Compagni
“Dove saranno nascoste?”
È
almeno la dodicesima volta in un’ora che Yama si pone questa domanda a
proposito delle bombe a vibrazione dimensionale.
Ogni
volta che l’analizzatore a raggi infrarossi entra in funzione, cosa che
ovviamente accade di continuo in mezzo a tutti gli impulsi elettrici di una
nave spaziale, gli fa bruciare l’occhio destro da impazzire, e lui non può
neanche strofinarselo perché rischierebbe di attirare troppo l’attenzione su di
se.
Ha
pensato di portarsi dietro un pezzetto di pane avanzato da pranzo: nelle sue
intenzioni dovrebbe dargli un’aria noncurante mentre lo sbocconcella, come se
lui fosse solo il novellino che osserva ogni particolare della nave perché ne è
affascinato ed è tanto tranquillo ed ingenuo da fare merenda nel fratttempo.
In
realtà è talmente teso che ha la bocca asciutta ed anche masticare una briciola
è impegnativo.
L’Arcadia
è immensa, ed intorno a lui geme, scricchiola e sussurra; i tubi metallici
sembrano arterie e vene pulsanti, oppure fasci di nervi, e le impalcature sono
l’ossatura di una creatura viva.
Yama
non sa se sentirsi rassicurato come se fosse tornato nel grembo materno o se
essere terrorizzato come Giona nelle viscere della balena.
All’uscita
dall’ennesimo tunnel lo aspetta una sorpresa: uno spazio immenso si apre sopra
di lui.
“Che posto!”
È
una caverna ma è completamente artificiale, è illuminata ed allo stesso tempo
non lo è.
Gira
su se stesso, guardando in alto, ed a stento riesce a scorgere la volta metallica
sopra di se, mentre l’occhio destro è bombardato in continuazione da flash
rossastri.
È
così preso dall’osservare tutto a bocca aperta che non sente i passi che si
avvicinano.
-Yama-
La
voce di Harlock alle sue spalle lo fa sobbalzare così forte che il pane gli
cade di mano.
Non
è certo una reazione degna di un soldato.
“Accidenti, io non sono un
soldato!”
E
non sa cosa fare, adesso che è a pochi passi da Harlock, faccia a faccia con il
ricercato S 00 999, nonché l’uomo che lui dovrebbe eliminare.
Yama
vorrebbe tanto essere di fronte ad Ezra in quel momento, per chiedergli come
diavolo ha potuto pensare che uno come lui possa uccidere uno come Harlock.
È
impossibile, semplicemente.
Se
non riesce a riprendersi solo dall’esserselo trovato davanti in corridoio come
può pensare di poter avere la meglio su di lui in qualunque tipo di
combattimento?
Sa
di dover riprendere un po’ di contegno, eppure è più forte di lui: non riesce a
staccare gli occhi dalla sua figura.
È
alto, vestito di scuro con una divisa da combattimento vecchio modello; la
cappa fa sembrare le sue spalle più larghe di quello che sono, e l’orlo
sfrangiato del mantello ondeggia appena intorno alle caviglie.
Tutto
l’atteggiamento denota una profonda sicurezza di sé, e dopo aver visto come è
capace di manovrare una corazzata da guerra, come se dominasse la nave con il
pensiero, Yama è sicurissimo che quella sicurezza non sia una pretesa.
Lui,
immobile e a braccia conserte, lo scruta con l’unico occhio dai riflessi dorati
senza dire una parola, e Yama si sente scuotere da un brivido.
All’improvviso
la consapevolezza lo colpisce come un pugno allo stomaco “Lui sa”
Perché,
perché ha la netta sensazione che quell’uomo sappia tutto di lui?
Il
pirata non sta facendo altro che guardarlo, ma Yama sente lo stesso il panico
montare dentro di lui ed in pochi istanti mille idee attraversano la sua mente.
Tentare una mossa disperata e
sparare ad Harlock in quell’istante.
Restare fermo immobile,
fingendosi indifferente.
Confessargli tutto ed implorare
pietà, nella speranza che lui si limiti a confinarlo in una cella e non a
giustiziarlo come spia e traditore.
È
un sollievo quando lo sguardo finalmente lo lascia e si sposta su qualcosa a
terra.
“Ah, già, il pane!”
Harlock
guarda di nuovo lui ed improvvisamente Yama ritrova l’uso della parola.
-Non
l’ho rubato, è parte della mia razione-
Si
affretta a spiegare.
Non
sa perché ma non gli piace l’idea che quel pirata possa considerarlo un ladro.
Lui
non gli risponde, invece si china a terra e raccoglie il pezzetto di pane.
Strano,
abbassarsi a pulire il pavimento non è certo compito di un capitano, ed in più
Harlock sembra osservare l’avanzo di pagnotta con rispetto.
“E ora? Devo aspettare che me lo
restituisca? Devo andarmene?”
-Yama,
tu lo sai perché si dice “compagno”?-
Il
tono del pirata lo sorprende almeno quanto la domanda.
-No,
capitano-
Ed
è sorpreso anche dal fatto che la parola “capitano” indirizzata a quel criminale
gli sia scivolata dalle labbra con naturalezza.
Harlock
rivolge lo sguardo verso l’alto quando riprende a parlare, per scrutare forse
il passato o forse il futuro.
-È
una parola che viene da una lingua antica, molto antica, parlata sulla Terra in
un tempo così remoto da poter essere ormai solo una leggenda. Vuol dire “colui
che divide il pane con qualcun altro”. Noi qui sull’Arcadia dividiamo ogni
giorno il pane della lotta, del dolore o della gioia. È questo che ci unisce,
nel bene o nel male-
Yama
osserva ipnotizzato il movimento del collo ed i capelli che sfiorano il bavero
rosso mentre Harlock si volta di nuovo verso di lui.
Gli
tende la mano guantata per invitarlo a riprendersi il pane, cosa che Yama fa
subito.
-Non
dimenticarlo mai, Yama-
Lui
si sente scuotere fino alle ossa da quelle parole e non riesce più ad
incrociare lo sguardo dell’altro uomo.
China
la testa e riesce appena a borbottare un “sì, capitano”, e poco dopo sente dei
passi che si allontanano.
“Lui sa”
pensa ancora Yama.
Ormai
ne è sicuro: quel pirata sa chi è lui in realtà e cosa è venuto a fare
sull’Arcadia. Ma allora perché non gli ha fatto nulla?
La
Coalizione Gaia non esita a giustiziare spie e traditori, e su una nave pirata
Yama non si aspettava niente di meno che un’esecuzione sommaria.
Accidenti!
Se solo lo avesse voluto, quel pirata ci avrebbe messo pochi secondi a
costringerlo in ginocchio e a sparargli in testa, e invece…
Guarda
il pane di nuovo in mano sua e senza sapere perché si sente in colpa.
Sì,
in colpa.
Se
loro sono criminali e terroristi lui non è da meno, perché sta cercando di
conquistarsi la loro fiducia per tradirli.
Li
sta ingannando tutti.
Tutti
quelli che dividono il pane con lui.
Tutti
i suoi compagni.
Sta
ancora lottando contro quel pensiero quando un verso rauco ed uno sgraziato
sbattere di ali gli precipitano addosso, e, senza che lui abbia neanche il
tempo di capire cosa succede, il suo pane è già finito nello stomaco di
Tori-san.
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Cantuccio
dell’Autore
La
colpa di tutto ciò è della mia abitudine di sfogliacchiare il dizionario, di
mettermi a leggere altro da quello che sono partita per cercare, e di
soffermarmi sull’etimologia delle parole: “Compagno” viene dal latino medievale
e vuol dire veramente “colui che divide il pane con qualcun altro”.
Ah,
il numero da ricercato di Harlock spero di essermelo ricordato giusto, il fatto
è che non lo trovo da nessuna parte per controllarlo. Se fosse sbagliato
fatemelo sapere e provvederò a correggere.
Grazie
a tutti per avere letto ^^
Makoto
Ps:
ho corretto il numero da ricercato di Harlock grazie a eos75 che me lo ha
suggerito.