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Autore: Padmini    05/04/2014    3 recensioni
Come può Sherlock aver capito che Mary mentiva, che nascondeva la sua vera identità? Forse perché lui, per primo, ha sempre mentito, celando un passato doloroso, dal quale sta cercando di fuggire. Allora sarà proprio lei, così abile nel mentire e nello scoprire le menzogne, a portare tutto alla luce.
[dal testo]
“Non capisco cosa stiamo facendo” disse infine, rompendo quella cappa di tensione “Perché ...”
“Lo hai detto tu, John” esclamò la donna, guardandolo severamente “Lì è il posto in cui si siedono i clienti quando devono esporre i loro problemi”
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prima di tutto voglio ringraziare chi ha letto la mia storia, chi l'ha recensita e chi l'ha messa tra le seguite! è grazie a voi che trovo sempre più entusiasmo per scrivere! Grazie ancora! Spero che i prossimi capitoli vi piacciano come il primo!
Un Beso
MINI





Stephen Ezard

 

 



 

“Ora, per piacere, raccontaci tutto, dall'inizio”

Il silenzio che aveva seguito quelle parole si sarebbe potuto tagliare con un coltello. Sherlock, che fino a poco tempo prima sembrava il solito spavaldo detective, intoccabile da qualsiasi tipo di emozione, si era chiuso in se stesso, cercando di riordinare le idee. Troppe rivelazioni erano entrate nella sua coscienza e in troppo poco tempo perché potesse metabolizzarle. Ora se ne stava lì, su quella sedia sulla quale non avrebbe mai pensato di doversi sedere, tentando di non farsi trascinare dalla tempesta che in quel momento erano le sue emozioni. Fu la voce di Mary, dolce e quasi materna, a riportarlo con i piedi a terra, anche se ancora si sentiva dondolare, spinto da sensazioni e desideri contrastanti.

“Prima di tutto, come preferisci essere chiamato?” “Vuoi che continuiamo a chiamarti Sherlock, o preferisci …”
“Stephen.” esclamò lui, aprendo gli occhi e guardandola con determinazione “Stephen Ezard è il mio nome, un nome che mi è stato portato via, ma che ora non voglio più nascondere”

John lo guardò in silenzio, ancora sconvolto da ciò che stava accadendo davanti ai suoi occhi.

“Non guardarmi così, John” lo rimproverò lui, forse un po' troppo bruscamente “Non ti ho mai mentito in tutti questi anni, non ho mai recitato una parte, ho solo preso un nome falso per nascondere la mia vera identità, ma non certo per mia scelta. Se avessi potuto proseguire quello che avevo iniziato, quasi dieci anni fa, probabilmente ora sarei morto.”

Mary annuì in silenzio poi, con uno sguardo eloquente, invitò Sherlock a proseguire.

Il detective prese un profondo respiro, chiuse gli occhi e, riportati alla mente quei giorni fatali, iniziò a narrare.

“Accadde tutto circa una decina di anni fa. Allora non ero un detective né avrei mai pensato di poterlo diventare. L'unica cosa di cui mi importava era la matematica, così mi ero ritirato in Cina, per poter continuare con più tranquillità i miei studi.”

“Ora che mi ci fai pensare ...” mormorò John, massaggiandosi il mento “Credo di aver letto da qualche parte il tuo nome … forse un articolo riguardante il teorema di Ezard?” azzardò, guardandolo con quell'espressione che aveva sempre, quando si lanciava in una deduzione.

“Sì, proprio quello” confermò lui, annuendo e aprendo per qualche istante gli occhi “Potrei dire che la mia carriera come matematico non c'entra nulla con tutta questa storia, ma mentirei. Fu proprio quella l'esca con la quale mi tirarono dentro una serie di intrighi e segreti, dei quali tutt'ora fatico a capire le proporzioni.”

Serrò gli occhi, contraendo il viso in una smorfia di dolore, una fitta dovuta da un ricordo particolarmente doloroso, poi sembrò rilassarsi e guardò John negli occhi.

“Ti ho detto che l'amore e i sentimenti sono un ostacolo per l'uomo ...”
“Sì, me lo hai ripetuto fino allo sfinimento!” lo interruppe lui ridendo, sperando così di spezzare quella tensione che si era creata tra di loro.

Sherlock sorrise, comprendendo il suo tentativo di venirgli incontro, e sembrò più propenso a raccontare la sua storia.

“Lo penso e continuo a ripeterlo” continuò torturandosi le mani, parlando a fatica, come se stesse per rivelare un enorme segreto o un inconfessabile peccato “perché per primo ne sono stato vittima.”

Deglutì il pesante nodo che gli aveva ostruito la gola fino a quel momento, e sembrò stare meglio, come se rivelare la sua debolezza lo avesse aiutato a superare un ostacolo non indifferente. Scosse la testa e rise, passandosi la mano tra i capelli.”
“Ti ho sempre rimproverato di romanzare troppo le nostre avventure, eppure io per primo non riesco a fare un discorso coerente …”

“Prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno, Stephen” lo incoraggiò Mary, che capiva benissimo la situazione in cui si trovava l'uomo “Non abbiamo fretta. Sheryl dorme con la signora Hudson e noi non ce ne andremo finché non ci avrai raccontato tutto.”

Stephen, ormai anche John, aiutato da Mary, aveva cominciato a pensare a lui con quel nome, annuì e, chiusi ancora una volta gli occhi, per mettere ordine nei suoi ricordi, ricompose anche la voce, poco prima sconvolta dall'emozione, e riprese a parlare.

“Ero un matematico e mi ero ritirato in Cina per potermi dedicare al cento per cento ai miei studi ma, come spesso accade quando si pensa che la propria vita non possa subire scossoni più violenti di un raffreddore o della mancanza d'acqua calda in casa, mi arrivò una lettera urgente, da parte dell'ambasciata inglese, che mi avvertiva della morte di mio fratello, Michael.”

“Tuo fratello!” lo interruppe nuovamente John, dandosi una pacca sul ginocchio “Non Mycroft, giusto? Mycroft non è tuo fratello!”

“Ovviamente, no” spiegò Stephen, lanciandogli una breve occhiata, per poi tornare a fissare davanti a sé, inseguendo la proiezione dei ricordi che, come un film, avevano iniziato a scorrergli nella mente, dolorosamente presenti.

“Sherlock Holmes non è un nome inventato di sana pianta ed era realmente il fratello minore di Mycroft, ma di questo parlerò più tardi, se non ti dispiace. I ricordi sono già confusi per conto loro, preferirei andare per ordine.”

John annuì nervosamente e si accomodò meglio sulla poltrona, mentre la confusione pian piano svaniva dai suoi occhi, sostituita da una profonda e prepotente curiosità.

“La notizia della morte di Michael mi sconvolse, ma non più di tanto. Io e lui non eravamo mai andati d'accordo, avevamo caratteri troppo diversi che, spesso e volentieri, ci facevano entrare in contrasto. Io ero timido, riservato, mentre lui era esuberante e pieno di spirito d'iniziativa, nonché di una certa dose di crudeltà, almeno nei miei confronti. Vi basti pensare che, quando iniziai a muovere i primi passi, lui cosparse il nostro giardino di trappole per orsi ...” mormorò, ridendo piano per quel ricordo così assurdo, ma si ricompose subito e, schiaritasi la voce “Appena appresa la notizia, prenotai un biglietto aereo per Londra, per partecipare al funerale. Purtroppo, o per fortuna, arrivai in ritardo, così mi risparmiai la cerimonia Umanista, ma arrivai appena in tempo per lanciare la prima manciata di terra sulla bara. Ero l'unico parente presente, dal momento che i nostri genitori erano morti qualche anno prima, ma era comunque molto affollato.

Come vi ho spiegato prima, Michael era sempre stato un uomo molto espansivo, solare, si faceva voler bene da tutti, tranne che da me, ma è un dettaglio. Si era laureato in medicina e, prima e dopo gli studi, aveva iniziato a occuparsi di volontariato, stringendo così amicizia con uomini e donne di tutte le nazionalità e le condizioni sociali, con le quali veniva in contatto, soprattutto da quando iniziò a lavorare per un'associazione umanitaria che lavorava prevalentemente in Medio Oriente. Fu lì che trovò la morte, durante una campagna di vaccinazioni ad un gruppo di rifugiati. Quando partii da Beijing, ero convinto che Michael fosse morto a causa di un incidente con una mina terrestre, che aveva fatto saltare in aria la Jeep sulla quale viaggiava, mentre andava a recuperare alcuni medicinali in un altro campo.”

“Cosa intendi dire con questo?” domandò John, aggrottando le sopracciglia “Vuoi dire che non fu un incidente? Fu ucciso? Per quale motivo?”

“Ci arriverò,” spiegò lui, trattenendo un sospiro di irritazione “Devo prima spiegarti come sono stato invischiato in tutta questa assurda faccenda” sbottò infine, più arrabbiato con se stesso per ciò che aveva fatto in passato, che per l'interruzione del suo amico.

“Arrivai in cimitero e lì incontrai tutti i suoi amici e tutte le persone che, in un modo o nell'altro, avevano avuto a che fare con lui”

Scosse la testa, ricordando il disagio che aveva provato stando in mezzo a tutte quelle persone che amavano suo fratello, mentre una gigantografia del volto di Michael, appesa alla parete di fronte al buffet che si tenne dopo la cerimonia, lo osservava sorridente, ormai indifferente ai problemi dei mortali.

“Avevo già in valigia un biglietto di ritorno per Beijing ma, per motivi logistici, tornai a casa, per sistemarmi e riposare dopo il lungo viaggio e quel pomeriggio faticoso. Una volta dentro, notai subito che c'era qualcosa che non andava. Guardandomi attorno vidi distintamente i segni lasciati dalla presenza di un estraneo. Non vedevo mio fratello da parecchi anni, ma ebbi il presentimento, che si rivelò corretto, che qualcuno, oltre a lui, avesse abitato in quella casa. Esplorai le varie stanze e trovai una donna semi incosciente, distesa su di un letto. Spaventato, salii al piano superiore, dove incontrai il mio vicino, il signor Andrew Batz. Aveva conosciuto mio fratello, solo superficialmente, ma confermò i miei sospetti. Come faceva in passato, aveva ospitato in casa sua molti suoi amici. Aveva l'abitudine di lasciare le chiavi di casa in un posto prestabilito e chiunque ne avesse bisogno poteva entrare e fare i propri comodi, senza problemi. Le informazioni che Batz mi diede non mi furono di grande aiuto, così decisi di tornare in casa, dove trovai un'altra intrusa, o almeno la credetti tale. Scoprii che si trattava di Yasim Anwar o, meglio, Yasim Ezard, dal momento che da poco si era sposata con mio fratello.”

“Yasim Anwar!” esclamò John, senza riuscire a trattenersi “Quindi, la donna ritrovata morta a Liverpool Street … era tua cognata?” domandò, intuendo infine ciò che aveva dovuto provare Stephen, leggendo della sua morte. Lui annuì e proseguì.

“Le chiesi spiegazioni riguardo la donna che stava sul letto e mi disse che si trattava di Nadir bin Ahmed bin Saleh Al-Fulani, che era molto malata e che si sarebbe occupata lei della sua salute, in quanto dottoressa. Cenammo insieme e parlammo di mio fratello, ma dopo cena ci aspettò una macabra sorpresa. Nadir, che soffriva di una malattia di origine sconosciuta, morì.

La notizia di quel decesso ci sconvolse così, visto che eravamo ancora turbati anche per la morte di Michael, ci sfogammo l'un l'altro e … quella sera ...” esitò e nascose il viso con una mano, stringendo forte per reprimere la vergogna “Quella sera …” sospirò, poi si chiuse ancor più in sé stesso “Quella sera accadde qualcosa tra di noi e quel qualcosa fu la ragione per la quale fui coinvolto in quella situazione. Noi … eravamo disperati, tristi, soli ...”

“Non mi dirai che avete fatto sesso?” esclamò John, trattenendo una risata.

“Abbiamo fatto l'amore, sì!” ribatté Stephen “Al momento fu solo sesso, forse …” continuò, arrossendo appena per l'imbarazzo “Ma ben presto ci rendemmo conto di volerci bene, di ...”

Non terminò la frase, come se temesse di pronunciare quella parole.

“Il giorno successivo fui contattato da un'agenzia, l'Inquirendo, che mi chiedeva di sponsorizzare un sistema di sicurezza in cambio del finanziamento di cinque anni della mia richiesta. Fino a quel momento non mi ero mai occupato di politica e non avevo alcuna intenzione di partecipare a quel progetto, nemmeno per tutti quei soldi.”

“Di cosa si trattava?” chiese Mary, intervenendo per la prima volta “Ne avevo sentito parlare ma, come ti ho detto, ero solo un'esecutrice.

“Il nome del progetto era T.I.A, ovvero Totale Informazione Acquisita. Si trattava di un programma che, grazie all'utilizzo di telecamere di sorveglianza e microchip inseriti nei documenti, avrebbe permesso di sorvegliare chiunque in qualsiasi momento.”

“Qualcosa, però, ti fece cambiare idea, o sbaglio?” chiese Mary, sempre più interessata.

“Sì ...” ammise lui, chinando appena il capo “Fu, appunto, il fatto che ...” si morse il labbro, ricacciando il desiderio di piangere “Mi innamorai di mia cognata.”

“Non capisco il nesso” commentò John “Volevi sorvegliarla?”

“No, volevo trovarla!” esclamò Stephen, battendo il pugno sul ginocchio “Quando tornai alla visita dalla Inquirendo, la casa era vuota, come se non ci avesse vissuto nessuno, fino a quel momento! Yasim, così come Nadir, erano scomparse nel nulla! Fu per questo motivo, per trovare lei, che decisi di sponsorizzare il T.I.A., per cercarla!”

John lo guardò, sempre più stupito da ciò che stava sentendo. Sarebbe rimasto di stucco anche se a raccontarlo fosse stata un'altra persona, una a caso nel mondo, ma a riferire quelle strane vicende era proprio il suo migliore amico. In quei pochi mesi, dopo il ritorno dalla sua finta morte, aveva pensato di essere riuscito a carpire, almeno in parte, la sua personalità, ciò che nascondeva nel cuore. Invece, ancora una volta, era stato capace di sorprenderlo, di tirare fuori nuove sfaccettature del suo carattere. Eppure, pensandoci bene, aveva senso.

Da quando lo aveva conosciuto, Sherlock o, meglio, Stephen, gli aveva dimostrato più di una volta di riuscire a compiere atti estremi per il bene delle persone che erano entrate nel suo cuore. Era sempre uno stronzo insensibile e a volte un po' cinico, ma per le persone a cui voleva bene avrebbe sacrificato anche la sua stessa vita.

Il salto dal Barts, quella corsa disperata per andare a salvarlo sotto il falò del cinque novembre e, infine, un omicidio, perpetrato solo per permettere a lui e a Mary di vivere finalmente insieme e in pace.

“Cosa accadde dopo, Stephen?” lo incalzò Mary notando che, nel rievocare quel particolare ricordo, si era come incantato, sperduto tra chissà quali immagini.

La voce della donna riuscì in qualche modo a riportarlo al presente. Scosse la testa e sbatté gli occhi un paio di volte, poi però fu interrotto nuovamente dal vibrare del suo cellulare. Lo prese e, leggendo un messaggio che era appena arrivato, impallidì di terrore.

“Stephen?” lo chiamò ancora Mary “Qualcosa non va?”

Per tutta risposta sì alzò e, dopo aver arretrato di qualche passo, andò alla finestra. In lontananza già si vedevano le luci delle volanti della polizia e il suono acuto delle sirene.

“Devo andarmene di qui, immediatamente!” gridò, prendendo il cappotto e avviandosi verso la porta “Il mio informatore mi ha detto che stanno venendo qui per arrestarmi!” mormorò, più agitato che mai.

“Per arrestare Sherlock Holmes o …” chiese John, lasciando volutamente la frase in sospeso.

“Vogliono arrestare Stephen Ezard” rispose lui “Dopo tutto quello che mi è successo mi hanno schedato come 'Sovversivo non affiliato'. Ora che tutta questa storia è tornata a galla con la morte di …” esitò, come colpito da un dolore improvviso “Avranno scoperto la mia vera identità e vorranno farmi qualche domanda o, semplicemente, assicurarsi che non continui ciò che ho interrotto anni fa e … cosa stai facendo?!” chiese, forse con eccessiva aggressività, rivolgendosi a Mary che, nel frattempo, stava scrivendo un biglietto.

“Sto lasciando alla signora Hudosn le indicazioni per prendersi cura di Sheryl” annunciò lei “Verremo con te e ti aiuteremo a risolvere questa situazione!”

“Non posso permettervelo!” protestò lui, uscendo di casa velocemente, per seminarli.

“Non ti conviene metterti contro di lei” gli suggerì John, facendogli un occhiolino d'intesa mentre tutti e tre scendevano di corsa le scale “Sai bene anche tu quanto possa essere pericolosa!”

“Esatto!” confermò lei, fermandosi un attimo per lasciare il biglietto fuori dalla porta della signora Hudson “Ora non abbiamo tempo da perdere, ma ...”

Si fermò e, bloccato Stephen per i polsi, lo guardò negli occhi.

“Tu stavi buttando tutta la tua vita alle ortiche per proteggere noi tre. Ora il minimo che possiamo fare è ricambiare il favore”

John lo guardò e sorrise, come per confermare ciò che aveva detto poco prima, poi tutti uscirono dall'edificio e andarono a nascondersi dietro ad un bidone della spazzatura, poco prima che arrivasse l'Ispettore Dimmok con alcuni agenti di Scotland Yard.

“Dove vuoi andare?” gli chiese Mary, guardandosi in giro “Non possiamo tornare alla tua vecchia casa, è troppo pericoloso!”

“Ovviamente non torneremo lì” spiegò lui, guardando gli uomini entrare “Vi porterò in uno dei miei nascondigli segreti … uno che non uso da tanto tempo.”

Aspettarono ancora qualche istante poi, quando si furono assicurati che tutti gli uomini fossero entrati, sgattaiolarono via, nascondendosi tra le ombre della notte.

   
 
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