninteso. Si trattava semplicemente di una questione politica. Per quanto le bruciasse ammetterlo, non era minimamente pronta a gestire tutto da sola.

Prese a camminare a passo svelto in direzione del corridoio buio che l'avrebbe ricondotta alla sala del trono.

Odiava non essere in grado di gestire una cosa. Dopotutto, aveva appena scoperto di essere praticamente vitale affinché quel posto funzionasse come doveva. Non voleva stare in disparte, davvero.

Si fermò di colpo. Non voleva stare in disparte, certo, ma cosa aveva fatto in quei giorni in cui Ade era assente? Si era nascosta, isolata, aveva voltato le spalle al mondo intero, specialmente a quello sotterraneo di cui teoricamente era la regina.

Maledizione.

Riprese a camminare, combattuta. Non voleva essere inutile, ma allo stesso tempo aveva un'irrefrenabile voglia di andare in un angolo a fare il muso per un tempo indefinito. Che la chiamassero pure viziata e capricciosa: non l'aveva voluta lei, quella situazione, lei era la vittima in tutta quella storia, e non vedeva perché avrebbe dovuto riporre l'ascia di guerra e concentrarsi su qualcosa che non fossero lamentele. In fondo ne aveva tutto il diritto.

A grandi falcate oltrepassò la sottile linea di confine tra i Campi Elisi e il resto dell'Oltretomba. Un brivido di freddo le corse lungo la schiena mentre osservava tristemente le proprie membra ingrigirsi e i propri capelli tornare bianchi. Era come perdere un pezzo di se stessa, ogni volta che usciva di lì.

Con un groppo in gola e gli occhi che pizzicavano, si avviò lungo il corridoio in penombra, costringendosi non girarsi a guardare indietro.

 

***

 

Hera osservava il figlio dall'alto della sua dimora al di là delle nubi. Quello era un gesto che aveva ripetuto molte volte prima di allora e che avrebbe ripetuto per molto tempo in futuro; purtroppo, era tutto quello che poteva fare per sentirsi vicina a lui. Osservava in silenzio e in solitudine quello che un tempo, per troppo poco tempo, aveva stretto tra le braccia con infinito amore: il figlio che aveva deciso di restare mortale e vivere sulla terra, rinunciando al posto sull'Olimpo che gli spettava di diritto, per stare al fianco della mortale di cui era innamorato.

Hera non poteva fare a meno di provare una graffiante malinconia al pensiero di cosa sarebbe potuto accadere se Ercole fosse rimasto un dio, se quella notte fatale non fosse mai esistita. Eppure sapeva che lui era felice così com'era. Non poteva di certo ignorare la gioia che scorgeva nei suoi occhi quando Megara gli veniva incontro sorridente, o quando, con estrema delicatezza e orgoglio paterno, stringeva tra le braccia la bambina che gli era appena nata.

Era così piccola, proprio com'era Ercole tra le braccia di Zeus... La vide sbadigliare e stringere le manine a pugno. L'avevano chiamata Macaria. Per un attimo la piccola aprì gli occhi, blu come quelli del padre, e fece un mezzo sorriso.

Hera fece un passo indietro, smettendo istintivamente di osservare la nipote. Le distanze che la separavano da quel mondo erano incolmabili, lo sapeva fin troppo bene.

Il suo pensiero volò al marito, di cui non si avevano ancora notizie. Tentò di reprimere la preoccupazione meglio che poteva. Dalla sua serenità dipendeva quella di tutto l'Olimpo, specialmente quando Zeus era assente.

Si voltò con l'intenzione di andare a parlare con Hermes, ma la figura che le si parò di fronte glielo impedì.

“Bentrovata, Hera.” la salutò Eris sorridendo lieta.

La dea si accigliò. “Eris.” disse semplicemente, ostentando il proprio disprezzo per quella divinità sanguinaria e guerrafondaia. “Non sei la benvenuta, qui.” aggiunse duramente sollevando il mento.

Il sorriso di Eris si incrinò. “Credimi, non mi tratterrò a lungo.” sibilò. “Zeus non c'è, vedo.” disse fingendo di guardarsi attorno. “Mi auguro che torni presto.”

“Non penso sarebbe felice di vederti.” osservò Hera in tono tagliente. “Che cosa vuoi?”

“Non c'è bisogno di essere così sgarbate.” disse Eris muovendo piano le lunghe ali rossastre. “Sono venuta qui a fare il mio lavoro, tutto qui. Anche se immagino che la cosa sia superflua...”

“Vieni al punto.” la interruppe Hera, spazientita.

Eris le lanciò un'occhiata tutt'altro che amichevole. “Conosci l'identità del dio che ha fatto rapire tuo figlio e lo ha reso mortale?”

Hera sgranò gli occhi, suo malgrado. “Cosa?

La dea della discordia si limitò a sollevare un sopracciglio.

Hera avvertì la rabbia risalirle la gola come un mare di lava infuocata. “Come... osi... parlare di mio figlio?”

“Sai chi è stato, Hera? Conosci l'identità del colpevole?” la incalzò. “Io sì.” ammise quasi ridendo.

Hera sembrava congelata da quanto era immobile.

“...vorresti saperlo anche tu?”

 

***

 

Persefone sentì delle voci e istintivamente si appiattì lungo la fredda parete del corridoio. Avanzò lentamente, allungando il collo per vedere al di là del muro in pietra.

Immediatamente scorse Pena e Panico, accucciati in un angolo poco lontano dal trono. Sembravano essere stati malmenati, cosa che – pensò - probabilmente significava che Ade era tornato. Si sporse un po' di più, aspettandosi di vedere il dio, magari in compagnia dei fratelli, ma le sue aspettative furono deluse non appena il suo sguardo si posò su due uomini che non aveva mai visto in vita sua.

Sbatté le palpebre, confusa. Cosa ci facevano due uomini – due esseri umani in carne ed ossa - nell'Oltretomba? Era abbastanza sicura che non fosse quello, il loro posto.

Lanciò un'altra occhiata ai diavoletti: Panico si teneva la testa tra le braccia, dondolandosi avanti e indietro, mentre Pena si reggeva il braccio sinistro con quello destro, all'altezza del gomito.

Cosa diamine sta succedendo?, si chiese mordendosi il labbro.

“Amico, questo posto è pazzesco!” sentì esclamare uno dei due uomini. Da come erano vestiti ipotizzò che fossero soldati.

L'altro rise, avvicinandosi al trono in pietra squadrata. “Pensi che Ade si arrabbierebbe se..?” disse, mimando l'azione di sedercisi.

“Non credo sia una buona idea.” intervenne Persefone uscendo allo scoperto. “A dire il vero, credo fareste meglio ad andarvene, prima che lui torni.” aggiunse, sorprendendosi del tono calmo con cui aveva pronunciato quelle parole. Forse stava iniziando a calarsi nel ruolo di regina, dopotutto.

I due uomini si girarono a guardarla di scatto. Quello vicino al trono sorrise con aria di sfida. “E tu chi saresti, leggiadra fanciulla?” la apostrofò, sarcastico.

Persefone fece un paio di passi avanti. “Bada a come parli, mortale. Io sono una dea, la sposa di Ade, tanto per chiarirci. Voi, piuttosto, chi siete?” ribatté altezzosamente.

Pena e Panico osservavano la scena, guardinghi.

“Oh, la sposa di Ade! Quale onore...” fece l'uomo, sedendosi sul trono. “Il mio nome è Teseo, re di Atene, e questi è il mio caro amico Piritoo.” disse indicando il compagno, che la squadrò da capo a piedi.

La dea incrociò le braccia, infastidita. “Ditemi, gli esseri mortali sono tutti stupidi come voi o..?”

Teseo si grattò la barba castana, noncurante. “Devo dire che l'ospitalità non è granché, qui sotto.”

“Credimi, sarò più che lieta di ospitarvi quando tirerete le cuoia. Il che, data la vostra arroganza, dovrebbe accadere a breve.”

“Bisogna ammettere che ha coraggio.” fece Piritoo dopo un attimo di silenzio.

Teseo sbuffò. “Ha la lingua lunga, come tutte le donne.”

Persefone si accigliò. “Come osi?!” esclamò inviperita.

Piritoo le si avvicinò, sorridendo. “Non dire così, amico mio. Non è giusto insultare una così bella fanciulla nella sua casa...” disse suadente, prendendole una mano.

La dea lo fulminò con lo sguardo. “Toglimi le mani di dosso.”

Teseo scoppiò a ridere, divertito dalla scena. “Avevo ragione o no?”

Piritoo, per nulla scoraggiato, le passò un braccio attorno alla vita. “Ha solo bisogno di essere domata...”

“A chi lo dici, amico.”

Un silenzio gelido calò improvvisamente nella sala, mentre Ade, le braccia dietro la schiena, avanzava lentamente in direzione del trono su cui Teseo era ancora seduto. Persefone approfittò del momento di distrazione per liberarsi dalla stretta di Piritoo. Si aggiustò il chitone, disgustata.

“Quindi, esattamente che è successo? Avevate bisogno di una vacanza e una crociera sull'Egeo era troppo mainstream, così avete optato per una gita nell'Oltretomba?” pontificò il dio dei morti.

“S-sono riusciti ad eludere la sorveglianza di Cerbero, Signore...” pigolò Panico.

“Direi che succede un po' troppo spesso, ultimamente.” borbottò Ade rabbuiandosi. “Dunque”, fece allegramente sfregandosi le mani, “abbiamo un paio di eroi qui con noi! Non gli esemplari più brillanti della loro specie, evidentemente, ma pur sempre degli eroi.” Passò un braccio sulle spalle di Piritoo, divenuto improvvisamente bianco come un cencio.

Persefone fece un mezzo sorriso.

“Allora, campione, come te la passi?” gli chiese Ade, guidandolo di fronte al trono. “Siamo comodi?” domandò quindi a Teseo, guardandolo dall'alto in basso. L'uomo si alzò lentamente in piedi, spostandosi a destra.

“Pare abbiano perso l'uso della parola.” osservò Persefone, godendosi lo spettacolo.

“Eppure erano così loquaci, pochi minuti fa.” aggiunse Ade sghignazzando.

Improvvisamente, Teseo sguainò la spada che teneva al fianco in un unico, fluido movimento, e la piantò con violenza nel fianco sinistro del dio. Persefone si lasciò sfuggire un urlo strozzato.

Ade sollevò un sopracciglio. “Sul serio?” disse, per nulla impressionato, mentre la lama della spada passava attraverso il suo corpo fatto di fumo. Teseo lo guardò, orripilato.

“Già, non ha funzionato come volevi, dico bene?” lo canzonò il dio, afferrandolo per il bavero. “Se questo fosse un giorno qualunque avrei anche potuto prenderla sul ridere”, sibilò infiammandosi, “ma questo non è un giorno qualunque, purtroppo per te, e io sono molto, molto arrabbiato.” Detto questo, li sollevò entrambi e, scalcianti e urlanti, li depositò con malagrazia su un paio di scranni che fece comparire dal nulla. Subito una serie di catene li avvilupparono, tenendoli ben ancorati ai sedili. “Prego, accomodatevi.” disse con disprezzo oltrepassandoli. “Toglietemeli di torno.” ordinò a Pena e Panico.

I diavoletti zoppicarono in direzione dei malcapitati. Persefone lanciò loro un'ultima occhiata, per poi seguire Ade a passo svelto. “Dobbiamo parlare.” disse con convinzione.

Il dio sbuffò. “Non ora, fiorellino.”

“Per quanto hai intenzione di tenerli legati a quelle sedie?” chiese lei, continuando a stargli dietro.

“Ti prego, non tentare di appellarti al mio buon cuore...”

“Non lo faccio. Ero solo curiosa.” buttò lì. “In ogni caso, se lo meritano.”

Ade sorrise, suo malgrado. “Guarda guarda, un lato di Seph che non conoscevo. Mi piace.” disse fermandosi di fronte alla porta della sua camera. “Ora, se vuoi scusarmi, ho bisogno di un po' di tempo per pensare...” aggiunse aprendo la porta.

“Aspetta!” esclamò lei prima che lui potesse chiuderla fuori.

“Cosa?” abbaiò lui.

Persefone prese un bel respiro. “So perché mi hai scelta.” ammise. “E so perché hai bisogno di me.”

Ade la fissò, gli occhi gialli che brillavano come fuochi nella notte. “Hmm. Beh, buon per te.” disse inespressivo sbattendole la porta in faccia.









No, non è uno scherzo, anche se aggiorno il primo di Aprile. ;)
Ragazze, cosa posso dirvi se non "mi dispiace"? Spero solo che il capitolo vi sia piaciuto. Come sempre, i commenti sono ben accetti, critici e non. 
Un bacione a tutte voi, e grazie per la pazienza. :*

 

   
 
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