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Autore: ness6_27    03/04/2014    1 recensioni
Due ragazzi rimangono da soli in una villa senza elettricità. Decisero di raccontarsi una storia per passare il tempo. La storia di una ragazza che si trasferisce controvoglia in un piccolo paesello, e diventa la protagonista insieme a un introverso ragazzo, di eventi piuttosto particolari, legati al folklore di quel paese. Tante storie popolari, tra lupi, spiriti, e altro. Non proprio cose di tutti i giorni.
Genere: Generale, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Davvero? Non si seppe mai che successe a quell'autobus?”
No, i miei mi hanno sempre detto che non si scoprì nulla.”
Strano davvero.”
Già.”
Ma tuo nonno invece com'era a quell'età?”
Bhe, era molto diverso.”
In che senso?”
Beh, molto diverso dalla nonna giovane, molto diverso anche da come era quando ho avuto modo di conoscerlo io. Devi considerare che mio nonno perse i genitori alla nascita, i genitori adottivi non erano un granché, e non appena poté amministrare i beni dei suoi genitori biologici a sedici anni con l'emancipazione minorile, scappò e si rifugiò nella villa dei suoi, dove stava sempre solo. A quanto mi ha raccontato la nonna, era un tipo molto particolare.”


E bene, anche questo serie l'ho finita. Anche questo baluardo di emozioni derivante da una semplice storia è finito. E con la sua fine si è portato via tutti i suoi personaggi, tutte le sue storie, tutte quelle cose alla quale io mi ero indissolubilmente legato. Il problema è sostanzialmente che il mio animo non è così indissolubile con se stesso. La fine di questa serie quindi, portandosi tutti gli elementi che più avevo fatto miei, si è portata via una parte di me.
Dicono che le droghe lentamente ti uccidono, ma non è vero. Se questa fosse la definizione di droga, allora le opere di fantasia sarebbero una droga. Quelle ti uccidono piano piano, quelle si portano via parte di te ogni volta. E la cosa più stupida è che tu sai che prima o poi finisce. E più ti attacchi a un personaggio, a un evento di una qualsiasi storia, più nella tua mente si accomoda quella malsana luce scura che ti dice “sì, appassionati finché puoi, perché non durerà molto”. E quindi, quando finisce un'opera che ti piace, ferito, moribondo, cerchi di appassionarti a qualcos'altro, e così via, sempre peggio.
Sì che sono queste le vere droghe. Non quelle sostanze lì. Quelle sostanze le prendi perché sei un disilluso. Tutti sanno che nella vita si provano le emozioni che ti lasciano senza fiato, che ti fanno sciogliere il cuore, che ti fanno annebbiare i sensi, solo per ricordarti di queste emozioni quando tutto sarà finito e in te resterà il vuoto. La vita è questo: da giovane sei forte, sperimenti, affronti, subisci, provi; arrivi fino al cielo per il tuo primo amore, ti senti la testa pulsare come un colpo di pistola per l'adrenalina che ti scorre nelle vene dopo una rissa, ti senti il corpo in fiamme per il tuo primo orgasmo, e tutte queste cose; poi, da vecchio, nemmeno riesci a piangere per la nostalgia che provi nel ricordare tutto questo. Anzi, la nostalgia nemmeno la si prova perché si sa che sarebbe finita così. Ecco, le droghe, quelle definite tali, agiscono nello stesso modo, t'illudono, una e due e più volte, nel mentre ti debilitano, e poi, quando sarai sul punto di morire, ti lasceranno con i soli ricordi riguardanti la bellezza dei loro momenti di estasi. E se tu le prendi, lo sai che lo fai perché agiscono come agisce la vita. Solo molto più velocemente. Punto.
Ma alle persone piace osservare come agisce la vita. Piace in una maniera infinitamente masochistica. Piace pensare che durante la vita si possono provare tanti e tanti sentimenti diversi, e analizzarli sensorialmente uno a uno. Anche se si sa che poche sono quelle emozioni che poi in fondo si vivranno realmente. Ecco perché, una volta che hai analizzato tutti i fremiti, le eccitazioni, gli sguardi e gli intendimenti dei personaggi di un'opera(perché, sì, parlo semplicemente di quello), ecco perché dopo piangi. Piangi perché ti chiedi:
“Chi sono io, cosa dovrò diventare per provare tutto ciò? Anche se quelle emozioni possono essere considerate negative, piango appena finiscono, perché muovevano tutto! La storia, la trama, i dialoghi. E altre emozioni ancora. Io invece sono qui, che mi muovo nell'inerzia della mia vita, nella tristezza della mia vita, una tristezza infima e meschina, che non mi permette nemmeno di piangere, non mi lascia la possibilità di commiserarmi e di urlare di rabbia, con la speranza che questo gesto possa essere una valvola di sfogo!”
Perché troppe vite ormai sono così. Tristemente apatiche. Sono una marcia in avanti col paraocchi. Anzi, con le bende sugli occhi. E se certe vite così non fossero, anche se invece ci fossero persone che si potessero considerare felici, è una felicità della quale non si potrà mai vivere appieno. Resteranno comunque apatiche. Perché anche se fosse una felicità che viviamo, che interiorizziamo, che facciamo nostra, sarebbe una felicità che brilla sotto la lucentezza della fine. E non intendo certo della fine dei nostri giorni, l'ultima cosa della quale ci dovremmo importare se riuscissimo a vivere come si deve. Parlo della fine di tutto: delle trame, dei personaggi, delle emozioni.
Ma io credo di essere riuscito a trovare il modo di sfuggire a questo scherzo, a questa presa per il culo. Bisogna semplicemente non cadere nello scherzo. Se si ci isola, e si dimentica che servono le emozioni per vivere, ci si dimentica anche che esse ci sfuggono. Però....chi mai vuole allontanarsi dal mondo? È l'unica cosa che abbiamo, no? Gli amici, gli amori, i dispiaceri e le liete novelle. E un po' di altre cose ancora. Crediamo che tutte queste cose possano distoglierci dalla nostra preoccupazione di non vivere, di essere caduti nell'apatia. Ma non è vero, Cristo! Sono cose che al contrario ci piantano qui, ci fanno illudere di provare emozioni. Ma appena queste illusioni finiscono, il mostro apatia ci fa i complimenti, ci stringe la mano, ci frega e se ne va ridacchiando. No, non è così che si fa. Bisogna convivere con l'apatia, accattivarsela. Farle capire che, se non riesce a soggiogarci, tanto vale finirla di provarci.
Ma pure io dovrei smettere di convincermi che ce l'ho fatta, perché in effetti non è cosi. Tutte queste riflessioni le sto facendo perché ho appena finito di vedere qualcosa che mi lega a delle emozioni. Riuscirò a smettere. Anche se lei mi parla, non cerca più di fregarmi come ha fatto fino a ora, cerca di sfiduciarmi, insomma, un altro dei suoi raggiri. Mi dice che ancora non ce l'ho fatta, che la strada è lunga, e che forse non ho più nemmeno la voglia di percorrerla. Ma non l'ascolto. Perché, dopo che ho incominciato a ignorare il mondo, tutte le cose belle e le cose brutte, a ignorare la luce perché annebbiante, e il buio perché troppo deprimente, a restare nella penombra nella speranza di non sbilanciarmi e non cadere né da una parte né dall'altra, non posso mollare. E sono sicuro che non lo farò, cazzo.


La testa gli sembrava un macigno. Sembrava quasi che ci fosse qualcosa di pesantissimo sopra. Sembrava quasi che tutte quelle parole, tutti quei pensieri detti ad alta voce due minuti prima si fossero materializzati in pietre, che formavano un unico grande blocco di roccia. In lampi luccicanti vedeva la sua faccia schiacciata da un masso, posato su un trono di sangue, il suo. Ma bastava un battito di ciglia per interrompere quella visione. In mezzo a tante stelle, poteva allora vedere lo schermo del suo PC. Lui diceva che voleva dare l'idea che il suo computer fosse vivo, che avesse una mente e un corpo, e diede quindi gli occhi al suo schermo, mettendo due occhi femminili, eterocromi, fissi e indagatori, suadenti e affascinanti.

Quegli occhi lo avevano sempre intrigato, si sarebbe fatto scrutare millimetro per millimetro da quegli occhi. Gli piaceva pensare che gli occhi di quel monitor avessero davvero quella capacità. Ora però non c'era bisogno di pensarlo.
Quegli occhi erano per davvero vivi! Battevano le ciglia! Si muovevano! E quando lui si metteva a sfregare i suoi, di occhi, sempre più esterrefatto, aveva l'impressione che i colori di quegli occhi cambiavano. All'inizio i colori verde e rosso delle iridi semplicemente si scambiavano di posto. Poi cambiarono completamente colore. Anzi, cambiava il motivo, tanti colori incominciavano a prendere possesso di quelle iridi. Lui, dapprima sorpreso, incominciò a essere attratto da questa cosa. Finalmente quegli occhi femminili ma austeri che lui aveva sempre amato erano vivi, si muovevano, potevano comunicare con lui...
Proprio sul più bello lui restò deluso. Un gomito al quale si appoggiava scivolò sul tavolo e lui staccò gli occhi da quel monitor cadendo con la testa. Un brivido lo pervase. Si sentì solo. Tremendamente solo. Incominciò a sudare freddo. Alzò gli occhi nuovamente al monitor, ma questo non era più lui. Niente più icone, né altro. Semplicemente quel viso che non sembrava più quello del suo pc, un viso smorto, che non comunicava nulla, una faccia sulla quale spiccavano delle orbite bianche, non riempite dai bellissimi occhi della quale lui era innamorato perso. Lo stava per assalire la disperazione. Dove erano quegli occhi? Allungò le mani, prese disperato il monitor, incominciò ad accarezzare lo schermo nella speranza di sentire la pelle soffice e candida di quelle palpebre che coprivano i suoi amati occhi. Non sentì nulla, se non il foglio di plastica che copriva l'LCD.
Ma lo sconforto fu per un attimo congelato da una strana macchia, che fece capolinea davanti a lui. Era una macchia su quel viso. Una macchia rossa. Sembrava sangue. Perché era lì? Chi ce l'aveva portata? Desideroso di risposte, il suo sguardo balzò sulle sue mani: l'aveva tracciata lui quella macchia di sangue, col medio. Sempre più impaurito, tornò a fissare il monitor. Quegli occhi si chiusero, e incominciarono a piangere. Gli sembrò di poter sentire quel pianto nella testa. Ogni lacrima che cadeva una pulsazione dolorosa in una tempia. Uno sfarfallio, e da quelle palpebre uscivano lacrime di sangue.
Lui non ne poteva più. Doveva staccarsi da quella scrivania. Fece forza con le braccia sul tavolo, ma non riusciva nell'intento, non riusciva a spostare quella sedia. I disturbi sempre più frequenti risero quel pianto ancora più macabro, anche lo stesso monitor incominciò a riempirsi di macchie di sangue.
“BASTAAAAA!”
E all'improvviso la stessa sedia lo spinse all'indietro. Riuscì a evitare di battere la testa, ma la caduta gli fece comunque molto male. Incominciò a contorcersi per il dolore, a piangere a imprecare, a chiedere che cazzo stava succedendo.


“Lucio, sarebbe questo il modo di parlare?”
Quella voce? Da dove spuntava fuori? Come sapeva il suo nome? Era una voce dal suono angelico, che riusciva a calmarlo, a farlo sentire al sicuro.
“Io te l'ho detto, per me quello è ormai perso, Taja.”
E quest'altro chi era? Una voce maschile, profonda, che non sembrava minacciosa, ma comunque negativa, forse carica di freddezza e di un pizzico di disprezzo.
“Sempre così a pensare male, Ruggi.”
Lucio alzò la testa e guardò chi aveva davanti. Spiccava per la sua altezza questo Ruggi: sembrava molto alto. Portava degli improponibili capelli blu con tantissimi ciuffi che cadevano all'altezza degli occhi. Occhi sottili, che sembravano malvagi. Però il resto del viso gli dava tutt'altro ritratto di Ruggi. Sembrava un po' ingenuo piuttosto. Taja invece spiccava non per l'altezza, quanto per la bellezza. Lunghi capelli biondi, che arrivano fino al fondo schiena. Al contrario di Ruggi, lei portava degli occhioni grandi grandi, di un bellissimo color castano.
“E voi due chi siete?”
Nel mentre chiedeva questo, Lucio piano piano si rialzava da terra. Ora capì perché Ruggi sembrava così alto: la verità era che Taja era piuttosto bassa. Fu questo particolare a fargli strabuzzare gli occhi e a farlo voltare istintivamente verso un poster, che si trovava in quella stanza. Quel poster sembrava così vuoto. Raffigurava una parete, con una finestra e una tenda sulla sinistra. Tutto troppo vuoto, senza significato. Lucio indietreggiò di qualche passo puntando furiosamente il poster e i due.
“V-voi eravate lì! Ora mi ricordo, quello è un poster che ho appiccicato io al muro. Voi eravate lì, fermi in un bacio che vi univa in un'unica magnifica figura! Come siete usciti?!”
“Inutile che stai a pensare a certi dettagli...”
Fu il ragazzo a parlare. E Lucio lo squadrò da capo a piedi dopo quella frase. Ruggi non cambiava espressione, e quegli occhi dall'apparenza troppo spavalda davano troppo fastidio a Lucio. Si avvicinò col passo pesante. Incominciarono a sentirsi strani rumori, qualcosa che scricchiolava...Improvvisamente il pavimento sotto Ruggi franò. Lo stupore colpì improvvisamente quegli occhi tanto coraggiosi. Taja però con uno scatto andò in soccorso a Ruggi, per non farlo precipitare nel vuoto nero formatosi di sotto. Lucio osservò basito. Lui conosceva bene la planimetria di quel posto. Sotto dovevano vedersi delle scale, illuminate, se non dal sole, dalla luce del lampione acceso la notte lì vicino. Dove stavano?
“Lucio, si può sapere che ti prende?! Perché hai fatto questo a Ruggi?!”
“Io non ho fatto niente! Io sono semplicemente in balia di qualcosa che fatico a capire! Prima il pc...”
“Quale pc?”
“...che vuoi dire?”
“Non vedo computer qui!”
La sua faccia s'irritò.
“Ma come, che minchia non lo vedi messo...”
La scrivania era vuota.
“...lì...”
Gli occhi di Lucio da semichiuso si aprirono per formare con la bocca una smorfia di terrore e smarrimento. Strascicò fino a dove ci doveva essere un pc. Vi trovò invece solo un biglietto con su scritto a caratteri rosso sangue: qui ci dovrebbe stare un calcolatore elettronico.
“Ma...perché?!”
Sbottò imprecazioni, e si lasciò andare alla rabbia e alla confusione. Incominciò a rivoltare ogni cosa. E più Ruggi e Taja confabulavano lui si infuocava ancora di più d'ira. Fino a quando non trovò più cosa danneggiare, e optò per danneggiarsi. Cercò furioso lo specchio di un'anta del suo grande armadio. Si ci avvicinò, lo toccò con mano, ne tastò la freddezza. Si stava per allontanare e prendere una rincorsa, quando una mano lo fermò. Lo abbracciò lungo il torace da dietro. Considerato che era a metà strada tra Ruggi e Taja in altezza, pensò fosse la seconda ad abbracciarlo.
“Ora calmati.”
“Che cazzo vuoi?!”
“...ti prego.”
Come poteva una semplice supplica sortire tutto questo effetto? Ora Lucio non si sentiva più arrabbiato, né solo. Si sentiva dov'era in realtà: a casa.
“Vieni con me.”
“Dove si va?”
“Ad ammazzare un po' il tempo.”
Lucio seguì senza pensarci l'idea di Taja, senza chiedersi cosa quell'espressione volesse significare. Quasi fosse un comando anziché una proposta. A malapena notò che Ruggi non c'era più.
“E quell'altro dove...”
Taja continuava a strattonare con la mano. Sembrava forzuta, nonostante quelle braccine esili che si ritrovava. Così come abbastanza esile era nella sua interezza.
“Non importa!”
Lucio fu trascinato via, ma ebbe il tempo di voltarsi verso il poster. Ma lì continuò a non vedere nulla. E non c'era più nemmeno il buco sul pavimento fatto da...da chi?
Correvano verso l'ingresso della stanza, immerso nel buio. Lucio era col cuore in gola: aveva paura di cadere in quel buio così profondo, col timore di affondarci per sempre, e di non uscirci mai più.
Aveva sempre avuto a che fare col buio, ma questo buio sembrava diverso...sadico.
Manco il primo passo in questo buio, che lui cadde davvero. Però...
“Perché sei inciampato, Lucio?”
Lucio si accorse in effetti di non trovarsi nel buio. Non nel buio più totale per lo meno. Si ritrovava nella penombra di un'altra stanza. Non sapeva di preciso quale. Tutta casa sua si trovava in penombra quando c'era lui. Era una stanza molto spaziosa, doveva essere il salone. Ma nel salone c'erano tante cose: c'era il grandissimo comò, la vetrinetta, un caminetto, la televisione. Ora c'erano solo tanti corpi esanimi, freddi e immobili. Catatonici.
“Q-questi chi sono?”
“Non li riconosci?”
Lucio osservò meglio, tra le tante persone riconobbe certi conoscenti, ma anche perfetti sconosciuti. Trasalì quando vide un corpo dai capelli blu.
“Quello...è Ruggi?! Che ci fa lì?!”
“Continui a non capire, eh? Queste sono le persone che tu hai conosciuto nella tua vita, ma della quale hai dimenticato. Quando si dimentica di una persona, per te quella persona muore, resta un cadavere nella tua mente. E così con tutti i ricordi”
Lucio fissava la biondina, desideroso di capire ma stranito allo stesso tempo.
“E dove siamo qui, se non nella tua mente?”
Disse queste frasi sorridendo quasi maleficamente. Luccicavano gli occhi di Taja, mentre lei diceva queste parole.
Lo sgomento si fece spazio sul viso di Lucio. Lui era nella sua stessa mente? Tutti quei cadaveri? Perché, che senso hanno?
Nuovamente la mano di Taja agì per calmarlo, adagiandosi sul suo petto febbricitante, bisognoso di aria.
“Come ti dicevo, ammazziamo un po' il tempo?”
“E cosa vorresti fare?”
In tutta risposta i due sentirono un piano che incominciava a suonare. Li invitava a ballare. Era una melodia che Lucio conosceva, ma della quale non sapeva il nome. Lo distrasse un urlo, terrificante proveniente da una montagnola di cadaveri.
“Cos'era?”
“Cosa pensi che succede nella tua mente quando tenti di ricordare una cosa che avevi dimenticato? Quel ricordo lotta per rivivere!”
“E se io lo ricordo?”
L'urlo si fece più intenso. Ci volle qualche secondo prima che andasse a scemare, diventando però sempre più malinconico e lamentoso. E durante tutto questo tempo, un piccolo fuoco bruciò lì, tra la montagna di corpi.
“Ora non è più cadavere!”
Lucio non ci stava più a capire niente. Continuava a chiedersi perché stesse succedendo tutto questo, chi fosse la ragazzina bionda dagli occhi castani che aveva davanti, cosa poteva fare per far finire tutto. E sempre Taja fu che calmò il turbinio dei suoi quesiti.
“Balliamo, quindi?”
“Sì, possiamo ballare. Ma perché proprio una melodia così...”
“Così come?”
“Malinconica?”
Era la Sonata al chiaro di luna di Beethoven.
“Tu come stai per ora?”
Afferrò le manine di Taja e incominciò a volteggiare. Non aveva mai imparato a ballare, riteneva di saper deambulare per puro miracolo. E ora invece ballava magnificamente, seguito altrettanto magnificamente ma questa misteriosa Taja.
“Ho sentito il tuo pensiero prima, sai?”
“Ah sì?”
“Sì...pensi che sia giusto quello che stai facendo?”
“Non lo penso, ne sono convinto.”
“Ma quindi, se rifiuti le emozioni, stai rifiutando la vita? Perché non ti uccidi invece?”
“E qui che tu ti sbagli. Il mondo è convinto che se non c'è la vita con le sue emozioni c'è solo la morte. Ma la morte non è l'opposizione alla vita. La morte fa parte della vita, vi è sempre nella vita. Anche se è la sua fine non vuol dire che la morte è estranea alla vita. Che poi, credi che l'atto ultimo non comporti l'esperienza di una emozione? Credi che chi è sul punto di morire diventi apatico e non provi nulla? Sì, tutt'altro. Chi è rimasto soggiogato dalla vita non rimane impassibile davanti la fine di questa. Sicuro, come la morte e le tasse.”
“La morte e le tasse?”
Taja ruppe la danza, fermò ogni cosa, solo per ridere di gusto a quel modo di dire.
“Ma quanto è vecchio questo detto?! Presentami Joe Black, ti prego.”
Lo stava dicendo con le lacrime che per le risate scendevano giù sulle guance rosee. A Lucio tutto ciò parve inopportuno e irritante. Fissò arcigno Taja, voleva che la smettesse.
“Scusami, non avercela con me, ti prego.”
Ma l'irritazione non passava.
“Sì che invece ce l'ho con te.”
“No, ti supplico, non farlo.” Mentre lo diceva la sua risata divenne sempre più sottile, sempre più simile a un lamento.
“Se ho riso, è perché tu in fondo hai ragione. Non si prova l'apatia sul punto di morte. Si prova qualcos'altro, e si desiderano tante cose. Io per lo meno voglio ridere.”
Lucio spalancò gli occhi, incominciò a tremare.
“Che vuoi dire?!”
La pelle di Taja perse colore, divenne cianotica. Non riuscì più a reggersi in piedi, e Lucio accorse per tenerla.
“Lo sai, percepisci la sua oscura presenza. Luli è qui, e tu sai che quando arriva Luli muoio anche io.”
“No, perché?! Merda no, Taja!”
Ma che stava facendo? Di che si preoccupava? Sapeva a malapena come si chiamava.
“Qual'è il problema? Non mi faccio scrupoli ad accettarlo, Luli è sopra tutto. Anche sopra me.”
“Ma chi cazzo è Luli?!”
“...la...conosci...b-bene...”
Il cadavere di Taja si fece troppo pesante. Lucio non aveva più le forze per reggerlo. Rischiava di restare con le braccia bloccate a terra. Lei aveva più o meno lo stesso colore del pavimento ormai. S'accasciò sopra di lei, per poi esplodere definitivamente tra le lacrime isteriche.
“BASTA! NON NE POSSO PIÙ!”
“Ehi, calmati, sono qui!”
Un appiglio, per la sanità mentale di Lucio, si era ripresentato.
“T-Taja?”
“Ma no, io, Luli ovviamente.”




Un urlo ruppe il silenzio secolare di quella casa. L'unico rumore, eccetto alcuni elettrodomestici e certe periferiche pc, dopo troppo tempo. Ed era un urlo di assoluto terrore. Seguito da tanti angosciati sospiri mischiati al sudore che impregnava il collo e i capelli e la fronte. Taja, Ruggi, Lulli, chi diamine erano tutti queste persone? E perché l'ultima avrebbe dovuto predominare sulle altre? Moriva chi veniva dimenticato...ma Taja mica l'aveva scordata. Non avrebbe voluto farla morire, sentiva di essere attaccato il lei in qualche modo...
Decise di non pensarci più. Non poteva essere stato un semplice incubo. Tanti ne ha avuti di incubi lui, ma mai nessuno era stato così dannatamente pauroso, in nessuno di questi lui si sentiva così vittima del corso degli eventi e impossibilitato a far niente.


“Infatti non era affatto un incubo, mio caro Lucio.”
Quella voce riecheggiava talmente forte nella stanza, che non si poteva capire da dove provenisse. Ma a Lucio non importava sapere l'origine di quella voce. O almeno, non più. Sapeva che c'era.
Erano ormai un paio di anni che la sentiva.
“Lo so che tanto hai ragione!”
In fretta e furia si alzò da letto per correre nella penombra di casa sua.

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 Commento dell'autore.
Mi arrendo. Non riesco proprio a formare prima la trama e poi il racconto. Riesco solo a formare la trama piano piano al momento di scrivere il racconto. Bah! E ho allungato la storia di un capitolo dove ci sono pensieri e sogni. Molto bene. Come al solito, recensione se la storia v'ha fatto schifo, v'è piaciuta tanto, un pochettino, non v'ha detto nulla, recensite sempre tanto. Per il resto, vedremo che combino nel prossimo capitolo...stay tuned!
  
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