9. Dichiarazione di tregua
(Il compromesso è alla base di ogni collaborazione, ma se si ha a che fare con un mezzo-demone testardo e orgoglioso, bisogna prepararsi a cedere su tutti i fronti.)
Era
nervoso, tremendamente nervoso. Così tanto da riuscire a
sentire il suo stomaco rigirarsi su se stesso, probabilmente
nell’estremo
tentativo di compiere una pericolosa torsione che lo avrebbe portato a
strozzarsi da solo.
Inoltre aveva la nausea. Una nausea violenta che cresceva ogni
secondo di più. Per non parlare poi delle vertigini o dei
muscoli delle gambe
che, per quanto forte stessero tremando, sembravano voler cedere da un
momento
all’altro. Decisamente non stava affatto bene e aveva la
pessima sensazione che
all’orizzonte non ci fosse la minima presenza di
miglioramenti.
Preso
dalle sue ansie, non avvertì subito il lieve contatto,
appena accennato, che gli sfiorava il dorso della mano.
Sussultò per la
sorpresa e in quel momento si rese conto che non erano solo le sue
gambe a
tremare.
Percepì quel lieve tocco intensificarsi e stringersi, come
se
volesse salvarlo, come se rappresentasse un’ancora, impegnata
nel tentativo di
tenerlo a riva e lui ci si aggrappò con tutte le sue forze,
spingendo tutte le
paure nelle profondità della sua anima. Doveva essere forte.
Doveva esserlo per
lei.
Si
specchiò nei grandi occhi scuri della ragazza accanto a lui,
accennando un timido sorriso. Cercavano di rassicurarsi a vicenda,
riempiendo
le frasi e gli sguardi di parole cariche di speranza per il futuro, ma
nei loro
pensieri, in quelli più nascosti, sapevano perfettamente
quanto quelle speranze
fossero vuote, quanto quel continuo ripetersi che tutto sarebbe andato
bene non
fosse altro che un modo per dire: non so se ce la faremo. Nei loro
pensieri più
profondi, ben nascosti da quella patina apparente di fiducia e
rassicurazione,
c’era solo la paura e l’incertezza riguardo una
scelta che li aveva tormentati
per anni e che era sempre stata impossibile da compiere: la scelta tra
ciò che
avrebbero voluto fare e ciò che avrebbero dovuto fare.
Perché
entrambi avrebbero dovuto mantenere le distanze l’uno
dall’altra, avrebbero dovuto continuare ad ignorarsi,
scambiandosi appena
qualche parola di circostanza, avrebbero dovuto portare a termine gli
anni del
liceo da perfetti estranei, per poi semplicemente non rivedersi mai
più. L’unica
cosa che sicuramente e più di tutte non avrebbero mai dovuto
fare era
innamorarsi l’uno dell’altra.
Invece avevano parlato, poche parole ogni giorno, niente di
eccezionale: frasi piene di convenevoli e poco significato; ma poi
erano
arrivate le confidenze, le impressioni, le emozioni. Prima che avessero
modo di
rendersene conto, c’erano già i ricordi.
Tutti i doveri erano stati infranti e avevano lasciato il posto ad
un’unica frase, terrificante e distruttiva: “voglio
stare con te”.
Non avrebbero mai dovuto e avevano provato ad evitarlo, ma il
desiderio di essere felici insieme, di vivere come una coppia, era
più forte di
qualsiasi altra cosa e alla fine, dopo tutti quegli anni, era riuscito
ad avere
la meglio sulla ragione.
-
Andrà bene, Kikyo. – ripeté Inuyasha,
dando voce al suo stesso
sguardo, stringendo a sua volta la mano della ragazza.
Non
ci credeva fino in fondo. Ci sperava, ma non ci credeva,
perché era un mezzo-demone e perché era sciocco
vivere nell’illusione di essere
considerato più dello scarto che invece era. Nonostante
ciò, cercò di infondere
in quelle parole tutta la fiducia di cui era capace, perché
dopotutto, si
disse, meritavano anche loro di essere felici.
Kikyo
annuì, ricambiando lo sguardo e la stretta con la medesima
intensità, sperando che i dubbi, celati segretamente in
fondo al suo cuore,
rimanessero sopiti, in modo che Inuyasha non li vedesse e non ne
soffrisse, ma
soprattutto in modo che essi non minassero la sua decisione di stare
con lui e
di comunicarlo una volta per tutte ai suoi genitori.
Entrarono
in casa mano nella mano, ignorando ogni “se” ed
ogni
“ma”, che puntualmente arrivava a tormentarli. Non
c’era più tempo per
tergiversare: era arrivato il momento di dire la verità.
-
Sono a casa. – esordì Kikyo, cercando di mantenere
la voce
ferma, avvertendo chiaramente dei rumori che dalla stanza accanto si
avvicinavano sempre più.
-
Bentornata, piccola mia! Com’è andata
og… - la accolse suo padre
con un grande sorriso, che subito scomparve alla vista dei due ragazzi
insieme,
lasciando posto ad un tono duro e sprezzante, - Che ci fai con lui,
Kikyo?! –
La
ragazza tremò impercettibilmente, serrando la stretta sulla
mano del mezzo-demone, sperando così di acquistare maggiore
sicurezza.
-
Papà, per favore, non iniziare. Noi vogliamo solo parlarti
con
calma. –
-
Che succede, tesoro? – sentirono chiedere ad
un’altra voce, che
si era avvicinata, incuriosita dalle urla, ma che nessuno
degnò di particolare
attenzione.
-
Noi, Kikyo? Ancora questo noi?! –
-
Per favore, io… -
-
No! Lo sai che non esiste nessun noi! Non ti permetterò di
rovinarti la vita così, di stare con quel… quel
mostro, chiaro?! E tu,
maledetto, allontanati subito da lei! Non devi toccarla! –
Inuyasha
sussultò colpito dall’enorme quantità
di odio presente
negli occhi dell’uomo; dopodiché sentì
solo Kikyo lasciargli la mano e una voce
stridula, alquanto fastidiosa, nella testa che gli diceva: te lo avevo
detto!
Aveva davvero pensato solo pochi minuti prima di meritare la
felicità? In base
a cosa? Era solo un mezzo-demone in fondo: quelli come lui non avevano
mai
meritato niente.
-
Ti prego, tu devi capire: io lo amo davvero… -
cercò di dire
Kikyo, leggermente rincuorata dal fatto che la madre stesse tentando di
calmare
il padre, sussurrandogli di sedersi e parlarne con
tranquillità, purtroppo per
lei senza tanto successo.
-
Tu lo ami?! Che sciocchezza! Sei solo una ragazzina, non hai
idea di cosa sia l’amore! Farò in modo di tenervi
lontani e finalmente ti
accorgerai che il tuo non è altro che un capriccio!
–
-
Tesoro, per favore, calmati ora, Kikyo non… -
tentò di
intromettersi la donna, ma la figlia la interruppe subito, impedendole
di
continuare.
-
Non è vero, non è così! Non sono
più una ragazzina, papà, ho
diciotto anni! E sei tu quello che non ha idea di cosa sia
l’amore! Per anni non
hai fatto altro che ripetermi che potevo decidere chi amare, come se
non fosse
altro che una semplice scelta e io ci ho provato! Ci ho provato
davvero, perché
non volevo farti soffrire, perché non volevo deluderti, ma
ora basta! Ora ho
capito che non posso far felice te, se significa sentirmi morire dentro
ogni
giorno. Mi dispiace, ma non posso, non posso davvero e tu devi
assolutamente
capirlo! –
-
È tutta colpa tua… - sibilò
l’uomo, sfidando Inuyasha con lo
sguardo, - sei riuscito a metterla contro di me… la mia
stessa figlia! Kikyo,
andiamo, guardalo! Non capisci che è quello che vuole?
Starà con te, finché non
si sarà stufato e poi ti abbandonerà, gettandoti
via come spazzatura! –
-
Inuyasha non lo farebbe mai! Lui mi… -
-
Che cosa? Ti ama, forse? Per favore! I tipi come lui non sanno
amare, Kikyo apri gli occhi! È solo un mezzo-demone! Credi
davvero che lui
possa renderti felice?! Perché credi che le relazioni tra
demoni e umani siano
così tanto ostacolate, eh? I demoni non sanno amare!
Illudono gli umani,
facendoli sentire importanti, preziosi, il centro del mondo, ma
soddisfano solo
il loro divertimento e alla fine li abbandonano a loro stessi! E i
mezzi-demoni
non sono diversi! Sono proprio come loro: dei maledetti esseri che non
sarebbero mai dovuti esistere, nati dal peccato e incapaci di provare
sentimenti! Ti prego Kikyo! Io ti farò aiutare, ne parleremo
con qualcuno, ti
prego. Lo dimenticherai e saremo di nuovo felici, come in passato.
– la implorò
tendendole la mano e supplicandola con lo sguardo, lasciando che un
pesante
silenzio calasse tra loro.
Nessuno
osò aggiungere una sola parola, forse per non spezzare
quel raro momento di equilibrio, o forse solo perché tutti,
chi in un modo, chi
in un altro, erano in attesa di avere una risposta, che in bene o in
male
avrebbe cambiato ogni cosa.
-
Mi dispiace… - sussurrò Kikyo infine e nessuno
avrebbe mai
saputo dire a chi fosse realmente indirizzato.
Improvvisamente
ogni altra parola o intenzione fu messa a tacere.
L’attenzione di tutti si diresse contemporaneamente verso un
unico punto
dall’altra parte della stanza e solo un suono
riempì il silenzio.
[Presente…]
Inuyasha
spalancò gli occhi all’improvviso, respirando
affannosamente. Con una mano si coprì il volto, accecato
dalla troppa luce. Che
ora era? Quanto aveva dormito?
Ricordava
solo la furiosa discussione con Kagome e lei che se ne
andava via, chiamandolo mostro. Il resto era confuso, ma non era
difficile
immaginare che si fosse addormentato con il tormento di quella parola
nel cuore
e nella testa. Aveva ripensato a tutte le volte che quella stessa
parola era
stata usata per definirlo e quel doloroso ricordo era sopraggiunto a
tormentarlo anche nei sogni. Quel ricordo che per anni era stato il
centro dei
suoi incubi e che in mille modi si era sforzato di cancellare, senza
successo.
Erano
passati sedici anni da quel maledetto giorno e quelle
parole, quella discussione, erano le uniche cose che ricordava con
estrema
chiarezza, come se si fossero impresse a fuoco nella sua anima, come
una
punizione che non avrebbe mai dovuto o potuto dimenticare, mentre tutto
il
resto era sfumato via, in modo confuso e frammentario. Quello era il
suo
peccato.
Aveva urlato, pregato, implorato di essere riportato indietro a
quel giorno, promettendo e giurando a se stesso e a chiunque lo
ascoltasse che
non avrebbe mai più preteso o sperato di avere
più di quanto un mezzo-demone
come lui meritasse. Non avrebbe mai più chiesto niente, ma
nonostante si fosse
ripetutamente logorato le corde vocali, nessuno lo aveva mai ascoltato,
nessuno
l’aveva mai riportato indietro, nessuno aveva mai accettato
di prendere la sua
vita in cambio di quella di Kikyo, perché la
verità era che anche quello sarebbe
stato un desiderio troppo grande da esaudire per un mezzo-demone come
lui, che
non meritava niente.
***
Erano
passati tre giorni dalla famosa discussione, che aveva segnato il
definitivo
allontanamento di Kagome e Inuyasha. Tre lunghissimi giorni in cui il
mezzo-demone era praticamente scomparso e fatta eccezione per
Sesshomaru, che
sembrava essere l’unico a sapere dove fosse finito, nessun
altro aveva più
avuto sue notizie.
Come se
non fosse sufficiente, l’atmosfera dentro casa era diventata
ogni giorno sempre
più tesa, fatta di frasi appena accennate, parole ponderate
con estrema
attenzione e una selezione piuttosto lunga di argomenti che era meglio
evitare
e altri assolutamente proibiti.
Tutti, chi
più chi meno, avevano iniziato a risentirne, ma Kagome era
forse nella
posizione più difficile, dal momento che da quel famoso
giorno si era ritrovata
più volte a dover fare i conti con il suo incomprensibile
istinto, che, a
quanto pareva, amava comportarsi in modo diverso da ciò che
le suggeriva invece
il cervello.
Quando tre giorni prima, dopo quella brutta discussione, Kagome era rientrata in casa, seriamente indecisa se tentare la fuga o rimanere prigioniera lì dentro, si era trovata a dover fronteggiare per la prima volta le enormi contraddizioni del suo carattere: così da una parte si era ritrovata schierato il suo cervello, che le diceva di darsela a gambe e il più in fretta possibile - perché, parole sue, quelli erano matti e lei doveva assolutamente preservare la sua sanità mentale! - mentre dall’altra, una piccola e dolce vocina, appartenente al suo istinto, evidentemente menomato, continuava a ripeterle di aspettare ancora, di concedere a quelle persone una possibilità, perché, solo facendo così, non se ne sarebbe pentita.
Era
quindi in breve tempo giunta alla conclusione che lei le parole
“sesto senso” o
“istinto di sopravvivenza” non sapeva proprio cosa
significassero.
Evidentemente non solo ne era sprovvista, per chissà quale
ragione – insomma,
l’istinto di sopravvivenza doveva essere innato, no? Tutti
gli esseri viventi
dovevano averlo, per proteggersi dall’estinzione! –
ma ne aveva uno di tipo
perfettamente opposto, che invece di spingerla verso la salvezza, la
spingeva
probabilmente verso la morte. Non si spiegava perché
altrimenti il suo istinto
le avesse suggerito di fidarsi di un ragazzo che l’aveva
presa in ostaggio, che
l’aveva rapita e che ora si stava forse – non era
ancora del tutto sicura –
rivelando un assassino.
Inoltre tanto
per complicare ancora di più la situazione, già
piuttosto instabile di suo,
quella maledetta vocina aveva una capacità di persuasione
non indifferente:
l’equivalente di un cucciolo dagli enormi occhi tristi e
lucidi, lasciato in
mezzo ad una strada trafficata, durante una tempesta, proprio nel
momento in
cui, al culmine della stanchezza, iniziava ad implorare con lo sguardo
di non
essere abbandonato.
Sì,
quella vocina era davvero bastarda e maledettamente, maledettamente
persuasiva.
Era
ancora persa nei suoi pensieri, quando qualcuno l’aveva
chiamata e
improvvisamente si era ritrovata otto paia di occhi a fissarla curiosi
e
preoccupati.
- Kagome,
che hai fatto? Sei ferita? – aveva esordito Sango,
avvicinandosi e indicandole
il braccio.
Seguendo
il suo sguardo, si era ritrovata ad osservare distrattamente una
piccola macchia
rossa, di cui effettivamente non si era quasi accorta. Ricordava il
dolore che
aveva provato, ma sul momento non ci aveva prestato molta attenzione.
Inuyasha
doveva averla ferita con gli artigli quando l’aveva stretta,
aveva riflettuto,
senza riuscire a distogliere lo sguardo da quel piccolo cerchio rosso.
- Vado a
prendere qualcosa per medicarla. – aveva poi avvisato Miroku,
salendo al piano
di sopra, mentre Sango si informava su cosa le fosse successo, alzando
la
manica e scoprendo così un piccolo taglio superficiale.
E
lì Kagome
aveva esitato. Avrebbe potuto dire tranquillamente la
verità, spiegare come si
era svolta la discussione, parlare delle conclusioni a cui era
arrivata, magari
avrebbe potuto chiedere spiegazioni a loro. Avrebbe potuto fare tante
cose, ma
le parole, che invece aveva detto istintivamente, furono completamente
diverse
da quelle che aveva in mente.
- Non
è
niente, è stato solo un incidente. -
Sesshomaru
l’aveva allora osservata con grande scrupolosità e
insistenza, per nulla
convinto da quella spiegazione, ma per una volta gli era sembrato
diverso: per
la prima volta era come se non guardasse lei, o meglio, la guardava, ma
in
realtà non la vedeva e sembrava arrabbiato, molto
arrabbiato.
All’improvviso
lo aveva visto avvicinarsi alla porta, il suo sguardo puntato con
rabbia verso
la foresta.
Nessun
altro se ne era reso conto, troppo impegnati ad occuparsi della sua
ferita. Nessuno
l’avrebbe fermato e se l’avesse lasciato
andare…
Il suo
istinto – il suo, per l’appunto, incomprensibile
istinto – aveva preso il
sopravvento.
- Aspetta!
– gli aveva urlato, intimorita, ma decisa allo stesso tempo,
e lui subito si
era fermato, con un lampo di quello che Kagome aveva decifrato come
sorpresa,
dipinto sul volto.
-
È stato
davvero solo un incidente. –
Sesshomaru
aveva ripreso a camminare, non prima di averle lanciato
un’occhiata di
sufficienza, ed era sparito, richiudendosi la porta alle spalle. Non
era facile
ammetterlo e gli dava anche un po’ fastidio, ma quella
femmina era riuscito a
sorprenderlo. Niente di eccessivo, era chiaro, ma non si sarebbe mai
aspettato
di vederla prendere le difese di uno che non sopportava e che
considerava anche
un criminale, come se invece fosse la cosa più naturale del
mondo.
Era
strana, strana e imprevedibile. Quasi come Rin. Era come se entrambe
riuscissero a stravolgere ogni sua previsione: tutto il tempo passato a
pensare
a quanto gli umani fossero stupidi e limitati ed estremamente
prevedibili in
quella loro stupidità, semplicemente non aveva senso,
perché per quelle due
ragazze non era così. Era come se loro ragionassero e
vivessero su un altro
piano, come se avessero a disposizione un intero universo di
possibilità tra
cui scegliere, un insieme quasi infinito per cui era forse la sua
mentalità di
demone ad essere troppo limitata.
Così
riuscivano a sorprenderlo e lui, anche se dopo svariati anni era
riuscito,
venendo a patti con se stesso, a fare un’eccezione per Rin,
odiava essere
sorpreso, perché questo voleva dire riconoscere
implicitamente il valore di un
altro essere vivente. Se poi il suddetto essere vivente in questione
era un
umano… lo odiava ancora di più.
Dopo
quell’episodio Kagome si era rintanata nella sua camera,
decisa più che mai a
mettere ordine nella sua testa prima di fare qualsiasi altra cosa che
la
confondesse ancora di più. Doveva capire come mai il suo
istinto avesse
sviluppato la ferrea volontà di proteggere Inuyasha ad ogni
costo, perché era
fin troppo ovvio ormai che, pur non conoscendo nulla di lui, pur
pensando o
temendo il peggio, volesse proteggerlo. Non riusciva a spiegarsi
perché altrimenti
non avesse ancora mai tentato di fuggire da quella casa. E poteva anche
darsi
delle motivazioni deboli e apparenti come “sono
solo un’umana e loro sono demoni: non ci riuscirei, neanche
volendo”, ma la
verità era ben più complessa e incomprensibile.
Così
aveva continuato a cercare disperatamente una risposta e intanto il
tempo era
passato con una lentezza e una calma disarmante, al contrario di
ciò che invece
era avvenuto subito fuori dalla barriera.
Nell’arco
di quei giorni avevano infatti scoperto che in città le
ricerche erano
proseguite senza sosta giorno e notte. Al telegiornale non si parlava
d’altro
che del suo rapimento e avevano sentito che la polizia stava impiegando
le
migliori risorse disponibili in quell’operazione di ricerca,
seguendo ogni
traccia possibile.
Koga
aveva poi confermato di essere riuscito ad allontanarli di qualche
centinaio di
kilometri più a nord rispetto a dove si trovavano e che
quindi potevano
ritenersi abbastanza al sicuro.
In tutti
i diversi notiziari non avevano praticamente nominato suo padre,
spiegando
sbrigativamente che l’uomo aveva opposto un categorico
rifiuto alla richiesta
di rilasciare dichiarazioni e questo, anche se per poco, aveva fatto
sentire
Kagome un po’ più sollevata: non sarebbe mai
riuscita a rimanere impassibile,
se avesse visto il volto sofferente del padre attraverso lo schermo.
Infine quasi
tutti avevano concluso con la notizia del ricovero dell’uomo
che il giorno del
suo rapimento si era messo a sparare, mandando così
all’aria le operazioni di
salvataggio.
Scontenti
di come era avvenuto quello che doveva essere un tentativo di
liberazione degli
ostaggi, dai piani alti della città era arrivato
l’ordine di far luce
sull’accaduto. Si era così scoperto che
l’uomo soffriva da qualche mese di un
grave disturbo da privazione del sonno. La malattia della figlia di
appena tredici
anni e il successivo, quasi istantaneo, divorzio dalla moglie, lo
avevano fatto
piombare in un grave stato depressivo.
Era stato
in cura per un po’, fin quando non si erano aggiunti, alla
già precaria salute
mentale, dei problemi economici non indifferenti. L’uomo si
era imposto di
tornare a lavoro troppo presto e questo gli aveva procurato una carenza
di
sonno, che era sfociata proprio nel giorno del rapimento, in una brutta
perdita
di coscienza. Alcune ore dopo l’accaduto, l’uomo
era stato interrogato e sul
momento era stato giudicato totalmente incapace di intendere e di
volere: lo
avevano così ricoverato d’urgenza per impedire che
arrecasse danno a se stesso
o ad altri e dopo aver passato tre interi giorni sotto forti sedativi,
per permettergli
di recuperare il sonno perso, l’uomo era ora in attesa del
processo che avrebbe
deciso della sua vita.
Bene o
male il tempo alla fine era comunque trascorso e quella terza notte
Kagome si
era ritrovata a rigirarsi nel letto senza sosta, sbuffando
ripetutamente,
cambiando posizione, accedendo e spegnendo la luce più e
più volte, senza però
riuscire a prendere sonno. Era da poco passata l’una di notte
quando,
trattenendosi dall’urlare tutta la sua frustrazione per
quella sensazione di
ansia che non la lasciava dormire, gettò malamente le
coperte ai piedi del
letto, alzandosi per andare a fare un giro.
Camminò
in punta di piedi, scendendo le scale, cercando di non fare il minimo
rumore e
non svegliare così tutti gli altri, che sembravano invece
riposare
tranquillamente. Fu solo quando arrivò agli ultimi gradini
che si accorse della
fioca luce che proveniva dal salone e disegnava un tenue alone giallo,
che
illuminava in modo soffuso l’intera stanza. Si
affacciò curiosa di scoprire se
ci fosse qualcun altro che come lei non riusciva a prendere sonno e fu
lì che
lo vide.
Dopo tre
giorni Inuyasha era di nuovo davanti ai suoi occhi, seduto al tavolo da
pranzo,
chino su un paio di libri, illuminati a malapena da quella ridicola
luce.
Faceva vagare lo sguardo da un volume all’altro, sfogliando
pagine, fermandosi
a riflettere e appuntando di tanto in tanto qualche parola.
Kagome
pensò di non averlo mai visto così concentrato,
con le sopracciglia leggermente
aggrottate e l’espressione tremendamente seria. Quasi non
sembrava lo stesso
ragazzo che l’aveva rapita, né lo stesso contro
cui aveva urlato solo tre
giorni prima. Possibile che riuscisse a cambiare così tanto?
Possibile che
fosse in grado di essere così tante persone insieme e allo
stesso tempo non
essere nessuna di esse?
Ogni
volta Kagome finiva col trovarsi faccia a faccia con un Inuyasha
diverso e
questo non faceva altro che confonderla maggiormente. Eppure in quel
momento si
ritrovò a pensare che quella confusione che provava non le
dispiaceva poi così
tanto. Le piaceva essere così incuriosita da una persona a
tal punto da volerne
conoscere i pensieri, la personalità, le motivazioni.
Sussultò
imbarazzata dai suoi stessi pensieri, sentendo il suo cuore accelerare
di colpo
i battiti, mentre il suo sguardo non aveva la minima intenzione di
lasciare il
volto serio del ragazzo.
Indietreggiò
appena, salendo le scale con estrema lentezza, per poi correre in
camera sua,
chiudersi la porta alle spalle e buttarsi a peso morto sul letto; il
volto premuto
con forza contro il cuscino. Ormai non aveva più senso
continuare a negare i suoi
stessi pensieri: lei voleva davvero conoscere Inuyasha. Voleva sapere
tutto.
Con questi pensieri per la testa, prese la sua decisione: avrebbe fatto ciò che le suggeriva l’istinto, avrebbe parlato con Inuyasha e trovato un compromesso per andare d’accordo. Solo così avrebbe finalmente potuto capire ciò che più le premeva sapere.
Fu con
questa ferrea decisione che trascorse tutto il giorno successivo con la
speranza di incontrarlo per caso e riuscire così a
parlargli. Purtroppo per lei
però Inuyasha si era davvero dileguato nel nulla e sembrava
più che
intenzionato a rimanersene nascosto per il resto dei suoi giorni. Fu
così che, dopo
una dura battaglia con se stessa, quando tutti si misero seduti a
tavola per
cenare, si trovò costretta a fare la cosa che più
di tutte avrebbe voluto
evitare: chiedere all’unica persona con cui non avrebbe mai
voluto sostenere
una conversazione.
La
sorpresa più grande arrivò però quando
Sesshomaru, dopo averle lanciato il
solito sguardo di superiorità, aprì la bocca per
rivolgerle uno straccio di
risposta, indicando distrattamente la foresta con gli occhi.
- Ha
detto che non viene. – sottintendendo che sarebbe stato
inutile aspettarlo per
mangiare.
Cenarono
velocemente, intervallando poche chiacchiere con tanti momenti
imbarazzanti, ma
Kagome non ci fece caso più di tanto, troppo presa ad
elaborare il discorso che
avrebbe fatto di lì a poco al suo rapitore.
Avrebbe
iniziato con molta calma, chiedendogli di parlare civilmente. Gli
avrebbe
chiesto una volta per tutte cosa fosse accaduto alla ragazza rapita in
passato
e solo a quel punto avrebbe accettato di aiutarlo, stipulando
così una tregua,
che prevedeva come primo punto il non urlarsi più addosso a
vicenda in quel
modo. Avrebbe seguito il piano e sarebbe andato tutto benissimo.
Quando
gli altri si alzarono per sparecchiare, Kagome rimase a guardare il
piatto
ancora pieno che avevano preparato per Inuyasha, lasciato sul tavolo a
freddarsi. Percepì chiaramente i battiti del suo cuore farsi
più rapidi e
intensi e le mani improvvisamente sudate. Era nervosa e anche se nella
sua
mente aveva ripassato il piano fino alla nausea, una parte di lei
temeva
veramente che le cose potessero prendere una piega diversa e
inaspettata,
arrivando forse addirittura a peggiorare la situazione.
Scosse la
testa con energia, sotto gli sguardi curiosi di tutti che si stavano
domandando
cosa le passasse per la testa, e afferrò il piatto,
arrossendo per l’imbarazzo
e scappando letteralmente verso l’uscita.
Camminò
velocemente fino a che non si trovò a costeggiare la
barriera e lì rallentò.
Da quando
aveva messo piede in quella casa, non una sola volta si era fermata ad
osservare quella strana cupola trasparente, solo apparentemente
colorata di un
rosa pallidissimo. Sembrava brillare e in base alla diversa angolazione
da cui
la si guardava, quella leggera sfumatura rosa diventava più
flebile o più
intensa. A guardarla in quel modo, dava davvero la sensazione che fosse
viva e dotata
di volontà propria. Continuò ad osservarla come
rapita, rimanendo immobile a
soli pochi passi di distanza.
- Kagome.
– la richiamò la voce di Sango dalla casa,
attirando la sua attenzione,
immaginando che volesse fuggire, ma subito sentì Sesshomaru
intromettersi e
trattenerli.
- Non
serve. – disse semplicemente, senza aggiungere altro e lei si
sentì quasi
offesa da quelle parole.
Era vero
che non aveva la minima intenzione di scappare, perché non
voleva rischiare di
metterli in pericolo, ma la sua scelta non sarebbe dovuta essere
così scontata!
Insomma, aveva tutte le ragioni per voler fuggire, no? Sarebbero
bastati un
paio di passi e la barriera si sarebbe dissolta.
Fu allora
che la sentì. Una voce dolce e rassicurante e anche se per
un secondo pensò che
appartenesse al suo istinto, dovette ricredersi subito:
d’accordo che aveva
parlato del suo istinto come di una vocina estremamente persuasiva, ma
non era
ancora arrivata a quei livelli! No, quella era sicuramente la voce di
una
donna.
“Restagli
accanto, ti prego.”
Fu come
un sussurro portato dal vento, che, arrivato alle sue orecchie, aveva
preso
forma nella sua testa. Si guardò intorno spaesata, cercando
di capirne la
provenienza, ma non vide niente o nessuno, eccetto quel vento che
agitava le
fronde degli alberi poco più avanti.
Sbuffò
spazientita al pensiero che non bastava il suo istinto a complicarle la
vita: dovevano
dare supporto anche le voci misteriose!
Voltò le
spalle alla barriera, lanciandole un’occhiataccia senza
sapere bene il perché e
si diresse verso la foresta. Lei la sua decisione l’aveva
presa ormai: avrebbe
aiutato Inuyasha solo per capire perché avesse il desiderio
di proteggerlo e al
diavolo le voci misteriose o i fratellastri di ghiaccio che credevano
di sapere
tutto. Lo faceva per se stessa, per avere delle risposte e per nessun
altro.
Inuyasha
aveva
seguito i movimenti di Kagome da quando aveva messo piede fuori casa,
osservandola
per tutto il tempo con la mente e il cuore in subbuglio.
L’aveva vista
tentennare davanti alla barriera, sicuro che in quel momento stesso
pensando di
scappare: in fondo quella sarebbe stata un’ottima occasione e
lui non l’avrebbe
assolutamente né fermata né biasimata; invece
lei, sorprendentemente, si era
mossa verso di lui e ora lo stava cercando.
Non
riusciva a capacitarsene: perché non era scappata?
Perché lo stava cercando?
- Inuyasha!
– urlò Kagome sperando che il ragazzo la sentisse,
- Inuyasha, lo so che sei qui
intorno! Vieni fuori, voglio solo parlare. –
Attese
pazientemente per diversi secondi, prestando la massima attenzione ad
ogni
rumore nelle immediate vicinanze che rivelasse la sua presenza.
- Se
accetti di parlare, prometto di non urlare, né di alzare la
voce. Per favore. –
Non aveva
la certezza che lui la stesse davvero ascoltando, non poteva saperlo,
ma una
sensazione molto forte le diceva che era così, che lui era
nascosto da qualche
parte e che non aveva la minima intenzione di farsi vedere.
Sospirò
abbattuta al pensiero che un bambino di cinque anni sarebbe stato senza
alcun
dubbio più collaborativo. Non aveva neppure iniziato il
discorso che si era
preparata e lui già le mandava all’aria il piano!
Se non avesse fatto subito
qualcosa non avrebbe mai avuto le risposte che desiderava.
Lentamente
posò il piatto per terra davanti a sé. Si morse
l’interno della guancia e chiuse
gli occhi, prendendo un respiro profondo.
- Mi
dispiace… mi dispiace davvero. –
sussurrò, per poi voltarsi e far finta di
tornare verso casa.
Non
sarebbe mai riuscita ad uscire vincitrice da quella discussione e allo
stesso
tempo ad avere le risposta che cercava. Non sarebbe mai riuscita a
sbloccare
quella situazione se non avesse ceduto, se non avesse fatto un
grandissimo
passo indietro e messo le mani avanti, pronta ad ascoltare tutto
ciò che
l’altro fosse stato disposto a rivelarle, senza pretendere di
conoscere ogni
cosa.
Inuyasha la
seguì con lo sguardo, sentendo contemporaneamente una morsa
allo stomaco e
l’insopprimibile desiderio di fare qualcosa. Aveva cercato di
trattenersi, dal
fermarla, dal parlarle, dal farsi vedere di nuovo da lei, ma quelle due
piccole
parole, messe una vicino all’altra, gli avevano fatto mancare
di colpo il
terreno sotto i piedi, lasciandolo annaspare alla ricerca di un
perché.
- Ti
dispiace? – sussurrò, senza quasi rendersene
conto, uscendo poi dal suo
nascondiglio lentamente e a testa bassa.
Kagome si
bloccò, nascondendo il sorriso che quasi istantaneamente
fiorì sulle sue labbra
e rispondendo con un flebile sì, appena sussurrato.
Rimasero
in silenzio, cercando di evitare l’uno lo sguardo
dell’altra, fino a che
Inuyasha non si accorse del piatto che era stato lasciato
inconsapevolmente a
pochi metri da lui.
- Non dovevi.
– le disse semplicemente, tornando poi a guardare per terra.
- Non sei
venuto a cena. – affermò lei di rimando, cercando
di non dare troppa importanza
a quel gesto.
-
Tzè! E
a te cosa importa!? –
Si
sarebbe volentieri preso a pugni in quel momento, ma che ci poteva fare
se non
riusciva a trattenersi?
- Non
sono venuta qui per litigare ancora, perciò se fai ancora
così, me ne vado. –
lo ricattò, facendo nuovamente finta di andar via.
- No,
aspetta! Io… hai ragione, non volevo. Mi…
dispiace. – ed emettere quelle poche
parole gli costò più fatica di quanto avesse
pensato, ma non avrebbe raggiunto
niente continuando ad aggredirla e per una volta che non era lei ad
essere sul
piede di guerra, forse uno sforzo in più poteva anche farlo.
- Anche a
me… - continuò Kagome sorridendo appena,
rincuorata dalla piega che stava
prendendo la conversazione, - per quello che ho detto prima…
ecco, io ho
esagerato: ero spaventata e non avrei dovuto. Scusa. -
- Non
serve che ti scusi. Sono un mezzo-demone dopotutto, sono abituato ad
essere
considerato un mostro. Non preoccuparti, ti starò lontano,
non serve che ti
sforzi per sopportare la mia presenza. Ci ignoreremo proprio come
avevamo
detto. -
Per un
tempo che gli sembrò infinto solo il silenzio
seguì le sue parole, mentre
Kagome era troppo confusa per riuscire a mettere in fila anche solo due
parole
di senso compiuto. Possibile che non si capissero mai? Eppure parlavano
la
stessa lingua.
- Ma di
che stai parlando? – gli chiese infine al culmine
dell’esasperazione, non
essendo riuscita a trovare nessuna risposta plausibile.
- Del
fatto che sono un mezzo-demone. Tu di che stai parlando? –
- Del
fatto che, per quanto ne so, potresti aver ucciso una persona!
–
-
Aspetta! Non ti dà fastidio che io sia un mezzo-demone?
–
- Ma che
c’entra? No, direi di no. Ad essere sincera non ho mai
incontrato un
mezzo-demone prima d’ora: non sapevo che lo fossi! Ti credevo
un demone! –
affermò stupita, osservandolo con più attenzione
di quanto non avesse fatto
fino a quel momento, per poi continuare, - Non credo che abbia molta
importanza
comunque… dovrebbe forse darmi fastidio? –
aggiunse, vedendo il ragazzo
fissarla a bocca aperta.
-
No…
cioè, sì! – borbottò
arrossendo, non sapendo neppure più lui cosa pensare, -
Hai detto che la gente in libreria aveva ragione a chiamarmi mostro:
loro mi
considerano un mostro perché sono un mezzo-demone,
così ho pensato che anche
tu… non importa. –
-
È una
cosa brutta? Essere un mezzo-demone, intendo. –
Inuyasha
la guardò sconvolto chiedendosi se non lo stesse per caso
prendendo in giro, ma
nei suoi occhi non lesse la minima ombra di scherno: Kagome era
assolutamente
sincera.
- I
mezzi-demoni sono dei mostri, degli scarti della natura. –
sussurrò sospirando,
continuando a ripetere quella frase, che aveva sentito miliardi di
volte, come
se non fosse altro che un’antica cantilena, - Sono degli
esseri proibiti che
non dovrebbero esistere, perché solo con la loro esistenza
commettono peccato. È
questo ciò che pensano gli umani e i demoni. –
Kagome
rimase a fissare i suoi occhi, sentendosi annegare, proprio come
durante il
loro primo incontro, in quell’ambra liquido che riluceva ora
sotto la luce
delle stelle. Non riusciva a distogliere lo sguardo e anche se
continuava a
ripetersi che lui era la stessa persona che l’aveva rapita,
non riusciva a fare
a meno di sentirsi in colpa per le parole piene d’odio che si
erano scambiati.
-
Io… non
ne avevo idea. –
- Davvero
non ti crea problemi il fatto che sia un mezzo-demone? –
chiese nuovamente,
temendo ancora la risposta.
Doveva
assolutamente esserne certo.
Kagome
scosse la testa sorridendogli dolcemente forse per la prima volta da
quando lo
aveva incontrato e Inuyasha, sorpreso per quel gesto, le si
avvicinò,
trovandosi a pensare suo malgrado a quanto in quel momento sembrasse
diversa da
Kikyo.
Quando
non rimasero che pochi centimetri a separarli, Kagome
rabbrividì, stringendosi
involontariamente il braccio ferito e in quello stesso istante, vide
Inuyasha
fermarsi e incupirsi: lo sguardo improvvisamente triste e sofferente,
le
orecchie appiattite sulla testa.
- Hai
paura di me? -
Il tono
stesso della sua voce esprimeva tutta la tristezza e il senso di colpa
che
provava nel suo animo. Senza neppure pensarci Kagome lasciò
la presa sul braccio,
facendo un passo avanti e riducendo ancora le distanze. Lo
guardò dritto negli
occhi con estrema serietà, specchiandosi in essi, lasciando
che lui si
riflettesse a sua volta.
- La
ragazza a cui somiglio… tu le hai fatto del male? Sei
colpevole per qualsiasi
cosa le sia successa? -
- No, te
l’assicuro! È stato tutto un incidente e un grande
equivoco. Io non le avrei
mai fatto del male! Te lo giuro, Kagome, non avrei mai potuto.
– aveva detto
tutto senza respirare neppure una volta, trattenendo il fiato e non
staccando
mai gli occhi da lei, con il terrore che non gli credesse. Per questo
motivo fu
leggermente sorpreso quando la sentì ridere, stranamente
contenta.
- Hei
stupida, che hai da ridere?! Guarda che io sono serio! Non mi credi?
– borbottò
imbarazzato e anche leggermente offeso sentendosi preso in giro.
- Scusa,
scusa! Certo che ti credo: se me lo dici così non posso non
crederti! – affermò
soddisfatta, non riuscendo però a smettere di ridere alla
vista dell’espressione
sbigottita dipinta sul volto del mezzo-demone.
Lei gli
credeva! Gli credeva davvero e il sole pensiero era così
assurdo da farlo
dubitare che quella fosse la realtà, invece
dell’ennesimo sogno. Magari si era
addormentato un’altra volta mentre studiava quel maledetto
manuale per
decifrare il funzionamento della barriera.
-
È solo
che mi hai sorpresa. – aggiunse poi Kagome, respirando
profondamente per
cercare di non ridere più, - Questa è la prima
volta che mi chiami per nome. -
Inuyasha
arrossì a dismisura, spostando lo sguardo e incrociando le
braccia al petto,
imbronciandosi appena.
- E con
questo?! – le domandò, evitando di farle notare
che in realtà era già la
seconda volta, ma che probabilmente la prima doveva essersela persa,
impegnata
com’era ad urlargli contro come una pazza.
- Niente,
pensavo solo che forse ora non vedi più lei quando guardi
me. Forse hai smesso
di incolparmi per questa situazione e dal momento che mi
toccherà restare qui,
magari sarai meno insopportabile e riusciremo anche ad andare
d’accordo. -
-
Tzè!
Che stupidaggini! – borbottò lui voltandosi
completamente, per non mostrare il rossore
sempre più evidente sulle sue guance e il piccolo sorriso
che gli increspava le
labbra. Possibile che quella sciocca ragazzina avesse ragione? Che non
vedesse
più Kikyo in lei?
Kagome.
Lei era… Kagome.
Ad un
tratto, ancora troppo perso nei suoi pensieri, non si accorse che il
soggetto
dei suoi pensieri se ne stava andando.
- Non
vieni? – gli domandò girandosi e aspettandolo.
Inuyasha non si fece pregare e
in un secondo le fu accanto. Percorsero la strada insieme in silenzio,
entrambi
finalmente più sereni, costeggiando il confine della
barriera, che li divideva
dal resto del mondo.
- Kagome.
– la chiamò Inuyasha rompendo il silenzio, quando
furono in prossimità della
casa.
La
ragazza si fermò incuriosita, accorgendosi che il
mezzo-demone era rimasto
indietro.
-
Perché
prima non sei fuggita? -
Immediatamente
si morse il labbro con forza, spremendo le meningi, implorando
affinché un lampo
di genio le fornisse una risposta plausibile.
- Non
so…
- balbettò, fingendo di pensarci su, - sapevo che sarebbe
stato inutile: mi
avreste ripreso subito. Non aveva molto senso, no? -
- Avresti
comunque potuto provare, invece sei venuta subito qua.
Perché? –
Non
sarebbe riuscita a mentirgli se lui l’avesse guardata ancora
in quel modo.
-
Perché
credo che siate innocenti e non volevo che per colpa mia foste in
pericolo. -
In fondo
poteva considerarsi una mezza verità: aveva soltanto omesso
di rivelargli che era
proprio lui che il suo istinto, chissà per quale ragione,
voleva proteggere.
- Scema!
Come se potessimo davvero essere in pericolo! Dovremmo solo scappare e
non ci
prenderebbero mai. -
Non era
riuscito a trattenersi dal risponderle male: quello che aveva detto lo
aveva preso
totalmente in contropiede. Non avrebbe mai pensato che lei potesse
preoccuparsi
di una cosa simile, quando invece avrebbe dovuto pensare solo a se
stessa.
Eppure ne fu contento. Sentire quelle parole lo rese felice e anche se
per il
momento non l’avrebbe ammesso ad alta voce era stranamente
contento che Kagome
fosse lì.
- Certo,
certo, come dici tu. - lo assecondò distanziandolo, agitando
la mano con
noncuranza.
- Dannata!
Mi stai prendendo in giro?! – le urlò
rincorrendola, non riuscendo a non
sorridere.
Dopotutto
forse il loro rapporto non sarebbe cambiato radicalmente, ma almeno
Kagome poteva
dire di conoscere un po’ meglio Inuyasha: sapeva che non era
una persona
cattiva e per il momento questo le bastava. Per il fatto che fosse
scorbutico
poi, ci sarebbe passata sopra: in fondo, dovette ammettere, non era
affatto
male provocarlo.
Angolino
di Aredhel
Pace
fatta!
Visto? Le
cose hanno finalmente iniziato a sistemarsi eheh (era ora! :P). Da
adesso in
poi è tutta in discesa per i due piccioncini,
beh… più o meno… diciamo che ci
sarà qualche incidentuccio (diciamo pure incidentoni) di
percorso, tanto per
non dimenticare quant’è bello vederli soffrire.
+_+
Il sogno
iniziale di Inuyasha, trasformato anche quello in una sorta di
flashback, non
era assolutamente previsto. Non avrei dovuto parlarvi di Kikyo prima di
altri
due capitoli (già, avete capito bene! Il momento della
verità, tutta la verità,
nient’altro che la verità, si avvicina!) e in ogni
caso non avrei dovuto far
parlare lei direttamente, invece ho, come sempre, stravolto tutto;
perciò vi
comunico già da ora che ci saranno altri salti temporali.
Penso che possano
aiutare a delineare il loro rapporto meglio di quanto non farebbe un
semplice
racconto. Spero quindi che vi piacciano e per chi non dovesse tollerare
la
presenza di Kikyo, mi dispiace, ma consolatevi con il fatto che qui
è buona ed
è morta, perciò non arriverà a rompere
le uova nel paniere. :P
Un’ultima
cosa, visto che forse qualcuno l’ha notato o si è
posto qualche domanda al
riguardo (o forse no, non lo so): il fatto che Kagome e Kikyo abbiano
la stessa
età, o meglio il fatto che Kikyo abbia la stessa
età di Kagome nel piccolo, ma
importantissimo, flashback là sopra, non è altro
che una coincidenza.
E
ora… parliamo di numeri!
Visto che
in molti nei precedenti commenti mi avete chiesto
l’età di alcuni personaggi,
vi scrivo qui ad occhio e croce quanto dovrebbero avere:
- Kagome
ha 18 anni: se ricordate infatti nel primo capitolo avevo parlato
dell’avvicinarsi
degli esami d’ammissione all’università
e ho letto su wikipedia che in Giappone
l’università si comincia intorno ai 18/19 anni
(come da noi), quindi Kagome ne
ha 18.
- Sango e
Miroku hanno rispettivamente e approssimativamente 19/20 anni.
- Rin ne
ha 14.
- E ora
arriviamo ad Inuyasha e Sesshomaru: per quanto riguarda loro ho ripreso
un po’
la distinzione che fa anche il manga tra l’età
effettiva e quella che invece
dimostrano. In base a ciò che dimostrano la loro
età è intorno ai 20/25 anni,
ma in realtà hanno la bellezza di 70 anni per Inuyasha e
circa 85 per
Sesshomaru.
- Koga, a
meno che io non cambi idea per qualche motivo, è coetaneo di
Inuyasha, quindi
anche lui si aggira intorno ai 70, ma ne dimostra una ventina.
Mi pare
di aver detto l’età di tutti, ma se ho dimenticato
qualcosa o se avete ancora
qualche domanda riguardo la cronologia, non esitate a farla! XD
Ci
vediamo al prossimo capitolo, purtroppo non so quando. Abbiate fede! XD
anche
per I’ll always find you (sempre che qualcuno la ricordi
ancora T_T) arriverà,
giuro che arriverà!
Bacioni,
Are-chan (che è tanto felice, perché sabato va
finalmente al romics e compra
tante belle cosette +_+)