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Autore: MissysP    01/04/2014    1 recensioni
Tony si improvvisa Cupido, ma non a tutti piace questo suo nuovo hobby. Mentre Pepper si fa trasportare dall'entusiasmo del suo fidanzato. Coulson, invece, comprenderà che la sua pazienza è davvero infinita.
“Che cosa ha in mente Stark?” domandò dopo un attimo di silenzio. Phil posò la penna e lasciò perdere le scartoffie. Si poggiò contro lo schienale della sua comoda poltrona e stette attento che il braccio fasciato non tirasse, poi sospirò.
“Non è che stai diventato paranoico?” domandò Phil.
“L’ho visto sequestrare il dottor Banner, mentre la sua fidanzata passeggiava a braccetto con Natasha” rispose Barton.
[...]
“Invece sono al quanto stupito che l’agente Romanoff si sia fatta trascinare per tutta la base a braccetto con Pepper, certo non mi sorprende che un’assassina russa si sia fatta ammansire da una segretaria di New York, soprattutto se questa è l’assistente personale di uno degli uomini più arroganti e megalomani di tutti i tempi” rispose con una filippica l’agente. Barton sollevò gli occhi"
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bruce Banner/Hulk, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fandom: The Avengers
Titolo: Blind Date
Personaggi/Pairings: Bruce/Natasha, Pepper/Tony, Clint Barton, Phil Coulson (Coulson/Barton implicito)
Raiting: Verde
Generi:
Comico (?), Fluff, Romantico, Slice of Life
Note autrice: Okay, questa storia è vecchia di chissà quanto... Spero che possa piacere. Dopo aver visto Captain America - Il soldato d'inverno non sono più convinta del pairing. Insomma dopo aver visto l'affiatamento fra Natasha e Steeeve ho sospettato che la loro "amicizia" fosse qualcosa di più xD
Perdonate se lungo il testo ci saranno degli erroracci, al più presto provvederò a ricontrollarla e a sistemare tutto. Promesso.
Va bene fatemi poi sapere che ne pensate!

Blind Date

Il laboratorio privato del dottor Banner era immerso nel silenzio più completo. A riempire quel vuoto c’era il nervoso tic del microscopio, mentre esaminava l’ennesimo esperimento che non dava risultati sperati. Con un sospiro l’uomo staccò il suo sguardo dallo strumento per stropicciarsi gli occhi con una mano e poi inforcò gli occhiali. Poggiò entrambe le mani sul bancone di marmo bianco e lasciò scivolare il proprio sguardo per tutto il laboratorio, messo a soqquadro dai suoi esperimenti. Erano giorni che era rinchiuso nel suo laboratorio senza dormire e adesso si sentiva stanco.
Dopo la battaglia contro Loki, Bruce aveva tentato di ritornare alla sua vecchia vita, ma senza successo. Era rimasto a New York, alla Stark Tower, e da allora non ne era più uscito. La notte non erano gli incubi dell'ultima battaglia oppure di Hulk, che tentava di prendere il controllo su di lui, a tormentarlo. Le sue notti erano incentrate su un paio di occhi color smeraldo, freddi e intensi; labbra carnose che si piegavano all'insù e mostravano denti bianchi; capelli corti, boccolosi e rossi come il fuoco. E ogni volta il dottore si svegliava nel buio profondo della sua stanza, ansate e sudato. Dopo simili sogni non riusciva a riaddormentarsi e per questo aveva incominciato a passare le notti nel suo laboratorio, preferendo concentrarsi su un qualcosa di più utile.
Bruce cospirò nuovamente e si diede dello stupido. Era meglio rimanere soli, era un bene per tutti e soprattutto per lei. Anche se riusciva a controllare il suo alter ego, era comunque pericoloso. Per tutti, per lei.
La porta si aprì con uno sbuffo silenzioso e Tony Stark fece la sua entrata, con un sorriso smagliante di chi avesse appena avuto un’epifania.
“Bruce! Temevo che il grande capo avesse mandato in missione anche te” esclamò allargando le braccia. Il dottore si volta verso di lui, con la fronte aggrottata, ma trova comunque la forza di sorridere all’esuberanza del collega.
“Sono sempre stato qui nell’ultima settimana” fece notare Banner, poggiandosi al bancone. Tony lo raggiunse, dandogli una pacca sulla spalla.
"Ti sei nascosto molto bene allora" ridacchiò l'uomo. Tony prese a guardarsi attorno, notando la confusione della stanza e ne fu sorpreso. Bruce tendeva a un ordine ossessivo, quasi maniaco, e difficilmente lasciava una stanza sotto sopra giacché provava l'impulso di riordinare all'istante.
"Per caso c'è stata una festa? Sono profondamente offeso dal non esser stato invitato" proferì Tony storcendo le labbra in dissenso. "Sono sicuro che il mio invito sia andato perso; come sarebbe altrimenti?" domandò ritornando a rivolgersi all'amico. Bruce rivolse lo sguardo verso l'alto con esasperazione.
"Ti serve qualcosa in particolare? Che ci fai qua?" domandò Bruce rintronando a scrutare dentro il microscopio, cercando di ignorare l'invadente presenza di Iron Man. Tony non gradì l'atteggiamento di Bruce nei suoi confronti: lui era Tony Stark e tutti anelavano alla sua compagnia e Tony incrociò le braccia al petto e lo guardò con irritazione.
"Allora?" lo spronò il dottore.
"Beh non ti sembra di esagerare? Sei qui dentro da quanto? Una settimana?" gli chiese, facendo scorrere lo sguardo sul tavolo. Una mano afferrò un paio di occhialini e ci giocherellò distrattamente. "Dovresti provare a uscire, sai... fare nuove amicizie..." disse con indifferenza. Bruce si bloccò e gli rivolse un’occhiataccia al limite della pazienza. La privazione di sonno, per tutti quei giorni, lo aveva reso più sensibile e la sua pazienza era arrivata al limite e Tony era vicino al superare quella linea di quel confine.
“Ti devo ricordare com’è andata a finire l’ultima volta che sono uscito?” domandò il dottore, arrendendosi all’idea di non poter continuare nel suo lavoro.  Allungò un braccio e afferrò la tazza di tè, per fortuna ancora fumante, che rappresentava l’unica speranza di calmarlo. Quando poggiò le labbra al bicchiere e ne bevve un sorso, fece una smorfia di disgusto e sbuffò contrariato; nemmeno il tè riusciva a farlo rilassare.
“In quel caso è stato per una giusta causa, hai salvato New York da un’orda di alieni comandati da Mr. Non Mi Hanno Dato Affetto E Adesso Voglio Governare l’Universo e senza contare che mi hai salvato la vita” esordì e Banner prese un respiro profondo, accertandosi di mantenere ancora il controllo di sé, prima di uccidere un amico e collega, sempre se quest’ultimo non avesse deciso di mettere fine ai propri giorni.
“E comunque le urla di Calcutta non saranno diverse da quelle della Grande Mela” finì di sproloquiare e le orecchie del dottore furono felici di captare il silenzio che en seguì. Sul suo volto apparve un sorriso rasserenato e si beò di quel momentaneo- perché era sicuro che Stark a breve avrebbe ripreso a sparlare a vanvera- attimo di silenzio. Un attimo in cui ebbe la fiducia in se stesso di poter riprendere il controllo.
“Ti concedo cinque minuti e poi ti voglio fuori da questo buco, compreso?” domandò Tony mentre si diresse verso l’uscita del laboratorio, lasciandolo da solo. Bruce si stropicciò gli occhi e buttò con mala grazia gli occhiali sul tavolo e infine decise che era meglio farsi una doccia prima che Iron Man arrivasse a concepire l’idea di trascinarlo fuori con la forza.
 
“Allora Natasha, come va?” la voce femminile e dolce di Pepper Potts riecheggiò all’interno del poligono di tiro. Natasha non si scompose e continuò a mirare e poi sparare sul suo obiettivo. Pepper sobbalzò a sentire lo sparo, sebbene avesse le cuffie e gli occhialini per proteggersi, e non abituata a certe azioni e preferendo il lavoro d’ufficio.
Tutti i presenti nella stanza si voltarono verso le due donne, curiosi di sapere che cosa volesse la fidanzata di Iron Man dalla Vedova Nera. Atteggiamento che non passò inosservato a nessuna delle due.
“Bene, grazie” rispose sintetica e fredda per porre fine alla conversazione. Pepper, abituata ai vani tentativi di Tony di sbarazzarsi di lei, non si scoraggiò mostrandosi testarda nel raggiungere il proprio scopo. Così le sue labbra si tesero in un sorriso e le mani si congiunsero, pronte a ingaggiare battaglia.
“Mi fa piacere” rispose con calma, continuando a osservarla. “Tony mi ha detto che sei stata tu a chiudere il portale” continuo a dire e Natasha a quel punto si fermò, ritraendo le braccia, con la pistola ancora in mano, e si voltò verso l’altra donna. Dietro gli occhiali da protezione gialli, i suoi occhi la fissarono fredda indifferenza. Mise giù l’arma e si tolse le cuffie e occhialini, scrutandola. Pepper non si scompose e la imitò, togliendosi le protezioni.
“E’ per questo motivo che sei venuta qua? Per farmi la predica?” domandò la donna, sollevando un sopracciglio.
“Certo che no, hai fatto il tuo lavoro. La mia era un’affermazione” rispose.
Natasha le voltò le spalle e s’incamminò verso l’uscita, sotto gli occhi di tutti gli altri agenti, e seguita dall’altra donna. I tacchi di Pepper picchiettavano sul pavimento con velocità e lei non diede segno di difficoltà nel stare dietro ai passi lunghi della spia. Lungo i corridoi tutti gli agenti si appiattirono alle pareti, permettendo loro di passare. L’espressione leggermente irritata dell’agente Romanoff faceva capire che era meglio non ostacolarla. Potts invece la seguiva, incurante degli sguardi curiosi. Innervosita da quegli inseguimenti insensati l’agente, si voltò di scatto e aggrottò la fronte.
“Cosa c’è Potts?” le chiese esasperata.
“Nulla, voglio fare solo quattro chiacchiere. Non va bene?” chiese.
“Perché?” domandò confusa.
Il corridoio si svuotò e presto rimasero solamente loro due, faccia a faccia. Pepper rimase in silenzio per un bel po’, aspettando che rimanessero da sole.
“Beh, non abbiamo incominciato con il piede giusto e poi sapere che eri una spia inviata dallo S.H.I.E.L.D. non ha facilitato le cose” esordì Pepper. “Però tutta questa storia su alieni e dei impazziti mi ha fatto capire una cosa: Tony è solamente un uomo e ho paura che possa succedergli qualcosa che gli impedirà di ritornare a casa” continuò e sul suo volto non c’era più quel sorriso di poco prima.
L’espressione di Natasha non mutò e rimase in silenzio ad ascoltarla.
“E con questo? Perché me lo stai dicendo?” le chiese.
“Sei una spia, giusto? Sei brava, molto brava nel tuo lavoro, o così mi aveva detto Coulson” la sua voce s’incrinò nel pronunciare ad alta voce il nome del suo migliore amico; un amico che aveva rischiato di morire per salvare il mondo. Fu sollevata comunque che Phil stesse meglio adesso.
“Dagli un’occhiata, è questo quello che ti chiedo” e Natasha fu stupita da quella richiesta. Pepper era una donna forte e aveva affrontato molte situazioni che avrebbero fatto venire un esaurimento nervoso a chiunque.
“Te lo chiedo come amica” insistette davanti al silenzio dell’altra donna.
“Noi non siamo amiche” rispose Natasha e fu a quel punto che Pepper sorrise e il suo sguardo si assottigliò, gli occhi le brillarono di una strana luce.
“Si può sempre rimediare e se Tony continuerà a far parte degli Avengers qualcosa mi dice che passeremo molto tempo insieme. Perché non mettere da parte i vecchi rancori e conoscerci meglio?” disse Pepper avvicinandosi e la prese sotto il suo braccio trascinandola verso l’uscita più vicina.
 
Phil Coulson era seduto sulla sedia nel suo ufficio, costretto a firmare e leggere scartoffie da più di una settimana. Era stanco di tutta quella carta inchiostrata e per un attimo prese quella ‘pausa’ dal lavoro come una punizione del direttore. Con la mano buona prese un altro foglio e lo firmò, senza leggerlo nemmeno. Era diventato un gesto meccanico e non sapeva da quanto tempo stesse facendo lo stesso gesto da quella mattina.
Con uno sbuffo passò ad un altro foglio e qualcuno bussò alla porta.
“Avanti” disse senza alzare lo sguardo. La porta si aprì e la testa castana di Barton si sporse all’interno della stanza e i suoi occhi azzurri lo guardavano con insistenza.
“Agente Barton in che cosa le posso essere utile?” domandò Coulson continuando il suo lavoro. Barton entrò nella stanza e chiuse la porta alle sue spalle. Prese posto sulla sedia davanti al collega e si stravacco su di essa, restando in silenzio e continuando a guardarlo.
“Allora? Ho molto da fare in questo momento e non posso occuparmi dei tuoi capricci” disse. Le labbra di Clint si tesero in un sorriso malizioso e i suoi occhi scintillarono divertiti. Phil fece finta di non notarlo e continuò il suo dovere.
“Non la pensava in questo modo ieri sera, signore” replicò Barton. Coulson si bloccò per un attimo soltanto e poi continuò come sempre, imperterrito ed indifferente da quanto appena gli fosse stato detto. Però non poté impedire le sue guance di tingersi di un lieve rossore. Clint sorrise ancor più soddisfatto e chinò il capo all’indietro, poggiandolo sul freddo ferro della poltrona.
“Che cosa ha in mente Stark?” domandò dopo un attimo di silenzio. Phil posò la penna e lasciò perdere le scartoffie. Si poggiò contro lo schienale della sua comoda poltrona e stette attento che il  braccio fasciato non tirasse, poi sospirò.
“Non è che stai diventato paranoico?” domandò Phil.
“L’ho visto sequestrare il dottor Banner, mentre la sua fidanzata passeggiava a braccetto con Natasha” rispose Barton.
“Per quanto riguarda Stark dovresti esserci abituato ai suoi sequestri di persona e poi mi è stato detto che il dottore nell’ultima settimana non è quasi mai uscito dal proprio laboratorio. Quindi qualche ora di rapimento non gli farà male” sbuffò Coulson. Barton fece una smorfia per esternare il proprio dissenso, ma non ribatté.
“Invece sono al quanto stupito che l’agente Romanoff si sia fatta trascinare per tutta la base a braccetto con Pepper, certo non mi sorprende che un’assassina russa si sia fatta ammansire da una segretaria di New York, soprattutto se questa è l’assistente personale di uno degli uomini più arroganti e megalomani di tutti i tempi” rispose con una filippica l’agente. Barton sollevò gli occhi, sbuffando davanti all’amicizia che lo legava a quella segretaria. Provava una sorta di gelosia nei suoi confronti e l’idea che l’agente Coulson non facesse altro che lodarla lo faceva irritare.
“Comunque non hai risposto alla mia domanda. Non mi interessa tanto la sorte del dottore, massimo raserà al suolo questa città, ma quello che più mi insospettisce è che cosa hanno in mente quei due per coinvolgere anche Natasha.”
“Agente Barton, comprendo che l’agente Romanoff è una sua carissima collega, ma adesso esagera. Le ricordo che la nostra base si è spostata alla Stark Tower e passeremo molto tempo insieme, quindi avranno solamente fare amicizia e dovresti fare altrettanto anche tu con gli altri” lo rimproverò Phil.
Clint non rispose e Coulson ritornò a firmare un’altra pila di carte.
 
“Andiamo dottore non dirmi che New York non ha il suo fascino! Altro che Calcutta” esclamò Tony a gran voce e allargando le braccia per indicate ogni angolo della città. Bruce non rispose, continuando a camminare con il suo caffè bollente in mano. Mai come in quel momento  trovò conforto nella caffeina.
“Si può sapere perché mi hai trascinato fuori?” domandò seccatamente l’altro, voltandosi ad osservare gli alti edifici lungo le strade. Il cielo era una macchia lontana di azzurro in mezzo a tutto quel grigiore.
“Per respirare aria” rispose con sarcasmo.
“Aria sporca” ribatté Bruce buttando la tazza vuota nel primo bidone che trovò.
“C’è qualche motivo particolare per la tua facile irritabilità? Ti ricordo che siamo in una città affollata e non vorrei rincorrere un omone verde per la strada” disse Tony guardandolo.
Banner non rispose e si concentrò sulle vetrine che scorrevano davanti ai suoi occhi, fino a quando non si bloccò davanti ad una in particolare. Tony lo stava seguendo con poco interesse e gli andò a sbattere contro.
“Ehi” si lamentò il miliardario passandosi una mano sul naso e aggrottando le sopracciglia. Vide il collega osservare qualcosa e seguì il suo sguardo, riconoscendo l’agente Romanoff e Pepper. Le sue labbra si socchiusero e poi si tesero in un sorriso divertito. Diede una pacca alla schiena dell’amico e ridacchiò.
“Che occhio che hai!” esclamò scherzando. Banner non rispose e continuò a guardarle.
“Ehi, guarda che Pepper è una donna occupata eh?” disse con un sopracciglio alzato. Ancora nessuna reazione. Tony sollevò lo sguardo e lesse il nome della boutique davanti alla quale si erano fermati.
“Beh entriamo, altrimenti passeremo per due maniaci” lo esortò con una risatina, ma Bruce non si mosse. Le sue labbra tese divennero pallide e le assottigliò. Si voltò e allungò il passo, ignorando le proteste  di Stark e continuò a camminare facendo finta di nulla. Tony sbuffò contrariato e rimase fuori dal negozio, facendo girare gli ingranaggi del suo cervello.
 
“Andiamo Banner! Concedimi l’ultima possibilità di farti apprezzare New York” insistette Tony, poggiato contro il bancone sterile del laboratorio. La maglia grigia e nera dei Black Sabbath risaltava contro lo sfondo bianco di tutta la stanza. Bruce, avvolto nel suo camice bianco, giocherellava con una provetta contenente del liquido verdastro.
“Tony, davvero non mi va un granché… Non sono fatto per queste cose” rispose il dottore. I suoi occhi attenti, dietro gli occhiali gialli da protezione, osservavano il flacone. Tony picchiettò le dita sul tavolo, gonfiando le guance e storcendo la bocca.
“Si tratta di una cena d’affari e basta… Non ti annoierai neanche, promesso” disse portando una mano verso l’alto e l’altra sul petto. Bruce scosse la testa esasperato da Tony. Non aveva mai un attimo di respiro e le sue notti erano insonni come spesso capitava nell’ultimo periodo.
La testa gli scoppiava e non capiva più che cosa stesse facendo. Chiuse gli occhi ed inspirò col naso e quando riaprì gli occhi notò il volto soddisfatto e sorridente di Tony. Poco dopo saltellò verso l’uscita e Bruce si maledì per la sua enorme pazienza e la facilità con cui cedeva.
 
“Agente Barton gradirei che la smettesse di intrufolarsi nel mio ufficio ogni secondo della giornata. Ho molto lavoro da sbrigare, mentre lei dovrebbe allenarsi. O sbaglio?” domandò Phil mentre ordinava la scrivania, finalmente libera dalla maggior parte della cartacce che Fury sadicamente aveva avuto il piacere di affidargli, spostò il suo sguardo stanco verso l’uomo che aveva monopolizzato l’altra poltrona della stanza. Gli stivali sporchi del fango dell’ultima missione avevano imbrattato anche la scrivania e questo fece aggrottare la fronte a Phil che grugnì contrariato.
“Questa volta Stark vuole portare Banner a cena. Se non pensassi che fosse etero dire che sicuramente è gay e non mi dispiacerebbe imbarcarmi in un’avventura con lui…” ridacchiò Occhio di Falco, con la testa rivolta all’indietro e osservava la stanza al contrario.
Phil grugnì ancora una volta ma non disse nulla e Clint sorrise soddisfatto. Nessuno dei sue parlò e poi Clint si mosse sulla poltrona come un’anima in pena.
“Barton, con tutta la buona volontà che mi resta ti avverto che se non sei tu ad uscire da questa stanza con le tue gambe, sarò io e non ti piacerà il modo in cui ti metterò le mani addosso” sbuffa seriamente contrariato ed irritato dal collega. Clint solleva il capo e gli rivolge un sorrisetto malizioso e Phil può notare i suoi occhi brillare.
“Quando è lei a mettermi le mani addosso, signore, mi piace sempre!” esclama Occhio di Falco.
Il volto di Coulson assume un colore rossastro tendente al viola e subito afferra il primo oggetto che gli capita a tiro, possibilmente un oggetto contundente. Barton lo schivò e poi con una risata si alza dalla sedia ed esce, lasciando l’agente Coulson totalmente sconvolto e imbarazzato.
 
Il posto era carino, rilassante e poco rumoroso. Le luci soffuse davano un senso di intimità e lo aiutavano a rilassarsi. Non sentiva più la fastidiosa pressione di Stark e quello lo insospettì molto. Era seduto al tavolo, da solo, e Tony ancora non si era presentato; sospetto era anche il fatto che il tavolo era per due e, sebbene non fosse pratico di certe cose, era più che sicuro che una cena d’affari non si discuteva con una sola persona. Fece scorrere una mano lungo la tovaglia bianca, fino alla sua tasca e si maledì di non essersi portato dietro quel maledetto cellulare. Sbuffò, coprendosi gli occhi con l’altra mano. Il chiacchiericcio in sottofondo si acquietò, lasciandolo isolato.
“Dottor Banner” una voce femminile e bassa lo fece sobbalzare, preso alla sprovvista. Alzò lo sguardo e incontrò gli occhi verdi di Natasha Romanoff.
La sua bocca rimase socchiusa dalla sorpresa perché mai si sarebbe immaginato di incontrare una super spia in un ristorante di classe come quello, o almeno in compagnia di un riccone grasso e con una tendenza alla perversione. Bruce si guardò attorno, ricordandosi che lui sì, stava aspettando un riccone che come spesso accadeva, si faceva attendere.
“Tutto bene, Bruce? La metto a disagio?” domandò la donna notando il suo sguardo guardingo e la fronte imperlata di sudore.
“Cosa? No, no, no. Assolutamente no, è che…” rispose agitato. “Stavo aspettando Stark, mi aveva chiesto di accompagnarlo ad una cena d’affari, ma ancora non si è fatto vedere” spiegò sorridendole.
“E lei, invece? E’ sotto copertura per una nuova missione?” chiese in un sussurro. Le sue guance si tinsero di un lieve rossore e la donna sorrise divertita.
“Non pensavo di mettere in soggezione Hulk! E no, un’uscita con un’amica…” quella parola pronunciata da lei gli sembrò strana.
Bruce sapeva che la donna non aveva amicizie se non con l’agente Barton; sentirle dire che aveva anche un altro amico, una donna, era destabilizzante. Aggrottò le sopracciglia e continuò a fissarla trasecolato. Natasha sbuffò, anche se era divertita dalla sua reazione, e si sedette di fronte a lui, incrociando le braccia sopra il tavolo e sporgendosi verso di lui.
“Già, Virginia ‘Pepper’ Potts. Strano vero?” disse con una risatina.
“Beh… Pepper… E Tony non ha marcato il territorio?” domandò con ironia, concedendole un sorriso sghembo. E anche Natasha rise divertita. La luce della candela tremolò appena, colpita da una leggera brezza, e gli occhi smeraldini della donna luccicarono alla sua luce. Il dottore si fermò a guardarli estasiato e per la prima volta si ritrovò a pensare che il colore verde non fosse simbolo di distruzione, rabbia e morte. Si ritrovò a contemplarli, con adorazione e quando si rese conto di essere a bocca aperta davanti a lei, non poté evitare di arrossire, preso in contro piede. Distolse lo sguardo e si concentrò sulla tovaglia linda sotto un suo braccio.
“Beh, vuole farmi… compagnia? Nel frattempo che attendiamo i nostri ospiti?” domandò gentilmente. La donna annuì, senza esitazioni.
“Bene allora, si metta comoda” disse allungando la mano in un cenno verso la sedia difronte a lui. La donna si sedette e incrociò le gambe con estrema eleganza, tanto che gli occhi dell’uomo scesero a guardarle. Sbatté le ciglia un paio di volte e subito distolse lo sguardo e con sua irritazione notò che anche gli altri uomini, presenti in sala, avevano notato quel bel paio di gambe.
“Tutto bene, dottore? Sta sudando e il suo volto ha assunto una sfumatura verdognola” disse la donna, non mascherando un’espressione compiaciuta. Non era solo Occhio di Falco a poter vantare di un’ottima vista e lei aveva notato come il dottore la stava squadrando. Poggiò i gomiti sulla tavola e poi posò il mento sul dorso delle mani intrecciate.
“No, no…” sospirò agitato. “Sarà il caldo…” tentò di giustificarsi il dottore andando ancor più nel panico. Avrebbe preferito non trasformarsi in un bestione di due metri, incazzato e spaccare ogni cosa.
“Si calmi dottore, stavo scherzando” ridacchiò la donna e Bruce sospirò, cercando di calmarsi. Restarono in silenzio per un paio di minuti, il tempo a riprendere il controllo di sé.
“Mi chiami Bruce, agente Romanoff” sussurrò, poggiandosi contro lo schienale. La sua mente era di nuovo ritornata un posto tranquillo e il leggero brusio di sottofondo lo cullava ancora una volta.
“Allora chiamami Natasha e dammi del tu, siamo colleghi giusto?”
Già, colleghi.
“I signori desiderano ordinare?” domandò un ragazzo, spuntando alle spalle della donna.
 
Tony continuava a picchiettare l’unghia contro il freddo ferro della ringhiera del balcone che dava sull’uscita principale della Stark Tower. Ogni minuto che passava guardava con insistenza l’orologio al polso e poi ritornava a scrutare il portone.
“Ehi, la vuoi smettere?” la voce di Pepper lo colse di sorpresa e lui sussultò.
“Beh, non vorrei che il direttore mi facesse una filippica sul fatto che un Hulk ha distrutto l’altra parte di New York ancora intera… Tutto per una cena” rispose con sarcasmo e irritazione.
“Allora è questo che confabulavi Stark!” esclamò Clint. I due si voltarono e videro l’agente Barton uscire da un condotto dell’aria e saltare agilmente vicino a loro.
“Che c’è Legolas? Geloso?” domandò Tony, ritornando a guardare verso il basso. Occhio di Falco, di certo, aveva notato quel suo ghigno irritante e compiaciuto e, davvero – davvero! -  non sapeva come Pepper riuscisse a sopportarlo senza meditare la sua morte almeno una volta al giorno.
“Ti prego Stark, come s-“
Le risate di Banner e Romanoff interruppero l’agente e anche lui si voltò a guardarli. Natasha era aggrappata al braccio del dottore e anche lui sembrava rilassato, perfino divertito.
“Beh almeno New York è salva” affermò con divertimento Pepper, voltando le spalle e andandosene continuando a ridacchiare. Clint si sentì accaldato, soprattutto al viso ed era sicuro di aver assunto uno colorito rossiccio.
“Dicevi?” continuò Tony assottigliando gli occhi e stampandosi un ghigno di soddisfazione e auto celebrazione. E poi seguì la fidanzata.
L’unico a non sembrare molto soddisfatto era Barton che li guardava, sbuffando. Di certo non li avrebbe persi di vista.
  
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