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Autore: AnnabethJackson    01/04/2014    14 recensioni
| Percabeth | Thaluke | AU |
Annabeth ha una bella vita, con due genitori e un fratellino cui vuole un bene infinito, tre migliori amiche e un ragazzo che la ama. Almeno, questo è quello che crede lei finché, una tranquilla sera di fine estate, muore.
Si ritrova, all'improvviso, in un altra dimensione. Annabeth è un fantasma che vaga nello spazio tra la terra e la pace.
Non può passare oltre finché non elabora le cinque fasi del lutto: negazione, rabbia, patteggiamento, tristezza e accettazione.
Ma non ce la può fare da sola. Con l'aiuto di Percy, Anima Persa e compagno di avventure, Annabeth capisce finalmente un sacco di cose.
Che il matrimonio dei suoi genitori sta andando a rotoli.
Che suo fratello non riesce a perdonarle di essere morta.
Che la sua migliore amica l'ha tradita.
E che l'amore, come lei l'ha conosciuto, non esiste.
________
Dal Testo:
"Il momento prima ero viva. Quello dopo ero morta. Di crepacuore. Già, proprio così, il cuore mi si era spezzato in due. Letteralmente. Bella sfiga, penserete. E avete ragione.
Beh, almeno non sono morta di Domenica, o Natale, o Pasqua. Ho fatto un favore a tutti morendo di Mercoledì.
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Luke Castellan, Percy Jackson, Talia Grace
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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May the love be always with you






1. Scopro dove è finita la signora Kyle dopo il free climbing







 
Uragani, terremoti, eruzioni vulcaniche, incidenti d'auto, attentati terroristici.
Accendevo la tv e la prima notizia che la signora in tailleur, seduta dietro alla scrivania di vetro, annunciava, riguardava quasi sempre la morte di qualche politico, cantante, attore e, nelle rare volte in cui il reportage era veramente curioso, di una persona comune, come il vecchietto che abitava in fondo alla via.
Ma come faceva, la morte, ad essere curiosa?
Quando la signora Kyle, che tutte le Domeniche mi chiamava per innaffiare i fiori della veranda pagandomi con una discreta sommetta, era stata portata all'ospedale con urgenza dopo esser caduta da un precipizio facendo free climbing, la notizia era subito trapelata tra i vicini, di bocca in bocca. Tutti erano curiosi di conoscere cosa le fosse accaduto; persino mia madre, che era la persona meno pettegola che conoscevo, quel Sabato mattina si era presentata alla porta della signora Dixon, la ciarlona del vicinato, con in mano una teglia di biscotti appena sfornati, e non era più uscita da quella casa fino a mezzogiorno, quando era dovuta per forza andare a lavoro. Poi il giorno dopo, a pranzo, aveva raccontato ai presenti tutto quello che la signora Dixon aveva ciarlato riguardo alla vicenda, tutta contenta di avere anche lei qualcosa di interessante da dire. Qualcosa che non fosse uno dei casi soporiferi dell'ospedale in cui lavorava.
Ecco come una morte interessante poteva risvegliare l'istinto femminile delle chiacchiere a Island Cost. Dopotutto, essendo una piccola cittadella poco fuori San Francisco, di rado capitava che succedesse qualcosa di tragico e, allo stesso tempo, interessante come la morte di una persona che faceva free climbing; quindi la notizia era, in poco tempo, sulla bocca di tutti.
Ora, come stavo dicendo prima, al telegiornale passavano solo notizie che destavano la curiosità dei telespettatori. Tutti ricordavano la morte di Michael Jackson, Freddy Mercury e Merilyn Monroe. Ma nessun tg avrebbe mai trasmesso la notizia della morte di un cane investito da un ubriaco a mezzanotte, né avrebbe mai narrato la storia del quarantenne, vittima di un cancro ai polmoni, che aveva lasciato una moglie e due figlie a piangere la sua scomparsa.
E, sicuramente, le regole non sarebbero cambiate per una comune ragazza.
Nessuno avrebbe pagato per sentirsi raccontare di come una sedicenne, figlia modello, sorella premurosa, studentessa tutt'altro che discreta, amica leale e fidanzata fedele, fosse morta.
E se ve lo steste chiedendo; sì, ero io.
Ma prima di raccontarvi la mia storia vorrei mettere in guardia voi. L'amore vero non esiste. È inutile che fantastichiate su storie d'amore eterno, di quel genere che va oltre la morte.
Non esiste, punto.
Mi dispiace di aver infranto i vostri sogni idilliaci con questa mia uscita, ma vi garantisco che è meglio se l'abbiate scoperto da me piuttosto che sperimentarlo di prima persona. Ve lo dice una che è morta per amore. Letteralmente.
Ma una cosa per volta.
Stavamo parlando di amore, giusto? Andiamo, chi non si è mai preso una cotta per il fratello della migliore amica, troppo grande ma perfetto da sognare ad occhi aperti? E che mi dite del vicino, lo stesso che ogni mattina spiavi dalla finestra di camera tua mentre usciva di casa, con i capelli arruffati al vento, lo zaino in spalla e gli auricolari nelle orecchie? Insomma non potete dirmi che non vi è mai capitato! È scientificamente dimostrato che almeno una volta nella vita, nell'arco di età compresa tra i 10 e i 18 anni, ci si innamori perdutamente di uno dei ragazzi sopra citati.
Distinguendo i casi, c'è chi si innamora del proprio migliore amico, colui che conosci da sempre, il tuo compagno di avventure che non avresti mai visto che possibile fidanzato. E poi, nei casi più rari, c'è il ragazzo del corridoio, quello che hai sempre ignorato perché ritenevi troppo sfigato per avvicinarti e che all'improvviso ti si para davanti sorridendo, un giorno in cui il sole splende.
E bum! Sei completamente fregata.
Vieni travolta dalla storia d'amore più romantica e passionale che potevi immaginare. Tutto risplende; quando ti siedi a fare colazione e la mamma ti chiede se vuoi il bacon o i cereali, tu sorridi ed annuisci. Seduta al banco, scarabocchi sul tuo quaderno di matematica il nome del fortunato ragazzo che ti ha rubato il cuore, più e più volte. Tappezzi l'armadietto di foto che vi ritraggono assieme, sorridenti e raggianti, così ogni volta che lo apri puoi sospirare, ripensando al momento in cui l'avete scattata. Niente può scalfire la tua felicità, né un brutto voto, né la scoperta che in mensa danno ancora il polpettone con i capelli della cuoca dentro.
Le tue migliori amiche vengono contagiate dal clima brioso che tu irradi. Sospirano ogni volta che lui ti abbraccia da dietro, in mezzo al corridoio, coprendoti gli occhi con le mani e facendo quello stupido giochetto del “Chi è?” che, se ci penso ora, è la stronzata più grande del mondo.
Anche i tuoi genitori sembrano apprezzare il ragazzo, influenzati dal fatto che porta sempre gigli freschi a tua mamma e libri di storia a tuo papà.
Passate pomeriggi magnifici a ridere e scherzare ma è inevitabile che prima o poi succeda. C'era da aspettarselo fin dall'inizio.
Tutto finisce.
E nel mio caso, finisce per sempre.
Ora siete curiosi, vero? Ammettetelo che, però, prima non lo eravate affatto!
La mia storia parte proprio da qui. Dalla fine della mia breve vita.
Mi chiamavo Annabeth Chase e avevo la bellezza di sedici anni, quasi all'alba dei diciassette. Ora, starete pensando che per essere così sfigata da morire giovane dovevo aver avuto qualche genere di problema, magari famigliari, oppure di droga. Ma, se devo essere sincera, non era affatto così. La vita, prima che morissi, mi stava andando proprio alla grande.
Abitavo in una modesta casa nella cittadina di Island Cost, frutto dei sacrifici dei miei genitori. Avevo una madre e un padre fantastici, con un lavoro fisso e cospicuo, un fratellino, Malcolm, a cui volevo molto bene e un cane, la signora O'Leary, che scoreggiava ogni volta che mangiava lasagne.
Problemi a scuola?, vi starete chiedendo. Beh, no. Io, Piper McLean, Rachel Dare e Thalia Grace eravamo migliori amiche praticamente da sempre. Ma non migliori amiche del genere “il primo ragazzo carino che incontri te lo rubo”. No, no, assolutamente! La nostra amicizia era nettamente superiore a queste sottigliezze. C'eravamo una per le altre ma il mio legame con Thalia era diverso. Volevo un bene dell'anima anche a Piper e Rachel, ma Thalia Grace era come una sorella. L'amica migliore in assoluto che potessi trovare. Avevamo pure deciso di tatuarci un cuore con le nostre iniziali sul polso una volta raggiunta la maggiore età che, ovviamente, io non compirò mai.
La mia vita era perfetta anche dal punto di vista sentimentale. Erano passati quasi due anni da quando Luke Castellan, capelli biondi e occhi azzurri, mi aveva baciato sotto l'albero di casa sua, durante una delle feste megagalattiche che organizzava. Luke non era solo il mio ragazzo, ma anche un amico sincero e leale a cui potevo confidare qualsiasi cosa. Sapeva ascoltarmi nei momenti di bisogno e, per qualsiasi problema, sapevo di poter contare sul suo aiuto. Niente e nessuno avrebbe potuto intralciare il nostro rapporto. Io amavo lui e lui amava me.
Almeno, era quello che credevo io.
Di certo, quella sera, quando mi precipitai fuori casa dopo che lui ebbe suonato il clacson dell'auto, non avevo immaginato che la sua era tutta una finzione e che di lì a qualche ora sarei morta per colpa di tre parole. Le peggiori tre parole del mondo; le stesse che ogni ragazza, e donna, innamorata non avrebbe mai voluto sentirsi dire.
Era iniziato tutto nel solito modo. Una cenetta romantica per addolcire la pillola, sorrisi di circostanza ma uno strano silenzio imbarazzante in auto. Ero carina; indossavo il vestitino bianco in pizzo, quello che io, Piper, Rachel e Thalia avevamo visto nella della Boutique Olympus in centro e che subito aveva rapito il mio cuore. Ironia della sorte. Pure lui era vestito bene anche se sapevo perfettamente che odiava il frac e la cravatta. Un jeans e una camicia stirati erano il massimo dell'eleganza che potessi aspettarmi da lui. Ma sapevo accontentarmi.
Luke aveva guidato fino al ristorante dei suoi genitori e, come al solito, aveva fatto il giro dell'auto per venire ad aprirmi la portiera. Quel gesto mi aveva tranquillizzata. Non importava se era stato in silenzio per tutto il viaggio, e non importava se non aveva commentato il mio look. Insomma non ero certo quel genere di ragazza che pretendeva di essere ricoperta di complimenti costantemente dal suo fidanzato. Ma quel gesto di cavalleria era riuscito a cancellare i dubbi che mi erano venuti in macchina. Tutto andava bene.
Avevamo mangiato le bistecche alla griglia con contorno di patatine fritte, il nostro piatto preferito. Sua mamma era venuta a salutarci durante il dessert ma Luke l'aveva congedata in fretta, senza il sorriso che, di solito, illuminava il suo volto. Era stato allora che avevo capito.
Stava per succedere quello che non volevo che succedesse.
E io non ero pronta.
-Ascolta, tu sei carina, molto carina. Ti voglio un mondo di bene, davvero. Ma, ecco, il punto è che... beh... okay, non c'è un modo gentile per dirlo quindi meglio se lo faccio subito.- dopo quel discorso iniziale le pulsazioni del mio cuore erano aumentate e un terrore gelido mi si era insinuato sotto la pelle, i peli delle braccia si erano rizzati per i brividi. Il panico aveva raggiunto lo stomaco stringendolo in una morsa ferrea.
NON ero pronta!
-Non ti amo.- netto, puntuale, efficace.
Il momento prima ero viva. Quello dopo ero morta. Di crepacuore. Già, proprio così, il cuore mi si era spezzato in due. Letteralmente. Bella sfiga, penserete. E avete ragione.
Beh, almeno non sono morta di Domenica, o Natale, o Pasqua. Ho fatto un favore a tutti morendo di Mercoledì.
La Domenica e il Sabato sono brutti giorni per morire perché coincidono con il week-end, e tutti sanno che il fine settimana è la reliquia degli adolescenti, esentati dalle lezioni. È una reliquia anche per i genitori che, poveri, devono lavorare tutti i giorni per incessanti ore.
Anche il Venerdì è un brutto giorno per andarsene. E' quello che precede il fine settimana e nessuno vuole ricevere brutte notizie prima dei giorni di riposo.
Per non parlare, poi, del Lunedì. Santo Cielo, credo sia il giorno peggiore in assoluto. Il Lunedì si ritorna a scuola, al lavoro e alla solita routine noiosa. Il clima è grigio. Se poi, tirando le somme di fine giornata, si aggiunge anche la morte di una persona, beh... non augurerei mai a nessuno di provare. Rischiate seriamente di morire di depressione.
In qualsiasi caso credo di aver fatto quasi un favore ai miei. Ho salvato mia madre dall'ennesima operazione al cervello e mio padre da una noiosa lezione di storia su come, nel 301 d.C. in Grecia, si svolsero i giochi della CCLXX (numero troppo grande e troppo noioso perché io abbia la forza di tradurvelo) Olimpiade. Insomma il 301 d.C. è ricordato per l'editto dei prezzi!
Ero una secchiona? Sì, ma tutto quello che sapevo della storia era merito di mio padre che insegnava storia all'università di San Francisco.
Tra mia madre e mio padre non saprei scegliere chi dei due era più noioso.
Comunque, stavamo parlando della mia morte avvenuta per crepacuore. Non avevo alcun tipo di malattia ereditaria o chessò io... il mio cuore era forte e sano, e funzionava alla grande.
Facevo parte della squadra di atletica della scuola, specializzata nei 100 metri ad ostacoli. Amavo correre. Amavo sentire il vento sferzante tra i capelli. Amavo spingermi fino a che i polmoni non imploravano aria. E, sopratutto, amavo saltare, quel movimento in cui porti una gamba al petto, piegata, e l'altra la distendi dietro di te.
Mi sentivo viva.
Ovvero il contrario di come mi ero sentita dopo.
Non.
Ti.
Amo.
Morta. Ero morta.
Non posso dire di non aver mai provato paura pensando alla morte ma tutto era successo così all'improvviso che, quando avevo realizzato l'imminente avvenimento, ero già morta.
Dopo quella frase, pronunciata da Luke, avevo sentito un dolore lancinante al petto e mi ero accasciata sul tavolo, quando tutto si era fatto nero. Avevo esalato un ultimo respiro ed ero morta.
-Annabeth!- ecco la prima cosa che sentii dall'altra parte.
«Fantastico. Non solo l'ultima voce che sento è quella del ragazzo che mi ha spezzato il cuore, ma è anche la prima.» pensai, in piedi accanto al tavolo dove il mio corpo giaceva esanime e il mio, ormai, ex ragazzo chiamava aiuto a gran voce, nel completo panico.
Poi me ne stetti lì, così, a guardare la gente che accorreva, l'ambulanza, i paramedici e il successivo trasporto del mio corpo su una barella. Il locale era nel completo caos ma, in quel momento, ero sospesa in uno stato di post trauma.
Insomma, ero morta!
Non so dirvi ciò che accadde dopo anche se continuavo a seguire il mio corpo, ovunque veniva portato.
Osservavo la scena oggettivamente, guardando lo sconforto negli occhi di mamma e papà quando entrarono a grandi passi da quella porta a doppi battenti, l'entrata dell'obitorio. Mamma indossava ancora il camice bianco della divisa e papà aveva gli occhiali sulla testa, dove, puntualmente, metteva ogni volta che doveva affrontare una questione seria.
Buffo, visto che assomigliava ad un cinquantenne diretto in spiaggia.
Vidi mamma cadere sul lettino dove era appoggiato il mio corpo, coperto fino alle clavicole con un telo bianco. Per lo meno avevano avuto il pudore di coprirmi.
Il pianto disperato, accompagnato da singhiozzi a stento trattenuti, della mamma sembrò influenzare anche papà che appoggiò una mano sulla mia gamba, abbassò il capo pianse. Le spalle gli si abbassavano e alzavano a scatti.
«No, no, vi prego! Non piangete... io sono qui.» pensai mentre le lacrime bagnavano anche le mie guance. «Io sono qui...»
Ma loro non mi sentivano, non potevano sentirmi. Io ero morta e la prova era lì, adagiata su un lettino verde ospedaliero. Al pollicione del piede destro era legato un cartellino.

 
NOME DECEDUTO: Annabeth Chase
GIORNO E ORA DEL DECESSO: 13 Agosto 2013, circa 20.32
CAUSA DEL DECESSO: Cardiomiopatia congestizia acuta
 
In altre parole: insufficienza cardiaca. Il che era completamente errato.
Nella stanza entrò un medico con una cartellina rossa in mano. Lo vidi mettersi al lato opposto del mio corpo, in modo che potesse vedere i miei genitori in faccia. Parlò, parlò e parlò ma io non lo ascoltai e lo stesso sembrarono fare mamma e papà che, però, alla fine annuirono.
Non so quanto tempo dopo, non so se di giorno, di pomeriggio o di sera, ma ad un certo punto, da quella porta entrò l'ultima persona che, al memento, volevo che vedesse il mio corpo.
Malcolm.
Il mio fratellino.
Che non piangeva.
E non gridava.
«Malcolm.» da quando ero stata portata lì non mi ero più mossa, ma in quel momento, con il mio fratellino a pochi passi, mi avvicinai. «Malcolm sono io.» allungai una mano, per appoggiarla sulla sua spalla ma mancai la presa. La mia mano trapassò il suo corpo.
Fu solo allora che me ne accorsi veramente.
Ero morta.
Ed ero diventata un fantasma.
















Annabeth's Corner:
Sì, esatto sono io e no, non avete problemi di vista, almeno, non ancora. Per chi non mi conoscesse sono AnnabethJackson, quella pazza aspirante scrittrice che assilla questo fandom da Gennaio con storie improbabili e senza senso ovvero One Shot per lo più Percabettose di genere Romantico/Comiche che tendono molto spesso al demenziale ma che, a detta di qualcuno, sono divertenti (parole loro). Altri mi conoscono per quella schifosa e deprimente Fan Fiction, sempre Percabettosa, conosciuta come “Love the way you live” alias la peggiore fanfiction AU mai scritta nella storia (tra parentesi lo si può dimostrare dal fatto che le recensioni sono calate :/).
Comunque prima che mi uccidiate con coltelli, spade imbevute nello Stige/di bronzo celestiale, frecce e chi più ne ha più ne metta, lasciatemi almeno il beneficio del dubbio.
SO BENISSIMO che, invece di pubblicare una nuova storia dovrei pubblicare il nuovo capitolo della FanFiction ma l'ISPIRAZIONE mia ha chiamato, mi ha supplicato e ha fatto in modo di rendersi visibile. Insomma ha scassato le ovaie finché non le ho dato ascolto e tra ieri e oggi ho prodotto sta cosa. Non so PRECISAMENTE cosa sia, ma spero almeno di aver destato la vostra curiosità. Per farvi capire ho impiegato più tempo ha cercare di scrivere un'introduzione decente che a scrivere il capitolo.
Questa sarà un'altra AU e i personaggi saranno leggermente OOC, ma niente di scovolgente tipo Percy che odia il blu o Annabeth che ama essere chiamata Annie.
Ammetto che questa storia è liberatamente ispirata al libro “Storia catastrifica di te e di me” e l'input e altri dettagli saranno quelli del libro ma il testo è completamente cambiato, come i personaggi, l'ambientazione e i fatti.
Beh non so che altro dire.
Quindi un bacione, come sempre.
Annie
  
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