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Autore: Lost on Mars    05/04/2014    9 recensioni
A diciassette anni non sai cosa sia la morte e perché debba capitare proprio a lei. Non sai perché il destino abbia deciso di fare questo scherzo proprio a voi. Perché tu debba soffrire così.
A diciotto capisci che non si può più cambiare nulla, allora provi ad uscire di casa, ma tutto ti ricorda troppo lei.
A diciannove ricominci a vivere, ma sei ancora legato ai fantasmi del passato,tant’è che non riesci più a legarti a nessuno, perché ti sembra di tradirla, perché la ami ancora, anche se è morta.
Ashton ha diciannove anni ed è convinto che il tempo che guarisce ogni ferita sia un gran cazzata: lei è morta da due anni, ma lui non smette di sanguinare dentro.
E se fosse una persona a guarire ogni ferita? Se il tempo non c’entrasse proprio niente?
-
«Non credo quanto possa interessarti la storia di un ragazzo depresso.»
«Oh, non credo che tu sia depresso. Non hai l’aria da depresso.»
«Allora devi essere una pessima osservatrice.»
«Hai l’aria da distrutto, a dir la verità, ma hai anche l’aria di uno che ne è uscito, da qualsiasi cosa tu fossi dentro. Hai un sacco di arie, in effetti.»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Ashton Irwin, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3
 
«We’re too young, too smart, too much for this one town.»
(The-All American Rejects – Kids in the street)
 
Se c’era una cosa che Michael odiava era quando sua madre lo chiamava con il suo nome completo. Generalmente, quando sentiva un «Michael Gordon Clifford!» provenire dalla cucina o da qualsiasi parte della casa le cose erano due: o aveva fatto qualche casino e si era dimenticato di ripulire, o stavano suonando troppo forte. Il problema, quel giorno, però, non era nessuno dei due, perché Michael era appena tornato da scuola e pensava di non aver combinato niente di particolarmente grave.
Lo pensava, appunto.
Non fece in tempo nemmeno a posare lo zaino in camera che sua madre era già spuntata davanti a lui, con le mani suoi fianchi, e un’espressione piuttosto incazzata sul viso.
«Mammina!» esclamò Michael, allargò le braccia e cominciò ad andarle incontro.
«Vuoi spiegarmi perché ci sono tre energumeni nel nostro garage?» chiese la donna, incrociando le braccia al petto. Michael si grattò la testa.
«Tre en-ene… tre cosa?» domandò il ragazzo, confuso. Sua madre gli disse di seguirla in garage e lui annuì in silenzio, cominciando a camminare dietro di lei. Poi, Michael si ricordò dell’annuncio che lui e Calum avevano messo nel negozio di musica.
«Mamma, è per la band. Cerchiamo un batterista.» cercò di spiegarle, ma lei non disse nient’altro.
Non appena arrivarono in garage, Michael vide tre ragazzi – be’, forse erano un po’ troppo cresciuti per essere ragazzi – in piedi, accanto allo scaffale degli attrezzi. Deglutì, solo a vederli era intimorito, insomma, avrebbero potuto spezzargli le ossa come un grissino, se solo avessero voluto.
«Grazie per i sandwich, signora Clifford, erano deliziosi!» disse uno dei tre, quello che metteva meno paura, cioè il meno palestrato.
«Figurati caro, mio figlio è appena arrivato. Michael, credo che ci siano visite per te.» disse gentilmente sua madre, stavolta rivolgendogli un sorriso che stava a dire “cavatela da solo, così impari ad invitare estranei nel mio garage”.
«Ehm, salve…» iniziò Michael, accennando un sorriso.
«Allora, dov’è la batteria?» disse uno dei tre, il più alto, precisamente, quello che a Michael faceva più paura. La batteria era un problema: Calum aveva la batteria, ma Calum non era lì.
«S-Sull’annuncio c’era scritto ogni venerdì dalle quattro alle sei o sbaglio?» tentò Michael. Non si ricordava cosa avesse scritto Calum, ma loro provavano di venerdì, e quel giorno era giovedì, in più erano solo le due del pomeriggio.
«Ci stai dicendo che non possiamo fare l’audizione?» chiese un altro.
«Be’, magari non oggi, ma domani io sono sempre qu-» provò a dire Michael, ma uno dei tre uomini, sbuffò e si avviò verso l’uscita.
«Stiamo perdendo tempo dietro una banda di mocciosi, andiamocene.» disse uno. Gli altri due annuirono e lo seguirono a ruota.
Da una parte, era sollevato che se ne fossero andati perché stava davvero per farsela nei pantaloni, dall’altra, però, voleva solamente prendere il muro a testate perché aveva perso l’occasione di trovare un batterista. Era pur vero che lui, Calum e Luke avevano solamente diciotto e diciassette anni e che, molto probabilmente, quei tre avevano il doppio della loro età, ma almeno per iniziare un batterista gli serviva: lui era negato a suonare la batteria, Luke era meglio non parlarne e Calum ci aveva provato,  ma non avevano ottenuto grandi risultati. Una cosa era certa, non potevano andare avanti con ritmi preregistrati presi da chissà quali siti internet.
Tirò un sospiro di sollievo, quando rientrò in casa, sua madre gli disse qualcosa come «Prova a far venire di nuovo degli sconosciuti in casa mia, Michael Clifford, e non vedrai la paghetta per sei mesi!», ma Michael si chiuse in camera e mandò un messaggio a Calum, raccontandogli di quello che era appena successo. Calum chiamò Luke – e per poco il biondo non strozzò con l’acqua che stava bevendo quando lesse il nome di Calum sul display, e come era prevedibile, Thalia lo prese in giro ancora una volta.
Insomma, fatto sta che la cosa si fece ancor più pressante: avevano assolutamente bisogno di un batterista, e ne avevano bisogno al più presto.
I ragazzi avevano messo un annuncio anche sulla bacheca scolastica, anche se in teoria era proibito mettere cose che non riguardassero corsi pomeridiani, ma in pratica nessuno aveva mai detto niente, e allo stesso tempo nessuno si era mai rivolto a loro.
Allora Thalia ebbe un’idea: si ricordò della conversazione tra Luke e Ashton giorni prima, al parco, Ashton aveva detto di andare in un’altra scuola, la stessa della cugina di Luke, avrebbero potuto mettere un annuncio anche lì.
E in quel momento, Luke, se Thalia non fosse stata la sua migliore amica pensava che avrebbe potuto baciata.
Così il giorno seguente, dato che era venerdì e che non avevano compiti da fare, Thalia andò con i tre ragazzi alla scuola della cugina di Luke, munita di puntine, spillatrice e colla per affiggere l’annuncio un po’ ovunque. Quando arrivarono, finalmente, Thalia pensò che forse avrebbe incontrato Ashton, magari lui l’avrebbe salutata, forse le avrebbe anche sorriso, poi si diede della stupida. Insomma, perché desiderava così tanto vederlo? Lo conosceva da meno di una settimana, non poteva interessargli in quel modo, non poteva esserne così ossessionata, lo sapeva da sé, eppure, Ashton era quel tipo di persona che non svelava niente e che, di conseguenza, ti faceva solo venir voglia di parlarci per ore e ore, pur sapendo che non avresti mai saputo niente, se lui non avesse deciso di svelarsi.
Sì, era passata quasi una settimana da quando ci aveva parlato l’ultima volta, e lui l’aveva lasciata lì con una scadente battutina su Luke che non faceva ridere, e lei moriva dalla voglia di parlarci ancora, di rompere quel pezzo di ghiaccio che usava come scudo e di poter finalmente conoscere Ashton Irwin, perché era sicura che dietro la sua corazza si nascondesse un ragazzo interessante.
E no, non in quel senso. Interessante perché Ashton aveva un segreto chiuso dentro di sé, Thalia l’aveva visto. Un segreto che non voleva far sapere a nessuno. Forse qualcosa di doloroso, che si ostinava a voler superare da solo. Era un segreto di quelli che ti fanno svegliare in piena notte in preda ad attacchi di panico, che ti fanno sudare freddo, che non ti lasciano respirare. Uno di quei segreti che ti uccidono e tu non te ne accorgi.
E Thalia avrebbe solo voluto conoscere quel segreto che lo rendeva così misterioso e aiutarlo, salvarlo, impedire a quel peso di schiacciarlo.
Entrarono nella scuola, andando controcorrente rispetto a tutti gli altri ragazzi che stavano uscendo proprio in quel momento. Thalia teneva tra le braccia una pila di volantini, mentre Luke e Calum avevano con sé la chitarra e il basso: subito dopo sarebbero andati da Michael a provare.
«Quante canzoni avete scritto?» chiese Thalia curiosa, mentre si addentravano per i corridoi della scuola.
«Ehm…» iniziò Luke. «Due.»
«Solo?» esclamò Thalia.
«Hey! Le canzoni non si scrivono in due minuti.» protestò Calum.
«Infatti» intervenne Michael. «C’è il testo, poi la musica, il ritmo… non è una passeggiata.»
Thalia sorrise. «Per i testi potrei darvi una mano… per il resto sono negata.» ammise la ragazza, scrollando le spalle. Si avvicinò allo spazio dedicato alle varie comunicazioni e annunci e cominciò ad appendere i volantini. Michael ne prese la metà e cominciò ad aiutarla, spiegando a tutti l’episodio del giorno prima.
«Ma quanti anni avevano?» chiese Calum.
«Sulla trentina…» rispose Michael, attaccando l’ultimo volantino. A Thalia ne rimaneva ancora uno in mano, e quando fece per attaccarlo, qualcuno glielo rubò dalle mani. Nessuno se ne accorse tranne lei, dato che erano un po’ distanti, non fece in tempo nemmeno a girarsi e cominciare ad inventare qualche scusa con una probabile bidella che la voce di Ashton Irwin le invase la testa.
O meglio, continuò ad invaderle la testa, dato che questa era già occupata dal ragazzo stesso.
«5 Seconds of Summer?» domandò il ragazzo, leggendo con attenzione i caratteri cubitali sul volantino. Luke si voltò e rimase piuttosto sorpreso, non si aspettava di trovare lì Ashton, con i suoi soliti jeans strappati e la felpa enorme, anche se sapeva che frequentava quella scuola. «Nome curioso.»
«Siamo noi.» disse Calum.
Ashton alzò lo sguardo, prima lo posò sui tre e poi su Thalia. «Sei in una band con la tua ragazza, Luke?» chiese divertito.
«Non sono la sua ragazza!» protestò Thalia sbattendosi una mano contro la fronte: era impossibile cercare di far ragionare Ashton su quell’argomento. Magari lo diceva solo per divertirsi e farli irritare, cosa molto probabile.
«E non fa parte della band, siamo noi tre… per ora.» continuò Luke.
«Cercate un…» iniziò Ashton, poi si rimise il volantino davanti al foglio. «Batterista?»
«Esatto.»
Ashton annuì. «Bene, buono a sapersi. Io vado a casa.» disse, avviandosi verso l’uscita. Thalia rimase vicino al muro, immobile, poi, come se qualcosa fosse scattato dentro di lei, alzò la testa e lo rincorse, proprio come qualche giorno prima.
«Aspetta!» esclamò, affiancandolo. Ashton rallentò, senza però fermarsi. Lui e Thalia camminavano lentamente verso l’uscita.
«Andiamo…» sospirò Luke.
«Non aspettiamo Thalia?» chiese Michael.
«Non credo tornerà con noi.» rispose Luke con un sorrisetto divertito stampato in faccia. Era incredibile quanto Thalia facesse schifo a mentire: se quella non era una cotta, lui era il più grande chitarrista di tutti i secoli.
 
 
Thalia aveva scoperto dove abitava Ashton. Chiariamoci, non l’aveva seguito di soppiatto come una maniaca, avevano semplicemente parlato senza accorgersi dello scorrere del tempo, poi Ashton si era fermato e Thalia aveva capito di essere arrivata al capolinea. Almeno, a quello di Ashton.
«Io sarei arrivato a casa.» annunciò il ragazzo. Thalia si guardò intorno: non aveva mai visto quel posto prima, non riconosceva le vie, gli alberi, niente. Era esattamente in mezzo al nulla. Come ci erano arrivati a scuola di Ashton? Con l’autobus, magari tornando indietro e prenderlo nella direzione opposta l’avrebbe riportata a casa, ma Thalia, guardando l’orologio, notò che avevano camminato per ben mezz’ora, decisamente troppo per ricordarsi ogni via percorsa.
E adesso? Erano le quattro e venti, Luke e gli altri stavano sicuramente provando, quindi non avrebbero sentito il telefono; chiamare sua madre e dirle di trovarsi dall’altra parte della città con un ragazzo conosciuto una settimana prima non sembrava l’idea migliore, allora «Ashton, come ci arrivo a casa?» gli chiese, guardandosi i piedi.
«Dove abiti?» domandò il ragazzo a sua volta.
«Cooper Street» rispose Thalia. «Vicino alla stazione.»
«È lontano.» disse Ashton.
«Altrimenti non te l’avrei chiesto.» ribatté Thalia, incrociando le braccia al petto. Lo zaino cominciava a pesare e sentiva i piedi a pezzi.
«Aspetta un momento.» le disse Ashton. Thalia annuì, lui si avvicinò alla porta e suonò il campanello, stette un paio di minuti lì fermo, ma nessuno venne ad aprirgli. Allora, tirò fuori dallo zaino un paio di chiavi e le fece cenno di seguirlo.
Entrarono in garage, dove  però non c’era nessuna macchina. Ashton tirò via un telo da quella che si rivelò essere una motocicletta nera e lucida. «Mio padre non vuole che la usi, la tiene qui come un cimelio. È una sorta di spreco dato che va davvero forte.»
«Tu sai guidare quella cosa?» chiese Thalia perplessa.
«Tecnicamente sì perché ho la patente, in pratica non ci sono mai salito sopra» rispose Ashton. Thalia lo guardò ancor più perplessa di prima. «Vuoi tornare a casa, sì o no?»
«Sì.»
«Allora sali.» Ashton buttò lo zaino per terra e saltò sulla motocicletta, Thalia si avvicinò. Se solo sua madre l’avesse vista tornare a casa a bordo di una moto, con un ragazzo per di più, forse l’avrebbe uccisa, ma se quello era l’unico modo per tornare…
Thalia si posizionò dietro Ashton, e in quel momento iniziò ad avere paura: non era mai salita su una moto, non sapeva dove mettere le mani e, soprattutto, aveva il terrore di cadere e sfracellarsi a terra. Ashton le passò un casco e lei cercò di infilarselo, fallendo miseramente nel tentativo di allacciarlo. Allora lui, con un piede ancora per terra, ruotò il busto e con pochi e semplici movimenti allacciò il casco di Thalia. Per fortuna quel coso le copriva gran parte della faccia, o Ashton l’avrebbe vista arrossire di vergogna. E non solo.
«Possiamo partire?» chiese lui.
«Se mi spiaccico sull’asfalto è colpa tua.» rispose Thalia, deglutendo sonoramente.
«Reggiti.»
«Dove?!»
Ashton sbuffò e sorrise divertito, prese le mani di Thalia e le mise attorno alla propria vita. «Non stringere troppo, ci tengo ai polmoni…»
«Qui c’è lo stomaco.»Thalia rise nervosa, poi Ashton mise in moto, sollevò il piede da terra e partì.
Al contrario di come si aspettava, andare in motocicletta era particolarmente piacevole, Thalia capì che era impossibile cadere. Certo, quando Ashton prendeva una curva un po’ troppo stretta e la moto s’inclinava pericolosamente verso l’asfalto chiudeva gli occhi, però il resto del viaggio si svolse in assoluta tranquillità.
Ashton parlava del più e del meno mentre Thalia si chiedeva se anche lui si sentisse strano all’idea delle sue mani aggrappate a lui.  Del suo petto contro la schiena; lo sentiva, il cuore di lei che batteva? Forse no, insomma, Ashton aveva quasi tre anni più di lei, non era una ragazzina con gli ormoni in subbuglio. Solo che Thalia non era mai stata così vicina ad un ragazzo e la cosa la imbarazzava parecchio.
Dopo dieci minuti, Thalia cominciò a riconoscere casa di Luke, allora «Lasciami qui.» disse gentilmente.
«Non siamo ancora a Cooper Street.» rispose Ashton mentre rallentava un po’.
«Lo so, ma se mia madre scopre che sono tornata in moto con uno sconosciuto mi uccide.» si giustificò Thalia. Ashton accostò e lei scese dalla moto, con le gambe fatte di gelatina, si chiese come avrebbe fatto a tornare a casa a piedi. Sciogliere il casco sembrava ancor più difficile che allacciarlo, e di nuovo Ashton le diede una mano.
«Sono uno sconosciuto, Thalia Reed?» chiese Ashton.
«Non per me, ma per lei sì, quindi è meglio evitare...» rispose Thalia, sorridendo timidamente.
«Hai ragione, cosa farebbe Luke se lo sapesse?» scherzò Ashton.
«Credi davvero che io e Luke stiamo insieme?» domandò Thalia, restituendogli il casco.
«No» rispose Ashton. «Ma mi piace prenderti in giro.»
«Grazie del passaggio.» mormorò Thalia.
«Figurati» Ashton sorrise, e Thalia si soffermò di nuovo ad osservarlo e a pensare a quanto Ashton fosse più carino quando sorrideva. Poi scosse la testa e si rese conto che il ragazzo stava mettendo in moto. «Ci vediamo.»
Thalia fece un cenno con la mano per salutarlo e poi lui ripartì, lasciandola sola sul ciglio della strada. «Sì, ci vediamo.» mormorò a bassa voce, rivolta a se stessa. Abbassò lo sguardo a terra e cominciò a camminare.
 
 
 
 

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Angolo di Marianne
Salve a tutte! Sono di nuovo qui con il capitolo numero tre! Ahhh, come passa il tempo, mi sembrava solo ieri quando ho pubblicato il prologo D: Anyway, la canzone di oggi è Kids in the street degli AAR *-* *amore infinito* (seriously, vi consiglio di ascoltarli perché sono fantastici!) Passando al capitolo, ecco che compare sulla scena il nostro Mickey *-* siete felici? Nel prossimo capitolo vedremo "in azione" anche Calum, ve lo prometto. u.u I ragazzi cercano disperatamente un batterista, chissà chi e chissà perché... lol, comunque, Ashton li nota e basta, non entra nella band così come capita, è un ragazzo maturo lui (?) Sto parlando a vanvera, scusate, è che oggi è un giorno strano. AHAHAHAHA
Comunque, ormai lo sapete (o forse no?) che shippo Thalia e Asthon più di qualsiasi altra cosa al mondo D: scrivere di loro è diventata una cosa fisiologica, credo che impazzirò prima o poi, ma sono dannatamente... asdffghjjkl. Amo i miei stessi personaggi, non sono normale, perdonatemi. Questo per dire che non mi stancherò mai a scrivere scene flufflose tra di loro (ma non disperate, arriverà anche l'angst e la sofferenza, prima o poi, io senza angst non ci so stare :)).
Fatemi sapere cosa pensate del capitolo lasciando un commentino qui sotto, anche le critiche, se ne avete - e spero di no, ma non si sa mai, lol - sono ben accette. :3
Ho da farvi una domanda che non c'entra niente: chi di voi sarà al Romics (la festival del fumetto a Roma) domani? Se ci siete aggiungetemi su Facebook, così ci organizziamo :D non sarò un cosplay (ci sono stati dei... problemi tecnici), quindi non so come farmi riconoscere LOL
Detto questo, ringrazio come al solito tutti quelli che seguono la storia e l'hanno inserita tra le preferite e/o le ricordate, e chi legge nell'ombra ♥ E in particolare, ringrazio DarkAngel1, BeaClifford07, Kikka_Mrs_Styles e Aletta_JJ per aver recensito lo scorso capitolo. È molto importante per me c:
Alla prossima, love ya ♥
Marianne

 
 


 
   
 
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