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Autore: elyxyz    05/04/2014    18 recensioni
TRAMA: Arthur trova davanti a casa un cane abbandonato e la sua amica Gwen gli consiglia un veterinario di nome Emrys.
“Ma che cazzo…?” si lasciò sfuggire, appena messo piede nel vialetto, stringendo le palpebre per mettere a fuoco – fra la pioggia, la nebbia e le tenebre della sera – osservando la massa informe sul suo tappeto ‘welcome’ sotto al porticato buio. Un topo! Un dannato sorcio davanti alla sua porta!
(...) Brandendo l’ombrello rotto come avrebbe fatto un cavaliere medievale con la propria spada – o come un poliziotto con uno sfollagente – si avvicinò risoluto.
E fu allora che si accorse che il topo non era un topo.
Cioè… era un topo
, ma un topo-cane.
Lo stesso topo-cane che ora guaiva e scodinzolava verso di lui, grondando pioggia e bava sul suo tappeto immacolato.
[AU!Fic Merthur. Accenni ArthurxVivian nel passato. - 12 capitoli in totale, storia conclusa.]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Waiting for you

Doverosamente dedicata al cucciolo d’uomo che mi ha resa una zia orgogliosa.

 

Confesso che mi dispiace un po’ per il calo di commenti, perciò ringrazio di cuore chi continua a lasciarmi il suo parere dopo la lettura. Lo apprezzo molto, davvero!

 

Un pensiero speciale a FlameOfLife, Barby_Ettelenie_91, chibimayu, aria, Burupya, misfatto, mindyxx, areon, Raven Cullen, DevinCarnes, Orchidea Rosa, Sheeireen_Black 22 e Yuki Eiri Sensei.

 

Ai vecchi e ai nuovi lettori.

Grazie.

 

 

 

Waiting for you

 

 

 

Capitolo VIII       

 

 

Il cappottino aveva fatto furore in ufficio, ricevendo una montagna di applausi e complimenti d’apprezzamento (l’ego di Arthur s’era gonfiato come un tacchino, ed era stato sul punto di fare la ruota come un pavone, ma lo sguardo divertito di Gwaine lo aveva dissuaso dal provare) e Sophia aveva persino proposto di stampare delle magliette – molto attillate – da indossare, con lo stesso logo, ma Gwen (saggia donna) aveva stroncato questo delirio sul nascere.

 

Quando poi, due giorni dopo, in qualità di Grande Capo, aveva vidimato il distacco definitivo di Valiant dall’altra parte del mondo, Arthur era stato seriamente in preda ad un delirio d’onnipotenza.

Aithusa, ovviamente, lo compiaceva in tutto, seguendo alla lettera ogni comando in tedesco che lui le ripeteva e questo contribuiva alla sua beatitudine personale.

 

Ogni tanto (ogni tanto spesso, a dire il vero), il giovane Pendragon mandava un messaggio al dottor Emrys per risolvere qualche dubbio o curiosità, ma doveva riconoscere che poteva cavarsela più che bene anche da solo (beh, grazie al libro che Merlin gli aveva prestato, ma era giusto una sottigliezza).

A saperlo prima – doveva ammetterlo – avrebbe avuto meno paturnie in testa. E il fatto che tutto filasse liscio gli confermava che era stato solo un idiota apprensivo.

 

Tutto questo, fino a venerdì.

 

 

***

 

 

“Arthur!”

 

Arthur sobbalzò, ritrovandosi il padre, infuriato, davanti alla porta dell’ufficio. A tradimento.

 

Pa-!”

 

“Credo di avere avuto un’allucinazione, Arthur. Altrimenti non mi spiego perché io abbia appena visto un cane camminare, nel corridoio, davanti al distributore delle bevande!

 

“Ehm… non era un’allucinazione…” bofonchiò, a mezza voce, sentendo il sudore gelare sulla nuca.

 

“Allora devi licenziare in tronco il responsabile! Non è ammissibile che-”

 

“Allora la Pendragon Company rimarrà senza Vicepresidente e Amministratore Delegato, perché quel cane è mio, papà”.

 

“Tu…? Un cane?” Uther sgranò gli occhi, esterrefatto. “Come hai potuto disobbedirmi?! Io ti ho sempre detto che-”

 

“Lo so. Ma ora sono grande abbastanza per scegliere di vivere a modo mio. Volevo un cane e l’ho preso!” motivò Arthur, inflessibile, raddrizzando la schiena. Ma il suo sguardo si addolcì, quando cadde sulla cesta di Aithusa. “E se un giorno dovrò soffrire, lo farò. Ma ricorderò anche tutti i momenti di gioia che mi ha dato. Ogni giorno di affetto e compagnia che ho ricevuto da lei”.

 

“Perché non me l’hai detto?”

 

“Perché…” Non volevo vedere una scenata come questa? Non volevo una crisi di nervi? “Non volevo che ti allarmassi, nel tuo stato di salute”.

 

Uther sbuffò, ma era tutt’altro che rassegnato.

“Non c’è alcun modo per farti rinsavire?”

 

“Papà…”

 

“Questo giochino ti verrà presto a noia, parola mia!”

 

“Non ti azzardare ad interferire!” lo minacciò, sbattendo una mano sul legno lucido della scrivania. “Non osare!” reiterò. “Non starò a guardare mentre distruggi la mia felicità!”

 

Uther parve francamente sorpreso di quello sfogo.

Era forse la prima volta, in vita sua, che suo figlio gli si opponeva così apertamente.

La prima volta che dimostrava un po’ di spina dorsale, l’ardimento dei Pendragon.

 

Pur con rinnovata considerazione per il suo erede, egli chiese, controvoglia: “E quindi… fai scorrazzare questa bestiaccia liberamente per tutto il mio palazzo?”

 

“No, Gwen l’avrà portata fuori per la passeggiata mattutina”, Arthur sorrise involontariamente, ma la cosa non era sfuggita al vecchio Pendragon.

 

“C’è il Consiglio di Amministrazione, lunedì. La riunione per i Bilanci. È tutto pronto?” domandò a bruciapelo, tornando in un terreno a lui più congeniale.

 

“Sì, padre”.

 

“Bene”, si risolvette allora, avviandosi verso l’uscita, ma all’ultimo ci ripensò: “Se ti spezzasse il cuore, non venire a-

 

“Lo so. Ma non succederà”.

 

“Tua sorella ne era a conoscenza?”

 

“Non ancora…” ammise, riluttante. Probabilmente Morgana non avrebbe fatto storie e, anzi, in una certa perversa maniera, forse, avrebbe anche potuto gioire per lui. Ma Arthur aveva ritenuto la cosa migliore tenere lontana Aithusa dalla sua famiglia. A suo modo, voleva proteggerla e, finché i Pendragon non sapevano di lei, sarebbe stata al sicuro.

Ora, però, era tempo di giocare a carte scoperte.

 

“È da molto che non vi vedete”, buttò là suo padre. “Potresti venire a pranzo domenica…”

 

“Con Aithusa?”

 

“Devi proprio?”

 

“Dove vado io, viene anche lei”.

 

“Arthur, non sfidare la tua buona stella…” lo redarguì Uther, spazientito.

 

“Prendere o lasciare”, rilanciò comunque, pur sapendo che stava decisamente tirando un po’ troppo la corda.

 

“Potrebbe trasmettere malattie o parassiti a Morgana!” obiettò suo padre. “Non è igienico!”

 

Aithusa è perfettamente sana e pulita. E in ogni caso non dovrà mangiare nello stesso piatto di Morgana!” ironizzò. “Allora?”

 

“Ma perché diamine hai scelto quel topo?!” scoppiò Uther, indispettito.

 

“Perché è il cane migliore del mondo”, rispose Arthur, a colpo sicuro. “E – come si dice?nella botte piccola, sta il vino buono’?… Lo sai meglio di me: noi Pendragon prendiamo sempre il meglio, no?”

 

“Lo spero per te, figliolo”, gli augurò suo padre, stavolta senza doppi fini né avvertimenti.

 

A quel punto, Arthur ritenne lo scontro chiuso e lo accompagnò fino alla soglia.

“Ciao, papà”.

 

“Ci vediamo domenica, sii puntuale”, gli raccomandò il genitore, come unico saluto.

 

Con l’incedere lento e solenne di un vecchio re, Uther Pendragon attraversò il lungo corridoio, intimorendo ogni collaboratore e impiegato che avesse avuto l’ardire di incrociare il suo sguardo.

 

In lontananza, Arthur intravide Valiant.

Se ne accorse proprio perché era una presenza fuori posto. Non doveva essere lì. Con quale scusa si era presentato? Cosa stava tramando?

Ma la faccia seccata dell’uomo gli fece intuire che non stava ricavando alcuna soddisfazione e, anzi, sembrava alquanto indispettito da qualcosa.

 

Uther, nel momento in cui gli passò accanto, lo riconobbe a malapena, ordinandogli di portare i suoi saluti al padre, Snakeshield Senior.

E Val aveva chinato il capo, deferente.

 

Quando, subito dopo, i loro sguardi si incontrarono, Arthur sorrise vittorioso, facendolo adirare ancor di più.

 

Forse la visita di Uther Pendragon non era stata casuale, ma lui era certo di aver vinto la battaglia.

 

 

***

 

 

Il pranzo della domenica in famiglia non era mai stato entusiasmante per Arthur.

Da che ne aveva memoria, era sempre stata una sequela infinita di portate elaborate, gomiti stretti e silenzi imbarazzanti, occhiate severe e malessere soffuso.

 

Ma era una tradizione a cui Uther era legato – una domenica al mese era d’obbligo sacrificarsi – e l’unico aspetto positivo del suo esilio americano era stato il pretesto buono per saltare questo supplizio.

 

Questa volta, invece, era stato diverso.

 

Non appena era sceso dalla macchina, aveva liberato Aithusa dal trasportino e le aveva ingiunto di restargli vicino.

Scodinzolando e annusando l’aria, la cagnetta si era appostata accanto al suo piede.

 

Lui aveva scaricato dal bagagliaio l’occorrente per renderle il soggiorno più piacevole, poi si era avvicinato all’entrata posteriore della tenuta.

 

“Arthur!” lo accolse Morgana, comparendo sulla soglia.

 

Gana, cara! Ti direi che stai d’incanto, ma la verità è che sembri già una balena spiaggiata e manca ancora un sacco di tempo!

 

“Il solito galantuomo. Tu, piccola merdina!” sibilò lei, abbracciandolo con un sorriso falso come una banconota da cento sterline.

 

L’accoglienza che riservò invece ad Aithusa fu genuina e affettuosa.

Si chinò ad accarezzarla e a farle festa e la cagnetta le rispose con entusiasmo, facendola innamorare all’istante.

 

“È lei che ci ha quasi tolto dai piedi papà?” domandò al fratello, sottovoce, casomai il vecchio padre fosse nei paraggi.

 

Arthur rise divertito. “Quasi”, ammise. “In realtà l’ha presa molto meglio di quel che credevo. A meno che oggi non tenti di ucciderla…” considerò, ironico. Poi, però, i due fratelli si lanciarono uno strano sguardo d’intesa, memori dei vecchi pesci rossi. “Ripensandoci, è meglio se gliela teniamo lontana…

 

“Per una volta, Arty, sono d’accordo con te!” ne convenne Morgana, annuendo grave, prima di accompagnarlo a salutare Leon e l’oggetto delle loro preoccupazioni.

 

 

***

 

 

Godendo di uno degli ultimi giorni miti dell’autunno, avevano scelto di pranzare nel patio e, mentre uno stuolo di cameriere alternava le varie portate (un pranzo a Buckingham Palace sarebbe stato, di certo, meno elaborato), Aithusa aveva potuto scorrazzare nel giardino, liberamente, a distanza di sicurezza.

 

Quando, però, la cagnetta si avvicinò, ansimando vistosamente, in cerca di qualcosa per dissetarsi, Uther fece un cenno al maggiordomo, che era rimasto, discretamente, in un angolo nascosto a disposizione.

 

Malcom”, ordinò, come sempre perentorio. “Procura a quel cane una ciotola per bere!”

 

“No!” saltarono su Arthur e Morgana nello stesso momento, guadagnandosi un’occhiataccia dal loro genitore.

 

“E perché mai?” pretese di sapere il vecchio Pendragon.

 

“Non serve che ti disturbi, papà…” s’arrabattò Arthur, rovesciando il calice di vino sulla tovaglia, nella foga di alzarsi. “Ho portato tutto con me…” E, senza attendere oltre, corse verso uno dei borsoni, che aveva messo accanto alla coperta stesa al sole per il cane.

 

Sotto l’esame severo del padre, egli sfilò la scodella e una bottiglia d’acqua naturale.

 

“Non vorrai servirle quell’acqua calda!” s’indignò Uther, con disapprovazione. “Questo mi dimostra che non sai occupartene!” gli rinfacciò, con biasimo. “Malcom!” rifece. “Procedi!”

 

“No! Davvero, papà, non serve!” ripeté Arthur, con ansia visibile. “Non voglio la tua acqua!” si lasciò sfuggire, con un’intonazione quasi isterica.

 

“Figliolo... Non penserai, per caso, che voglia avvelenarla?!” l’accusò, dimostrandosi risentito.

 

Arthur e Morgana sollevarono contemporaneamente le sopracciglia, pur non parlando. Leon non osò neppure fiatare.

 

“Arthur!” lo rimbrottò ancora il padre. “Spero vivamente che tu stia scherzando!”

 

“D’accordo…” cedette egli, infine, pregando ogni divinità canina affinché non fosse un errore fidarsi. “Malcom, provvedi a riempirle la ciotola, per cortesia”, concesse, seppur riluttante.

 

Aithusa si dissetò con piacere e, poiché non era morta all’istante, il pranzo continuò senza intoppi, almeno fino al momento del dolce.

 

 

***

 

 

“Avanti, aggiornami su qualcosa! Su qualche pettegolezzo! Mi accontento di sapere dove porti a fare pipì il tuo cane! Lo sai che faccio una vita da reclusa, qui!” piagnucolò Morgana rivolta al fratello, mentre Uther si era assentato un attimo per rispondere ad una telefonata urgente e Leon ne aveva approfittato per fare un salto in bagno.

 

Arthur si lasciò pregare un po’, ma alla fine le raccontò con orgoglio di come tutti, alla Pendragon Company, si fossero affezionati alla cagnetta, persino litigando per portarla a spasso. Le raccontò delle idiozie di Gwaine e dei cartelli che aveva disseminato con i vari messaggi e, arrivando infine alla bacheca con i Post-it degli altri dipendenti, si accorse che non le aveva detto la cosa più importante.

 

“Ahimè! È un compito ingrato, ma qualcuno dovrà pur confessare a nostro padre che le cicogne in viaggio sono due!

 

Morgana sputò l’acqua che stava sorseggiando distrattamente.

“E tu come diavolo l’hai saputo?!” domandò, sorpresa.

 

“Io so sempre tutto, Gana cara…” si vantò.

 

“Idiota! E io che pensavo avresti dato di matto come l’altra volta!”

 

“Beh, ammetto che ci ho messo un minuto per farmene una ragione, ma tu dovresti sapere già come ci si sente, no? Ma ora puoi dimostrarmi apertamente la tua gioia! Non capita tutti i giorni di sentirsi dire che stai per diventare zia!” le annunciò con solennità, e Morgana sbatté le palpebre, stupita.

 

Ma…” farfugliò, incerta. “Non avevamo chiarito la questione di Viv?”

 

A quel nome Arthur si irrigidì, rannuvolandosi.

“Non intendo più sentirla nominare!” ordinò, caustico. Tuttavia, quando si volse a guardare dove Aithusa riposava, un sorriso gli stiracchiò le labbra.

“Io mi riferivo ai suoi gemelli…”

 

“I suoi gemelli?!” gli fece eco la sorella, incapace di raccapezzarsi. “Non i miei?”

 

“I tuoi?!” ripeté Arthur con espressione sconvolta.

 

“Sì, idiota. I miei gemelli!” scandì la donna, spazientita. “Ge-mel-li!”

 

Gemelli?” s’intromise Uther, comparendo dal nulla, accasciandosi al suo posto. “Gemelli di chi?

 

“Di Aithusa!” “Di Morgana!” risposero sorella e fratello in contemporanea, addossando l’un l’altra il peso della notizia.

 

Oh, Ygraine, dammi tu la forza!” pregò l’uomo rivolto al cielo, mettendosi teatralmente una mano sul cuore infartuato. “Morgana aspetta dei gemelli e la cagna di Arthur pure!”

 

“Papà, sta’ calmo!” lo supplicò Morgana, temendo un collasso.

 

“Ecco! Vuoi portarlo nella fossa?” l’incolpò Arthur, con un’occhiataccia. “Ti sembra il modo di rivelargli le cose?!

 

“Chi, io? Sei tu quello che si è preso un cane incinta!” lo accusò lei, a sua volta.

 

“Brutta strega!”

 

“Idiota mentecatto!”

 

“Ragazzi!”

 

Befana!

 

Cretino!

 

“RAGAZZI!” urlò Uther, la seconda volta, mettendoli a tacere.

 

I due chinarono il capo, mortificati, ma non prima di essersi lanciati reciprocamente uno sguardo accusatorio.

 

Fu a quel punto che Aithusa si intromise, abbaiando vivacemente, richiamata dal trambusto, ma Arthur fu lesto a calmarla, impressionando persino suo padre per l’obbedienza che il cane gli dimostrava.

 

“Morgana, nel tuo stato non ti fa bene agitarti!” la rimproverò, per buona misura. “E tu, figliolo, vai a prendermi un calmante, sento che ne avrò bisogno…

 

In quel mentre, un gioviale e ignaro Leon fece la sua ricomparsa, osservando i loro visi stravolti.

“Ehi! Cosa mi sono perso?”

 

 

***

 

 

Il giorno in cui un intero pranzo Pendragon si fosse svolto serenamente, con tutta probabilità, sarebbe stato l’inizio della fine. Le trombe dell’Apocalisse avrebbero suonato e tanti saluti al mondo.

 

Tuttavia, rifletté Arthur, stravaccandosi finalmente sul suo divano, gemelli a parte, non era stato un disastro totale.

Anzitutto, aveva riportato a casa il suo cane sano e salvo, e questa era la cosa fondamentale; secondariamente, anche suo padre era ancora vivo, quando lo aveva lasciato e – cosa inaudita! – Uther aveva perfino speso un mezzo complimento sul fatto che la sua cagnetta era stata addestrata a dovere e che, anche in futuro, sarebbe potuta tornare ad Avalon House (sempre se fosse rimasta ben lontana da Morgana e dai gemelli).

 

Beh, non poteva pretendere di più. Un passo alla volta, si disse. E questo era già molto.

 

Con sua sorella, poi, si erano chiariti al momento del commiato e, com’era loro abitudine, con un paio di offese scambiate avevano fatto la pace.

 

Anche lei, come il loro genitore, si era raccomandata di riportare presto la bestiola, cuccioli in arrivo permettendo.

 

 

***

 

 

Arthur si prese Aithusa sulle ginocchia e, per rilassarsi dopo quella lunga giornata, cominciò il rituale della spazzolatura, che la cagnetta sembrava gradire parecchio.

Arrivato sul pancino, però, egli notò una strana macchiolina nera, che emergeva in contrasto col pelo candido e il ventre rosato.

Chinandosi per controllare meglio – poteva essere un grumo di fango o di sporco indefinito –, si rese drammaticamente conto che l’oggetto aveva le zampe. E si muovevano.

 

“Oh, cazzo!” imprecò, agitandosi, infilando la mano in tasca con così tanta foga che strappò lievemente la cucitura laterale.

“Merlin?!” urlò nel telefono, appena all’altro capo sentì rispondere. “Merlin, è un’emergenza!”

 

“Arthur? Calmati, cos’è successo? Aithusa sta…?”

 

“C’è un brutto mostro nero attaccato alla sua pancia!” sbraitò Arthur, contenendo a stento l’ansia, mentre si dirigeva alla porta.

 

“È una zecca?” chiese il veterinario, con spirito pratico.

 

“Sì, ha una zecca! Una dannata zecca!… Almeno credo che sia una zecca… Merlin, devi visitarla subito!” esclamò. “Sto giusto salendo in macchina!”

 

“Portala allo studio, ma sta’ calmo. Non è niente di grave”, lo rassicurò.

 

Arthur si rese conto solo in quel momento che era domenica pomeriggio, e che l’ambulatorio non era aperto, ma francamente non gli interessava. La salute della sua cagnetta veniva prima di tutto.

 

“Merlin? Sei… a casa?”

 

“Vieni, ti aspetto”, aveva riposto l’uomo, riagganciando.

 

 

***

 

 

“Sì, è una zecca”, aveva diagnosticato il dottor Emrys, osservando il parassita attraverso una lente ingrandita.

 

“Ecco, lo sapevo! Non dovevo portarla a casa di Morgana! E pensare che mio padre aveva insinuato che potesse essere lei un’untrice! Lei, piccola vittima innocente! È tutta colpa mia… Oh, Gesù!”

 

Arthur”, l’aveva chiamato Merlin, interrompendo il suo sproloquio e puntandogli addosso un paio di pinze mediche. “Se adesso ti fai venire una crisi di panico, stavolta ti prendo a ceffoni!” lo minacciò, anche se non sembrava affatto intimorente senza camice, con indosso i pantaloni di una tuta, una vecchia maglia sbiadita e l’aria di chi era stato buttato già dal letto. Aveva i capelli tutti arruffati, quindi, probabilmente, lo aveva svegliato davvero nel bel mezzo del pisolino pomeridiano.

 

“Beh, io…” aveva borbottato Pendragon, di rimando, lievemente mortificato.

 

“Non puoi incolparti di niente, perché non è colpa tua!” lo sgridò il veterinario.

 

“Ma se io non l’avessi portata nella casa di campagna, in quel dannato prato, lei…

 

“È un cane, Arthur. Ha bisogno di prati e di corse all’aria aperta. Non puoi tenerla sotto ad una campana di vetro per proteggerla. La faresti soffrire molto più che per un morso di zecca!

 

Ma io…”

 

“Le zecche sono ovunque, come le pulci o i pidocchi. Un buon repellente le allontana, ma ogni tanto succede che qualcuna s’attacchi. Ora ti spiego come fare e la prossima volta potrai arrangiarti da solo, senza però farti venire un accidente nel frattempo, ok?”

 

Mh, mmmhhh…” mugghiò, annuendo. “Mi dispiace di averti disturbato nel tuo giorno libero”, si scusò. “Ti ho svegliato?”

 

“Oggi era il mio turno di volontariato a Black Hill. Visitare tutti quei cani è una faticaccia, ma lo faccio volentieri!” Merlin sorrise. “E comunque non importa, hai fatto bene a chiamarmi. Solo… manteniamo la calma, va bene? Agitarsi così non aiuta neppure lei…” disse, indicando la bestiola.

 

“Hai ragione”, ammise, contrito.

 

“Ora guarda come faccio: basta usare una pinzetta e afferrare la zecca il più vicino possibile alla pelle – ma stai attento al pelo! –, devi compiere una lenta torsione in senso antiorario, senza strappi né movimenti bruschi. Ecco, vedi? Si sfila abbastanza facilmente”, spiegò, mostrando l’insetto che si muoveva ancora. “Se invece, per caso, rimanesse sottopelle qualche pezzetto, devi chiamarmi assolutamente”.

 

“D’accordo”.

 

“Adesso basta disinfettare la zona e abbiamo finito”.

 

“Perché non l’hai fatto anche prima di rimuovere quella dannata sanguisuga?”

 

“No, non va bene, perché qualsiasi sostanza le indurrebbe il vomito e, di riflesso, inoculerebbe tossine nel cane”.

 

“Oh, porca puttana!”

 

“Basta che tu segua la procedura che ti ho appena spiegato, ok?” lo tranquillizzò. “I parassiti possono essere pericolosi, ma se tieni controllata Aithusa dopo ogni passeggiata nei parchi o nei boschi, il rischio è bassissimo”.

 

Arthur non sembrava completamente persuaso, ma annuì.

 

“Allora è tutto!” sorrise il medico, accarezzando la bestiola, prima di porgerla indietro al suo padrone.

 

“Merlin? Grazie”, farfugliò, a disagio. “Mi scuso per essere piombato qui, trascinandoti via da-

 

“Vivo al piano di sopra, non ho fatto tanta strada!” rise l’uomo, indicando con gli occhi il soffitto.

 

“Sì, beh, scusa lo stesso…” ripeté, mettendo mano al portafogli. “Ci metterò un extra per il disturbo…”

 

“Stai scherzando? Lascia perdere…” lo dissuase il veterinario. “Le prestazioni festive sono in omaggio!” ridacchiò, accompagnandolo all’uscita. “Solo… Arthur?”

 

Mh?”

 

“Credo che dovremmo parlare seriamente di ‘gestione dell’ansia’della tua ansia –, prima che la gravidanza finisca… perché, se per una zecca fai così… non oso pensare cosa accadrà al momento del parto!”

 

Arthur sgranò gli occhi come un cerbiatto davanti ai fari di un’auto.

Ma ci sarai tu, no?” farfugliò, con apprensione. “Cioè… io davo per scontato che sarai con me e…

 

“Ci sarò, se vuoi. Ma è bene essere pronti all’evento, per tempo”.

 

“Vuoi direi che devo seguire una specie di corso pre-parto?” domandò, incerto. “Perché, se devo… insomma, io lo faccio”.

 

Merlin scoppiò a ridere a tal punto che gli occhi gli si riempirono di lacrime. “Sei il padrone migliore del mondo, Arthur, ma davvero, non serve. Ti chiarirò le idee in uno dei prossimi controlli, mh?

 

Coi capelli spettinati, la maglia sgualcita e l’espressione da ragazzino, sembrava irresistibile. Ma

Pendragon assottigliò lo sguardo.

Merlin! Mi stavi prendendo per il culo?!”

 

“Oh, no. Credimi! Anche volendo, fai tutto da solo!”

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie paranoie. X°D

E a Laura, che si sciroppa le anteprime con un entusiasmo che mi commuove.

Note: Le varie nozioni veterinarie e le informazioni sulla gravidanza canina riportate sono prese da siti web specializzati.

In particolare, la procedura utilizzata e le spiegazioni di Merlin sull’estrazione di una zecca sono il metodo standard usato anche in ospedale, quindi sì, potete usarlo. ^^

 

Il riferimento ai pesci rossi morti misteriosamente si ricollega al cap. 1 di questa fic.

 

Penso che il fraintendimento sulle due cicogne sia abbastanza chiaro… ma, a scanso di equivoci, Arthur nomina due cicogne intendendo la gravidanza di Morgana e la gravidanza di Aithusa; Morgana, invece, quando lo sente parlare di due cicogne crede che suo fratello sappia già della sua gravidanza gemellare e ignora che anche Aithusa sia incinta.

 

Non so voi, ma io adoro far bisticciare Arty e Gana. XD

 

 

Ecco ben QUATTRO anticipazioni del prossimo capitolo (e un po’ di fraintendimenti):

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

19:16

Ho sentito i cuccioli muoversi! Li ho sentiti!

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
19:20

Bello, eh?

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

19:21

È meraviglioso.

 

(...)

 

Merlin raccolse il borsone che aveva preparato in fretta all’alba e si apprestò a scendere dalla carrozza.

QuindiGwen dormiva da Arthur, considerò, mentre il suo cervello ronzava al pari dell’altoparlante in stazione. Con Arthur, si corresse, fastidiosamente.

Beh, erano amici e colleghi… Guinevere gli aveva sempre parlato con affetto di Arthur, magari stavano insieme da secoli, e lui era l’unico a non saperlo… ma, poi, perché mai Pendragon avrebbe dovuto dirglielo?

 

La sua parte più razionale gli suggeriva che no, non poteva essere questo. Se fossero vissuti insieme, la gestione di Aithusa e le incertezze di quell’asino sarebbero state diverse… fin da subito.

 

Forse erano amici… uhm… amici con benefici. Sì, questo poteva anche essere. Collimava più con l’idea che si era fatto di Arthur. In fondo, un tipo come lui poteva avere tutte le donne che voleva, ma aveva anche una vita stressante e impegnata e… Gwen era la sua segretaria, la persona che ogni giorno gli era più vicina. L’essere amici con benefici offriva sesso e gratificazioni senza complicazioni. Questa era la risposta.

 

(...)

 

E invece no, realizzò. Non sapeva niente di lui. Merlin Emrys era un perfetto estraneo, in fin dei conti.

Quando entrò nel negozio e lo vide dietro al bancone, lo stomaco gli si attorcigliò in un modo strano. Era diverso dal nodo che aveva sentito negli attacchi di panico, ma anche questo era sgradevole e doloroso.

 

Merlin indossava il grembiule da commesso e Will gli teneva un braccio attorno alle spalle, testa contro testa, mentre gli bisbigliava qualcosa che aveva fatto sorridere il suo veterinario in modo fin troppo affettuoso.

 

Forse erano una coppia? Sì, forse stavano insieme.

Perché – dannazione – sembravano così uniti…

 

Arthur percepì lo strano nodo allo stomaco stringersi un po’ di più.

Non l’avrebbe chiamata gelosia. Quella era solo delusione.

Delusione nel capire che non conosceva affatto l’uomo davanti a sé e la vita che conduceva fuori dall’ambulatorio.

 

(...)

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

21:39

Devo uscire con una ragazza.  

 

 

Arthur sbatté le palpebre, stranito. Cazzo.

Francamente non sapeva perché l’aveva scritto, ma l’aveva inviato prima di cancellarlo. Quindi era troppo tardi.

 

~ ~ ~ ~ ~

 

 

Ringrazio i 28 utenti che hanno messo la fic fra i ‘preferiti’, i 7 ‘da ricordare’ e i 112 ‘seguiti’.

Su, non siate timidi! Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate! ^_=

 

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie):

 

 

Restate sintonizzati!

 

 


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Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche costruttive.


Grazie (_ _)

elyxyz

 

   
 
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