Solo pochi attimi.
Il tempo che serve a fare un respiro.
So che ora si sta accasciando al pavimento, lo sguardo
turbato, angosciato.
Le sue ginocchia toccano il legno scuro, gli occhi sono
ancora sbarrati a fissare un punto impreciso del mantello del suo assassino,
gli occhiali scivolano via, le mani, abbandonate contro il corpo, lasciano
cadere la bacchetta e non tentano nemmeno di attutire la caduta.. Chissà se ha
avuto il tempo di pensare, di pregare, di imprecare, di guardare negli occhi il
suo carnefice.
Vedo la scena come se ce l’avessi davanti.
E invece, l’unica cosa che ho sentito, è il mio nome,
gridato al vento.
**
Non ho parole…il respiro mi manca…il cuore salta un
battito.
Pensavo che sarei stata preparata, forte, che sarei
riuscita a sopportarlo, magari piangendo, ma che non sarei ceduta. Invece non
sto piangendo, è un dolore, uno sconvolgimento così totale, che forse va al di
là delle lacrime, o è solo la paura che mi impedisce di piangere; le ginocchia
mi tremano, so che cadrò distrutta a terra da un momento all’altro.
Ma sono ugualmente ancora in piedi.
Le mani sono gelate, stringono convulsamente una ciocca
di capelli, aspettando l’inevitabile, cercando dentro di me la forza di
rassegnarmi alla morte che, imminente, grava su di me.
Sento i suoi passi salire lentamente le scale. Passi felpati, di un essere senza carne ne ossa, di un’ombra che striscia nel buio.
Non posso restare così, devo fare qualcosa.
Ma c’è qualcosa da fare?
C’è qualcosa che io possa fare per evitare l’inevitabile?
Oddio non posso restare così, in piedi, in questa sorta
di trance, devo agire.
Ma davvero non c’è nulla per cui valga la pena tentare di
lottare.
Perché? Perché deve essere tutto così maledettamente
ingiusto…
Perché non potrò vivere la mia serena vita, felice della
mia esistenza…
Perché devo trascorrere gli ultimi istanti della mia vita
con la sola terribile compagnia del pensiero di una maledizione senza perdono…
Perché devo morire così, senza avere la forza di lottare,
senza che mi sia concessa un’ultima chance, con la sola ferocia del mio respiro
a riempirmi le orecchie…
Un gradino scricchiola. So che è esattamente a metà scala; manca poco ormai.
Vorrei tanto non dover avere dei lancinanti rimorsi che mi assillano, mi fanno contrarre leggermente eppure così spaventosamente lo stomaco.
Un sospiro.
Il mio volto si contrae.
Troppa disperazione per una sola anima.
Vorrei poter portare sempre con me i miei ricordi, anche
dopo che sarò scivolata su questo pavimento e il mio cuore avrà dato l’ultimo
battito.
Vorrei che non fosse così doloroso ricordare.
Vorrei conservare per l’eternità l’emozione di un bacio
rubato in un sotterraneo, della carezza sulla mia guancia provocata da una
ciocca di capelli neri.
Vorrei non avere fatto soffrire le persone che più mi
hanno amato e far loro sapere che le amerò per sempre.
Vorrei dare un ultimo sorriso al mondo che così amavo.
Eccolo. E’ davanti alla porta, i suoi passi sono leggeri,
emana una strana energia, che mi fa venire allo stesso tempo un senso di
vertigine e di nausea. Non può essere corporeo, eppure dà una leggera spinta
alla porta d’ebano scuro e la lascia socchiusa.
Il cuore manca di un altro battito.
Eccolo, allora il fatidico momento è arrivato.
Chissà se farò a tempo a dire addio ad ogni cosa che
lascio, per un viaggio misterioso, quanto obbligato; quanto ingiusto.
Le mani cominciano a tremare furiosamente.
Devo trovare il coraggio di affrontarlo.
Il pianto di mio figlio mi fa rinsavire per un secondo.
Giusto il tempo che occorre per decidere di prenderlo in braccio e stringerlo a
me.
Forse dopotutto lo amo. Deve essersi insinuato in me
mentre salutavo la luna.
Lo bacio e poi lo poso per terra.
La porta si spalanca.
E, nonostante tutto il dolore che provo, riesco ancora a
sopportare la visione del mio piccolo mondo perfetto che va in fiamme, lo vedo
rompersi, così fragile in quella che credevo la sua imperturbabilità, perduto
per sempre nel fumo che si allontana.
Si dice che ci sia un limite al dolore che un essere
umano può sopportare e che, se lo si supera, prende il sopravvento la follia.
La mia paura diventa forza e il terrore sfida.
Nessuno ci crederà. Ma nessuno, in effetti, dovrà
crederci; la mia voce sarà il silenzio, i miei pensieri aria e le mie parole si
perderanno nel vento.
Avada Kedavra.
**
Si accasciò a terra senza un urlo, accompagnata solo da
un gemito e da due lacrime che le solcavano le guance: flebile lamento di
usignoli in pianto.
“…e benché le sue lacrime potessero sembrare il lungo
lamento
di usignoli in pianto,
pure erano lacrime di gioia,
di amore troppo grande per un cuore umano…”
Zembo Motoyasu
Note: Davvero breve…Semplicemente gli ultimi attimi di
vita di una persona, della nostra Lily.
Spero che vi piaccia. Lily_91