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Autore: futacookies    05/04/2014    3 recensioni
{One Shot partecipante al contest "Keep calm and write for magic" indetto da Ginny Weasley in Potter sul forum di Efp}
Eppure era sicurissimo di conoscere quel castello come le sue tasche. Continuò l’improvvisato inseguimento, finché perse del tutto l’orientamento. [...] Ora, il vaso doveva essere costato una fortuna, ed era probabile che fosse incredibilmente datato, perciò Minerva non gli avrebbe mai perdonato il non aver fermato quella follia. Forse era una trappola di qualche Mangiamorte rimasto nella scuola, oppure qualche scherzo idiota, fatto sta che l’autore di quello scempio andava punito, senza dubbio.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Storia partecipante al contest:
Keep calm and write for magic
Di Ginny Weasley in Potter

 
Nick dell’autrice: Liberty_Fede
Fandom: Harry Potter
Titolo: June sunset
Lunghezza storia: 1.579 parole
Rating: Verde
Personaggi: Remus Lupin, Harry Potter, Nimphadora Tonks
Genere: Romantico, Fluff, Introspettivo (giusto un po’)
Avvertimenti: Missing Moment
Pacchetto: Narciso (incantesimo ‘Locomotor’; Remus Lupin)
NdA: piccola shot, ambientata verso la fine del sesto anno di Harry, poco prima del funerale di Albus Silente. Un povero Remus in lotta contro se stesso, una piccola spintarella dal Bambino-Che-È-Sopravvissuto, e un paio di incantesimi dispettosi riusciranno a risolvere la situazione?
Remus/Nimphadora, con piccoli accenni Harry/Ginny.

Buona lettura
-Fede

 
 
 
 
 
 
 
 June sunset
 
 
Silente era morto.

E gli aveva chiesto di fidarsi di Harry. E, - dannazione! – lui si fidava di quel ragazzo, ma aveva i suoi dubbi su come potesse essere d’aiuto a lui.
Il cui più ostico problema non era Tu-Sai-Chi, –  insomma, a quanto gli aveva detto Silente, il tempo, una buona dose di fortuna e il Bambino-Che-Era-Sopravvissuto avrebbero fatto tutto da soli – ma la troppa insistenza con cui Dora continuava a sbattergli in faccia la verità, inconsapevolmente aiutata da quanto accaduto a Bill.
Oh, lui l' amava, per Merlino, se l' amava, e amava tutto di lei, i suoi occhi, la sua goffaggine, il modo in cui riusciva sempre a sorprenderlo, con la sua schiettezza; il fatto che – almeno lei – riusciva a guardare in faccia la realtà, seppur scomoda. Soprattutto se scomoda. Perché se c’era una cosa che aveva imparato di lei, tra le tante, era che le situazioni difficili la entusiasmavano.
Purtroppo lui non era disposto a metterla in pericolo, non avrebbe mai potuto sopportare la sensazione, in una remota parte della sua mente, che fosse tutta colpa. E adesso non gli restava che fuggire; la sua copertura era saltata, Greyback aveva assunto il controllo del branco, e Tu-Sai-Chi non sembrava gradire particolarmente la sua presenza. Nemmeno con se stesso riusciva più a trovare pace.
Adesso, - questo se lo doveva concedere – non era colpa sua. Si sarebbe dato alla macchia, l’avrebbe fuggita, pur sentendone il disperato bisogno. Non avrebbe trovato pace finché tutto questo non fosse terminato, finché non l’avesse dimenticato. Dora poteva avere di meglio, e lui non era nessuno per negarglielo. Dal canto suo, non ci avrebbe nemmeno provato, a dimenticarla, difficile come sarebbe stato.

***

Si passo una mano tra i capelli stempiati, come se con un gesto, riuscisse a cancellare tutto – la morte di Silente, lei, la difficoltà del momento, lei, il nemico che avanzava, lei, il nemico che era addirittura riuscito a entrare nelle loro schiere, sotto le spoglie di Severus Piton, lei, il pericolo che incombeva sul figlio di quello che era stato uno dei suoi migliori amici, lei, il pericolo che incombeva su di lei, lei, lei, lei. Stava sistemando le ultime cose, nella stanza che Minerva gli aveva dato, in quanto ospite di Hogwarts, pronto a scappare, quando sentì bussare alla porta.
«Ah, Harry, entra» sussurrò, osservando il riflesso del ragazzo in uno specchio.
«Ciao, Remus. Ho bisogno di parlarti» gli rispose, sprofondando su una poltroncina, fissandosi intensamente i lacci delle scarpe.
Stava appunto per chiedergli di cosa avrebbe dovuto parlargli, quando il ragazzo alzò lo sguardo, rivelandogli le iridi verdi tanto familiari, stanche, spente, le palpebre gonfie per il pianto. Ma la sua espressione rimase ferma e decisa, come se avesse avuto qualcosa da rimproverargli. Immaginò vagamente come dovevano sentirsi James e Sirius tutte le volte in cui, con la complicità di Lily, aveva tentato di farli redimere.
«Non fare questo errore, Remus. Non posso – non voglio – vederti rinunciare alla tua occasione di felicità per l’avventarsi della guerra. Non è giusto. E per favore, non fare quella faccia. Sappiamo a cosa mi riferisco. La professoressa McGranitt ha ragione: Silente avrebbe voluto più amore nel mondo, con i tempi che corrono. So che può sembrare difficile, ma credimi, poter stare con la persona che ami è infinitamente più semplice che dovertene separare. Potresti morire domani, con Tonks, o vivere per sempre, solo. Io preferirei la prima» stava per ribattere, quando Harry riprese a parlare.
«Non dirmi che non so di cosa sto parlando. Ho deciso di rompere con Ginny. Nonostante la ami, proprio perché la amo. Ed io posso farlo, senza appellarmi a sciocche scuse, perché Voldemort vuole uccidere me. Non è una bella sensazione. È una pessima sensazione a dire il vero, e sono anche costretto a rinunciare alle persone a cui tengo. Io sono il ‘Prescelto’, la mia vita è stata segnata prima ancora della mia nascita. Tu sei ancora in tempo, puoi ancora sistemare le cose. Pensaci, magari scoprirai che non sbaglio» concluse, con amarezza. Remus boccheggiò, assimilando ciò che gli era stato detto, incapace di trovare qualcosa da dire a sua volta.
«Harry, io…» non poté terminare la frase, perché quando si voltò, il ragazzo era scomparso, probabilmente celato dal mantello dell’invisibilità. Sospirò, accasciandosi sulla stessa poltrona dove era Harry era stato seduto fino a poco tempo prima. Scosse la testa
rassegnato: no, il ragazzo non poteva davvero capire.

***

Afferrò distrattamente un maglione, per riporlo insieme agli altri quando questo gli scivolò vai da mano.
Seguendo l’istinto, rincorse quel maglione per alcuni corridoi di Hogwarts, ritrovansi per strade che non conosceva. Eppure era sicurissimo di conoscere quel castello come le sue tasche. Continuò l’improvvisato inseguimento, finché perse del tutto l’orientamento. Alla fine, scivolò silenziosamente tra le sue mani e soddisfatto stava per tornare in camera, quando vide un vaso volteggiare silenziosamente alle sue spalle, come se si stesse facendo beffa di lui. Ora, il vaso doveva essere costato una fortuna, ed era probabile che fosse incredibilmente datato, perciò Minerva non gli avrebbe mai perdonato il non aver fermato quella follia.
Forse era una trappola di qualche Mangiamorte rimasto nella scuola, oppure qualche scherzo idiota, fatto sta che l’autore di quello scempio andava punito, senza dubbio. Acchiappò il vaso per il rotto della cuffia, mentre una risata piuttosto cristallina gli fece capire che aveva a che fare con una ragazza. Sentì dei passi impercettibili, forse sulle scale, vide la punta di una bacchetta spuntare da qualche parte, udì una formula appena accennata, di cui non colse il senso, e si ritrovò lui stesso a muoversi, come aveva visto fare il maglione e il vaso. Non riusciva a liberarsi da quell’incantesimo, anche perché non riusciva ad afferrare la bacchetta. Sempre se l’avesse portata.

***

Aveva rinunciato a comprendere l’ identità e la natura del suo aguzzino, oltre che la possibilità di essere liberato in tempi relativamente brevi. In ultimo, vide una luce, e fece il macabro pensiero che molti Maghi erano morti invocando la luce. Comunque, chiunque fosse stato l’artefice di quello che era uno scherzo di pessimo gusto, ne avrebbe pagato le conseguenze.
Si ritrovò nel parco della scuola, poco lontano dal minaccioso Lago Nero, fu sgraziatamente fatto cadere per terra, con il volto rivolto al terreno. Infine, il suo apparente carnefice parlò.
E quando avrà terminato – pensò – altro che dello scherzo, gli farò pentire di essere nato.
«Ah, Remus, non sai che spasso farmi inseguire per i corridoi!» ed eccola, la voce che non lo aveva fatto dormire per settimane, che si stava preparando ad allontanare la sua vita, ripiombare più vicina che mai.
Pentire di essere nato… forse è un po’ eccessivo… magari una piccola strigliata, e capirà che ci sono altri modi di rapportarsi alle persone…
Lentamente si giro e vide il suo sorriso dolce, divertito e impacciato, i suoi occhi ridenti, l’espressione leggermente corrucciata. Avrebbe voluto chiederle cosa rovinava quello che sembrava – ai suoi occhi – un paesaggio meraviglioso, la sua immagine incorniciata in quello che era il tipico pomeriggio di un giugno inoltrato. Preferì però tenersi quella domanda per se, per non fare i conti con i sensi di colpa che avrebbe portato la risposta.
«Dora, ma che…» si interruppe quando la vide assorta nella contemplazione di quello stesso paesaggio che lo aveva deliziato pochi istanti prima. Sembrava persa nei suoi pensieri, stranamente riflessiva ed incredibilmente diversa dalla ragazza che lui conosceva, e a tratti fu convinto che si trattasse di Pozione Polisucco. Poi si girò, con la solita spensieratezza, e parve accorgersi solo in quel momento della sua presenza.
Non lo guardò negli occhi, e non fece troppi giri di parole. Schiuse le labbra appena, per emetter e un sussurro: «Perché?» chiese, quasi distratta, lontana da quel luogo e incredibilmente lontana da lui. Ed eccoli lì, quel senso di colpa che lo salutava trionfante, riportato alla luce del crepuscolo da una domanda ben diversa da quella che si era aspettato.
Rimase interdetto, tacque, con mille risposte che come un uragano vorticavano nella sua mente, senza trovarne una che sembrasse abbastanza per lei, che risolvesse tutti i suoi – i loro – dubbi, e che concedesse ad entrambi l’opportunità di archiviare quel po’ che c’era stato come qualcosa di ormai chiuso, definitivamente passato.
La vide scuotere impercettibilmente la testa, smuovendo delicatamente quei capelli dall’improbabile color grigio topo «Oh, beh. Se tu non hai intenzione di cambiare la situazione, mi ritrovo costretta a fare tutto da sola. Come al solito. Mamma dice sempre che gli uomini sono molto poco collaborativi.» notò che aveva lo sguardo fisso sulla bacchetta, come per fugare qualche eventuale ripensamento su quello che stava per succedere. Qualunque cosa stesse per accadere. Strinse impercettibilmente le spalle e gli puntò la bacchetta contro.
«Locomotor mortis» disse rivolta lui. Si stenti ben presto impossibilitato dal muoversi, ma i suoi occhi seguivano furenti e sempre più confusi quello che stava accadendo. Nimphadora parve ripensarci, perché gli ripuntò il bastoncino contro.
«Locomotor labbra» mormorò poi verso il suo volto, guidandolo dolcemente verso di lei. Entrambi gli incantesimi si sciolsero nel momento in cui si sfiorarono, e capì che gli stava dando l’opportunità di ritrarsi, di allontanarsi. Per Merlino, sembrava un adolescente alle prese con le prime cotte! Ma, soprattutto, sembrava un codardo. Aveva paura di una donna, per giunta la donna che amava. Cielo, stava diventando ridicolo.
E allora la strinse tra le sue braccia, e la baciò ancora e ancora, mentre quel crepuscolo si trasformava lentamente in sera.

Harry non ne riconobbe la gran parte, ma alcuni sì, compresi i membri dell’Ordine della Fenice: Kingsley Shacklebolt, Malocchio Moody, Tonks dai capelli tornati miracolosamente di un accesissimo rosa, Remus Lupin, mano nella mano con lei […]
– Harry Potter e il Principe Mezzosangue, p. 557-558
  
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