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Autore: seminocaos    01/04/2014    1 recensioni
Lei osserva. Lei è vigile. Lei è attenta. Cosa osserva? Le particolarità degli oggetti, le piccolezze delle persone. Perché questi piccoli dettagli che nessuno nota le serpeggiano accanto, sibilando, la avvolgono e alla fine la catturano e stritolano. Ma lei è tanto minuziosa per alcune cose, quanto menefreghista per altre. Perchè chissenefrega se il suo appartamento è minuscolo, chissenefrega se non ha un bel lavoro. Ha altro a cui pensare. E ogni volta che si accende una sigaretta pensa: troverò mai qualcuno che nasconda dentro si se tutti questi innominabili dettagli e che me li lascerà sfogliare uno a uno?
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Niall Horan, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

Su quell’autobus di periferia c’era poca gente, molti sedili erano liberi. Così, quando entrò, non si guardò neppure attorno e si sedette velocemente.

Fuori la pioggia ticchettava incessantemente, le piccole gocce si schiantavano al suolo e la loro caduta finiva così, con un rumore secco. Avevano raggiunto il traguardo, un lurido pezzo di asfalto e l’acqua si fondeva con la terra. Era un processo irreversibile: tutte le particelle raggruppate in un’unica goccia si sgretolavano, si separavano e non sarebbero mai più tornate compatte.

L’autobus procedeva a rilento, sebbene la strada fosse completamente deserta, ma era meglio così. Il suo piede cominciò a sbattere ritmicamente per terra, scandendo i secondi, accompagnando il lieve rumore del respiro che le usciva dalla bocca screpolata. Faceva freddo. Di quel freddo che ti entra dentro e ti intirizzisce i muscoli, che automaticamente si tendono e si irrigidiscono. Di quel freddo che accoltella le mani che, sorprese, non riescono più a muoversi velocemente e a rispondere perfettamente ai nostri comandi e alle quali un paio di guanti non farebbero male. Ma lei tanto i guanti non li usa e chissenefrega se ha freddo alle mani e  che già la tenera pelle attorno alle dita si comincia ad arrossare. Lei i guanti non li ha mai usati, e non li userà neppure adesso.

Un piccolo sospiro le scappa dalle labbra mentre fruga rumorosamente nella borsa appoggiata sulle gambe, in cerca degli auricolari.

Eppure -Cazzo- sussurra a denti stretti quando si accorge si non averli con se, probabilmente abbandonati sul divano di pelle rovinata marrone scuro del piccolo appartamento. Sbuffa sonoramente  e aggrotta le sopracciglia per poi adagiarsi sul sedile, stanca.

 Afferra il cellulare, lo sblocca pigramente  e un sorrisetto sfiora il suo volto: sullo schermo compare un viso deformato in una smorfia stupida, contornato da una disordinata chioma bionda. Anche oggi Chloe si era sbizzarrita a farsi selfie di nascosto e, come sempre, si era auto impostata come sfondo perché - così ti ricordi di quanto simpatica e superfica è la tua migliore amica - aveva detto. Sbatte più volte le ciglia, il sorrisetto ormai è evaporato, e appoggia la testa contro il vetro, sbattendo ad ogni sussulto provocato dall’autobus che non evita neanche una buca.

Gli occhi vagano disinteressati sulle sue gambe coperte da spessi collant e subito si fermano su un piccolo foro che, già lo sa, si trasformerà presto in una smagliatura. Cerca di spostare lo sguardo e di impegnarsi ad osservare gli altri passeggeri, ma nessuno è minimamente interessante  e quindi non degno di nota.


 Scrolla le spalle e inevitabilmente le sue dita corrono al piccolo buco stampato sulla coscia e, inevitabilmente, le sue unghie cominciano a tormentarlo, e ad allargarlo.

E mentre le sue dita si muovono i suoi occhi notano una minuta cavità nel vetro accanto a lei, probabilmente provocata da una botta involontaria oppure un difetto di fabbrica. E comincia a immaginare. Perché questi piccoli dettagli che nessuno nota le serpeggiano accanto, sibilando, la avvolgono e alla fine la catturano e stritolano. E poi, raramente, ci sono quelle minuzie che oltre a stritolarla, la avvelenano pian piano. Sono quelle imperfezioni che non riesce a notare subito, ma che richiedono un’attenta riflessione, uno sguardo assente ma profondo e fisso ma soprattutto che non hanno nessuna parola adatta a descriverle, perché è troppo difficile, è troppo personale è troppo sconvolgente, ed una cosa che solo lei riesce a sperimentare. E addirittura a volta le fanno persino pena, questi innominabili dettagli, perché tutti sono capaci di osservare una oggetto o una persona in modo superficiale e a considerarla nel suo insieme, ma chi accarezza mai con lo sguardo quelle piccolezze dimenticate da Dio? Ed è proprio questo il suo problema. Lei ama le imperfezioni, ma non è ancora riuscita a trovare nessuno che veramente capisse fino in fondo questa sua mente contorta, o meglio, qualcuno che avesse dentro di se quelle particolarità che la avvelenano, che le tolgono il fiato. Eppure, si ricorda di aver sentito che il mondo è pieno di imperfezioni.

 Ma dov’è quella che Lara aspetta da tutta la vita?
 
 
 
 




 
Quando una risata sguaiata e tremendamente acuta la raggiunse, Lara si riscosse e scosse il capo portandosi due dita alla tempia. Adesso il bus era molto più affollato, difatti si ci era molto avvicinati al centro della città, ed anche il traffico era oltremodo peggiorato. Per fortuna alla prossima fermata sarebbe scesa, tutti questi corpi ravvicinati la infastidivano, o più precisamente era l’odore che emanavano a infastidirla. Si perché, veramente, almeno il settanta percento della popolazione  puzza, è innegabile. Insomma che ci vuole, lavatevi!- era il pensiero che aveva attraversato innumerevoli volte il suo cervello.

Si sporse in avanti e schiacciò il pulsante che segnalava la fine del suo tragitto. Mentre il veicolo si avvicinava alla fermata sempre più vicina, Lara si alzò dallo scomodo sedile e le ginocchia scricchiolarono. Cominciò a spingere di lato la gente per uscire da quella giungla di corpi e poi, poco prima di raggiungere l’uscita pestò il piede di qualcuno. Ma non se ne curò neppure, se quegli smidollati non la lasciavano passare non era di certo colpa sua.

"Si chiede permesso." le urlò dietro una voce infastidita.

Lara si girò con un’espressione a dir poco seccata scolpita in volto e gli occhi di un ragazzo la trafissero con arroganza. Abbassò lo sguardo per incontrare un paio di converse bianche con l’impronta del suo anfibio impressa nella tela.

Le porte dell’autobus si aprirono improvvisamente e una folata di vento alleggerì l’aria chiusa che ristagnava nell’abitacolo.
"Le converse bianche sono più belle se usate e sporche… troppo bianche fanno schifo. Dovresti ringraziarmi." E mentre pronunciava le ultime sillabe i suoi piedi avevano già incontrato il nero asfalto della strada.

Si calò il cappuccio sui capelli e si tirò velocemente un po’ su le calze che le stavano leggermente scendendo e cominciò a camminare.

Ma ora neanche prestava attenzione al rumore delle gocce, no. Perché quel ragazzo aveva una minuscola macchia di vernice blu sulla manica della giacca, e lei l’aveva notata.








Buonasera!! Come state?
Questa è la prima storia che pubblico, o meglio, la prima che ho trovato il soraggio di condividere.
E finalmente l'ho fatto!
Ma passiamo a cosa importanti: il prologo. Serve sopratutto a cominciare a descrivere una delle protagoniste (ce ne saranno altre), ovvero Lara.
So che inizialmente può sembrare complicata, e che magari stufa anche, ma abbiate fiducia, e farò il possibile per spiegare la sua mente contorta in modo più comprensibile.

Bene, questo è tutto, vorrei sapere solo se secondo voi che leggete è il caso di continuare e magare provarci, oppure se è meglio direttamente cestinare ahahah. 

Un bacio a presto; spero.
G.

 
  
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