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Autore: Lechatvert    07/04/2014    3 recensioni
«Fareste bene a rammentarvi che la guerra la si deve vincere su fronti diversi», disse, rimettendo la spada nel fodero. «E che se voi siete disposto a calpestare i vostri principi, io sono disposto a calpestare i miei.»
Se ne andò così, senza aggiungere altro, arrancando tra i ciuffi d’erba alta del cimitero.
Riario lo guardò allontanarsi senza proferire parola, impietrito dinanzi a quelle parole taglienti come lame e a quell’andatura che tanto gli ricordava i passi leggeri di Celia.

Il Papa, il Capitano, il Conte e i Tombaroli.
Genere: Angst, Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Girolamo Riario, Lupo Mercuri, Nuovo personaggio, Papa Sisto IV, Papa Sisto IV
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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polverenera

Per continuare(?)
Sono tornata! In ritardo, ma ci sono :3
Grazie a tutti quelli che si sono fermati a leggere il primo prologo, ora ecco a voi il secondo! (Sì, perché un singolo prologo è troppo mainstream

Con il prossimo capitolo - il primo, vero della storia - entreremo nel vivo della faccenda ^^ E vi anticipo l'arrivo di Lupo Mercuri, che manderà qualcuno in fuga. 

Per quanto riguarda le parole in corsivo che troverete in questa parte: è tutto scritto in lingua ebraica, con l'aiuto di una carissima amica e compagna d'avventura :) La traduzione è quasi sempre presente, se non nell'ultimo caso.  (Ani ohevet otcha, yeled sheli, insomma: vuol dire "ti amo, bambina mia")




A tutti un grosso bacio,
Lechatvert








Saremi morte già dolce paruta

Ossa del tarso: prologo
a ferro e fuoco
http://www.youtube.com/watch?v=7KwLYJVWYA8









Cara, dimmi il tuo nome
Puoi sentirmi?

Hurts – The Road








Agosto 1471, quindici ore dopo l’elezione di Papa Sisto IV


La porta della taverna si richiuse sulla sua mano con tanta violenza che, per un instante, Orso credette di sentire le ossa del polso spezzarsi una a una sotto la pesante morsa del legno.
Con il viso bagnato di lacrime, si voltò verso sua madre in cerca di aiuto ma, anziché trovarla al suo fianco, la vide arrancare tra i tavoli vuoti in cerca di chissà cosa.
Aveva i capelli rossi sporchi di cenere e si copriva il volto, forse per non respirare il fumo dell’incendio, forse per non mostrarsi piangente agli occhi di suo figlio.
«Ìmma!», la chiamò allora Orso, avvicinandosi con la mano insanguinata stretta sul petto. «Madre!»
La donna si voltò appena, chinandosi per accarezzargli il capo con la sua solita dolcezza.
«Akol beseder», gli sussurrò, baciandogli piano la mano. «Va tutto bene.»
La porta della taverna si aprì di nuovo, stavolta lasciando entrare il passo scattante e rapido di un ragazzo ben piazzato avvolto nei mantelli della guardia cittadina.
«Hanno dato fuoco a tutto il ghetto», dichiarò, mettendo a terra la bambina che aveva in braccio, stretta al suo petto e nascosta appena dalla cappa. «Celia, dobbiamo andare.»
Si voltò per bloccare l’entrata nella taverna, mentre dalla strada delle voci cominciavano ad avvicinarsi, sempre più forti, sempre più irate.
La donna gemette, radunando in un abbraccio entrambi i suoi figli più piccoli.
«Starete bene», mormorò con tono sicuro, sebbene soffocando qualche singhiozzo. «Io e vostro padre torneremo a prendervi domani mattina, d’accordo?»
Orso rimase in silenzio.
Aveva solo undici anni, ma era abbastanza sveglio da capire che quello non era uno dei tanti incendi che di tanto in tanto distruggevano un ghetto fatto di legno. C’era qualcosa di più, lo leggeva negli occhi grigi di sua madre e il solo pensarlo lo terrorizzava.
Guardò sua sorella, anche lei sull’orlo delle lacrime e con gli occhi sgranati dalla paura. Istintivamente le strinse la mano.
«Staremo bene», disse, sforzandosi di apparire coraggioso. «Gregorio ci proteggerà.»
Alle sue spalle, suo fratello maggiore sbuffò.
«Ci troveranno», lo sentì borbottare. «Lo faranno sempre.»
Celia gli posò una mano sulla spalla.
«Gregorio», mormorò, seria come mai prima d’ora. «Quando tutto sarà finito, dovrai cercare una persona.» Fece una pausa. «Lupo Mercuri, un cliente di vostro padre. Un amico.»
Gregorio sospirò.
«Un figlio di Mitra», la corresse.
Lei annuì.
«Un tempo lo era. Pregate che le promesse fatte in passato valgano ancora qualcosa, per lui.»
Gregorio sbuffò e Orso percepì in quell’istante tutta la sua insicurezza, mentre Celia si chinava sul pavimento per aprire una botola rotonda.
«Quaggiù sarete al sicuro», disse, sorridendo appena. «Non uscite prima di domattina.»
Orso annuì, quasi convinto, ma sua sorella si liberò dalla sua presa, aggrappandosi alla veste della madre.
«Non voglio scendere là sotto», dichiarò, tirando su col naso. «Ci sono i morti  e …»
Non fece in tempo a finire la frase che un colpo alla porta di legno la bloccò.
Orso si sentì afferrare per le spalle da suo fratello e un attimo dopo venne sollevato in aria, pronto per essere nascosto.
«Madre, non c’è tempo», sussurrò Gregorio.
La donna gemette di nuovo, stringendo a sé Porpora. Poi si scostò, togliendosi la croce intagliata nell’osso di un santo che da sempre portava al collo per poi consegnarla alla figlia.
«Dì ad Orso le preghiere che ti ha insegnato Gregorio», le disse, sorridendo con dolcezza. «Sarà tutto passato prima di domani mattina.» La strinse a sé e le baciò piano la fronte, scompigliandole appena la frangia castana che le copriva gli occhi. «Ani ohevet otcha, yeled sheli
Un altro colpo alla porta la convinse a prendere Porpora tra le braccia e a infilarla nella botola.
Quando si sporse per baciarle di nuovo il capo, Orso notò che al collo aveva un altro pendaglio, uno che non le aveva mai visto addosso prima di allora: una piccola chiave di ferro legata ad un semplice cordoncino di canapa, uno di quelli che lui e Porpora intrecciavano insieme la sera, davanti al fuoco di casa.
Aveva un che di affascinante, quel piccolo oggetto, ma Orso non riuscì ad osservarlo meglio poiché suo fratello lo calò nella botola prima di seguirlo sulla piccola scala a pioli che scendeva nell’oscurità.
L’apertura da cui erano passati venne richiusa velocemente e l’unica fonte di luce che gli rimase fu un piccolo spiraglio tra le assi del soffitto.
Nel buio, Orso udì sua sorella singhiozzare, mentre sopra le loro teste passi veloci e rumori di lame si alternavano alle grida ovattate della strada.
Poi, tutto d’un tratto, calò il silenzio.
Orso sentì il morbido mantello di Gregorio avvolgerlo per bene, mentre le mani di suo fratello maggiore si facevano strette attorno alle sue spalle.
La voce di Celia giunse così tenue che Orso si stupì di poter udire un suono così flebile.
«Sono figlia della terra e del cielo stellato, di sete son arsa, vi prego fate che io mi disseti alla fontana della memoria.»
Il suono stridulo di una spada sfoderata coprì il suo respiro, dopodiché qualcosa rotolò sul pavimento marcio della taverna.
In lontananza, le campane annunciarono l’arrivo del nuovo giorno.
Era il ventisei agosto 1971, quindici ore dopo l’elezione di Papa Sisto IV, e Orso, assieme a sua sorella, aveva appena compiuto dodici anni.







   
 
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