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Autore: 13Sonne    08/07/2008    2 recensioni
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"Tecnicamente parlando, in questo mondo gli esseri umani sono solo parassiti."
"Tu sei di parte."
"Io sono realista. Noi facciamo ciò che la Natura ci ha detto di fare, ovvero distruggere il mondo. Per quanto, nella Storia, vi sono state volte in cui abbiamo pensato con la nostra testa, fondalmentalmente la gente è stupida e tende a fare ciò per cui è stata creata."
Genere: Generale, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Abaign

I tranquillanti non sembravano fare più alcun effetto.

Era ormai da giorni che Felix si sentiva normale: le sue palpebre non erano pesanti e non faceva fatica a pensare.
Bisognava però dire che in quei giorni Felix pensava soltanto alle mattonelle del soffitto, ormai ultima cosa che vedeva prima di cadere in uno stato di angosciosa confusione e la prima quando riprendeva conoscenza.
Non reagiva quando gli facevano le consuete iniezioni, come non reagiva agli insistenti tentativi della bambina (che non si  mostrava più orribilmente ferita) di farlo parlare con lei.
Felix continuava a ripetersi che era un sogno. Quando lei ridacchiava, quando giocava con la palla (dove diavolo l’aveva trovata?), persino quando rimaneva ferma a fissarlo per ore, lui continuava a ripetersi che era solo un’allucinazione, che era solo un tentativo di farlo impazzire e che doveva ignorarla. 

Non sussultò nemmeno quando la porta della cella si aprì per la prima volta nella giornata. O serata- non che Felix sapesse davvero se era mattina o sera o che altro.
Il rumore di patatine che scricchiolano l’una contro l’altra all’interno di un sacchetto gli fece capire, senza neanche doversi girare, che quello era uno dei primi due scienziati che aveva sognato: probabilmente il maschio, visto che di solito la ragazza si limitava a tenere dei biscotti nelle tasche.

“Ciao, occhietti d’ambra!” 

La voce era sicuramente maschile e quell’allegro saluto poteva appartenere solo al tizio con gli occhiali che mangiava ciambelle. Qualsiasi fosse il suo nome.

“Come vanno le piaghe da decubito?” 

Felix poté sentire la bambina, in un angolo della stanza, ridacchiare alla battutina dello scienziato: probabilmente ciò che l’aveva fatta ridere era il tono scherzoso dell’uomo, piuttosto che le parole in se.

“Andrebbero meglio se tu mi dessi una ciambella!” 

Quando la bambina sentì lo scienziato imitare la voce di Felix (con risultati piuttosto scadenti, a dire il vero) non poté trattenersi dallo scoppiare a ridere, probabilmente presa alla sprovvista per darsi un minimo di autocontrollo- o forse perché, alla fine, non le importava. Lo scienziato non la vedeva ne la sentiva: quella era un’allucinazione solo sua, a quanto pareva.

“Aww, vuoi ciambella piccolino? Ishi? Ishi? Gnammy gnammy!” 

Felix trovò in un qualche modo consolante constatare che persino in un sogno dove vedeva bambine fantasma c’era sempre qualcuno più pazzo di lui.

Lo scienziato sospirò, decidendo di smettere con il suo siparietto e di prendere, con la mano libera, una siringa dal camice. “Sai, occhietti d’ambra, dovresti ridere di più. E, bhè, dovresti mangiare.” 

Era sorprendente come lo scienziato sentisse il bisogno di parlare di qualcosa ogni volta che entrava nella sua cella- come d’altronde era sorprendente la sua costanza nel mangiare cibo spazzatura. Era probabile che fosse qualcosa che faceva con tutti gli altri pazienti, vista l’allegria che aveva dimostrato con la collega il giorno in cui erano venuti a prenderlo.

Come si poteva fare un lavoro del genere ed essere di buon umore?

“Non che mi lamenti, ma almeno non rischieresti la disidratazione. Andiamo, non è meglio bere acqua piuttosto della flebo?” 

Lo scienziato scosse leggermente la testa, fra se e se, quindi riprese il solito sorriso e si sedette accanto al letto, poggiando il sacchettino di dolci a terra per poi prendere il braccio di Felix. “Comunque, per adesso stai bene. Tristezza e apatia a parte. La siringa contiene glucosio: è accaduto un piccolo incidente che ci ha messo leggermente a corto di flebo, ma tutto si risolverà per domani.”

Non che quel fiume di parole avessero davvero un senso, per Felix. Per quanto i suoi voti dimostrassero il contrario, non aveva mai capito nulla di chimica e non aveva la minima idea di cosa fosse il glucosio: per quello che ne sapeva poteva essere anche una droga confezionata. 

“Felix.”

Felix s’irrigidì, preso alla sprovvista dalla voce della bambina: non solo non si aspettava che parlasse, almeno in quel momento, ma anche quel suo tono di voce. Era come se fosse in allarme per qualcosa.
Lo scienziato diede dei leggeri colpetti alla siringa, cercando di far fuoriuscire l’aria. “Rilassati, occhietti d’ambra. Non fa male.”

“Felix, non ascoltarlo!” La bambina stava gridando. Felix aggrottò la fronte, perplesso: la bambina non aveva mai gridato prima. “Ti vuole avvelenare! Lui e l’uomo alto, loro ti stanno avvelenando!” 

L’ago entrò nella carne del braccio: di solito Felix l’avrebbe appena notato, ma in quel momento il dolore gli sembrava persino insostenibile.
Lo stavano avvelenando? No, impossibile. Non era possibile che lui, un Carlyle, potesse credere anche solo per un secondo ad una allucinazione.
Di che uomo alto parlava?

“Felix,” la bambina saltò sul letto di Felix, alzando poi un pugnetto in aria in un disperato tentativo di farsi ascoltare, “fermalo!!” 

Lei abbassò il pugno quanto più violentemente le era possibile e Felix strillò, portando istintivamente la braccia alla testa, senza ragionare nemmeno un momento sul fatto che la bambina era solo un’allucinazione, che quello era un sogno, e che comunque il pugno di una ragazzina di neanche dieci anni non poteva fare troppo male.

A riportarlo alla realtà fu un secondo grido. Quando Felix, ancora leggermente spaventato, si fidò ed abbassò le braccia, si trovò di fronte allo scienziato che lo fissava con un’espressione terrorizzata, massaggiandosi spasmodicamente il cuore.
Felix aprì e richiuse la bocca, senza sapere cosa dire. 

“L-l’ago ha f-fatto m-male?” chiese infine lo scienziato, dicendo la prima cosa che gli semrbava vagamente sensata.

Felix, con gli occhi spalancati e senza sapere cosa fare, si limitò a fare la prima cosa che gli veniva in mente: annuire, non troppo convinto.
Lo scienziato accettò tale risposta senza fare ulteriori domande.

“O… Ok. Uh, tenterò di, uh, essere meno-” cominciò lo scienziato, fermandosi appena l’occhio gli cadde sulla siringa che teneva in mano: l’ago era ridotto ad un quarto della sua normale lunghezza e la punta era fin troppo irregolare. Si voltò di nuovo verso Felix, con una mezza idea di chiedergli se sapesse se il modello di base era progettato in quel modo, ma le parole gli morirono nuovamente in gola, mentre il suo volto veniva trasfigurato da una smorfia di orrore.
“Eeew!” fu tutto ciò che riuscì a dire. 

Felix abbassò lo sguardo verso il suo braccio, comprendendo perché lo scienziato fosse così disgustato: li dove prima aveva tentato di iniettargli… qualcosa era conficcato ciò che rimaneva dell’ago. Senza pensarci troppo lo tolse, maledicendosi subito dopo per il dolore.
Si bloccò, comprendendo in quel momento che stava sentendo dolore. 

Era un incubo. Si era ripetuto per… non sapeva neanche quanto tempo che era un incubo. Com’era possibile che sentisse dolore?

“Ngh… ok.” Lo scienziato inspirò profondamente, evitando accuratamente di fissare l’ago. “Prendo un’altra siringa. Torno subito. Vuoi qualcosa da mangiare…?”
 
Tentò di sorridere, riuscendo a fare solo una debole smorfia: era evidente che non avesse ancora superato lo spavento. Felix scosse la testa e lo scienziato non aggiunse altro, prendendo la porta di fretta.

“Blocca la porta prima che si chiuda, Felix.” 

Felix si voltò verso la bambina, spaventato: per un qualche motivo era convinto che fosse scomparsa, dopo il suo strillo.

“La porta, Felix!” 

La porta si stava per chiudere, si. Che importanza aveva? Non doveva essere un sogno quello? Eppure il dolore, riusciva a sentire il dolore- che cosa significava? Non poteva essere.
Non poteva essere.
Ma se fosse stato…?

“Blocca la porta!” 

Il grido lo riportò in se, facendolo scattare verso la porta, fermandola appena in tempo.
La aprì leggermente, spiando il corridoio, cercando se ci fosse qualcuno. Nessuno: lo scienziato doveva essersene andato, anche se probabilmente sarebbe tornato presto.
Quello era un buon momento per cercare di fuggire, ma Felix preferì fissare il corridoio per qualche altro secondo. Forse non doveva fuggire. Forse faceva meglio a rimanere nella stanza e chiudere la porta. Se l’avessero ripreso? Le cose sarebbero sicuramente andate peggio e- 

“Ehi!” esclamò Felix appena si rese conto che la bambina era scivolata fuori dalla stanza e che stava correndo per i corridoi, schiamazzando allegramente.

Uscì dalla camera per andare a prenderla e prima che se ne potesse accorgere la porta si era chiusa alle sue spalle: in quel momento non gli importava. La bambina faceva troppo rumore, avrebbe potuto richiamare l’attenzione di qualcuno e- e allora cosa avrebbe fatto?
La rincorse, sorprendendosi nel constatare che non aveva problemi a fare simili sforzi dopo tutto quel tempo che non si muoveva e non mangiava- quanto tempo? Tre giorni? Una settimana? Due mesi? 

Si maledì per l’ennesima volta, inseguendo la ragazzina in quel dedalo di corridoi. Gli sarebbe bastato fermarsi, rimanere in camera ed aspettare che sua sorella lo venisse a prendere.
Quante possibilità aveva di fuggire in un edificio pieno di gente? Senza neanche sapere a che piano era? 

Il suo flusso di pensieri fu interrotto da un improvviso, insolito rumore- un qualcosa come un ‘beep beep’ meccanico. Felix si morse il labbro inferiore, tentando di pensare ad un piano: perché se c’era un rumore, allora dovevano per forza esserci delle persone.

La prima cosa che gli venne in mente fu di nascondersi. Il posto ideale era quello che sembrava una specie di sgabuzzino: non ne era sicuro, ma la porta era sicuramente meno massiccia di quelle degli altri prigionieri (Dannazione, c’è n’erano persino degli altri) e meno elegante di quella delle altre stanze che aveva notato durante la corsa.
Deciso che quello era il migliore, nonché unico, piano, Felix scattò in avanti prendendo la bambina con una mano (lei strillò come se qualcuno volesse ucciderla: se avesse potuto, Felix avrebbe volentieri ragionato su quell’ipotesi tanto era il fastidio che tale urlo gli procurò) e si catapultò all’interno dello sgabuzzino.

Nello stanzino la ragazzina sembrò calmarsi. Felix fu grato di quella breve pace e si mise in ascolto dei rumori che provenivano dal corridoio.
Dapprima nulla. Felix non si tranquillizzava, rimaneva immobile contro la porta.
Poi dei passi. Due persone, forse tre. Parlottavano fra loro, ma non riusciva a sentire che poche sillabe.
Infine, di nuovo, il silenzio. Il rumore dei passi si era affievolito fino a scomparire, quel suono meccanico cessato. 

Felix si ricordò finalmente di respirare e buttò fuori l’aria, facendo poi cadere la testa contro il petto, mollemente. Quello era vero. Era inutile pensare che fosse un incubo, inutile sperare: non poteva risvegliarsi.
Eppure tentare di scappare sembrava ancora un suicidio. Sua sorella stava sicuramente lavorando per recuperarlo, ed entro poco lo scienziato strano avrebbe scoperto che era uscito e avrebbe dato l’allarme. Quante speranze aveva?
Senza armi non poteva sperare molto. Poteva stenderne qualcuno, certo: poteva pure minacciare di prendere qualcuno in ostaggio. Ma non sapeva dove si trovava, non sapeva dove fosse l’uscita. E poi era da solo contro quanti?
Non poteva fuggire. Non poteva fare nulla. Forse, se tornava indietro, non l’avrebbero ucciso.
Sospirò, portando le mani alla testa. Doveva tentare di scappare… anche se non c’era alcuna possibilità di vittoria. 
Alzò lo sguardo, ricordandosi in quel momento della bambina che, seduta sul pavimento, in quel momento stava cantando qualcosa. Felix gemette al pensiero che qualcuno nel corridoio potesse sentirla e trovarlo.
Lei era un altro problema. Lei era un elemento di disturbo. Lei-

“Bambina?”

Lei alzò il viso, sorridendogli. “Ciao, Felix!” 

Felix la guardò, rendendosi improvvisamente conto che la bambina sapeva il suo nome. Come faceva a saperlo?
Bhè, era una sua allucinazione, era ovvio che sapesse il suo nome.
Però... però prima l’aveva trascinata nello sgabuzzino: le sue mani avevano davvero sentito il calore della sua pelle, aveva davvero affondato la presa nella carne del suo collo. Che razza di allucinazione faceva provare simili sensazioni? 

“Cosa… Chi sei tu?” chiese infine Felix, tentando di convincersi che la sua voce stava tremando perché non la usava più da tempo e non per la paura.

La bambina batté le mani l’una contro l’altra, ridacchiando. “Non ti ricordi di me? Herzeleid Thompson?” 

Lui aggrottò la fronte, perplesso. Quel nome era familiare. Lo aveva già sentito da qualche parte, lo sapeva, ma dove?

Herzeleid si mise in piedi, sporgendosi verso di lui con un’espressione di disappunto esageratamente marcata sul viso. “Non ti ricordi di me, Felix?” 

Felix digrignò i denti, cercando nella sua memoria. Non aveva mai conosciuto nessuno con quel nome durante la sua adolescenza, quello era certo. Era troppo piccola per essere della mafia.
Quante volte nella sua vita era entrato in contatto con una bambina? Mai. Ne era sicuro, non aveva mai incontrato prima una bambina.
O forse… 

Lo stomaco gli si rivoltò al solo pensiero. Ma certo che era entrato in contatto con una bambina…

Lei fece un sorriso da un orecchio all’altro, mutando improvvisamente nella forma che aveva la prima volta che si era mostrata. “Lo sapevo che ti ricordavi di me, Felix!” 

Ciò che avvenne dopo fu così veloce da non arrivare nemmeno ad un minuto.
Felix era rimasto scioccato. Non poteva essere stato lui a fare del male in quel modo a quella bambina. Quella bambina non poteva essere un fantasma. Erano cose che non capitavano nella vita reale, e non potevano essere capitate a lui.
Herzeleid provò ad avvicinarsi, ridacchiando, e la reazione istintiva di Felix fu quella di avere paura: d’altronde che altro poteva volere da lui, oltre che ucciderlo?
Impugnò la prima arma che gli capitò sotto mano, presa da uno degli scaffali accanto alla porta: il momento dopo stava scavando nella carne della bambina, accoltellandola più e più volte, fin troppo terrorizzato per pensare seriamente a cosa stesse facendo.

Stava accoltellando solo una poltiglia informe di carne e ossa quando decise finalmente di fermarsi.
Tentò di rallentare il battito del proprio cuore, continuando a stringere spasmodicamente il bisturi. Respirava affannosamente, eppure non si sentiva male: non gli mancava ossigeno, non era stanco.
C’era qualcosa di strano, ne era certo. Ma prima che potesse seriamente pensare a cosa questo fosse, la porta dello sgabuzzino si aprì, facendo girare Felix di scatto. 

La stanza doveva essere un disastro. Gli schizzi di sangue della bambina dovevano aver raggiunto il soffitto.
Eppure lo scienziato - era ovvio lo fosse, visto il camice - non sembrava particolarmente colpito. Fissava Felix, con un occhio socchiuso e l’altro aperto, in un espressione perplessa: non era spaventato, solo sconcertato.
Sebbene molto alto (doveva superarlo di dieci centimetri come minimo) dava l’impressione di non essere forte: pallido, gracile e magrolino, Felix avrebbe potuto stenderlo benissimo se solo non fosse così terrorizzato dall’idea di essere stato scoperto.
Aveva i capelli biondo chiaro (una rarità, di quei tempi), corti, e gli occhi azzurri.
L’attenzione di Felix andò interamente sugli occhi dello scienziato. Dove li aveva già visti?

“Bisturi. Per favore.” Disse lo scienziato, interrompendo il filo di pensieri di Felix. 

Ci mise un po’ per capire che lo scienziato non aveva detto una parola a caso ma stava attualmente chiedendo di passargli un bisturi: non si fermò quindi a pensare che, forse, avrebbe dovuto semplicemente eliminarlo ed evitare il rischio, ma bensì, in un moto istintivo, gli passò l’arma che aveva usato con Herzeleid pochi secondi prima.
Lo scienziato prese il bisturi, facendo un cenno con la testa che Felix prese per un ‘grazie’, poi richiuse la porta.

Erano strani i pensieri che quella situazione altamente ridicola creavano. La cosa ancora più strana era che Felix li prendeva come seri. 

Forse, se rimaneva lì dentro, avrebbe potuto sopravvivere.
Forse, se non si muoveva, non l’avrebbero ucciso.
Forse avrebbe potuto rimanere lì.
Forse

Il suono di una sirena fendette l’aria, propagandosi con forza per tutto l’edificio.         

  
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