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Autore: Lisaralin    02/04/2014    2 recensioni
"In my thoughts and in my dreams
They're always in my mind
These songs of hobbits, dwarves and men
And elves come close your eyes
You can see them too."

(The Bard's Song, Blind Guardian)
Raccolta di flashfic sui personaggi della saga. Nel segno del caso.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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200px-Dorn



Personaggio: Dorn Il-Khan
Genere: Introspettivo, Malinconico
Rating: Giallo
Avvertenze: ispirata alla canzone The Castle Hall di Ayreon, da cui sono tratti il titolo e la citazione iniziale. Non ho ancora giocato la quest di Dorn in BG2:EE, quindi la storia si basa esclusivamente sugli eventi del primo gioco. Le informazioni sulla madre di Dorn sono basate sul racconto ufficiale che si può leggere sul sito di BG Enhanced Edition.

 

"Cries from the grave resound in my ears
they hail from beyond my darkest fears
faces of the past are etched in my brain
the women I’ve raped, the men I've slain
shades of the dead are sliding on the wall
demons dance in the castle hall.”

(Ayreon, “The Castle Hall”)


Demons dance in the castle hall

Gli spettri prendono forma dall’oscurità.
Emergono dagli angoli più lontani, dove il debole fuoco delle torce magiche non riesce a lambire il buio. Sorgono dalle fessure tra le pietre sconnesse del pavimento, scie di oscurità che si condensano pian piano in forma umana. Strisciano lungo le pareti, ondeggiano nella luce tremolante delle torce. Scivolano attorno a lui in una danza ipnotica, chiudendolo in un cerchio di ombra e sussurri.
I loro occhi sono vuoti, ma Dorn percepisce l’accusa nel loro sguardo come un brivido gelido sulla pelle.
Si rende conto di riconoscere la maggior parte delle apparizioni. E la cosa non gli piace affatto.
Le sue dita si serrano attorno all’impugnatura di Rancor. Quando volta la testa in cerca dei suoi compagni non vede nessuno. L’atrio del castello è deserto, a parte lui stesso e le ombre.
Impreca. Muove un paio di passi nel tentativo di arretrare verso l’uscita, ma gli spettri gli sbarrano la strada. Riesce a scorgere il portone oltre le loro sagome fumose, ma non è sicuro di voler scoprire cosa accadrebbe se provasse a passare loro attraverso.
Impreca di nuovo. Il piccoletto è un idiota. Un pessimo leader. Ur-Gothoz è un padrone saggio oltre che feroce, e Dorn ha sempre pensato che avesse i suoi validi motivi per spingerlo a mettere la sua spada al servizio di quell’elfetto dalla risata facile. Se quei motivi ci sono, Dorn non riesce minimamente a scorgerli ora. Solo un completo idiota poteva guidare il gruppo tra le rovine di un castello infestato totalmente privo di ricchezze o oggetti magici di interesse per recuperare un bambino stupido che si è allontanato troppo da casa.
Un’ombra si stacca dal cerchio, gli fluttua incontro tendendo le braccia spettrali. La sua voce è un fruscio distorto in cui Dorn non riesce a distinguere parole di senso compiuto, ma riconoscerebbe tra milioni quel viso sempre deformato dall’angoscia e dalla paura. La sua debole madre umana. Anche da fantasma la patetica donna è capace solo di piangere, come faceva ogni singolo giorno durante i lunghi anni di schiavitù nel villaggio degli orchi.
La rabbia e il disgusto guidano Rancor in un fendente micidiale, e l’ombra della donna si dissolve in tanti filamenti di oscurità che si disperdono tra le crepe del pavimento. È come un segnale per gli altri spettri, che si gettano su di lui all’unisono.
Li falcia uno dopo l’altro con soddisfazione feroce. Senjak e il suo ghigno arrogante, Dorotea la doppiogiochista, quel bastardo di Simmeon che ha ordito il complotto ai suoi danni. I contadini e le madri di Barrow che implorano invano pietà per i figli. Rancor si nutre con avidità dell’essenza degli spettri, e offre al potente Ur-Gothoz il loro odio e il loro dolore come glorioso tributo.
Ogni tanto una delle figure nebulose riesce a toccarlo, e allora una scossa gelida gli si propaga lungo tutto il corpo, lasciandogli dentro un senso di vuoto. La massa di ombre sembra non finire mai.
Sono così tante le persone che ho ucciso… ?
Un tocco è diverso dagli altri. Tiepido anziché gelido, una carezza che gli riporta alla mente sensazioni dimenticate. Si volta, e la vede.
Kryll è bella anche nella morte, e a differenza delle altre ombre sorride.
Un’illusione. Anche lei lo ha tradito come gli altri. Meritava di morire, e ora merita di sparire di nuovo.
Lo spettro di Kryll è rapido ad insinuarsi fino a lui nell’attimo fatale in cui Rancor esita. Dorn si sente avvolgere in un manto di ombre, e fa per divincolarsi. Ma non sente dolore. L’abbraccio dell’ombra ha lo stesso profumo della pelle di Kryll nelle notti estive, dell’erba umida in cui i loro corpi si rotolavano nell’abbraccio del desiderio sotto lo sguardo benevolo delle stelle.
La vita era più semplice allora. I bivacchi attorno al fuoco, la sicurezza di poter dormire indisturbato perché c’è un compagno a guardarti le spalle. I combattimenti schiena contro schiena, la spartizione del bottino, i boccali schiumanti durante i brindisi in taverna. Nessun padrone demoniaco che ti sibila le sue volontà imperscrutabili nella testa, e un corpo caldo che cerca il tuo con desiderio, senza curarsi che il collo su cui sta tracciando una scia di baci appartiene a un mezzosangue, un mezzorco disprezzato da tutti.
Kryll gli circonda il viso con le mani e lo stringe a sé. Dorn sente che le sue dita abbandonano la presa su Rancor, ma non si ribella. Va bene così.
Le gambe gli cedono, la testa si svuota. Se solo potesse fermarsi un attimo a riposare…
Un sibilo acuto squarcia l’oscurità, seguito subito da un secondo, poi da altri ancora. Cinque dardi rossi luminosi convergono su Kryll e la fanno sparire in uno sbuffo di fumo. Le ginocchia di Dorn urtano il pavimento di pietra, e il dolore gli schiarisce la mente, riportandolo al presente. Rancor rimbalza lontano con un clangore metallico mentre le ombre si dissolvono, come spazzate via dal vento.
Il piccoletto è lì, il maledetto eterno sorriso sempre al proprio posto. Sta dicendo qualcosa a proposito di un illusionista pazzo che si nascondeva tra le rovine, ma Dorn lo ascolta solo a metà. Si rialza piano, sbatte le palpebre come se non riuscisse bene a mettere a fuoco l’elfo di fronte a lui.
“Tutto a posto?” domanda il piccoletto. Sembra sinceramente preoccupato.
Al suo cenno d’assenso si mette in marcia verso un’arcata sulla parete sinistra. “Ottimo! Vieni, gli altri ci aspettano da quella parte! E Neera ha trovato il bambino!”
Dorn segue l’elfo senza una parola, fermandosi un attimo per raccogliere Rancor. Le sue dita stringono l’elsa della spada con più forza del dovuto.
Il piccoletto lo ha visto in un momento di debolezza. Dovrebbe ucciderlo solo per questo.
“Dai, sbrigati, che aspetti?” l’elfo lo chiama ancora agitando una mano.
Dorn rinfodera la spada, e lo segue con un sospiro.
Il piccoletto in fondo non è poi un leader così terribile. Nessun capo che torna indietro di persona per recuperare i propri compagni lo è. Forse può concedergli un’altra possibilità.
Forse stanotte potrà dormire con entrambi gli occhi chiusi.

  
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