Doors
oneisnone
Il destino,
quando apre una porta, ne chiude un’altra.
Dati certi passi
avanti, non è possibile tornare indietro.
Victor Hugo
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Kurt riusciva ancora a sentire le
labbra di Sebastian
premute sulle proprie, come se fosse ancora lì, caldo e
forte contro di lui. Ma
Sebastian non c’era, e quasi come a volerlo rincuorare, una
fresca folata di
vento gli accarezzò la pelle accaldata. Kurt era scalzo, i
piedi immersi nella
morbida e calda sabbia, il rumore delle onde che si infrangevano sulla
battigia
e l’urlo di qualche gabbiano a riempire il silenzio
rilassante di quel piccolo
paradiso. Si perse qualche minuto ad ammirare l’immensa
distesa di acqua
davanti a sé, fissando quella linea sottile in lontananza e
immaginando le
mille storie che avrebbe potuto raccontargli un posto del genere.
Dietro di lui, dando le spalle
all’oceano, Kurt vide una
bellissima casa a pochi metri dalla battigia. Sembrava silenziosa,
disabitata da
qualche tempo ma comunque magnifica, e anche se non era sicuro di cosa
esattamente dovesse fare, decise di avvicinarsi per guardarla da
vicino.
Sentiva un dolce calore espandersi al centro del petto, guardandola.
Come se
qualcosa, una strana consapevolezza lo stesse spingendo in quella
direzione. Sembrava
una casa vissuta, amata. Sembrava qualcosa che Kurt avrebbe sicuramente
amato,
che avrebbe fatto sua. I piedi affondarono per l’ultima volta
nella sabbia
bianchissima, prima di salire le poche scale che portavano al piccolo
portico e
poi fino alla porta in legno scuro. Kurt l’aprì
senza nemmeno pensarci, senza
nemmeno chiedersi se fosse la cosa giusta da fare. Voleva vedere quella
casa
perché nel profondo sapeva che era qualcosa di molto
importante, qualcosa che,
in caso contrario, avrebbe rimpianto per il resto della propria vita.
Alle pareti, colorate con colori
dolci e rilassanti, erano
appese cornici di ogni grandezza; una mostra infinita di fotografie
raffiguranti
una famiglia felice, allegra, vera.
Si
avvicinò lentamente a una di queste, accarezzando la cornice
nera impolverata e
poi il vetro che la riparava; c’erano due bambini sorridenti
che, Kurt ne era
sicuro, non aveva mai visto, anche se sapeva di conoscerli.
I due si abbracciavano, le guance paffute premute
insieme mentre guardavano dritto verso l’obbiettivo. Un
momento immortalato per
sempre, qualcosa da poter raccontare negli anni, e Kurt desiderava
veramente
poter sapere la causa di quei due bellissimi sorrisi, la storia dietro
quella
fotografia. Voleva sapere la storia dietro ad ognuna di esse.
Un rumore improvviso proveniente
dal piano superiore lo
riscosse da quei pensieri. Salì le scale e seguì
quel leggero rumore,
camminando lungo il corridoio illuminato da una grande vetrata e
guardando
nelle stanze con le porte aperte. Si avvicinò ad una porta
socchiusa e riuscì a
distinguerla con chiarezza; una risata, forte e sincera. Ancora una
volta sentì
un’ondata di calore esplodergli nel petto e, stranamente, si
ritrovò a
sorridere felice, senza alcun motivo. Aprì lentamente la
porta, mostrando ai
propri occhi un’enorme camera da letto, senza nessuno
all’interno. Solo i
vecchi mobili impolverati e l’amore a impregnare
l’aria. I suoi occhi finirono
velocemente verso la grande porta-finestra, incantati ancora una volta
dal
maestoso tappeto di acqua, dall’Oceano e dalla spiaggia,
prima di tornare
attenti e vigili nella stanza. Le pareti bianche erano sommerse ancora
una
volta da fotografie. Questa volta, notò Kurt, non solo
raffiguranti bambini, ma
anche due uomini: mentre si abbracciano, si baciano, sorridono verso
l’obbiettivo e si amano.
Perché Kurt
riesce quasi a sentire l’amore sulla propria pelle, uscire da
quelle piccole
fotografie e sfiorargli il cuore come in una leggera carezza. Kurt
può vivere
la vita dei due uomini attraverso le foto presenti in ogni angolo di
quella
casa, ma sa di poterla vivere ancora meglio; diventando quell’uomo.
Perché Kurt lo sa, sa chi sono quelle due persone, le
riconosce anche se la loro pelle non è più bella
e liscia come una volta, anche
se i loro capelli sono ormai bianchi e gli occhi luminosi contornati
dalle
rughe. Riconosce il verde brillante degli occhi di Sebastian, e il
proprio,
azzurro e profondo come sempre. È come vedere la propria
vita scorrere e
avanzare lentamente, anno dopo anno in ogni fotografia. Accarezza quasi
inconsciamente quella che raffigura il loro matrimonio; Sebastian
fasciato in
quell’elegante abito nero e Kurt che lo tiene stretto a
sé, mentre si scambiano
un bacio dolce, le mani unite.
Questa volta non
c’è nessun Sebastian ad attenderlo e
accompagnarlo in questo folle viaggio. Kurt è da solo, non
c’è nessuno con lui,
ma è come se questa casa impolverata potesse parlargli,
raccontargli di tutto
ciò che è stato, delle persone che ha amato. E
Kurt se ne rende conto, una vita
con Sebastian non fa poi così tanta paura. Kurt lo ammette a
se stesso,
Sebastian non è così male come sembra. Sebastian
è la persona che sente
in quella casa, che vede nelle
foto e nelle note scribacchiate frettolosamente su qualche pezzo di
carta e poi
abbandonato lì. Sebastian, pensa Kurt, potrebbe piacergli
veramente. E forse già
gli piace. Aveva bisogno di una
spinta, qualcosa che gli aprisse gli occhi, che lo facesse svegliare
per fargli
vedere veramente ciò che ha davanti.
È come se avesse questo
ricordo fisso nella mente, che
gratta fastidiosamente la parete della sua testa, sforzandosi di uscire
perché
Kurt non riesce ad afferrarlo. E più Kurt ci prova,
più questo gratta forte.
Ma è felice, lo sente
anche nelle ossa e nel largo sorriso
che sembra non avere intenzione di lasciare più le proprie
labbra. Anche se la casa
sembra lasciata a se stessa da molto tempo, anche se è
fredda e silenziosa,
Kurt la ama. Come potrebbe amare Sebastian, un giorno.
È un sentimento che
è ancora nascosto nel proprio cuore, ma
è qualcosa di reale, che aspetta solo di essere liberato e
vissuto. Qualcosa
che, in futuro, Kurt non avrebbe problemi ad accettare. Il fatto
è che Kurt ha
già iniziato ad accettare Sebastian nella propria vita, ha
già iniziato molto
tempo prima. Anche solo quando ha accettato
quell’appuntamento al Lima Bean,
Kurt ha aperto una delle prime porte per invitare Sebastian a mettere
radice
nella sua vita, nel suo cuore.
Kurt si diresse di nuovo sulla
spiaggia con gli occhi
rivolti verso l’Oceano, come se non riuscisse a distogliere
lo sguardo da
quello spettacolo naturale. Il sole era ormai basso nel cielo, pronto a
lasciare spazio alla sera. Era ancora intento a contemplare la luminosa
sfera
sparire oltre la linea dell’Oceano, quando
l’improvvisa sensazione di aver
appena ricevuto in faccia una secchiata di acqua fredda lo
colpì, togliendogli
il fiato per una manciata di secondi. Si toccò la faccia,
asciutta.
Poi di nuovo; il dolore alla testa,
il sedere indolenzito e
il silenzio. Riuscì a lanciare un ultimo fugace sguardo alla
casa, come se
volesse memorizzarla perfettamente nella propria testa prima che il
buio
calasse sui suoi occhi, oscurando il mondo intero. Di nuovo.
Era quasi come svegliarsi dopo un
lungo sonno, come se
avesse dormito per anni interi e la sua mente e il suo corpo non
fossero più in
grado di funzionare correttamente dopo così tanto tempo.
Fece fatica ad aprire
gli occhi, e quando ci riuscì la luce era davvero troppo
forte, tanto che lo
costrinse a richiuderli velocemente. Sentì una voce
chiamarlo, sembrava lontana
anni luce, poi una mano stringergli forte il braccio, rassicurandolo.
Kurt non ricordava molto, solo di
essere andato al Lima Bean
per l’appuntamento con quell’idiota di Sebastian,
poi il buio assoluto. Più
ci provava, più non riusciva a ricordare
cosa era accaduto dopo. Sapeva di essere disteso sul pavimento, sentiva
le
fredde mattonelle premere contro il proprio corpo. La testa gli faceva
male e
il sedere pulsava in modo doloroso, doveva esserci caduto sopra.
Provò di nuovo
ad aprire gli occhi e, finalmente, riuscì
nell’intento. Il soffitto del Lima
Bean non era il miglior bentornato
del mondo, ma era qualcosa sicuramente migliore del buio assoluto. Si
tirò su
lentamente, appoggiandosi prima sui gomiti e poi seduto, le gambe
distese
davanti a sé. C’era una mano, premuta con
decisione sulla propria schiena, che
lo aveva accompagnato in tutta la manovra per rialzarsi. Non aveva la
minima
idea di chi fosse il proprietario ma voleva davvero voltarsi per
ringraziarlo.
Non sapeva perché, ma era convinto che fosse la stessa
persona che, qualche
minuto prima, lo rassicurava.
Sul pavimento, proprio accanto a
sé, c’era un bicchiere
vuoto di vetro, e quasi come se avesse ripreso la
sensibilità del proprio corpo
solo in quel momento esatto, si rese conto di avere la faccia
completamente bagnata.
Evidentemente qualcuno aveva ben pensato di tirargli
dell’acqua gelata addosso,
perché ora sentiva freddo e non riusciva a smettere di
tremare.
«Kurt, come ti
senti?» domandò qualcuno dietro di sé.
Kurt quasi non fece caso al fatto
che quel qualcuno sembrava
conoscerlo, quasi non si rese conto del fatto che conosceva quella persona. E sorrise ebete,
perché
quella voce sembrava quasi l’antibiotico per le sue ferite,
una carezza leggera
sulla pelle.
«Kurt?»
domandò nuovamente il ragazzo, la mano ancora
premuta alla base della schiena di Hummel.
E questa volta Kurt si
girò, sorridendogli educatamente e
con riconoscenza. E non fu uno shock come immaginava, quando si
ritrovò a pochi
centimetri da Sebastian, inginocchiato al suo fianco con
un’espressione
preoccupata dipinta sul volto.
Kurt si sentì come se
vedesse Sebastian Smythe per la prima
volta nella sua vita, come se non avesse mai guardato veramente in
tutto quel
tempo trascorso. Non sapeva spiegarsi il motivo
dell’improvvisa esplosione di
calore nel proprio petto, o l’imbarazzante e radioso sorriso
che si allargava
sempre di più sulle proprie labbra. Non sapeva spiegarsi
molte cose, Kurt, come
quella strana e urgente sensazione di dover ricordare qualcosa, senza
però
riuscirci. Qualcosa di davvero importante, un ricordo lontano. Ma
Sebastian
continuava a guardarlo in quel modo, e Kurt non poteva perdersi nei
propri
pensieri, perché era ancora davanti alla porta del locale,
seduto sul pavimento
del Lima Bean con la faccia completamente bagnata e un gruppo di
clienti a fare
da spettatori.
«Ciao
Sebastian.» sussurrò Kurt, massaggiandosi
lentamente
la nuca indolenzita.
Sebastian alzò gli occhi
al cielo e lo aiutò ad alzarsi,
afferrandolo saldamente con le proprie braccia e trascinandolo ad uno
dei
tavoli liberi più vicini. Kurt si sedette, facendo
attenzione ad appoggiare il
sedere sulla sedia. Doveva aver fatto una di quelle cadute senza
precedenti.
Sebastian lo guardò con
attenzione per qualche secondo, alla
ricerca di ferite visibili sul corpo, prima di scusarsi e allontanarsi
il
secondo dopo, mormorando qualcosa velocemente. Tornò due
minuti dopo, un
asciugamano in una mano e una tazza di caffè caldo
nell’altra.
Sebastian gli porse la tazza di
caffè, che Kurt afferrò con
un sospiro di sollievo e gratitudine. Sorrise di nuovo
all’indirizzo di Smythe,
felice e rilassato rispetto a qualche momento prima. Il ragazzo prese
una
sedia, la trascinò al fianco di Kurt e si sedette, si
guardarono qualche
secondo negli occhi prima di sorridere.
Passarono qualche minuto
così, in silenzio; Sebastian
occupato ad asciugare il volto e i capelli di Kurt, mentre
quest’ultimo si
perdeva nei propri pensieri, ancora alla ricerca di quel ricordo
importante che
non riusciva ad afferrare. Era frustrante perché sapeva con
certezza di dover ricordare, come
se da quel ricordo
dipendesse tutta la sua vita. Come un sogno che sfugge dalle tue mani
una volta
aperti gli occhi. E più provi a ridisegnare i contorni,
più questi diventano
sbiaditi e confusi.
«Sei un
idiota.» disse Sebastian dopo che ebbe terminato.
Kurt sbuffò e chiuse gli
occhi, massaggiandosi di nuovo la
nuca.
«Sei caduto come un
idiota,» continuò Sebastian, «Come
cavolo hai fatto a non vedere il cartello che avvertiva del pavimento
bagnato?»
«Io non-» Kurt
provò a rispondere ma Sebastian lo interruppe
immediatamente. A dire la verità, lui, il cartello che
avvertiva del pavimento
bagnato e pericoloso, non l’aveva nemmeno notato.
«Sei un
idiota.» ripeté per l’ennesima volta,
Sebastian.
Kurt non ne poteva più, non era lì per sentirsi
dire di essere un totale idiota
senza speranze, che era caduto come un coglione, che aveva sbattuto la
testa ed
era svenuto. Non era questo di cui aveva bisogno ora. Aveva solo voglia
di
chiudere gli occhi e concentrarsi sul ricordo del sogno che aveva fatto
mentre
era privo di sensi. Voleva solo ricordare.
«Beh,»
sospirò Kurt, «Ti ringrazio, Sebastian.»
«E mi hai fatto
preoccupare a morte.» sussurrò Sebastian con
un filo di voce, come se si vergognasse delle sue stesse parole. Kurt
avvertì
chiaramente qualcosa cambiare nell’aria, non aveva idea di
cosa fosse ma era
piacevole.
«Mi dispiace.»
Kurt rispose sinceramente. Allungò una mano
sul tavolino e strinse quella di Sebastian, che ricambiò la
stretta e sorrise,
meno cattivo.
«Ma rimani comunque un
idiota.» si riprese velocemente,
strinse la mano di Kurt un’ultima volta e poi la
lasciò andare, alzandosi.
«Andiamo principessa, ti porto a casa.»
«Ma-»
provò a protestare, Kurt, inutilmente.
«Nessun ma,
Kurt,
non voglio sentire nemmeno una parola. Non ti lascerò
guidare in queste
condizioni, non riesci nemmeno a camminare.» Sebastian
afferrò Kurt per un
braccio e lo aiutò ad alzarsi, trascinandolo poi fuori dal
locale.
«Te l’ho mai
detto che sei uno stronzo prepotente e nessuno
ti sopporta?» domandò Kurt, sbuffando.
«Sì,»
annuì questo, un sorriso sincero sulle labbra e gli
occhi luminosi, «Ma ricordo che uno strano tizio, quando
avevo circa cinque
anni, mi disse che ero un bambino meraviglioso e che se i bambini del
parco non
volevano stare con me, allora erano loro a perderci.»
Kurt rimase in silenzio, curioso.
Sebastian allora rise, scuotendo
leggermente la testa,
ritornando a quel ricordo appartenente ad un passato lontano.
«Pensa che ero
convinto fosse un angelo.» rise di nuovo, «Ricordo
di essere corso da mia
madre, urlando di aver conosciuto questo bellissimo angelo, e che un
giorno
sarebbe tornato da me, perché lui me lo aveva
promesso.»
Hummel lo guardò con gli
occhi grandi come piattini. «Scherzi,
vero?»
Sebastian aprì la
portiera della macchina e aiutò Kurt a
salire. Fece velocemente il giro della macchina e salì,
mettendo subito in moto
l’automobile.
Kurt gli tirò una
gomitata nelle costole, «Allora? Sputa il
rospo!»
Sebastian alzò gli occhi
al cielo e rise, uscendo dal
parcheggio del Lima Bean. «Ero un bambino, Kurt» si
giustificò, «Questo tizio è
sbucato all’improvviso dalla casa per i bambini; sai quelle
piccole, di
plastica, tutte colorate e minuscole-»
«Sì
sì, vai avanti.» lo incitò curioso.
«E non ricordo che
aspetto avesse, non ricordo nulla di lui.
Ma so con certezza di aver pensato che fosse un angelo, il
più bello che avessi
mai visto… Ed era lì, per me, era venuto a
giocare con me.»
Sebastian fermò
l’auto al semaforo,
aspettando il verde. «Quel giorno ho pensato di essere il
bambino più fortunato
del mondo.» Si voltò verso Kurt, sorridendogli con
una strana scintilla negli
occhi.
«Lo sono anche adesso.»
Notes:______________________________________
E quindi finisce
così, con Kurt che non
ricorda nulla e Sebastian che invece ricorda un certo angelo. Questi
“viaggi
nel tempo” potrebbero essere accaduti veramente, o magari
potrebbero essere stati
solo un folle sogno di un Kurt privo di sensi, e noi non lo sapremo
mai.
Spero davvero che
questa brevissima
storia vi sia piaciuta, che vi abbia lasciato almeno un sorriso. Vi
ringrazio
per aver letto e recensito, vi ringrazio per tutto perché
siete fantastici e mi
fate sorridere ogni volta.
A presto, magari con
altre storie - ah,
quasi dimenticavo, se magari ve le siete perse siete imperdonabili e
siete interessati vi
sto obbligando,
ho pubblicato due nuove OS, le
trovate qui sul profilo quindi andate a leggerle ORA. Su su, correte!