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Autore: Ninfea Blu    01/04/2014    26 recensioni
Sentimenti, pensieri e fantasie mai realizzate. Sogni impossibili alimentati negli anni di silenzio accanto a Oscar. Gelosia, desiderio mai appagato che corrode l'anima. Giunta al culmine, l'ombra di vetro è troppo fragile per non scheggiarsi. Come André arriverà alla famosa terribile notte e perché, suo malgrado, non avrebbe potuto evitare di arrivarci.
Riferimento al famigerato episodio "Un innamorato respinto", senza però stravolgere nulla.
Genere: Erotico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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cancro maligno

c ñ Ombre di vetro ñ d

 

 

 

 

 

 

Ci sono sere in cui maledico il destino.

E momenti in cui maledico me stesso.

Come adesso.

 

In sere come questa avverto l’infinità solitudine che divide e unisce le nostre esistenze.

Sarà colpa di questo inverno che ricopre di brina il più fragile stelo d’erba e disegna arabeschi congelati sui vetri delle finestre.

 

La sorte ci rese quasi fratelli.

Infanzia e adolescenza ci resero inseparabili. Siamo spiriti legati da catene invisibili, e stringono di più col passare degli anni, facendo sempre più male.

L’amara verità è che se il nostro fosse un vero legame di sangue darebbe meno dolore. La tragedia è che non ti puoi liberare.

 

Fissi attonita e assente i bagliori delle fiamme e rivolgi la mente altrove, oltre le mura e le ombre di questa stanza che ci costringe insieme, come ogni sera.

 

È solo un’ altra delle nostre abitudini.

 

Certe volte vorrei soltanto poter tornare bambino.

Se solo si potesse tornare indietro.

Fermarsi a quel tempo.

 

Tutto per essere lontano da qui.

Da te, ora.

Da questa brama nera che avvelena il rosso che scorre nelle vene.

Dalla voglia selvaggia che morde la mia carne e i miei pensieri.

Ti prenderei in piedi contro un muro e ti farei sentire cos’è un uomo. Ti farei scoprire la forza dell’eros che ci attraversa, divide e inevitabilmente unisce le nature differenti dei nostri corpi. Ti immagino mentre ti sciogli, muscoli che cedono, pelle che trema, respiro che si tramuta in ansito, liquido caldo che bagna le mie dita che ti scoprono donna.

 

Questi pensieri mi uccidono.

E ucciderebbero te, all’istante, se ne scorgessi le ombre grevi. Li tengo al guinzaglio, come cavalli demoniaci col terrore che possano un giorno liberarsi.

 

Ma conviverci è impresa titanica.

 

E allora, tento di guidare la mente e il ricordo su lidi di pace.

Vado a ritroso a rimescolare immagini sempre più remote di noi.

 

L’infanzia è un tempo felice troppo breve.

È una foglia rinsecchita che cade da un ramo spoglio.

È una calda e dorata estate che muore all’autunno. È un sentimento che si estingue nel rimpianto.

Giochi di bambini innocenti sono l’impronta di un ricordo, un graffio sulla pelle, i rimproveri degli adulti.

Le nostre voci di fanciulli che si rincorrono nell’aria di una stagione serena.

Sei tu, la prima volta che mi regali una spada.

Il suono metallico delle nostre lame che si incrociano in un duello fatto di gioia.

E mi chiedo se eravamo davvero noi, quelli.

 

Noi, così innocenti.

Un altro me stesso, ingenuo. Candido.

 

Non quest’ ombra di vetro, l’ uomo che mi restituisce lo specchio.

Si infrange se lo guardo troppo a lungo.

 

Allora rivolgo lo sguardo verso di te, mentre per qualche secondo, con tenerezza nascosta osservi tua madre ricamare alla bianca luce di una finestra. Mentre cammini per i corridoi di Versailles con la spada che ti batte lungo il fianco, mentre mi sorridi prima di addentare una mela o quando accarezzi delicata il muso di Caesar.

Gesti semplici, quotidiani come il pane, che possano cancellarne altri solo indovinati, celati sotto il tessuto torbido dei miei sogni.

 

Una fatica immane.

A ritroso mi ostino a inseguire una vecchia stagione dell’ innocenza.

 

I nostri sguardi adolescenti nascondono parole sigillate dal silenzio.

Se ne vanno i giochi, restano i doveri. Paiono così pesanti per le tue fragili membra.

Le labbra non si schiudono, sempre più avare di sorrisi e soffocano i sospiri.

Costretta dentro un’ uniforme bianca, grottesca veste nuziale che incorona il tuo destino, sei diventata un uomo, ma non per me.

Io non vedo altro che le acerbe, fresche grazie di una donna in boccio, che turba le mie prime fantasie. Sento accendersi le voglie che fanno tremare il mio corpo adolescente. E percepisco il tuo che cambia, si modella e diventa armonioso. Anche il tuo profumo mi sembra differente.

È il tempo in cui i sentimenti più intimi germogliano.

All’inizio sono tenere gemme, ma presto crescono e si fanno forti e robuste, e affondano radici profonde nella vita come nella terra.

Diventano amore.

Pare il fiore più bello.

Il più nobile e giusto.

 

Che menzogna.

Mi guardo allo specchio e la mia ombra ride di me.

 

Amore è una pianta invadente che se non trova sfogo, sa fare solo male.

Amore che non può dare frutto, se non manifesta sé stesso mostrando la sua stupenda corolla, avvizzisce e diventa un cancro maligno.

Ti corrode, ti sfibra. Ti succhia le forze vitali.

Poco a poco.

Come un parassita si annida nel tuo sangue, nel cervello.

Si nutre di te, ti possiede.

 

In una sera come questa, uguale e diversa a mille altre vissute dietro le mura della tua casa, la luna si nasconde per la tristezza, io barcollo alla luce tremolante di una lanterna, e mi capita di sentirmi perso. Orribilmente solo.

 

E penso lo sarò sempre per colpa di quest’ amore sepolto nel cuore.

Vorrei liberarlo al mondo.

Lasciarlo andare.

 

Avverto la sua forza; è amore segreto e bruciante.

Inconfessato e inconfessabile.

Scotta il cuore, sevizia la mente con sogni impossibili e non può gridare il suo dolore, mentre la gelosia più feroce divora il pensiero e l’intelletto.

Devo tacere e soffocare anche la speranza che prova a sollevarsi, ma le sue ali sono tarpate. Resta chiusa tra le pareti di legno di una stalla, affondata tra la paglia dove annego la stanchezza del mio corpo, tra il fiato dei cavalli che mi scalda la faccia.

E ti penso qui con me a confondere l’odore della tua pelle liscia con quello del fieno caldo che si infila tra i capelli e i vestiti, e solletica i nostri corpi eccitati.

 

Vorrei non rialzarmi domattina, ma il primo raggio di sole che accarezzerà il mio volto, sarà come un secchio d’ acqua gelata rovesciata addosso.

 

Viaggio al tuo fianco disarmato e stanco, davanti alla tua pena specchio della mia, che provi per un altro. Non posso difendermi dalle lacrime invisibili che versi per lui.

Porto in fronte la corona di spine di un amore segreto.

 

Vedo che lo ami.

Ma io ti amo di più.

Sento che lo pensi.

Ma io ti sento di più.

 

Non potrà amarti mai.

Tu lo sai e ti tormenti.

Come saprei amarti io. [1]

Nessuno saprebbe mai.

Neppure lui.

E mi tormenti e non lo sai.

 

Lui invade i tuoi sogni inquieti.

Con la prima rugiada di ogni mattina, impalpabile fantasma d’amore, tu abbandoni i miei.

Lo so che desideri lui…

Ma non sai che di notte possiedi me.

Così diventi sale su una ferita.

Sei sete che non si placa.

Acqua che non disseta.

Amante evanescente di notti fredde e impossibili.

 

 

Ma quanto può sopportare un uomo prima di impazzire?

Dove può fuggire quando si sente morire di solitudine?

Quanti giorni e notti ancora dovrò attraversare questo Stige che si rinnova come gli inverni della nostra vita? Non avremo mai nient’altro che questa sofferenza, mitigata appena da qualche pallido sorriso che sorge ostinato sulla cenere dei sogni ogni stupida mattina.

 

Osservo la tua schiena e l’onda dei tuoi capelli scivola leggera sul lino della camicia. Solo io colgo la lieve curva delle tue spalle gravate dal peso di pensieri troppo tristi, che non riesci ad allontanare.

 

È l’ assenza che fa male.

Il cuore soffoca, oppresso.

È da lei, anche stanotte. L’ennesimo incontro degli amanti.

Ma io sono qui.

E brucio come stai bruciando tu.

Nel buio della tua solitudine.

Nel silenzio che non osiamo infrangere.

 

Siamo come ombre di vetro.

 

Ti ho avvolto nel mio mantello, mentre correvamo nella notte, lungo uno dei ponti che tagliano la Senna. Alla luce delle lanterne le nostre lunghe ombre salivano come fantasmi neri sulle pareti delle case.

Sotto la pioggia che ci frustrava, cosa avrei dato per rapirti e portarti lontano, stretta nel mio abbraccio. Soffocarti nel mio respiro, schiacciarti sotto un arco, aprirti il mantello, la divisa, i merletti della tua camicia e divorarti con la forza mai sazia dei miei baci, toglierti la memoria di lui e sentire la tua resa nei pugni che si aprono contro il mio petto che si fonde col tuo.

Certe sere, il pensiero mi trascina e dà forma al mio sogno folle e peccaminoso.

Ti bacio e improvvisamente il mondo mi appare capovolto, una porta si apre sotto le tue spalle, e noi precipitiamo dentro uno sull’altro, in un letto fatto per gli amanti che accoglie i nostri corpi.

Il mio sul tuo.

Mi pare di affondare in un deliquio, immagino di pesarti addosso, di sentire la morbidezza delle tue carni, le tue cosce che si aprono, le tue mani che mi trattengono.

Pensieri maledetti.

Sento l’eccitazione che pulsa dentro i miei pantaloni.

Poi la densità della nebbia che avvolge e inganna i miei sensi si apre, la tua voce mi chiama e io non la riconosco.

 

Piano, metto a fuoco la tua immagine.

Hai in mano un boccale di birra che porti alla labbra.

E realizzo dove siamo: al tavolo di una locanda, ambiente dominato qua e là dalla penombra di qualche moccolo di candela che va spegnendosi, e non ricordo come ci siamo arrivati, né per quali oscure e misere vie di Parigi siamo passati.

Ricordo solo la pioggia.

L’ umidità che entra nelle ossa e l’ odore selvatico dei nostri cavalli bagnati.

I nostri mantelli pesanti gocciolano sul pavimento dove una pozza d’acqua si allarga.

Si è formata con le mie lacrime mischiate alle tue.

 

 

Riflessa nel vetro unto del bicchiere la mia ombra continua a ridere di me.

Non la reggo più.

Tento di scacciarla, di ignorare il suo ghigno beffardo, ma già mi pare di sentire il suono sinistro del vetro che si scheggia.

 

Forse è l’alcool, i vestiti fradici, ma avverto qualcosa di viscido che mi assale: è la sensazione strisciante della paura.

 

I frammenti ci colpiranno al cuore.

 

 

 

§§§§

 

 

 

 

È sempre bella l’ estate in Normandia.

Mi piace quando veniamo qui sulla spiaggia. Il mio cuore è più sereno, la mia mente più libera quando riesco a trattenere in un’ altra stanza, i sogni famelici di te. Hai una luce diversa che emana dalla tua persona. Mi illudo per un momento che certi pensieri possano abbandonarmi e lasciarmi tranquillo, ma non è vero.

Basta niente a ridestarli.

 

Lasciamo i cavalli e ci sdraiamo sulla sabbia calda.

Togli le scarpe, sfili le calze e resti così, con i piedi e polpacci nudi, un lembo di pelle che posso rubare indisturbato, mangiare con gli occhi.

Le tue caviglie sono così sottili, sembrano così delicate per sopportare il tuo passo marziale. È troppo facile immaginare il resto, il ginocchio, la coscia sotto i pantaloni maschili che rivelano più che nascondere le tue forme di donna.

 

Passano due minuti e ti alzi, ti avvii verso il bagnasciuga e resti lì, ferma a guardare l’orizzonte immobile. La brezza muove appena i tuoi capelli.

Ecco che torna quella sensazione famigliare che mi fa star male.

 

Potrei indovinare a cosa pensi.

Sempre lui.

Perché non puoi lasciarlo andare?

E perché io non posso lasciare andare te?

Lasciami entrare.

Voglio un posto dentro di te, nel segreto più profondo del tuo essere, nei tuoi occhi mutevoli come l’estate, nelle tue braccia aperte quando accogli Rosalie.

Sono quasi un fratello, ma non mi abbracci mai.

Non intenzionalmente.

 

Rosalie viene a distrarmi, mi chiede di aiutarla a cercare delle conchiglie lungo la riva; vuole farne una collana da regalare a mia nonna, quando torneremo a casa.

Io naturalmente la seguo, solo perché mi aiuta a non pensare troppo alle mie fantasie che il caldo rende più accese.

 

Mi sforzo di ignorare gli impulsi del corpo, i messaggi naturali che lancia.

Dio quant’ è difficile.

Il più piccolo particolare di te attraversa ogni immagine della mente: la piega accennata delle labbra umide, il movimento delle tue mani che sfogliano un libro, o trattengono lo stelo di un bicchiere, la tua guancia che si appoggia mollemente su un cuscino del soggiorno.

Ti vorrei appoggiata sul mio petto, scopriresti il tumulto sordo di un cuore impazzito, sempre sul punto di esplodere.

 

Invidio il vento che soffia sulla costa e mentre cavalchi sulla battigia, investe il tuo corpo, ti accarezza e ti modella la camicia addosso. Invidio la pioggia che ti bacia le labbra schiuse, invidio il sole che scalda il tuo corpo come un amante premuroso.

Sei così donna, maledizione.

Sei così terribilmente sensuale e inconsapevole di esserlo in ogni più piccolo gesto insignificante. Sono pochissime le donne che hanno un tale dono, ma sono pochi gli uomini che sanno riconoscerlo.

 

Mi stanco in fretta di cercare conchiglie. Non passa molto che sollevo lo sguardo da terra e mi volto nella tua direzione; non sei più sulla riva, sei tornata a sdraiarti sulla sabbia.

Rosalie si è già dimenticata di me, troppo presa dalla sua ricerca.

E io vengo preso dall’impulso irrefrenabile di raggiungerti.

Vorrei farlo di corsa, ma cammino lentamente.

Ti sono accanto, e allora, mi accorgo che forse stai dormendo. I tuoi occhi sono chiusi e hai un braccio alzato sopra la testa e intanto, noto altri piccoli dettagli: lo scollo della camicia è un poco più aperto fino all’incavo del seno che rivela una lieve rotondità, le maniche sono arrotolate all’altezza del gomito, anche i pantaloni sono alzati sopra il ginocchio. Percorro il tuo corpo con lo sguardo e siedo vicino a te, con le ginocchia piegate, una contro la sabbia e l’altra a reggere un braccio.

Non ho mai toccato la tua pelle, ma il desiderio di poterlo fare perseguita la mia fantasia da anni. Vedo la mia mano allungarsi verso la tua caviglia, immagino le mie dita risalire lente e lievi come una carezza lungo la gamba. Potrei accucciarmi su di te e posare un bacio nell’incavo del collo. Perché non farlo ora? Non te ne accorgeresti nemmeno. La tentazione è enorme. La tua gamba. Solo la tua gamba.

È così vicina. Un invito.

Potrei toccarla, sfiorarla con un dito, sentire la consistenza della tua pelle.

Un istante prima che la mia mano si muova, incontro i tuoi occhi aperti che mi stanno osservando.

 

Sento il brivido della paura assalirmi e spero solo tu non lo colga. Torna indietro ombra di vetro. Non so da quanto i tuoi occhi mi stanno fissando.

Una nuvola ha nascosto il sole.

 

 

Cambia la luce, e l’istante fa riaffiorare un ricordo non troppo lontano.

Un luogo diverso e uguale a sempre.

Parigi, città dei nostri dolori.

Era qualche sera prima della nostra partenza per venire quaggiù.

 

Camminavamo per strada e ci sorreggevamo a vicenda, senza avere la forza di montare in sella ai nostri destrieri, troppo ubriachi e malconci dopo una rissa in una taverna.

Nessuno si accorge mai che sei una donna.

Nessuno in quella locanda se n’ era accorto. Un gran bel soldato, ha detto quel tipo che voleva offrirti da bere.

Già, il soldato più bello del mondo.

 

Io me ne accorgo sempre che sei una donna, anche quando indossi l’uniforme. Me ne accorgo quando duelliamo e incrociamo le nostre spade in una danza.

Se ne accorge il mio corpo, quelle rare volte che entra in contatto col tuo.

Lo sento dal tuo profumo, dalla tua voce, lo percepisco nei tuoi movimenti, anche quelli che vorrebbero essere maschili. Lo vedo anche ora.

 

Il tuo corpo disteso sulla sabbia, così abbandonato non può ingannarmi.

Lo sento nei brividi violenti che corrono sulla mia pelle, dalla saliva che si asciuga nella mia bocca, dal desiderio feroce che avrei di baciarti.

 

Dalla brama che ho di fare l’amore con te. Annullarmi tutto in te.

Non bastano le altre a sopirti nei miei pensieri e il sesso occasionale non è mai stato un rimedio.

Affondo con rabbia in un corpo morbido e sconosciuto, e grido il tuo nome al culmine dell’amplesso.

 

Sei una bella donna.

 

Un giorno te lo griderò in faccia, e tu non potrai fare a meno di ascoltarmi.

 

Potrei arrivare al punto di non saperlo nascondere quanto sei bella, magari tu stessa avvertirai la necessità di mostrarlo.

Ho paura che quel giorno ci faremo talmente male che sanguineremo.

 

 

 

§§§§

 

 

 

L’ombra di vetro è un estraneo ostile riflesso nel tuo sguardo.

Temevo da sempre questo incontro.

 

Dov’ è l’ amico stasera? È un uomo offeso che tu, spietata metti alla porta?

È un servo che non rinuncia?

 

Devi sentire cos’ è un uomo, e devi sentirlo come una donna che pensa di poter essere un uomo. E tu non immagini che cosa provo.

Non lo hai mai immaginato in tutti questi anni che mi hanno inseguito come cani affamati.

Non basta la tua rabbia a fermarmi, quella che brucia il tuo sguardo e avvelena la tua voce, e che in un qualsiasi momento diverso da ora, mi avrebbe paralizzato oltre quella soglia che non ho mai osato oltrepassare.

Semplicemente nulla riesce più a soffocare questo amore scomodo che m’ invade come un nemico che reclama il suo spazio, che vuole prendersi quello che crede sia suo.

 

I tuoi polsi sono così sottili e fragili nelle mie mani. Potrei stringere le mie dita e fermare il tuo sangue che corre spinto dalla paura. La sento, e non m’ importa. Sono troppo oltre, ormai.

E tu hai lanciato una sfida di troppo a un uomo che forse non ha più nulla da perdere.

In questo momento sono soltanto un folle.

 

Ogni pensiero di raziocinio è volato via come una foglia morta strappata al ramo dell’albero che la tratteneva. Un uomo è anche questo.

Non sono altro che carne, sangue, pulsioni che esplodono e mi governano.

 

Forse non è più nemmeno amore.

Forse è solo disperazione.

 

La mia bocca avida sulla tua sconosciuta.

La mia lingua che ti cerca come un assetato.

Il tuo corpo tiepido, tremante sotto il mio.

Il tuo sapore morbido, eccitante come il vino speziato m’inquina il sangue e il cervello.

Le tue forme solo immaginate si fanno carne dolce e tenera, pelle bianca profumata e velluto sulle dita.

 

Tu vai al di là di ogni sogno, sei oltre ogni umana immaginazione.

Sei realtà che devasta.

 

Sento la nostra diversa paura: la mia di andare oltre, la tua di non resistere.

 

Ma sono io che non resisto.

E per un lungo terribile attimo mi perdo nell’ombra di vetro che mi ha raggiunto.

 

Il desiderio rischia di trasformarsi in lussuria violenta.

Istinto primordiale.

Neppure le tue urla sembrano scoraggiarmi.

Forse nemmeno le sento, troppo accecato dal mio delirio, da non vedere l’abisso in cui sto per cadere. Non sono sicuro che riuscirò a fermarmi, in realtà nemmeno lo voglio.

Voglio solo essere posseduto da questa febbre che manda il mio corpo in estasi.

 

Sotto le mie mani sacrileghe oso violare il lino discreto che ti protegge alla mia vista e mi svela il tuo seno candido di giglio.

 

Improvviso, qualcosa tra noi si strappa, lacerante come lama di spada.

Solo adesso lo stupore mi blocca.

 

Chiuso nel pugno a mezz’aria resta un brandello d’innocenza che dopo pochi istanti cade leggero nell’aria immobile della stanza.

Tocca il suolo e mi pare di sentire il suono di uno specchio infrangersi.

I frammenti sono schegge impazzite; trapassano i nostri cuori gonfi e doloranti, gli occhi spalancati, i corpi umiliati.

Nel tuo sguardo sgomento e atterrito scorgo l’oscurità del mio volto.

E tu smarrita stai guardando chi non riconosci.

 

Le tue parole amare sono orgoglio ferito che mi dilania le carni.

 

Le tue lacrime sono fiumi che mi investono, in cui vorrei annegare; abbattono qualsiasi argine e bruciano come ferri roventi, marchiandomi a fuoco l’anima d’infamia.

E mi sento come un ladro.

O forse peggio; sono un assassino e stanotte ho ucciso ogni speranza.

 

Ora lo vedo l’abisso, e mi sembra spaventoso.

Vedo il rosso che sporca le tue lenzuola.

 

L’ombra di vetro che mi perseguitava ha vinto.

Ora è fuggita, ma ha lasciato qui un miserabile in lacrime, salate e amare quanto la disperazione.

 

Chiedo perdono senza meritarlo.

 

La mia colpa è aver lasciato crescere i miei desideri più oscuri, li ho inseguiti, custoditi come fossero tesori segreti di cui inebriarmi, e nella mia follia li ho alimentati al fuoco distruttivo di una passione bruciante. Ho dato loro troppo potere.

Hanno oltrepassato tutte le barriere, tutti i divieti, hanno attraversato le ombre di vetro dietro cui si celavano, e loro, come belve ormai indomabili e incontenibili hanno preso il sopravvento.

 

Ormai è troppo tardi, non può esserci rimedio all’irreparabile.

Eppure, devi sapere tutto.

 

So che non puoi assolvermi, non posso farlo neppure io, salvo umiliare me stesso fino all’estremo limite.

 

Non oso guardarti mentre confesso con dolore e rimorso che io ti amo.

 

Ti ho sempre amato.

Con rassegnazione e sfinimento. Era così e basta.

Solo te e nessun altro.

 

Che inutile follia.

 

Mai parole furono più stonate.

Mai furono dette in tempo più vano.

 

Sanguina spezzata, la catena che ci legava.

 

 

 

Fine

 

 

Dunque, eccolo qui, il mio personale riferimento al famigerato episodio “Un innamorato respinto”, nulla di sostanzialmente differente.

Mi interessava mostrare quello che lo precede, come e perché André arriva a quel momento, ed è quasi inevitabile che ci arrivi. Ma intendiamoci, non per questo lo giustifico: ai miei occhi, quella di André resta comunque una violenza, e si ferma appena in tempo, prima di commettere l’irreparabile. Ho sempre pensato che i sentimenti, il dolore, la gelosia, l’amore soffocato, sogni e fantasie mai realizzate in vent’anni, tutto quel carico eri lì che premeva da tanto tempo per uscire, e il nostro ci avrà messo del suo per renderlo più pesante. Ho immaginato i pensieri più onirici e surreali di André, quelli mai confessati che lo hanno accompagnato e tormentato attraverso gli anni, culminati tutti in quella sera terribile, un po’ anche per colpa di Oscar.

Spero vi sia piaciuta, ma attendo eventuali critiche e punti di vista diversi. Un saluto.

 

 

 

 



[1]  Frase chiaramente ispirata alla canzone omonima di Giorgia

   
 
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