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Autore: syontai    02/04/2014    9 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 30

Memorie di un innocente colpevole

Leon si lasciò cadere a peso morto su uno scalino in marmo, e si portò la testa tra le mani, per non farsi vedere. Si vergognava di se stesso, si sentiva sporco dentro, e non era la prima volta che provava quello strano senso di disgusto personale: era già successo in passato, quando ancora pensava di poter mantenere una coscienza anche nel cambiamento voluto dalla regina. Aveva dovuto sopprimerla per continuare a vivere, altrimenti probabilmente avrebbe finito per impazzire del tutto. Non badò minimamente a Violetta, che si era avvicinata al corpo di Marco, e si era chinata per sentire se fosse ancora vivo, pensava solo alla promessa infranta, al maledetto momento in cui aveva spinto Marco giù per le scale, dopo un’accesa discussione.
 
Marco saliva la scalinata al suo fianco, lanciandogli occhiate sospettose.
“Penso di aver capito perché tu non vuoi che mi avvicini a Violetta” disse a metà, con apparente tranquillità. Leon si immobilizzò di colpo, stringendo i denti, e voltandosi a rallentatore verso il mago.
“Non so proprio di cosa tu stia parlando” si difese subito, senza pensarci nemmeno un secondo.
“E’ ovvio che vorresti quella ragazza tutta per te, ma lei ti sfugge come l’acqua tra le mani. E no, uno come te non è degno di lei, della sua purezza”. Marco aveva pronunciato quelle parole con rabbia, forse perché aveva intuito fin troppo. Leon non ci pensò due volte ad accorciare le distanze per risultare ancora più minaccioso.
“Non ti riguarda ciò che faccio o che non faccio. Tu sei solo di passaggio, e ad essere sincero, non vedo l’ora che tu metta piede fuori da questo castello!” sbraitò, lasciandosi pervadere da un’ira profonda nei confronti di quel ragazzo così altezzoso, che pretendeva di sapere tutto su tutti. Non capiva che la realtà era molto più complessa, e soprattutto non a direzione unica. Ma Marco vedeva solo ciò che voleva vedere, e questo lo mandava in bestia.
“Io non me ne andrò senza quella ragazza” sentenziò il mago con tono solenne, sostenendo lo sguardo di sfida del principe, che si accendeva sempre di più. Tra i due l’aria vibrava, consapevole della rivalità che animava i due.
“La porterò via da te. Tu saresti in grado solo di ferirla” continuò Marco, non appena si fu reso conto che Leon fosse più titubante e meno spavaldo.
“Arrivi e vuoi fare anche il padrone di casa! Stai molto attento, io non mi intrometto nelle tue questioni, tu non farlo con le mie”.
“Lo faccio se riguarda un’innocente!”
I toni si fecero sempre più accesi. Ad ogni accusa si alternava una risposta aggressiva, e cominciarono a venire fuori le minacce.
“Non la avrai mai, Leon, guarda in faccia alla realtà! Lei non è come te, per fortuna, e non lo sarà mai” disse Marco, afferrando Leon per la maglia e scuotendolo. Forse sperava di farlo desistere, forse pensava davvero quelle parole. Vargas però ebbe un lampo di furia, e liberandosi dalla presa, spinse giù dalle scale il mago, che ruzzolò fino al pavimento, cadendo con un tonfo. Ebbe bisogno di qualche minuto per mettere a fuoco ciò che era successo, e proprio in quell’istante sentì il rumore di una porta che si apriva al salone di ingresso. Incontrò lo sguardo terrorizzato di Violetta, e fu come morire dentro. Aveva paura. Paura di lui.
 
“E’ ancora vivo” sospirò sollevata Violetta, allontanandosi dal petto di Marco, che a quanto pareva aveva deciso di aggrapparsi alla vita fino alla fine. Leon alzò di poco lo sguardo, gli occhi spenti, ma ravvivati da una flebile luce di speranza.
“Dobbiamo andare a chiamare un medico, presto!” lo incitò Violetta, rimanendo al fianco del mago, e guardandolo con aria colpevole. In parte anche lei provava uno strano senso di colpa, per non essere stata più diretta nel rifiutare il corteggiamento del giovane, ma allo stesso tempo data la sua posizione non sapeva in che altro modo avrebbe potuto agire. Leon era ancora seduto, immobile, e le sue parole non dovevano averlo smosso di un centimetro.
“Leon, un medico!” cercò di chiamarlo nuovamente, invano. Che cosa gli era preso? Aveva il volto deformato in una smorfia di dolore e sofferenza, ma ancora una volta non riusciva a capire nulla del perché di quella reazione. Il principe si riscosse all’improvviso e annuì con forza, salendo con ampie falcate la scalinata e dirigendosi negli appartamenti reali.
Passarono i minuti, e la situazione di Marco era abbastanza stabile, nonostante respirasse un po’ a fatica. Di punto in bianco le porte si aprirono e gli stessi due medici che si erano occupati di Leon irruppero con una barella appresso. Avevano un’espressione seria e tesa, mentre vi poggiavano sopra Marco con delicatezza, ma allo stesso tempo con una velocità incredibile, propria di chi è esperto nel suo mestiere e sa il fatto suo. Leon era in disparte, e fissava tutto da lontano, abbassando lo sguardo non appena incrociava quello sconvolto di Violetta. La ragazza salì la scalinata per raggiungerlo, ma il principe Vargas, con la chiara intenzione di tenerla lontana, si avviò lungo gli appartamenti reali.
“Leon!” lo chiamava a voce alta Violetta, disposta perfino a rompere il silenzio perpetuo della notte pur di fermare il ragazzo, che avanzava a passo spedito. Nessuno poteva fermarlo, nemmeno Violetta. Non meritava nulla, e quella notte ne era stata la prova. L’aveva delusa, ed era ciò che più pesava in cuor suo. Che avrebbe pensato? Che fosse sempre lo stesso Leon? Lo avrebbe allontanato? Gli avrebbe rivolto parole di disprezzo? Con le mani che tremavano e il cuore gonfio di ira, rivolta unicamente verso se stesso, aprì la porta della sua stanza, e si sedette sul letto, senza preoccuparsi più di nulla. Respirò profondamente, lasciando che i battiti tornassero regolari: nella mente risuonava ancora la voce di Violetta, che lo rincorreva. Sperava che non lo avesse seguito fino alla sua stanza, che si fosse fermata prima, perché non poteva farsi vedere in quello stato, e il solo pensiero di ciò che avrebbe potuto dirgli lo distruggeva.
“Vattene” mormorò flebilmente, udendo un rumore di passi e un respiro affannoso.
“Che ti succede? Io…non capisco”. La voce di Violetta era innocente. Era ciò che lui avrebbe sempre voluto essere. Ma non aveva mai avuto scelta. O meglio una scelta l’avrebbe avuta, ma era stato troppo vigliacco per prenderla in considerazione, e ormai era troppo tardi.
“Non c’è niente da capire. Voglio restare da solo. Da solo!” urlò. Violetta richiuse la porta dietro di sé, senza prestargli attenzione. Aveva paura, e molta. Leon sembrava fuori di sé, gli occhi iniettati di sangue, mentre ogni suo muscolo non riusciva a rimanere rilassato. Era come un gatto selvatico pronto a sferrare un attacco contro chiunque si fosse avvicinato, dopo aver sfoderato i suoi artigli.
“Leon…”. Si sedette accanto a lui. Leon esitava a guardarla negli occhi, e continuava a fissare dritto davanti a sé un punto buio e imprecisato della stanza. Violetta senza dire altro lo attirò a sé, stringendolo forte tra le braccia; rimasero così, teneramente abbracciati e in silenzio, lasciandosi cullare unicamente dai sentimenti che li univano. Un legame che si rafforzava ogni giorno di più, e che rendeva Leon dipendente da quell’apparente fragile ragazza. In apparenza lui sembrava forte e sicuro, mentre lei quella incerta e timida, eppure era il contrario. Si rese conto che aveva bisogno di Violetta come di nessun altro. La strinse ancora più forte a sé, seppellendo il volto nell’incavo del collo, e lasciandosi solleticare dai suoi capelli. Le lacrime iniziarono a scendere inaspettatamente, e cominciò a singhiozzare come un bambino.
“Calma, va tutto bene…Marco sta bene, è vivo, non è successo nulla” gli sussurrò con amore, accarezzandogli la schiena, mentre lasciava che sfogasse il suo dolore.
“Io…sono un vigliacco. Sono davvero un mostro, Marco ha ragione” disse, cercando di frenare le lacrime, inutilmente. Fiumi e fiumi tenuti dentro per tanti anni uscivano senza più controllo. Ormai aveva rotto gli argini, e si era lasciato andare, privo di forze, affidandosi unicamente alla forza che avrebbe potuto trasmettergli Violetta.
“Non è così”.
“Non ho mantenuto la promessa” ribatté all’istante, allontanandosi per guardarla negli occhi. La ragazza rimase sorpresa nel vederlo in quello stato: gli occhi arrossati, e un forte bisogno di parlare, sfogarsi. Era diverso da come era sempre stato, eppure lei non provava solo un forte senso di compassione, si rese conto di provare qualcosa di molto più profondo: lo amava, e non era un amore flebile, ma talmente forte da stordirla e da lasciarla senza parole. Gli accarezzò piano la guancia, e sorrise amaramente.
“Era solo una stupida promessa. Per me quel conta è che tu volessi mantenere la parola”.
Leon scosse la testa: “Era importante, serviva per dimostrarti quanto ho bisogno di te, quanto voglio che tu mi stia accanto…”. Tacque, vergognandosi della debolezza che stava mostrando e in tutta risposta ottenne un dolce bacio.
“Anche io ho bisogno di te, Leon…ho bisogno dei tuoi abbracci. E sento che voglio conoscerti…perché più volte mi hai dimostrato che dietro il principe Vargas c’è un ragazzo dolce e buono. Voglio conoscere quel ragazzo, a tutti i costi”.
Leon si sentì trafitto da una lancia, e per poco non credette di perdere i sensi. Aprirsi con lei equivaleva a ripercorrere duri ricordi, alcuni dei quali rinchiusi nell’inconscio per non doverli rivivere. Erano quelli a svegliarlo nel cuore della notte, a farlo impazzire a causa degli incubi.
“Non…non so se posso. Non lo so…” balbettò Leon, perdendosi nei limpidi occhi color nocciola della ragazza, che continuava ad accarezzargli il viso con dolcezza. Si tranquillizzò, e dopo un profondo sospiro chiuse gli occhi: stava per rivivere il suo incubo, il suo passato.
 
Il giorno successivo al funerale, Leon era rimasto tutto il giorno nella sua stanza, fissando la finestra con aria assente; si sentiva privo di una guida saggia e importante come solo Javier Vargas poteva essere, e il suo destino appariva vago, incerto, non fosse per il profondo affetto e l’assoluta fiducia che nutriva nei confronti della madre. Si stropicciò gli occhi lucidi, perché come gli aveva insegnato il padre, un vero uomo non piange mai. E adesso che lui non c’era più, intendeva far tesoro di ogni suo consiglio o insegnamento.
Non uccidere.
Mostra sempre pietà.
Cerca di essere saggio, e ricorda che ciò che ci distingue dalle bestie non è solo l’intelletto.
Tre semplici regole che aveva deciso di considerare sue massime personali. La porta si aprì di botto, e due guardie irruppero con le lance sguainate.
“Principe Leon, sua madre desidera tenere un’udienza con voi” disse bruscamente una, afferrandolo per il braccio. Il ragazzino tentò di divincolarsi da quella stretta così forte, e gli uscì un gemito di dolore quando l’uomo in tutta risposta lo strattonò ancora più violentemente.
“Mi hai fatto male” mugolò Leon altezzoso, pretendendo maggior rispetto per il nuovo erede al trono.
“Ed è solo l’inizio, piccoletto” rise sguaiatamente l’altra. Sentiva che qualcosa era cambiato con la morte di Javier, e un tremito di paura lo avvolse, provocato dal ghigno malvagio e inquietante delle due guardie.
 
Leon si bloccò. Stava rivivendo in quel preciso istante tutto il tragitto fatto, trascinato dalle guardie, ignaro di quella che sarebbe stata la sua sorte.
“Continua” lo esortò la ragazza, lasciando che lui riversasse tutto quel terrore dentro di lei. Avrebbe condiviso quell’enorme peso. Non era questione di essere pronti a farlo, lei non lo era. Ma allo stesso tempo la necessità di poter sapere tutto di Leon, per poterlo amare davvero, completamente, era più forte, e non gli permetteva di fare un passo indietro.
 
Leon venne trascinato nella sala del trono. Le guardie lo fecero inchinare a forza, con la stessa dignità di un prigioniero, e non gli venne nemmeno permesso di alzare lo sguardo, per poter mostrare il suo sdegno alla madre.
“Leon…ho bisogno che tu mi faccia un favore”. Non c’era affetto, né amore, in quelle parole, e si rese conto che Jade, l’attuale regina, avesse solo recitato la parte della madre amorevole. Adesso aveva mostrato il suo vero volto, pieno di meschinità e crudeltà, e il regno era nelle sue mani.
“Di cosa avete bisogno, madre?” chiese con voce strozzata. “Farò di tutto per compiacervi per quanto mi sarà possibile”. Silenzio.
“Bene. Ho bisogno di qualcuno che sia il mio braccio. Non posso regnare da sola questo regno, senza qualcuno di fidato. Sto parlando di te, figlio mio”. Il suo tono benevolo celava i peggiori mali, ma questo Leon non poteva ancora saperlo. Ancora.
“Conducetelo nelle segrete”. Leon sgranò gli occhi, mentre le guardie lo facevano rialzare, e lo allontanavano dal trono.
“Madre! Perché?Che vi ho fatto, madre?”
“L’ho fatto perché ti amo, Leon, e voglio il tuo bene”.
Non riusciva a crederci, sembrava solo un brutto sogno, ma non appena si ritrovò al buio in una cella, capì che si trattava di una terribile e inquietante realtà.
I giorni passavano, e Leon li passava perso nell’oscurità che non gli permetteva di scorgere il soffitto. Steso su uno sporco giaciglio, l’umidità del luogo gli penetrava le ossa. I primi tempi piangeva e chiedeva aiuto urlando  in continuazione, nella speranza di muovere a pietà i suoi carcerieri, ottenendo solo risa di scherno in risposta. Quando ebbe esaurito le lacrime, rimaneva solo in silenzio, senza dire più nulla, con l’angoscia nel cuore. La sua situazione era incerta, non sapeva se la madre lo avrebbe voluto morto o chissà cosa; certo era che si sentiva ogni ora più logorato. Sentì lo stomaco brontolare, e si mise una mano sulla pancia, nel tentativo di placarlo. Veniva nutrito un giorno si e l’altro no, e per questo era diventato esile come un spina di grano. Il volto pallido e emaciato dava l’idea che se non fosse morto di fame, qualche malattia avrebbe comunque posto fine alla sua vita. La porta si aprì dopo tanto tempo, e le due guardie si misero ai lati dell’ingresso, lasciando entrare Jade.
“Mi spiace che tua debba vivere in queste condizioni, Leon” disse la donna, sinceramente dispiaciuta. “Ma è tutto necessario alla tua formazione”. Vivere? Leon si chiedeva ormai che cosa significasse quella strana parola. La mente era annebbiata a causa della fame, e ogni pensiero gli dava delle fitte alla testa.
“Fatemi uscire da qui, vi prego…” supplicò il ragazzo, prostrandosi ai suoi piedi con il volto schiacciato a terra, in cerca della grazia. La donna si voltò di scatto, e lo lasciò lì da solo, di nuovo. La porta della cella si richiuse con uno scatto, e Leon tornò al suo giaciglio, certo che ormai di non avere più speranze: era nelle grinfie di Jade.
“E’ quasi pronto” disse alle guardie, che annuirono serie.
 
“Ero pronto, capisci?” singhiozzò Leon, mentre Violetta annuiva senza però sapere che il peggio dovesse ancora arrivare. Già le sembrava terribile quello che il povero principe aveva dovuto attraversare, e sentiva il forte impulso di piangere insieme a lui.
“Pronto per cosa?” domandò, temendo già la risposta.
“Mi aveva privato di tutto…tutto. E non parlo solo di beni materiali. Ero pronto a diventare quello che lei mi avrebbe ordinato di essere”.
 
Quando per la prima volta Leon vide la luce del sole, rischiò di esserne accecato. Quanto tempo era trascorso? Aveva ormai perso il conto dei giorni trascorsi in quel lurido buco, e ogni suono gli appariva confuso, uno stridio indistinto. Fu portato in una piccola stanza nel castello, facendo attenzione che nessuno della servitù lo vedesse: erano in pochi a conoscenza del trattamento che la regina aveva avuto in mente per il figlio, e tutti sapevano solo che il giovane Vargas era molto cagionevole di salute in quel periodo, tanto da non lasciare mai le sue stanze.
La piccola stanza era di pietra, e non vi era alcun mobile o arredamento, se non un piccolo tavolino in legno. Era spoglia, e i lastroni di pietra sporgevano minacciosi. Sul tavolino un coniglio bianco dalle chiazze nere, era stato legato per le zampe, attorno a dei chiodi con un fil di ferro. Accanto all’animale che tremava terrorizzato giaceva un coltello.
“Uccidi il coniglio” dissero in coro le due guardie, chiudendo la stanza a chiave. Leon scosse la testa deciso. Non uccidere: era una delle massime del padre, e non aveva intenzione di tradirlo.
“Non posso” disse, avendo più paura del coniglio stesso per ciò che avrebbero fatto di fronte al suo rifiuto. Venne percosso con il bastone della lancia, e scortato nuovamente nella cella. Il ragazzo si accasciò sul giaciglio gemendo per il dolore delle ferite, mentre già dei lividi violacei gli costellavano  il braccio e la schiena.
Anche il secondo giorno venne portato nella stanza, e gli venne ordinato lo stesso. Ancora una volta rifiutò, e dopo essere stato nuovamente picchiato, si ritrovò come sempre nella buia cella, a cercare di sopportare il dolore. Aveva fame, freddo, e non riusciva quasi più a muoversi, tanto era indolenzito, e per un secondo pensò di lasciarsi morire. Ma ebbe paura, e si tirò indietro da quella folle decisione.
Il terzo giorno andò diversamente. Senza sapere come, Leon provò odio per quel coniglio, a causa del quale continuava ad essere picchiato. La massima diceva di non uccidere, ma in fondo si trattava di un animale, no?Poteva fare un’eccezione, e afferrò il coltello con ira. Affondò la lama nel corpo del coniglio e vide gli occhi neri dell’animale spalancarsi, mentre esalava l’ultimo respiro. Quella sera Leon avrebbe mangiato della carne di coniglio per cena.
Il giorno dopo uccise un altro coniglio, e mentre lo faceva non provò nulla. Nulla di nulla. Pensava solo che almeno sarebbero stati contenti, che forse per premio lo avrebbero finalmente liberato. Sapeva che era solo un’illusione, ma era quell’illusione a non fargli provare rimorso per ciò che faceva. In fondo uccidere era un gesto meccanico, e lui stava solo imparando il trucco per apprendere quell’arte senza però doverne subire le conseguenze.
Un giorno tutto cambiò: invece del solito animale impaurito, nella stanza ad attenderlo c’era un vecchio legato ad una sedia. Aveva i capelli bianchi e lunghi, il volto incavato come il suo: che fosse anche lui un prigioniero? Non ebbe nemmeno il tempo di darsi una risposta, che gli venne passato da uno dei suoi carcerieri un coltello.
“Uccidilo” gli ordinò con tono incolore. Leon lasciò cadere l’arma, e arretrò inorridito, mentre il vecchio chiudeva gli occhi, temendo la sua sorte.
“Non posso…è un uomo!”
“Un uomo, un coniglio…che differenza fa?” sghignazzò la guardia, punzecchiandolo con la punta della lancia. Il ragazzo scosse la testa, e chiuse gli occhi, aspettandosi la punizione che non tardò ad arrivare.
Lui voleva davvero rispettare la massima del padre, davvero. Ma non era così forte da sopportare tutto quello. Era solo un ragazzino, e la prospettiva di uscire da quella cella era troppo allettante per lasciarsela sfuggire. Quel vecchio sarebbe morto comunque, prima o poi, mentre lui aveva ancora una vita da vivere. Cercava di convincersi che non c’era niente di male in quello che avrebbe dovuto fare, e iniziò a riversare il disprezzo che nutriva per sé stesso nel vecchio.
“Ha uno sguardo cattivo. E per colpa sua io sono ancora qui” si diceva tra sé e sé, rannicchiato in un angolo della sua prigione. “Non ho ragione?” chiese a un interlocutore inesistente. “Certo che ho ragione”. E fu così che uccise anche l’anziano. Impresse nella mente lo sguardo implorante della sua vittima, e lo confrontò a quella del coniglio: improvvisamente non ne vedeva la differenza. La realtà si stava deformando sotto i suoi stessi occhi; le massime del padre si dissolvevano lentamente, mentre ogni giorno Leon faceva la stessa identica cosa: privare un essere vivente della vita. Dopo l’anziano non finì lì. Ci furono altri vecchi, uomini, persino una donna. Alcune volte fu più difficile di altre, ma alla fine portava sempre a termine il compito. Le notti non dormiva, tormentato dai fantasmi  che inevitabilmente non lo abbandonavano, e crollava solo per il troppo sonno. Era anche lui un fantasma, il fantasma di un uomo.
 
Il giorno in cui era finita la sua prigionia lo ricordava come un giorno maledetto e benedetto allo stesso tempo. Non appena fuori venne portato nelle sue stanze, venne lavato con cura, e gli venne portato un lauto pranzo. Si lasciava condurre come un burattino, lo sguardo era ormai spento, la volontà annullata. Se gli avessero chiesto di suicidarsi, forse l’avrebbe fatto. Ancora non aveva visto sua madre, e a stento ne ricordava i lineamenti. Gli occhi che ancora conservavano il loro verde brillante erano quasi perennemente socchiusi, a causa della forte luce del sole a cui non era abituato. Ad aiutarlo a ripercorrere quei ricordi dolorosi c’era Violetta. Gli teneva la mano, facendogli forza, e sebbene era evidente quanto fosse angustiata per quella storia, sembrava intenzionata a voler ascoltare tutto, fino alla fine.
“Erano molto gentili con me in quei giorni, talmente tanto che ero sicuro che in fondo stessero solo aspettando il momento per rinchiudermi in quella cella di nuovo, dove non so nemmeno io quanto tempo avevo passato, certamente troppo”.
“Leon…se non vuoi andare avanti con il racconto…ti capisco”. Violetta tremava di paura per quello che gli avevano fatto, e temeva che non fosse finita lì. Leon era stato torturato non solo fisicamente, ma anche psicologicamente, rendendolo una bestia senza sentimenti. Gli avevano instillato odio ogni giorno sempre di più, odio nei confronti di tutti, anche di se stesso. Era arrivato a disprezzare coloro che avrebbe dovuto uccidere per non sentire il peso della colpa. Gli avevano strappato tutto, anche il ricordo del padre, dei suoi insegnamenti.
Leon non disse niente, semplicemente strinse più forte la mano, e respirò profondamente.
“Hai detto di volermi conoscere…e anche io voglio che tu sappia” mormorò Leon. Aveva paura che dopo la storia del suo passato, Violetta non avrebbe mai più voluto vederlo. E aveva bisogno del suo appoggio a tutti i costi.
 
Venne condotto nella stanza della madre, e non ci fu bisogno che i carcerieri lo strattonassero come l’altra volta. Procedeva da solo, barcollando, non ancora ripresosi del tutto dalla prigionia, ma in condizioni decisamente migliori: il colorito della sua pelle sembrava essersi acceso di un fievole rosa, nonostante l’espressione del suo volto fosse quella di un morto. Privo di qualsiasi emozione, incapace addirittura di pensare, fece il suo ingresso nella camera della regina, e si ritrovò di fronte Jade seduta su un lato del letto, che aspettava la sua visita con un sorriso indulgente.
“Il mio bravo e forte Leon” disse con dolcezza, facendo cenno alle due guardie di lasciarli da soli. Non appena le porte si furono richiuse, Leon alzò lo sguardo, tenuto basso, con un lampo di ira e frustrazione.
“So cosa stai pensando…pensi che sia colpa mia. Ma io l’ho fatto solo per te, figlio mio, per renderti più forte. Con te il Regno non subirà mai tentennamenti”. Il ragazzo spense la rabbia in un istante, e si lasciò circuire dalle sue parole. Forse aveva ragione, forse c’era bisogno di un uomo come lui perché il Regno non crollasse sotto le spinte dei dissidenti.
“Madre…era necessario?” disse il principe con un tremito, al solo ricordo di tutte le orribili azioni commesse.
“Si, Leon, lo era. Per il tuo bene…tuo padre sarebbe fiero di te, dell’uomo che sei diventato”. Menzogna, pura menzogna, e lo sapeva bene, ma perché non illudersi che fosse quella la verità, che fosse il volere di suo padre? Almeno i rimorsi sarebbero stati meno soffocanti. Più si illudeva, più diventava ciò che non voleva essere e che non era mai stato. Il principe si inginocchiò di fronte alla madre e le baciò la mano, in segno di totale sottomissione. Non sapeva più chi era, ma sapeva quale era il suo compito, il suo scopo. Jade gli porse un piccolo pugnale dal manico dorato, e gli indicò la mano che stringeva la sua.
“Voglio che tu mi faccia un giuramento, Leon”. Il ragazzo afferrò il pugnale rapidamente si incise un profondo taglio sul palmo della mano, soffocando un gemito di dolore, che rimaneva nulla in confronto a ciò che aveva dovuto subire.
“Prometti tu di servire sempre la tua regina, con onore fino alla fine dei tuoi giorni?”
“Lo prometto”
“Prometti di mettere sempre avanti il bene del regno al tuo bene personale?”
“Lo prometto”
“Prometti di eseguire gli ordini che ti verranno assegnati per quanto discutibili e assurdi ti potranno sembrare?”
“Lo prometto”
“Ora e sempre?”
“Ora e sempre”
Il giuramento fu sigillato, e Jade in tutta risposta gli diede ciò che sapeva il figlio desiderava più di ogni altra cosa: il conforto di una madre. “Vieni, figlio mio” disse, allargando le braccia, e permettendo a Leon di gettarsi tra di esse. Non versò una lacrima in quel freddo abbraccio, perché ormai aveva imparato che piangere rendeva solo più deboli. Quando piangeva le guardie si divertivano a picchiarlo con più forza, e quel ricordo era per lui come un insegnamento.
“C’è qualcos’altro che devi fare. Considerala una sorta di prova di fedeltà” gli sussurrò all’orecchio con tono glaciale. Leon si irrigidì di poco, ma poi si separò annuendo.
“Tutto ciò che vuoi,  madre” sentenziò Leon inespressivo. Era la sua prova di iniziazione.
 
“Conobbi Felipe che avevamo solo cinque anni, ma stringemmo subito amicizia. Lui era il figlio di uno dei cuochi a palazzo, e aveva ottenuto il permesso di vivere al castello. Eravamo molto diversi, sia fisicamente che caratterialmente” si lanciò nel racconto Leon, fissando intensamente Violetta.
“Lui moro con gli occhi scuri, io castano con gli occhi chiari. Io ero introverso e anche un po’ timido, mentre lui era un tornado per la vivacità che gli esplodeva nel corpo. Mia madre aveva sempre disapprovato la nostra amicizia, ma mio padre mi consentiva di frequentarlo come il figlio di un nobile. Non ci separavamo mai, era come un fratello per me…”. Si interruppe all’improvviso. Violetta sentì la stretta aumentare, ma non disse nulla, semplicemente lasciò che il silenzio gli desse il coraggio per continuare. Non l’avrebbe abbandonato, non quando era ormai chiaro che avesse bisogno di lei come l’aria.
 
“Non ce n’è alcun bisogno!” strillò Leon, allontanandosi dalla madre per quell’assurda richiesta.
“Invece si, Leon…Felipe è stato visto in compagnia di persone poco raccomandabili. E se avesse intenzione di detronizzarmi? Non capisci che quel ragazzo è un pericolo per la stabilità del regno?”.
“Potrei parlarci, non è necessario…” cercò di farla desistere inutilmente, e ricevendo solo un diniego dietro l’altro.
“In questi tempi l’abbiamo tenuto lontano. Le sue richieste continue di vederti mettevano a dura prova la mia pazienza, ma l’ho tollerato solo perché sapevo fosse una persona a te cara. Ma adesso non si può andare avanti in questo modo. Felipe deve morire, e sarai tu ad ucciderlo”. Leon sentì il mondo crollargli addosso: non poteva rifiutare, aveva fatto un giuramento, e allo stesso tempo non poteva davvero uccidere il suo amico, compagno fedele. Annuì meccanicamente, e allontanò ogni sentimento. Lui aveva una missione, e l’avrebbe portata a termine. Felipe era l’ultimo ostacolo da rimuovere per una vita priva di sofferenze.
Jade sorrise tra sé e sé; ovviamente quella storia era tutta una menzogna: il figlio del cuoco, che già aveva provveduto a far allontanare non appena quella storia si fosse conclusa, non era stato visto con nessun personaggio sospetto. Non era un rivoluzionario, non tramava contro la corona, ma era necessario affinché le ultime barriere mentali di Leon crollassero miseramente. Nonostante fosse ormai chiaro che la volontà del giovane era stata annullata con il suo paziente gioco, quell’ultimo passo avrebbe reso il suo addestramento definitivo. Erano passati tre anni dalla morte di Javier, e finalmente aveva il suo personale assassino.
la Grotta
“Sei qui” mormorò Felipe, alzandosi in piedi. I suoi occhi nerissimi risplendevano ardimentosi. Era sempre stato coraggioso, ed adesso sapeva che era giunta la sua ora, ma non aveva intenzione di implorarlo di risparmiargli la vita, né voleva dare alcuna soddisfazione a colei che era dietro tutto questo. Voleva solo lasciare qualcosa a Leon su cui riflettere, affinché ci fosse in futuro una speranza per lui di uscire da quel circolo vizioso di odio e vendetta.
“So già cosa devi fare” disse, per poi continuare a fissare l’effige del Dio Spazio. Si voltò verso Leon, e sorrise amaramente: “E so che non ti tirerai indietro. Un tempo eri più codardo”. Leon strinse il pugnale che teneva nella mano, incapace di muovere un muscolo.
“Sappiamo entrambi che non hai altra scelta…ma c’è qualcosa di cui ti devi ricordare. Le massime di tuo padre; un giorno ti dissi che erano sciocche e inutili, ma una in particolare deve rimanere nella tua testa, Leon”. Il principe al solo sentire nominare quelle famose regole, si sentì colto alla sprovvista e preso dal terrore mosse di scatto il pugnale, conficcandolo nel cuore di Felipe. Il ragazzo ricadde per terra, accasciandosi, mentre fiotti di sangue deturpavano quel luogo sacro. Teneva ancora in mano il pugnale, e lo guardava inorridito. Un fantasma in più che lo avrebbe tormentato nel sonno.
Cerca di essere saggio, e ricorda che ciò che ci distingue dalle bestie non è solo l’intelletto.
Forse quella era la sua unica salvezza, ma non capiva in che modo delle parole potessero portarlo in salvo, dopo tutti gli abomini che aveva commesso. Tutto perse di significato, il bene e il male invertirono la loro posizione nella sua testa, ciò che sembrava sbagliato, assolutamente ingiusto, divenne necessario. E in quel vortice di distruzione Leon perse se stesso.
 
Delle lacrime brillanti come cristalli scesero lungo la guancia di Leon. Violetta finalmente era vicina a quello che provava, e poteva condividere quell’enorme peso che gravava sulla sua coscienza. Ma adesso cosa le avrebbe impedito di avere paura di lui? Prima che potesse dire qualunque cosa, Violetta si gettò tra le sue braccia facendolo cadere supino sul letto. Lo teneva talmente stretto che sembrava non avrebbe voluto lasciarlo più, e forse era davvero così. Leon dal canto suo si aspettava tutto, ma non quello. La sentì singhiozzare, mentre le accarezzava piano i capelli. Sentiva il corpo di Violetta, scosso dal pianto, accanto al suo, e la strinse ancora più forte.
“Leon…è orribile quello che ti hanno fatto, quello che sei stato costretto a fare!” balbettò, mentre piangeva ancora più forte. Lo sapeva, aveva sempre intuito che dietro quella freddezza si nascondesse ben altro, ma tutta quella crudeltà era troppa per il suo cuore. Non avrebbe mai immaginato che Leon si fosse trovato in situazioni tanto dure, non solo per uno della sua giovane età, ma per un uomo qualunque.
“Va tutto bene…” la rassicurò il principe, intimorito. Pensava che l’avrebbe odiato e invece eccola lì, tra le sue braccia, che tentava in tutti i modi di consolarlo, di fargli sentire quell’amore che gli era sempre mancato. Si sentiva come paralizzato, ma il benessere che gli donava quella ragazza nonostante tutto rimaneva unico.
“E poi non sono stato costretto da nessuno…avrei sempre potuto lasciarmi morire. Sono stato un codardo”. Violetta smise di piangere e si separò dall’abbraccio guardandolo negli occhi con severità.
“Non dire queste cose…essere attaccati alla vita non è un sinonimo di viltà. Non è mai stata colpa tua, Leon. Ti hanno fatto vedere quello che volevano che tu vedessi. Ti hanno manovrato, hanno approfittato di te…”. Leon prestava attenzione a quelle parole, e ne dipendeva completamente. Mai nessuno lo aveva difeso in quel modo. Tra quei pochi che ne erano a conoscenza, solo Humpty aveva cercato di mostrargli quanto in realtà fosse Jade stessa ad aver sbagliato, ma non gli aveva mai prestato attenzione.
Violetta accostò piano le labbra alle sue, baciandolo dolcemente, e Leon dimenticò il suo passato in un istante. Quando si separarono, Violetta poggiò la testa sul suo petto, mentre le cingeva la vita con le braccia.
“Posso rimanere con te stanotte?” si azzardò a chiedere la ragazza, sollevando di poco il capo. Leon le diede un bacio sul capo, e annuì, facendola accoccolare su di lui. Le gambe dei due erano intrecciate, e i loro corpi adagiati l’uno sopra l’altro.
“Speravo me lo avresti chiesto, lo speravo tanto”.














NOTA AUTORE: Partendo dal presupposto che amo questo capitolo dal punto di vista dei contenuti (e concedetemelo ogni tanto xD), dal punto di vista stilistico ero sicuro sarebbe venuto molto peggio, e invece mi sorprendo di me stesso. In realtà ero incerto se essere un po' più crudo nella descrizione del passato di Leon, ma non l'ho fatto per due motivi:
1) il rating era arancio, e già mi sembra di battermela sul filo del rasoio
2) mi sembrava assolutamente inutile insistere su particolari che alla fine non aiutavano a capire dove volevo che il lettore concentraste la sua attenzione, ossia sulla tortura non fisica, quanto psicologica a cui viene sottoposto Leon. 
Detto ciò, ecco spiegati i motivi per cui forse vi sembra un po' più 'soft' il capitolo (per me rimane tostissimo, ma poi sono punti di vista xD). Non mi dilungo nella spiegazione del cambiamento di Leon, nè mi soffermo sulle tappe della sua 'formazione' anche perché mi piacerebbe capire come ognuno di voi ha vissuto questi piccoli frammenti del passato di quello che si rivela essere in assoluto uno dei personaggi più complessi, tra i 'buoni' (che poi tanto buono non è, nè sarà...ma dettagli). Comunque ci ho tenuto anche a mettere in risalto il profondo legame tra Violetta e Leon, che fa forza a quest'ultimo permettendogli di raccontare qualcosa che altrimenti non sarebbe riuscito a fare...Dubbi, perplessità, critche? Che vi aspettavate, che non vi aspettavate? Cosa condividete del personaggio, cosa non condividete? Dai, qui vi voglio attivi e propositivi, è un personaggio tutto da analizzare e da criticare (?) :D La scelta di un suicidio che non riesce a prendere...insomma ci sono tante cose che possono essere oggetto di critiche, ma anche di riflessione, e vi voglio sentire dire la vostra! Ok, adesso mi dileguo che ho scritto anche troppo nella Nota Autore (e non è da me xD). Grazie a tutti voi che continuate a seguirmi, e alla prossima! Buona lettura a tutti :3
  
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