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Autore: _Aranel_    04/04/2014    0 recensioni
"Le difficoltà di un padre possono essere molteplici, in particolar modo se la vita decide di complicarsi improvvisamente".
Attimi di nostalgia mista a presunzione che mi prendono di tanto in tanto mi hanno portato a scrivere questo piccolo squarcio di vita reale vissuta non in prima persona. Spero possa arrivare a far provare qualcosa, anche la più piccola emozione.
Enjoy, Ar.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Memorie di un Padre







Sapeva che non avrebbe dovuto,
lo sapeva meglio di chiunque altro,
lo sapeva, eppure lo aveva fatto.




Quando seppe di essere malato inizialmente non ci volle credere, non poteva essere possibile, non poteva capitare a lui, era giovane, aveva famiglia, dei bei figli, un lavoro che amava, gioia, passione, interessi, ma sapeva anche che la vita non guarda in faccia nessuno, così chinò il capo e accettò l’inaccettabile.

Da quel momento la sua vita cambiò, dovette sottoporsi a varie cure, lasciare il lavoro, sacrificare parti di sé e vedere la sua famiglia cambiare, crescere in spirito e dolore.

Non poteva sopportarlo, non voleva sopportarlo, si sentiva male, male per l’amore della sua vita, la “luce della mia vita” come la chiamava, che lo vedeva soffrire, imprecare contro Dio e gli uomini, contro di lei alcune volte, poi piangere e pregare chiedendo perdono, pietà, aiuto. 

Pensava che fosse tutto perso, tutto vanificato, distrutto, assurdo, inutile, eppure andava avanti, doveva farlo per la sua famiglia, si diceva, così chinava il capo e sorridendo fingeva che andasse tutto bene, che stesse bene perfino.

Il tempo passava intensamente ora lento, ora veloce e non dava segni di voler tornare indietro, tornare a quando tutto era bello nella sua normalità, colorato, ricco di risate, musica e, perché no, fatica.

Si era ripromesso di mostrarsi forte, di non farsi vedere stare male, di non essere un peso, di comportarsi sempre da buon padre e marito nonostante tutto, ma aveva fallito; aveva fallito.

Iniziò a smettere di lottare solo quando gli dissero che non c’era più nessun motivo fisico per farlo, perché tanto non sarebbe servito, la malattia ormai aveva preso il sopravvento e non si poteva fare nulla.

Quello fu il momento peggiore, era annientato poteva vedere sua moglie, la sua roccia, piangere nelle occhiaie sempre più profonde e scure; non trovava la forza di andare avanti e nemmeno pensare all’amore dei suoi figli gli impediva di tremare di dolore e rassegnazione la notte.

La sua mente un tempo lucida, brillante ora era offuscata dai farmaci e dalla spossatezza, non sapeva come poter trovare la forza, come poter anche solo pensare di sperare ancora, ma, forse si diceva nei momenti più bui, non era più neanche sicuro di volerlo fare.

Era dicembre, lo sentiva dal freddo che entrava dalla finestra quando le infermiere la aprivano dopo averlo cambiato, gli penetrava nelle ossa, nello spirito; poteva percepirlo nel profumo di feste che passeggero passava sotto lo stipite della porta della sua stanza.

 Lo andarono a trovare e lui intuì che sarebbe successo qualcosa di diverso.
Prima avvertì le risate, poi i passi, la maniglia della porta abbassarsi, lo scricchiolare del pavimento in legno, il rumore di pacchetti regalo appoggiati in terra, le braccia al collo, sul petto, sul viso, le labbra sulle guance, sulla fronte, sul collo ed infine lui, l’odore di casa, di famiglia, di buono, di tutto il suo mondo.

Sorrise, sorrise di nuovo, sentì i muscoli delle guance contrarsi, le labbra piegarsi e la sua voce roca, impastata e debole dire che li amava dal profondo del suo cuore, che li amava per davvero e che non li avrebbe mai abbandonati veramente, anche se dentro si sentiva sempre più debole e stanco.



Sapeva che non avrebbe dovuto,
lo sapeva meglio di chiunque altro,
lo sapeva, eppure lo aveva fatto.

Ma, Dio, nessuno gli impediva di essere
felice, dannatamente felice per amore
mentre stava morendo.

 
 
 
 
 
 






 
  
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