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Autore: Aredhel92    03/04/2014    5 recensioni
Ricorda bene le parole che sto per dirti, perché anche se sul momento potrai trovarle scontate o esagerate, nel mio caso si sono rilevate terribilmente vere.
Non pensare mai che la vita non ti riservi delle sorprese, non dare mai niente per scontato e non abbassare mai la guardia, perché nel momento in cui lo farai, la vita stravolgerà tutte le carte in tavola e tu non potrai fare niente per impedirlo, potrai solo sentirti persa.
Prima di quel momento vedevo chiaramente il futuro davanti ai miei occhi, come se fosse reale, come se lo potessi toccare con mano. Quante erano le possibilità che le cose andassero diversamente?, mi dicevo.
Avrei scommesso tutto e avrei perso miseramente, perché come ti dicevo quel giorno cambiò tutto.
Nulla, tra tutte le cose che ritenevo sicure, accadde; in compenso tutte le certezze che avevo crollarono, come se non fossero altro che un castello di sabbia, lasciato per troppo tempo sotto il sole.
Quello fu l’inizio di tutto.


- Fermi! Non muovetevi, non fate un solo passo! E tu… posa immediatamente quel telefono o giuro che la uccido. -

Quello fu il giorno del mio rapimento.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango, Rin/Sesshoumaru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il Segreto della mia Vita
 
 






 
 
 
9. Dichiarazione di tregua
(Il compromesso è alla base di ogni collaborazione, ma se si ha a che fare con un mezzo-demone testardo e orgoglioso, bisogna prepararsi a cedere su tutti i fronti.)









 

 
[16 anni prima…]

 

Era nervoso, tremendamente nervoso. Così tanto da riuscire a sentire il suo stomaco rigirarsi su se stesso, probabilmente nell’estremo tentativo di compiere una pericolosa torsione che lo avrebbe portato a strozzarsi da solo.
Inoltre aveva la nausea. Una nausea violenta che cresceva ogni secondo di più. Per non parlare poi delle vertigini o dei muscoli delle gambe che, per quanto forte stessero tremando, sembravano voler cedere da un momento all’altro. Decisamente non stava affatto bene e aveva la pessima sensazione che all’orizzonte non ci fosse la minima presenza di miglioramenti.

Preso dalle sue ansie, non avvertì subito il lieve contatto, appena accennato, che gli sfiorava il dorso della mano. Sussultò per la sorpresa e in quel momento si rese conto che non erano solo le sue gambe a tremare.
Percepì quel lieve tocco intensificarsi e stringersi, come se volesse salvarlo, come se rappresentasse un’ancora, impegnata nel tentativo di tenerlo a riva e lui ci si aggrappò con tutte le sue forze, spingendo tutte le paure nelle profondità della sua anima. Doveva essere forte. Doveva esserlo per lei.

Si specchiò nei grandi occhi scuri della ragazza accanto a lui, accennando un timido sorriso. Cercavano di rassicurarsi a vicenda, riempiendo le frasi e gli sguardi di parole cariche di speranza per il futuro, ma nei loro pensieri, in quelli più nascosti, sapevano perfettamente quanto quelle speranze fossero vuote, quanto quel continuo ripetersi che tutto sarebbe andato bene non fosse altro che un modo per dire: non so se ce la faremo. Nei loro pensieri più profondi, ben nascosti da quella patina apparente di fiducia e rassicurazione, c’era solo la paura e l’incertezza riguardo una scelta che li aveva tormentati per anni e che era sempre stata impossibile da compiere: la scelta tra ciò che avrebbero voluto fare e ciò che avrebbero dovuto fare.

Perché entrambi avrebbero dovuto mantenere le distanze l’uno dall’altra, avrebbero dovuto continuare ad ignorarsi, scambiandosi appena qualche parola di circostanza, avrebbero dovuto portare a termine gli anni del liceo da perfetti estranei, per poi semplicemente non rivedersi mai più. L’unica cosa che sicuramente e più di tutte non avrebbero mai dovuto fare era innamorarsi l’uno dell’altra.
Invece avevano parlato, poche parole ogni giorno, niente di eccezionale: frasi piene di convenevoli e poco significato; ma poi erano arrivate le confidenze, le impressioni, le emozioni. Prima che avessero modo di rendersene conto, c’erano già i ricordi.
Tutti i doveri erano stati infranti e avevano lasciato il posto ad un’unica frase, terrificante e distruttiva: “voglio stare con te”.
Non avrebbero mai dovuto e avevano provato ad evitarlo, ma il desiderio di essere felici insieme, di vivere come una coppia, era più forte di qualsiasi altra cosa e alla fine, dopo tutti quegli anni, era riuscito ad avere la meglio sulla ragione.

- Andrà bene, Kikyo. – ripeté Inuyasha, dando voce al suo stesso sguardo, stringendo a sua volta la mano della ragazza.

Non ci credeva fino in fondo. Ci sperava, ma non ci credeva, perché era un mezzo-demone e perché era sciocco vivere nell’illusione di essere considerato più dello scarto che invece era. Nonostante ciò, cercò di infondere in quelle parole tutta la fiducia di cui era capace, perché dopotutto, si disse, meritavano anche loro di essere felici.

Kikyo annuì, ricambiando lo sguardo e la stretta con la medesima intensità, sperando che i dubbi, celati segretamente in fondo al suo cuore, rimanessero sopiti, in modo che Inuyasha non li vedesse e non ne soffrisse, ma soprattutto in modo che essi non minassero la sua decisione di stare con lui e di comunicarlo una volta per tutte ai suoi genitori.

Entrarono in casa mano nella mano, ignorando ogni “se” ed ogni “ma”, che puntualmente arrivava a tormentarli. Non c’era più tempo per tergiversare: era arrivato il momento di dire la verità.

- Sono a casa. – esordì Kikyo, cercando di mantenere la voce ferma, avvertendo chiaramente dei rumori che dalla stanza accanto si avvicinavano sempre più.

- Bentornata, piccola mia! Com’è andata og… - la accolse suo padre con un grande sorriso, che subito scomparve alla vista dei due ragazzi insieme, lasciando posto ad un tono duro e sprezzante, - Che ci fai con lui, Kikyo?! –

La ragazza tremò impercettibilmente, serrando la stretta sulla mano del mezzo-demone, sperando così di acquistare maggiore sicurezza.

- Papà, per favore, non iniziare. Noi vogliamo solo parlarti con calma. –

- Che succede, tesoro? – sentirono chiedere ad un’altra voce, che si era avvicinata, incuriosita dalle urla, ma che nessuno degnò di particolare attenzione.

- Noi, Kikyo? Ancora questo noi?! –

- Per favore, io… -

- No! Lo sai che non esiste nessun noi! Non ti permetterò di rovinarti la vita così, di stare con quel… quel mostro, chiaro?! E tu, maledetto, allontanati subito da lei! Non devi toccarla! –

Inuyasha sussultò colpito dall’enorme quantità di odio presente negli occhi dell’uomo; dopodiché sentì solo Kikyo lasciargli la mano e una voce stridula, alquanto fastidiosa, nella testa che gli diceva: te lo avevo detto! Aveva davvero pensato solo pochi minuti prima di meritare la felicità? In base a cosa? Era solo un mezzo-demone in fondo: quelli come lui non avevano mai meritato niente.

- Ti prego, tu devi capire: io lo amo davvero… - cercò di dire Kikyo, leggermente rincuorata dal fatto che la madre stesse tentando di calmare il padre, sussurrandogli di sedersi e parlarne con tranquillità, purtroppo per lei senza tanto successo.

- Tu lo ami?! Che sciocchezza! Sei solo una ragazzina, non hai idea di cosa sia l’amore! Farò in modo di tenervi lontani e finalmente ti accorgerai che il tuo non è altro che un capriccio! –

- Tesoro, per favore, calmati ora, Kikyo non… - tentò di intromettersi la donna, ma la figlia la interruppe subito, impedendole di continuare.

- Non è vero, non è così! Non sono più una ragazzina, papà, ho diciotto anni! E sei tu quello che non ha idea di cosa sia l’amore! Per anni non hai fatto altro che ripetermi che potevo decidere chi amare, come se non fosse altro che una semplice scelta e io ci ho provato! Ci ho provato davvero, perché non volevo farti soffrire, perché non volevo deluderti, ma ora basta! Ora ho capito che non posso far felice te, se significa sentirmi morire dentro ogni giorno. Mi dispiace, ma non posso, non posso davvero e tu devi assolutamente capirlo! –

- È tutta colpa tua… - sibilò l’uomo, sfidando Inuyasha con lo sguardo, - sei riuscito a metterla contro di me… la mia stessa figlia! Kikyo, andiamo, guardalo! Non capisci che è quello che vuole? Starà con te, finché non si sarà stufato e poi ti abbandonerà, gettandoti via come spazzatura! –

- Inuyasha non lo farebbe mai! Lui mi… -

- Che cosa? Ti ama, forse? Per favore! I tipi come lui non sanno amare, Kikyo apri gli occhi! È solo un mezzo-demone! Credi davvero che lui possa renderti felice?! Perché credi che le relazioni tra demoni e umani siano così tanto ostacolate, eh? I demoni non sanno amare! Illudono gli umani, facendoli sentire importanti, preziosi, il centro del mondo, ma soddisfano solo il loro divertimento e alla fine li abbandonano a loro stessi! E i mezzi-demoni non sono diversi! Sono proprio come loro: dei maledetti esseri che non sarebbero mai dovuti esistere, nati dal peccato e incapaci di provare sentimenti! Ti prego Kikyo! Io ti farò aiutare, ne parleremo con qualcuno, ti prego. Lo dimenticherai e saremo di nuovo felici, come in passato. – la implorò tendendole la mano e supplicandola con lo sguardo, lasciando che un pesante silenzio calasse tra loro.  

Nessuno osò aggiungere una sola parola, forse per non spezzare quel raro momento di equilibrio, o forse solo perché tutti, chi in un modo, chi in un altro, erano in attesa di avere una risposta, che in bene o in male avrebbe cambiato ogni cosa.

- Mi dispiace… - sussurrò Kikyo infine e nessuno avrebbe mai saputo dire a chi fosse realmente indirizzato.

Improvvisamente ogni altra parola o intenzione fu messa a tacere. L’attenzione di tutti si diresse contemporaneamente verso un unico punto dall’altra parte della stanza e solo un suono riempì il silenzio.

 

 

 

[Presente…]

 

Inuyasha spalancò gli occhi all’improvviso, respirando affannosamente. Con una mano si coprì il volto, accecato dalla troppa luce. Che ora era? Quanto aveva dormito?

Ricordava solo la furiosa discussione con Kagome e lei che se ne andava via, chiamandolo mostro. Il resto era confuso, ma non era difficile immaginare che si fosse addormentato con il tormento di quella parola nel cuore e nella testa. Aveva ripensato a tutte le volte che quella stessa parola era stata usata per definirlo e quel doloroso ricordo era sopraggiunto a tormentarlo anche nei sogni. Quel ricordo che per anni era stato il centro dei suoi incubi e che in mille modi si era sforzato di cancellare, senza successo.

Erano passati sedici anni da quel maledetto giorno e quelle parole, quella discussione, erano le uniche cose che ricordava con estrema chiarezza, come se si fossero impresse a fuoco nella sua anima, come una punizione che non avrebbe mai dovuto o potuto dimenticare, mentre tutto il resto era sfumato via, in modo confuso e frammentario. Quello era il suo peccato.   
Aveva urlato, pregato, implorato di essere riportato indietro a quel giorno, promettendo e giurando a se stesso e a chiunque lo ascoltasse che non avrebbe mai più preteso o sperato di avere più di quanto un mezzo-demone come lui meritasse. Non avrebbe mai più chiesto niente, ma nonostante si fosse ripetutamente logorato le corde vocali, nessuno lo aveva mai ascoltato, nessuno l’aveva mai riportato indietro, nessuno aveva mai accettato di prendere la sua vita in cambio di quella di Kikyo, perché la verità era che anche quello sarebbe stato un desiderio troppo grande da esaudire per un mezzo-demone come lui, che non meritava niente.

 

 
 

 

***

  

 

 

Erano passati tre giorni dalla famosa discussione, che aveva segnato il definitivo allontanamento di Kagome e Inuyasha. Tre lunghissimi giorni in cui il mezzo-demone era praticamente scomparso e fatta eccezione per Sesshomaru, che sembrava essere l’unico a sapere dove fosse finito, nessun altro aveva più avuto sue notizie.

Come se non fosse sufficiente, l’atmosfera dentro casa era diventata ogni giorno sempre più tesa, fatta di frasi appena accennate, parole ponderate con estrema attenzione e una selezione piuttosto lunga di argomenti che era meglio evitare e altri assolutamente proibiti.
Tutti, chi più chi meno, avevano iniziato a risentirne, ma Kagome era forse nella posizione più difficile, dal momento che da quel famoso giorno si era ritrovata più volte a dover fare i conti con il suo incomprensibile istinto, che, a quanto pareva, amava comportarsi in modo diverso da ciò che le suggeriva invece il cervello.

Quando tre giorni prima, dopo quella brutta discussione, Kagome era rientrata in casa, seriamente indecisa se tentare la fuga o rimanere prigioniera lì dentro, si era trovata a dover fronteggiare per la prima volta le enormi contraddizioni del suo carattere: così da una parte si era ritrovata schierato il suo cervello, che le diceva di darsela a gambe e il più in fretta possibile - perché, parole sue, quelli erano matti e lei doveva assolutamente preservare la sua sanità mentale! - mentre dall’altra, una piccola e dolce vocina, appartenente al suo istinto, evidentemente menomato, continuava a ripeterle di aspettare ancora, di concedere a quelle persone una possibilità, perché, solo facendo così, non se ne sarebbe pentita.

Era quindi in breve tempo giunta alla conclusione che lei le parole “sesto senso” o “istinto di sopravvivenza” non sapeva proprio cosa significassero. Evidentemente non solo ne era sprovvista, per chissà quale ragione – insomma, l’istinto di sopravvivenza doveva essere innato, no? Tutti gli esseri viventi dovevano averlo, per proteggersi dall’estinzione! – ma ne aveva uno di tipo perfettamente opposto, che invece di spingerla verso la salvezza, la spingeva probabilmente verso la morte. Non si spiegava perché altrimenti il suo istinto le avesse suggerito di fidarsi di un ragazzo che l’aveva presa in ostaggio, che l’aveva rapita e che ora si stava forse – non era ancora del tutto sicura – rivelando un assassino.
Inoltre tanto per complicare ancora di più la situazione, già piuttosto instabile di suo, quella maledetta vocina aveva una capacità di persuasione non indifferente: l’equivalente di un cucciolo dagli enormi occhi tristi e lucidi, lasciato in mezzo ad una strada trafficata, durante una tempesta, proprio nel momento in cui, al culmine della stanchezza, iniziava ad implorare con lo sguardo di non essere abbandonato.
Sì, quella vocina era davvero bastarda e maledettamente, maledettamente persuasiva.

Era ancora persa nei suoi pensieri, quando qualcuno l’aveva chiamata e improvvisamente si era ritrovata otto paia di occhi a fissarla curiosi e preoccupati.

- Kagome, che hai fatto? Sei ferita? – aveva esordito Sango, avvicinandosi e indicandole il braccio.

Seguendo il suo sguardo, si era ritrovata ad osservare distrattamente una piccola macchia rossa, di cui effettivamente non si era quasi accorta. Ricordava il dolore che aveva provato, ma sul momento non ci aveva prestato molta attenzione. Inuyasha doveva averla ferita con gli artigli quando l’aveva stretta, aveva riflettuto, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quel piccolo cerchio rosso.

- Vado a prendere qualcosa per medicarla. – aveva poi avvisato Miroku, salendo al piano di sopra, mentre Sango si informava su cosa le fosse successo, alzando la manica e scoprendo così un piccolo taglio superficiale.

E lì Kagome aveva esitato. Avrebbe potuto dire tranquillamente la verità, spiegare come si era svolta la discussione, parlare delle conclusioni a cui era arrivata, magari avrebbe potuto chiedere spiegazioni a loro. Avrebbe potuto fare tante cose, ma le parole, che invece aveva detto istintivamente, furono completamente diverse da quelle che aveva in mente.

- Non è niente, è stato solo un incidente. -

Sesshomaru l’aveva allora osservata con grande scrupolosità e insistenza, per nulla convinto da quella spiegazione, ma per una volta gli era sembrato diverso: per la prima volta era come se non guardasse lei, o meglio, la guardava, ma in realtà non la vedeva e sembrava arrabbiato, molto arrabbiato.

All’improvviso lo aveva visto avvicinarsi alla porta, il suo sguardo puntato con rabbia verso la foresta.
Nessun altro se ne era reso conto, troppo impegnati ad occuparsi della sua ferita. Nessuno l’avrebbe fermato e se l’avesse lasciato andare…

Il suo istinto – il suo, per l’appunto, incomprensibile istinto – aveva preso il sopravvento.

- Aspetta! – gli aveva urlato, intimorita, ma decisa allo stesso tempo, e lui subito si era fermato, con un lampo di quello che Kagome aveva decifrato come sorpresa, dipinto sul volto.

- È stato davvero solo un incidente. –

Sesshomaru aveva ripreso a camminare, non prima di averle lanciato un’occhiata di sufficienza, ed era sparito, richiudendosi la porta alle spalle. Non era facile ammetterlo e gli dava anche un po’ fastidio, ma quella femmina era riuscito a sorprenderlo. Niente di eccessivo, era chiaro, ma non si sarebbe mai aspettato di vederla prendere le difese di uno che non sopportava e che considerava anche un criminale, come se invece fosse la cosa più naturale del mondo.

Era strana, strana e imprevedibile. Quasi come Rin. Era come se entrambe riuscissero a stravolgere ogni sua previsione: tutto il tempo passato a pensare a quanto gli umani fossero stupidi e limitati ed estremamente prevedibili in quella loro stupidità, semplicemente non aveva senso, perché per quelle due ragazze non era così. Era come se loro ragionassero e vivessero su un altro piano, come se avessero a disposizione un intero universo di possibilità tra cui scegliere, un insieme quasi infinito per cui era forse la sua mentalità di demone ad essere troppo limitata.
Così riuscivano a sorprenderlo e lui, anche se dopo svariati anni era riuscito, venendo a patti con se stesso, a fare un’eccezione per Rin, odiava essere sorpreso, perché questo voleva dire riconoscere implicitamente il valore di un altro essere vivente. Se poi il suddetto essere vivente in questione era un umano… lo odiava ancora di più.

 

Dopo quell’episodio Kagome si era rintanata nella sua camera, decisa più che mai a mettere ordine nella sua testa prima di fare qualsiasi altra cosa che la confondesse ancora di più. Doveva capire come mai il suo istinto avesse sviluppato la ferrea volontà di proteggere Inuyasha ad ogni costo, perché era fin troppo ovvio ormai che, pur non conoscendo nulla di lui, pur pensando o temendo il peggio, volesse proteggerlo. Non riusciva a spiegarsi perché altrimenti non avesse ancora mai tentato di fuggire da quella casa. E poteva anche darsi delle motivazioni deboli e apparenti come “sono solo un’umana e loro sono demoni: non ci riuscirei, neanche volendo”, ma la verità era ben più complessa e incomprensibile.
Così aveva continuato a cercare disperatamente una risposta e intanto il tempo era passato con una lentezza e una calma disarmante, al contrario di ciò che invece era avvenuto subito fuori dalla barriera.

Nell’arco di quei giorni avevano infatti scoperto che in città le ricerche erano proseguite senza sosta giorno e notte. Al telegiornale non si parlava d’altro che del suo rapimento e avevano sentito che la polizia stava impiegando le migliori risorse disponibili in quell’operazione di ricerca, seguendo ogni traccia possibile.
Koga aveva poi confermato di essere riuscito ad allontanarli di qualche centinaio di kilometri più a nord rispetto a dove si trovavano e che quindi potevano ritenersi abbastanza al sicuro.

In tutti i diversi notiziari non avevano praticamente nominato suo padre, spiegando sbrigativamente che l’uomo aveva opposto un categorico rifiuto alla richiesta di rilasciare dichiarazioni e questo, anche se per poco, aveva fatto sentire Kagome un po’ più sollevata: non sarebbe mai riuscita a rimanere impassibile, se avesse visto il volto sofferente del padre attraverso lo schermo.
Infine quasi tutti avevano concluso con la notizia del ricovero dell’uomo che il giorno del suo rapimento si era messo a sparare, mandando così all’aria le operazioni di salvataggio.
Scontenti di come era avvenuto quello che doveva essere un tentativo di liberazione degli ostaggi, dai piani alti della città era arrivato l’ordine di far luce sull’accaduto. Si era così scoperto che l’uomo soffriva da qualche mese di un grave disturbo da privazione del sonno. La malattia della figlia di appena tredici anni e il successivo, quasi istantaneo, divorzio dalla moglie, lo avevano fatto piombare in un grave stato depressivo.
Era stato in cura per un po’, fin quando non si erano aggiunti, alla già precaria salute mentale, dei problemi economici non indifferenti. L’uomo si era imposto di tornare a lavoro troppo presto e questo gli aveva procurato una carenza di sonno, che era sfociata proprio nel giorno del rapimento, in una brutta perdita di coscienza. Alcune ore dopo l’accaduto, l’uomo era stato interrogato e sul momento era stato giudicato totalmente incapace di intendere e di volere: lo avevano così ricoverato d’urgenza per impedire che arrecasse danno a se stesso o ad altri e dopo aver passato tre interi giorni sotto forti sedativi, per permettergli di recuperare il sonno perso, l’uomo era ora in attesa del processo che avrebbe deciso della sua vita.

 

 
Bene o male il tempo alla fine era comunque trascorso e quella terza notte Kagome si era ritrovata a rigirarsi nel letto senza sosta, sbuffando ripetutamente, cambiando posizione, accedendo e spegnendo la luce più e più volte, senza però riuscire a prendere sonno. Era da poco passata l’una di notte quando, trattenendosi dall’urlare tutta la sua frustrazione per quella sensazione di ansia che non la lasciava dormire, gettò malamente le coperte ai piedi del letto, alzandosi per andare a fare un giro.

Camminò in punta di piedi, scendendo le scale, cercando di non fare il minimo rumore e non svegliare così tutti gli altri, che sembravano invece riposare tranquillamente. Fu solo quando arrivò agli ultimi gradini che si accorse della fioca luce che proveniva dal salone e disegnava un tenue alone giallo, che illuminava in modo soffuso l’intera stanza. Si affacciò curiosa di scoprire se ci fosse qualcun altro che come lei non riusciva a prendere sonno e fu lì che lo vide.

Dopo tre giorni Inuyasha era di nuovo davanti ai suoi occhi, seduto al tavolo da pranzo, chino su un paio di libri, illuminati a malapena da quella ridicola luce. Faceva vagare lo sguardo da un volume all’altro, sfogliando pagine, fermandosi a riflettere e appuntando di tanto in tanto qualche parola.

Kagome pensò di non averlo mai visto così concentrato, con le sopracciglia leggermente aggrottate e l’espressione tremendamente seria. Quasi non sembrava lo stesso ragazzo che l’aveva rapita, né lo stesso contro cui aveva urlato solo tre giorni prima. Possibile che riuscisse a cambiare così tanto? Possibile che fosse in grado di essere così tante persone insieme e allo stesso tempo non essere nessuna di esse?
Ogni volta Kagome finiva col trovarsi faccia a faccia con un Inuyasha diverso e questo non faceva altro che confonderla maggiormente. Eppure in quel momento si ritrovò a pensare che quella confusione che provava non le dispiaceva poi così tanto. Le piaceva essere così incuriosita da una persona a tal punto da volerne conoscere i pensieri, la personalità, le motivazioni.

Sussultò imbarazzata dai suoi stessi pensieri, sentendo il suo cuore accelerare di colpo i battiti, mentre il suo sguardo non aveva la minima intenzione di lasciare il volto serio del ragazzo.
Indietreggiò appena, salendo le scale con estrema lentezza, per poi correre in camera sua, chiudersi la porta alle spalle e buttarsi a peso morto sul letto; il volto premuto con forza contro il cuscino. Ormai non aveva più senso continuare a negare i suoi stessi pensieri: lei voleva davvero conoscere Inuyasha. Voleva sapere tutto.

Con questi pensieri per la testa, prese la sua decisione: avrebbe fatto ciò che le suggeriva l’istinto, avrebbe parlato con Inuyasha e trovato un compromesso per andare d’accordo. Solo così avrebbe finalmente potuto capire ciò che più le premeva sapere.

Fu con questa ferrea decisione che trascorse tutto il giorno successivo con la speranza di incontrarlo per caso e riuscire così a parlargli. Purtroppo per lei però Inuyasha si era davvero dileguato nel nulla e sembrava più che intenzionato a rimanersene nascosto per il resto dei suoi giorni. Fu così che, dopo una dura battaglia con se stessa, quando tutti si misero seduti a tavola per cenare, si trovò costretta a fare la cosa che più di tutte avrebbe voluto evitare: chiedere all’unica persona con cui non avrebbe mai voluto sostenere una conversazione.
La sorpresa più grande arrivò però quando Sesshomaru, dopo averle lanciato il solito sguardo di superiorità, aprì la bocca per rivolgerle uno straccio di risposta, indicando distrattamente la foresta con gli occhi.

- Ha detto che non viene. – sottintendendo che sarebbe stato inutile aspettarlo per mangiare.

Cenarono velocemente, intervallando poche chiacchiere con tanti momenti imbarazzanti, ma Kagome non ci fece caso più di tanto, troppo presa ad elaborare il discorso che avrebbe fatto di lì a poco al suo rapitore.
Avrebbe iniziato con molta calma, chiedendogli di parlare civilmente. Gli avrebbe chiesto una volta per tutte cosa fosse accaduto alla ragazza rapita in passato e solo a quel punto avrebbe accettato di aiutarlo, stipulando così una tregua, che prevedeva come primo punto il non urlarsi più addosso a vicenda in quel modo. Avrebbe seguito il piano e sarebbe andato tutto benissimo.

Quando gli altri si alzarono per sparecchiare, Kagome rimase a guardare il piatto ancora pieno che avevano preparato per Inuyasha, lasciato sul tavolo a freddarsi. Percepì chiaramente i battiti del suo cuore farsi più rapidi e intensi e le mani improvvisamente sudate. Era nervosa e anche se nella sua mente aveva ripassato il piano fino alla nausea, una parte di lei temeva veramente che le cose potessero prendere una piega diversa e inaspettata, arrivando forse addirittura a peggiorare la situazione.
Scosse la testa con energia, sotto gli sguardi curiosi di tutti che si stavano domandando cosa le passasse per la testa, e afferrò il piatto, arrossendo per l’imbarazzo e scappando letteralmente verso l’uscita.

Camminò velocemente fino a che non si trovò a costeggiare la barriera e lì rallentò.
Da quando aveva messo piede in quella casa, non una sola volta si era fermata ad osservare quella strana cupola trasparente, solo apparentemente colorata di un rosa pallidissimo. Sembrava brillare e in base alla diversa angolazione da cui la si guardava, quella leggera sfumatura rosa diventava più flebile o più intensa. A guardarla in quel modo, dava davvero la sensazione che fosse viva e dotata di volontà propria. Continuò ad osservarla come rapita, rimanendo immobile a soli pochi passi di distanza.

- Kagome. – la richiamò la voce di Sango dalla casa, attirando la sua attenzione, immaginando che volesse fuggire, ma subito sentì Sesshomaru intromettersi e trattenerli.

- Non serve. – disse semplicemente, senza aggiungere altro e lei si sentì quasi offesa da quelle parole.

Era vero che non aveva la minima intenzione di scappare, perché non voleva rischiare di metterli in pericolo, ma la sua scelta non sarebbe dovuta essere così scontata! Insomma, aveva tutte le ragioni per voler fuggire, no? Sarebbero bastati un paio di passi e la barriera si sarebbe dissolta.

Fu allora che la sentì. Una voce dolce e rassicurante e anche se per un secondo pensò che appartenesse al suo istinto, dovette ricredersi subito: d’accordo che aveva parlato del suo istinto come di una vocina estremamente persuasiva, ma non era ancora arrivata a quei livelli! No, quella era sicuramente la voce di una donna.

“Restagli accanto, ti prego.”

Fu come un sussurro portato dal vento, che, arrivato alle sue orecchie, aveva preso forma nella sua testa. Si guardò intorno spaesata, cercando di capirne la provenienza, ma non vide niente o nessuno, eccetto quel vento che agitava le fronde degli alberi poco più avanti.

Sbuffò spazientita al pensiero che non bastava il suo istinto a complicarle la vita: dovevano dare supporto anche le voci misteriose!
Voltò le spalle alla barriera, lanciandole un’occhiataccia senza sapere bene il perché e si diresse verso la foresta. Lei la sua decisione l’aveva presa ormai: avrebbe aiutato Inuyasha solo per capire perché avesse il desiderio di proteggerlo e al diavolo le voci misteriose o i fratellastri di ghiaccio che credevano di sapere tutto. Lo faceva per se stessa, per avere delle risposte e per nessun altro.

 

 

 

Inuyasha aveva seguito i movimenti di Kagome da quando aveva messo piede fuori casa, osservandola per tutto il tempo con la mente e il cuore in subbuglio. L’aveva vista tentennare davanti alla barriera, sicuro che in quel momento stesso pensando di scappare: in fondo quella sarebbe stata un’ottima occasione e lui non l’avrebbe assolutamente né fermata né biasimata; invece lei, sorprendentemente, si era mossa verso di lui e ora lo stava cercando.

Non riusciva a capacitarsene: perché non era scappata? Perché lo stava cercando?

- Inuyasha! – urlò Kagome sperando che il ragazzo la sentisse, - Inuyasha, lo so che sei qui intorno! Vieni fuori, voglio solo parlare. –

Attese pazientemente per diversi secondi, prestando la massima attenzione ad ogni rumore nelle immediate vicinanze che rivelasse la sua presenza.

- Se accetti di parlare, prometto di non urlare, né di alzare la voce. Per favore. –

Non aveva la certezza che lui la stesse davvero ascoltando, non poteva saperlo, ma una sensazione molto forte le diceva che era così, che lui era nascosto da qualche parte e che non aveva la minima intenzione di farsi vedere.
Sospirò abbattuta al pensiero che un bambino di cinque anni sarebbe stato senza alcun dubbio più collaborativo. Non aveva neppure iniziato il discorso che si era preparata e lui già le mandava all’aria il piano! Se non avesse fatto subito qualcosa non avrebbe mai avuto le risposte che desiderava.

Lentamente posò il piatto per terra davanti a sé. Si morse l’interno della guancia e chiuse gli occhi, prendendo un respiro profondo.

- Mi dispiace… mi dispiace davvero. – sussurrò, per poi voltarsi e far finta di tornare verso casa.

Non sarebbe mai riuscita ad uscire vincitrice da quella discussione e allo stesso tempo ad avere le risposta che cercava. Non sarebbe mai riuscita a sbloccare quella situazione se non avesse ceduto, se non avesse fatto un grandissimo passo indietro e messo le mani avanti, pronta ad ascoltare tutto ciò che l’altro fosse stato disposto a rivelarle, senza pretendere di conoscere ogni cosa.

Inuyasha la seguì con lo sguardo, sentendo contemporaneamente una morsa allo stomaco e l’insopprimibile desiderio di fare qualcosa. Aveva cercato di trattenersi, dal fermarla, dal parlarle, dal farsi vedere di nuovo da lei, ma quelle due piccole parole, messe una vicino all’altra, gli avevano fatto mancare di colpo il terreno sotto i piedi, lasciandolo annaspare alla ricerca di un perché.

- Ti dispiace? – sussurrò, senza quasi rendersene conto, uscendo poi dal suo nascondiglio lentamente e a testa bassa.

Kagome si bloccò, nascondendo il sorriso che quasi istantaneamente fiorì sulle sue labbra e rispondendo con un flebile sì, appena sussurrato.
Rimasero in silenzio, cercando di evitare l’uno lo sguardo dell’altra, fino a che Inuyasha non si accorse del piatto che era stato lasciato inconsapevolmente a pochi metri da lui.

- Non dovevi. – le disse semplicemente, tornando poi a guardare per terra.

- Non sei venuto a cena. – affermò lei di rimando, cercando di non dare troppa importanza a quel gesto.

- Tzè! E a te cosa importa!? –

Si sarebbe volentieri preso a pugni in quel momento, ma che ci poteva fare se non riusciva a trattenersi?

- Non sono venuta qui per litigare ancora, perciò se fai ancora così, me ne vado. – lo ricattò, facendo nuovamente finta di andar via.

- No, aspetta! Io… hai ragione, non volevo. Mi… dispiace. – ed emettere quelle poche parole gli costò più fatica di quanto avesse pensato, ma non avrebbe raggiunto niente continuando ad aggredirla e per una volta che non era lei ad essere sul piede di guerra, forse uno sforzo in più poteva anche farlo.

- Anche a me… - continuò Kagome sorridendo appena, rincuorata dalla piega che stava prendendo la conversazione, - per quello che ho detto prima… ecco, io ho esagerato: ero spaventata e non avrei dovuto. Scusa. -

- Non serve che ti scusi. Sono un mezzo-demone dopotutto, sono abituato ad essere considerato un mostro. Non preoccuparti, ti starò lontano, non serve che ti sforzi per sopportare la mia presenza. Ci ignoreremo proprio come avevamo detto. -

Per un tempo che gli sembrò infinto solo il silenzio seguì le sue parole, mentre Kagome era troppo confusa per riuscire a mettere in fila anche solo due parole di senso compiuto. Possibile che non si capissero mai? Eppure parlavano la stessa lingua.

- Ma di che stai parlando? – gli chiese infine al culmine dell’esasperazione, non essendo riuscita a trovare nessuna risposta plausibile.

- Del fatto che sono un mezzo-demone. Tu di che stai parlando? –

- Del fatto che, per quanto ne so, potresti aver ucciso una persona! –

- Aspetta! Non ti dà fastidio che io sia un mezzo-demone? –

- Ma che c’entra? No, direi di no. Ad essere sincera non ho mai incontrato un mezzo-demone prima d’ora: non sapevo che lo fossi! Ti credevo un demone! – affermò stupita, osservandolo con più attenzione di quanto non avesse fatto fino a quel momento, per poi continuare, - Non credo che abbia molta importanza comunque… dovrebbe forse darmi fastidio? – aggiunse, vedendo il ragazzo fissarla a bocca aperta.

- No… cioè, sì! – borbottò arrossendo, non sapendo neppure più lui cosa pensare, - Hai detto che la gente in libreria aveva ragione a chiamarmi mostro: loro mi considerano un mostro perché sono un mezzo-demone, così ho pensato che anche tu… non importa. –

- È una cosa brutta? Essere un mezzo-demone, intendo. –

Inuyasha la guardò sconvolto chiedendosi se non lo stesse per caso prendendo in giro, ma nei suoi occhi non lesse la minima ombra di scherno: Kagome era assolutamente sincera.

- I mezzi-demoni sono dei mostri, degli scarti della natura. – sussurrò sospirando, continuando a ripetere quella frase, che aveva sentito miliardi di volte, come se non fosse altro che un’antica cantilena, - Sono degli esseri proibiti che non dovrebbero esistere, perché solo con la loro esistenza commettono peccato. È questo ciò che pensano gli umani e i demoni. –

Kagome rimase a fissare i suoi occhi, sentendosi annegare, proprio come durante il loro primo incontro, in quell’ambra liquido che riluceva ora sotto la luce delle stelle. Non riusciva a distogliere lo sguardo e anche se continuava a ripetersi che lui era la stessa persona che l’aveva rapita, non riusciva a fare a meno di sentirsi in colpa per le parole piene d’odio che si erano scambiati.

- Io… non ne avevo idea. –

- Davvero non ti crea problemi il fatto che sia un mezzo-demone? – chiese nuovamente, temendo ancora la risposta.

Doveva assolutamente esserne certo.

Kagome scosse la testa sorridendogli dolcemente forse per la prima volta da quando lo aveva incontrato e Inuyasha, sorpreso per quel gesto, le si avvicinò, trovandosi a pensare suo malgrado a quanto in quel momento sembrasse diversa da Kikyo.  
Quando non rimasero che pochi centimetri a separarli, Kagome rabbrividì, stringendosi involontariamente il braccio ferito e in quello stesso istante, vide Inuyasha fermarsi e incupirsi: lo sguardo improvvisamente triste e sofferente, le orecchie appiattite sulla testa.

- Hai paura di me? -

Il tono stesso della sua voce esprimeva tutta la tristezza e il senso di colpa che provava nel suo animo. Senza neppure pensarci Kagome lasciò la presa sul braccio, facendo un passo avanti e riducendo ancora le distanze. Lo guardò dritto negli occhi con estrema serietà, specchiandosi in essi, lasciando che lui si riflettesse a sua volta.

- La ragazza a cui somiglio… tu le hai fatto del male? Sei colpevole per qualsiasi cosa le sia successa? -

- No, te l’assicuro! È stato tutto un incidente e un grande equivoco. Io non le avrei mai fatto del male! Te lo giuro, Kagome, non avrei mai potuto. – aveva detto tutto senza respirare neppure una volta, trattenendo il fiato e non staccando mai gli occhi da lei, con il terrore che non gli credesse. Per questo motivo fu leggermente sorpreso quando la sentì ridere, stranamente contenta.

- Hei stupida, che hai da ridere?! Guarda che io sono serio! Non mi credi? – borbottò imbarazzato e anche leggermente offeso sentendosi preso in giro.

- Scusa, scusa! Certo che ti credo: se me lo dici così non posso non crederti! – affermò soddisfatta, non riuscendo però a smettere di ridere alla vista dell’espressione sbigottita dipinta sul volto del mezzo-demone.

Lei gli credeva! Gli credeva davvero e il sole pensiero era così assurdo da farlo dubitare che quella fosse la realtà, invece dell’ennesimo sogno. Magari si era addormentato un’altra volta mentre studiava quel maledetto manuale per decifrare il funzionamento della barriera.

- È solo che mi hai sorpresa. – aggiunse poi Kagome, respirando profondamente per cercare di non ridere più, - Questa è la prima volta che mi chiami per nome. -

Inuyasha arrossì a dismisura, spostando lo sguardo e incrociando le braccia al petto, imbronciandosi appena.

- E con questo?! – le domandò, evitando di farle notare che in realtà era già la seconda volta, ma che probabilmente la prima doveva essersela persa, impegnata com’era ad urlargli contro come una pazza.

- Niente, pensavo solo che forse ora non vedi più lei quando guardi me. Forse hai smesso di incolparmi per questa situazione e dal momento che mi toccherà restare qui, magari sarai meno insopportabile e riusciremo anche ad andare d’accordo. -

- Tzè! Che stupidaggini! – borbottò lui voltandosi completamente, per non mostrare il rossore sempre più evidente sulle sue guance e il piccolo sorriso che gli increspava le labbra. Possibile che quella sciocca ragazzina avesse ragione? Che non vedesse più Kikyo in lei?

Kagome. Lei era… Kagome.

Ad un tratto, ancora troppo perso nei suoi pensieri, non si accorse che il soggetto dei suoi pensieri se ne stava andando.

- Non vieni? – gli domandò girandosi e aspettandolo. Inuyasha non si fece pregare e in un secondo le fu accanto. Percorsero la strada insieme in silenzio, entrambi finalmente più sereni, costeggiando il confine della barriera, che li divideva dal resto del mondo.

- Kagome. – la chiamò Inuyasha rompendo il silenzio, quando furono in prossimità della casa.

La ragazza si fermò incuriosita, accorgendosi che il mezzo-demone era rimasto indietro.

- Perché prima non sei fuggita? -

Immediatamente si morse il labbro con forza, spremendo le meningi, implorando affinché un lampo di genio le fornisse una risposta plausibile.

- Non so… - balbettò, fingendo di pensarci su, - sapevo che sarebbe stato inutile: mi avreste ripreso subito. Non aveva molto senso, no? -

- Avresti comunque potuto provare, invece sei venuta subito qua. Perché? –

Non sarebbe riuscita a mentirgli se lui l’avesse guardata ancora in quel modo.

- Perché credo che siate innocenti e non volevo che per colpa mia foste in pericolo. -

In fondo poteva considerarsi una mezza verità: aveva soltanto omesso di rivelargli che era proprio lui che il suo istinto, chissà per quale ragione, voleva proteggere. 

- Scema! Come se potessimo davvero essere in pericolo! Dovremmo solo scappare e non ci prenderebbero mai. -

Non era riuscito a trattenersi dal risponderle male: quello che aveva detto lo aveva preso totalmente in contropiede. Non avrebbe mai pensato che lei potesse preoccuparsi di una cosa simile, quando invece avrebbe dovuto pensare solo a se stessa. Eppure ne fu contento. Sentire quelle parole lo rese felice e anche se per il momento non l’avrebbe ammesso ad alta voce era stranamente contento che Kagome fosse lì.

- Certo, certo, come dici tu. - lo assecondò distanziandolo, agitando la mano con noncuranza.

- Dannata! Mi stai prendendo in giro?! – le urlò rincorrendola, non riuscendo a non sorridere.

Dopotutto forse il loro rapporto non sarebbe cambiato radicalmente, ma almeno Kagome poteva dire di conoscere un po’ meglio Inuyasha: sapeva che non era una persona cattiva e per il momento questo le bastava. Per il fatto che fosse scorbutico poi, ci sarebbe passata sopra: in fondo, dovette ammettere, non era affatto male provocarlo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolino di Aredhel

 

 

 

Pace fatta!
Visto? Le cose hanno finalmente iniziato a sistemarsi eheh (era ora! :P). Da adesso in poi è tutta in discesa per i due piccioncini, beh… più o meno… diciamo che ci sarà qualche incidentuccio (diciamo pure incidentoni) di percorso, tanto per non dimenticare quant’è bello vederli soffrire. +_+

Il sogno iniziale di Inuyasha, trasformato anche quello in una sorta di flashback, non era assolutamente previsto. Non avrei dovuto parlarvi di Kikyo prima di altri due capitoli (già, avete capito bene! Il momento della verità, tutta la verità, nient’altro che la verità, si avvicina!) e in ogni caso non avrei dovuto far parlare lei direttamente, invece ho, come sempre, stravolto tutto; perciò vi comunico già da ora che ci saranno altri salti temporali. Penso che possano aiutare a delineare il loro rapporto meglio di quanto non farebbe un semplice racconto. Spero quindi che vi piacciano e per chi non dovesse tollerare la presenza di Kikyo, mi dispiace, ma consolatevi con il fatto che qui è buona ed è morta, perciò non arriverà a rompere le uova nel paniere. :P

Un’ultima cosa, visto che forse qualcuno l’ha notato o si è posto qualche domanda al riguardo (o forse no, non lo so): il fatto che Kagome e Kikyo abbiano la stessa età, o meglio il fatto che Kikyo abbia la stessa età di Kagome nel piccolo, ma importantissimo, flashback là sopra, non è altro che una coincidenza.  

 
E ora… parliamo di numeri!

Visto che in molti nei precedenti commenti mi avete chiesto l’età di alcuni personaggi, vi scrivo qui ad occhio e croce quanto dovrebbero avere:
- Kagome ha 18 anni: se ricordate infatti nel primo capitolo avevo parlato dell’avvicinarsi degli esami d’ammissione all’università e ho letto su wikipedia che in Giappone l’università si comincia intorno ai 18/19 anni (come da noi), quindi Kagome ne ha 18.
- Sango e Miroku hanno rispettivamente e approssimativamente 19/20 anni.
- Rin ne ha 14.
- E ora arriviamo ad Inuyasha e Sesshomaru: per quanto riguarda loro ho ripreso un po’ la distinzione che fa anche il manga tra l’età effettiva e quella che invece dimostrano. In base a ciò che dimostrano la loro età è intorno ai 20/25 anni, ma in realtà hanno la bellezza di 70 anni per Inuyasha e circa 85 per Sesshomaru.
- Koga, a meno che io non cambi idea per qualche motivo, è coetaneo di Inuyasha, quindi anche lui si aggira intorno ai 70, ma ne dimostra una ventina.
Mi pare di aver detto l’età di tutti, ma se ho dimenticato qualcosa o se avete ancora qualche domanda riguardo la cronologia, non esitate a farla! XD

 
Ci vediamo al prossimo capitolo, purtroppo non so quando. Abbiate fede! XD anche per I’ll always find you (sempre che qualcuno la ricordi ancora T_T) arriverà, giuro che arriverà!

Bacioni, Are-chan (che è tanto felice, perché sabato va finalmente al romics e compra tante belle cosette +_+)

 

 

 

 
  
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