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Autore: Kiakki    07/07/2008    0 recensioni
Qui, in questo deserto di anime e dolore, di stendardi lacerati che non riescono a coprire tutto l'orrore, noi...noi abbiamo una scelta. Noi abbiamo ancora una scelta. Lentamente, come a cercare conferma di quello che è appena successo, punti gli occhi su di me. Grandi, enormi e spaventati, i tuoi occhi mi guardano. Pieni di sottintesi, riflettono la tua bocca. Un cratere di cose non dette.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccoti qui.
Ricoperta di polvere, trattieni ancora per un attimo il respiro.
Riesco a vedere i tuoi pensieri, come se le parole che li compongono volassero fuori dalla tua testa, solo per me.
Ti stai chiedendo se è finita.
Se puoi abbassare la bacchetta e smettere di tendere le orecchie.
Che suoni riesci a sentire in lontananza?
Non ho mai avuto paura che ciò che avresti potuto udire ti potesse ferire, sai.
So che lo ha fatto.
Ma so anche che non vorresti che io ti consolassi e che sei forte abbastanza per questo.
Attorno a me e te tutto è solo un oceano di frammenti e dubbi. Crude verità che non potrai cambiare si stendono come un deserto.
E sembrano davvero dune di sabbia i corpi inermi buttati lì, l'uno sopra l'altro, mani e teste avvolte e unite, come se ancora potessero sussurarsi parole di speranza.
Ma non possono.
Noi possiamo, io e te.
Qui, in questo deserto di anime e dolore, di stendardi lacerati che non riescono a coprire tutto l'orrore, noi...noi abbiamo una scelta.
Noi abbiamo ancora una scelta.
Lentamente, come a cercare conferma di quello che è appena successo, punti gli occhi su di me.
Grandi, enormi e spaventati, i tuoi occhi mi guardano. Pieni di sottintesi, riflettono la tua bocca.
Un cratere di cose non dette.
Un sorperendente, turgido cratere scarlatto, di cose non dette.
Non muovi un muscolo. Senza parlare so cosa vuoi sapere. Io conosco la risposta, anche se non me la chiederai. Anche se non me la chiederai, ti risponderò.
Attraverso uno dei soli due linguaggi che ci legano.
Quello degli occhi.

Eccoti qui.
Granelli d'intonaco e polvere di mattoni s'impigliano fra i tuoi capelli, punteggiano la tua pelle come lentiggini.
Granelli d'intonaco e polvere di mattoni t'incorniciano le ciglia mentre sollevi gli occhi per osservarmi.
Sei rannicchiata ma non tremi.
Tu non ti stai nascondendo.
Sai che sarebbe troppo facile.
Non hai gli occhi chiusi, né cechi, ma spalancati.
Sei qui. Nascosta da questo grosso pezzo di tavolo spesso e solido. Nascosta dalla vista di tutti tranne che alla mia.
Spesso e solido.
Come te. Come il tuo orgoglio e la tua determinazione.
Hai assaggiato come tutti noi il sapore della sofferenza – non tua, ma altrui- e vuoi mettere la parola fine alla vita che l'ha provocata.
Conosco i tuoi pensieri meglio di chiunque altro.
Non ho bisogno di leggerli scritti da qualche parte, né di sentirmeli dire da te.
Ciò che puoi provare ti sgorga dalle labbra, che ora sono graffiate e gonfie di sangue.
Le tue emozioni sbocciano come rose su ogni poro della tua pelle e i petali volano fino a me, intrisi del tuo odore, sussurandomi le parole per spiegare il tuo cuore. Su questa tua stessa pelle lacerata e incrostata dal dolore e dalla volontà di far del male.
Ogni sensazione, ogni brivido, ogni tremito, mi viene trasmesso e raccontato dal movimento stesso delle tue dita, dei tuoi capelli.
Mille e cento voci che urlano la stessa storia.
La tua storia.
Mille e cento voci che narrano solo per me.
Mille e cento voci che nessun altro può sentire.
Questi sono i due linguaggi che ci legano.
Questi i nostri modi di comunicare.
Gli occhi domandano, il corpo risponde.
Diventassi sordo, il mondo intero mi si sconvolgerebbe, ma tu rimarresti la mia certezza.

Prendi un metro e misurami la distanza fra gli occhi.
Dicono che lì si annidi la cattiveria.
Prendi un metro, misurami la distanza fra gli occhi e saprai quanto è grande il mio bisogno di sentire la tua voce.
Ma se con lo stesso metro misurassi l'intensità che sprofonda nei miei occhi nel guardarti, allora otterresti la grandezza del mio bisogno di te.
E' un bisogno, questo, che una volta che l'hai conosciuto non necessita presentazioni, né chiarimenti. Un bisogno che lotta per restare a galla nel mare nero delle mie pupille, un bisogno che vive così: di tempesta. Che si rifiuta di annegare e lasciarsi trasportare alla deriva, pur sapendo che non raggiungerà mai la dolce tranquillità grigio-azzurra delle iridi.
E' un bisogno questo. Che non si piega ai miei ordini, e non si traduce in parole, azioni, tormenti. Esso è nato come bisogno e rimarrà un bisogno.
Sempre per sempre.
Non mi sforzerò, io, di mettergli la parola fine.
Non credo proprio.

Quindi eccoti qui.
Rannicchiata e ferita, ma ancora orgogliosa, e battagliera.
La bacchetta stretta in mano sei pronta a combattere ancora.
Le vesti strappate. Le ciocche di capelli bruciate, tu vuoi vivere.
Tu vuoi abbattere il nemico.
I tuoi occhi mi guardano, ho detto.
Aperti e pronti ad accettare la realtà delle cose.
Ma non a sopportarla.
I tuoi sono occhi che non fanno sconti.
Tantomeno promesse.
Se fossi un pittore ti dipingerei tutta la vita.
Anche così, con le gambe piegate e rovinate, e le braccia coperte di vesciche da bruciature d'incantesimi scagliati da persone che – non fosse che ormai sono morte- sono pronto ad uccidere a mani nude. Anche ad armi impari.
Ghigno. Non posso non farlo al pensiero.
...se non fosse che non sono già morte...
la frase solo pensata aleggia nell'aria che scorre fra me e te.
...se non fosse che non sono già morte...
Sì, spalanca i tuoi occhi già spalancati.
Assorbi con il tuo verde accecante un po' di questo mondo e purificalo come tu sola sai.

Ho scontato giorni ingiusti di ingiusta prigionia, sopravvivendo solo per istinto, non per volontà di non morire.
Ho pianto giorni che appartengono solo al passato e alla mia memoria, ho pianto per potermi aggrappare alle mie stesse lacrime e poter dire che ne sono uscito da uomo, da individuo, capace di restare solo e ancora sopravvivere. Mi sono costruito un castello di sabbia dove rinchiudere le mie debolezze e l'ho nascosto con una barriera, i cui cancelli tu sei l'unica in grado di aprire.
E se un giorno deciderai di andartene, di abbandonare le stanze che ti ho donato, e di restituirmi le chiavi del mio castello, se un giorno deciderai di andartene, sarai libera di farlo.
Però ora resta ancora un po' con me.

Fammi compagnia ora che i tempi bui sono sprofondati nell'oblio che meritano, ora che sono un uomo libero, non più un condannato ingiustamente, ora che un po' di malvagità l'abbiamo scacciata via dal nostro mondo con le nostre sole forze,le nostre sole speranze.
Fammi compagnia fino a che non scenderà di nuovo la notte, la notte anche sui tuoi occhi verde accecante, verde abbagliante, e potrò dire di averti amata anche quando l'amore non era più necessariamente un arma.
Io non sono più condannato a morire.
Io non sono più condannato a morire.

Capisco la parola che stai per pronunciare dal modo in cui corrughi le sopracciglia:
-...Sirius...
E' così: è tutto vero.
-...Sirius...
Sì.
...sono già morte...
Abbracciami, ora.
Alzati e fallo, ti do una mano se mi prometti che la accetterai.
Alzati perchè la guerra è finita piccola.
La guerra è finita per sempre.
  
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