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Autore: Ginger_90    07/04/2014    7 recensioni
(dal testo)
"Dopo pochi attimi, un ragazzo sulla ventina e dall'aspetto tutt'altro che singolare, mi apparve davanti lanciandosi da uno dei rami piu alti delll'albero a cui mi ero avvicinata, atterrando con grazie e perfetto equilibrio sul terreno rigoglioso d'erba[...] gli occhi, che in questo momento mi stavano fissando truci, erano di un acceso e splendente color ambra dai mille riflessi; nessuno avrebbe mai immaginato o creduto possibile che quel ragazzo, tanto bello quanto all'apparenza così giovane, potesse essere mio padre."
"Sospirai, preparandomi a qualsiasi tipo di reazione, poi tirai fuori le foto che avevo portato con me e che erano al sicuro sotto la felpa. [...]
- Mio padre si chiama Inuyasha - fu l'unica cosa che riuscii a dirle."
Genere: Avventura, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Mi svegliai, portandomi immediatamente una mano davanti agli occhi, per coprirli: il sole, passando per la tendina della finestra, mi aveva inondato la faccia togliendomi alle dolci ed accoglienti braccia di Morfeo che mi stavano coccolando con dolcezza fino a un attimo prima, il che voleva dire che era decisamente ora di rimettersi in piedi. Togliendomi di dosso la trapunta del futon, mi diressi nell'atrio della capanna, nella zona principale che corrispondeva all'entrata ed entrando in cucina. Non c'era nessuno.

 - Mamma! Papà! Yuki...! - chiamai allarmata, girando per tutta la casa e aprendo anche gli scorrevoli delle altre stanze, ma non ottenni risposta. La casa era completamente vuota. Ma dove erano finiti tutti quanti?

Immersa nei miei pensieri, tornai in cucina. Forse erano tutti al villaggio e, visto che non mi ero svegliata, mi avevano lasciata ancora a dormire ... Mmm, no. Era ancora mattino presto e questo decisamente non era dalla mamma, prima di andarsene mi avrebbe almeo lasciato almeno un biglietto sul tavolo per avvisarmi...

Nel più totale silenzio, lo strusciarsi di un qualcosa attorno alla mia caviglia e un miagolio improvviso mi fecero sobbalzare e arretrare, spaventandomi a morte.

- Chico... - mormorai con una mano sul cuore e tirando un sospiro di sollievo una volta individuata la fonte del suono. - Mi ha fatto prendere un colpo! Non farlo mai più - 

Per risposta, Chico girò la piccola testolina tonda leggermente di lato, muovendo piano le orecchie, e guardandomi interrogativo, facendomi sorridere. Chico non era il solito micio che ci si aspettava di vedere di solito: se non fosse stato per gli occhi grandi e rossastri e le sue due lunghe e soffici code, sarebbe senz'altro sembrato un comune ed innocuo gattino nero dai calzini bianchi. Era un demone gatto e mi fu regalato che era solo un cucciolo quando avevo 3 anni, come regalo per la nascita di mio fratello; fu amore a prima vista, e l'affiatamento e la sintonia che si era creata tra di noi crescendo insieme era qualcosa di davvero unico e speciale. Lo presi in braccio grattandogli il pancino, ed uscii fuori.

Era davvero una bella giornata: i raggi solari mi riscaldarono immediatamente dandomi un dolce tepore ed il cielo era di un bell'azzurro limpido e luminoso. Me ne sarei stata tranquillamente sdraiata sull'erba a prendere il sole e a godermi tutta quella pace ma mi resi conto che improvviamente il sole era già piuttosto in alto... fin troppo in alto. Poi tutto era così silenzioso... non sentivo i soliti schiamazzi dei bambini che giocavano spesso non lontano da casa nostra. Tutto era completamente deserto e intorno a noi non c'erano altro che alberi e fitta boscaglia. Ma si può sapere dove diavolo ero finita...? Dov'era la mia famiglia? 
Quel luogo dall'apparenza così tranquilla ed innocua ma a contempo così opprimente ed inquietante mi metteva i brividi. Forse era il caso di dare un' occhiata dall'alto.

- Chico, ti va di fare un giro? - gli chiesi, preoccupata. Lui miagolò e salto giù dalle mie braccia; un attimo dopo, fu avvolto da un esplosione di fiamme che me lo tolsero alla vista e quando queste sparirono, Chico era diventato un enorme felino alto quasi quanto me e provvisto di grosse zanne. Gli salii in groppa e ci alzammo in volo.

Guardando giù mi accorsi che non eravamo più ai confini del villaggio Musashi, ma davvero nel pieno di un bosco e, in lontananza, davanti a noi, una schiera di montagne si propagavano per tutto il perimetro dell'orizzonte chiudendosi come a semicerchio. Nel mezzo intravidi qualcosa.

- Andiamo a vedere cosa c'è in quella vallata laggiù. - Chico ruggì leggermente ed esaudì la mia richiesta e, più ci avvicinavamo, più riuscivo a distinguere i contorni di un enorme Hirashiro, un castello di pianura, costruito su quello che non riuscivo a comprendere se fosse un lago o una palude, che sovrastava un villaggio di grandezza media situato un po' più in giù. Eravamo ancora troppo lontani, provai a mettere bene a fuoco la vista per guardare meglio ma questa, non so per quale assurdo motivo, si ribellava a me facendomi vedere tutto leggermente sfocato: sbattei le palpebre più volte, ma niente, e, all'improvviso, dal nulla, un trillo assordante mi spaccò i timpani facendomi portare le mani a coprire subito le orecchie per tapparmele.

- Ah...! Ma che cos'è?! - gridai portando subito le mani a proteggermi le orecchie.

Chico si fermò a mezz'aria, voltando la testa verso di me e ruggendo piano. Ma... non lo sentiva anche lui? Quel suono era solo nella mia testa?!

Mentre il trillo fastidioso diventava sempre più forte avvertii anche una voce lontana, una voce dolce e delicata, che chiamava piano il mio nome.

- Midori -

- N-no, non voglio scendere, devo andare a vedere cosa c'è laggiù... - mormorai senza neanche accorgermene, con la bocca impastata di sonno.

 - Sì, invece. Devi andare a scuola, Midori, è tardi - disse mia nonna dandomi una carezza sulla fronte. Poi rigirandomi supina, ascoltai il suono dei suoi passi uscire dalla stanza.


Aprii gli occhi, rimanendo così, immobile, a fissare il soffitto della camera che un tempo era appartenuta a mia madre. Accidenti. Era di nuovo quel maledetto sogno. E quel trillo assordante non era altro che la mia maledettissima sveglia che ancora si dimenava isterica sul comodino. La spensi con una manata e, sbadigliando sonoramente, mi alzai infilando le ciabatte.

Che stanchezza... e che mal di testa, pensai stiracchiandomi: sono tre giorni di fila che faccio sempre lo stesso sogno senza mai venirne a capo. Forse è lo stress per gli esami... oppure perché sono lontana da casa mia, lontana dai miei genitori e dai miei fratelli... beh, almeno oggi dopo la scuola li avrei finalmente rivisti. A quel pensiero, mi tornò il buonumore.

 Dopo essermi trascinata in bagno, tornai nella mia stanza per indossare la divisa scolastica. La divisa delle superiori era molto diversa e molto più impegnativa rispetto a quella che portavo alle medie, formata solo da una gonna e una maglietta: questa aveva una camicetta bianca, gonna a quadri blu e marrone e giacca blu con lo stemma della scuola, cravatta e calze al polpaccio entrambe blu notte. La osservai corrucciata. La divisa in se non era male ma la cravatta la odiavo, era tremendamente fastidiosa da portare al collo; a volte la sentivo come una specie di guinzaglio.

Quando fui pronta,afferrai la cartella e scesi le scale; la casa era già inebriata del buon profumo delle brioche stracolme di morbida crema al limone che cuocevano nel forno. La nonna, come sempre, me le preparava ogni mattina così che le trovassi appena sfornate e pronte da mangiare lì a casa o mentre percorrevo il tragitto per andare a scuola. Facevano parte della colazione all'occidentale ed erano davvero buonissime: trovai la ricetta girovagando su internet; avevo convinto la nonna a farle e ora, per cominciare la giornata, non potevo più farne a meno.

- Buongiorno! - dissi a gran voce entrando in cucina e facendo sussultare mia nonna, che era di spalle.

- Midori - rispose lei piano, socchiudendo gli occhi. - Mi hai spaventata! -

- Scusami nonna... - mormorai dispiaciuta; per farmi perdonare, le diedi un bacio sulla guancia.

 - Ma no, so che non lo fai apposta, ma, dovresti cercare di fare un po' più di rumore quando cammini, tesoro - disse con tono un po' duro ma guardandomi divertita ed io gli sorrisi di rimando, ma sentendomi un po' colpevole. Non potevo farci davvero nulla, se ero così silenziosa quando camminavo. Sedendomi a tavola, comunque, notai che era apparecchiato solo per me.

- Lo zio è già andato via? - chiesi dopo aver preso una brioche dal vassoio e averne buttato giù un grosso boccone.

 - Sì, stamattina aveva un operazione molto impegnativa in sala operatoria e così ha preferito andar via presto. Zia Hitomi invece è appena uscita per portare i bambini a scuola; ti lascia il buongiorno e un in bocca al lupo - mi spiegò, affaccendata sul tavolo; poi mi porse il cesto del pranzo e il sacchetto di brioche. - Hai il club di tiro oggi? -

- No, è domani. Ma farò comunque in tempo per tornare prima che tramonti il sole - risposi assonnata con una mano davanti alla bocca per coprire uno sbadiglio. Dopo qualche secondo, l'occhio mi cadde sul grande orologio di legno appeso al muro e con terrore vidi che erano già le otto e mezza: di lì a mezz'ora sarebbe iniziato l'ultimo esame di inizio anno.

- Oh, porca miseria, devo andare è tardissimo!? Ci vediamo oggi pomeriggio, ok...? - dissi dopo aver mandato giu un boccone enorme di brioche alla crema e correndo letteralmente alla velocità della luce verso l'entrata; infilai i mocassini neri della divisa con una mano sola, aprii la porta di casa ed uscii nello spiazzale.

- Buona giornata! Ah, Midori...! Dimentichi la cartella...! - sentii gridare a mia nonna mentre ero già a metà dello spiazzale. Frenai di botto e tornai indietro, rientrando in casa.

- Eh eh, lo so non me lo dire, me lo dice sempre già papà, sono sempre la solita...! Ok, allora io vado! - dissi acchiappando la cartella e rifiondandomi di nuovo giù per il cortile. Prima di arrivare alla lunga scalinata che scendeva ripida a picco sulla strada, diedi uno sguardo al piccolo tempio che racchiudeva in sé il vecchio pozzo ammuffito. Dovevo muovermi o non sarei mai arrivata in tempo.

La nonna aveva detto anche qualcos'altro a proposito di oggi ma ormai ero fin troppo lontana per sentirla bene, e il rumore del traffico copriva tutto. Va beh, se era qualcosa di urgente mi avrebbe chiamato al cellulare... Ah. Il cellulare. Avevo dimenticato anche quello... Grandioso. Sospirai, sbattendomi una mano in faccia.

Dunque, vediamo...sono già le nove meno venti e, anche volendo, a piedi non ce l'avrei mai fatta, constatai osservando depressa il mio orologio da polso. E se fossi passata per il tetto dei palazzi? Qualcuno mi avrebbe notato di certo, ma io avevo fretta... Al diavolo! Cercando di non dare troppo nell'occhio, entrai nel primo vicolo cieco e salii con un balzo sul muretto che mi sbarrava la strada, con un altro salto mi arrampicai leggera sul tetto del palazzo adiacente e, una volta sul tetto, aguzzai vista ed udito per registrare se vi fossero tracce di aerei o elicotteri in avvicinamento; poi iniziai a correre il più in fretta possibile scansando senza difficoltà alcuna qualsiasi cosa mi si parasse davanti. Beh, essere un mezzo demone aveva decisamente i suoi bei lati positivi!


Arrivai in classe per un pelo, giusto allo scoccare della campana e sprofondai nel banco appena in tempo; il professor Tagata entrò nell'aula e tutti si sistemarono al proprio posto dando in coro il buongiorno. La sveglia la metterò almeno due ore prima, la prossima volta...

Yuu Tagata era un ragazzo sui venticinque anni ed era il più giovane insegnante dell'intero istituto. Era severo quanto bastava ma anche sempre disponibile ad ascoltarci. Essendo molto carino molte ragazze della scuola, incluse le mie compagne, sognavano di lui ad occhi aperti sperando che un giorno si accorgesse di loro, ma le loro speranze erano vane: era felicemente fidanzato.

- Buongiorno ragazzi. Accomodatevi - disse gioviale appoggiando la sua borsa sulla cattedra e tirando fuori una trentina di fogli da essa. - Bene, oggi affronterete l'ultimo esame di inizio anno che, come sapete, sarà su matematica e geometria. Vieni Satou, inizia a consegnare le schede -

Quando Satou mi porse quella che era la mia scheda, sentii chiaramente il cervello abbandonare il mio corpo e vagare altrove, in un mondo lontano pieno di cerbiatti e coniglietti rosa che saltellavano allegri qua e là fra le colline incuranti di nulla... Ma che roba è...? Eppure avevo studiato e ripassato tutto per giorni e giorni, mentre ora nella mia testa c'era solo un vuoto incolmabile, zero, niente, nada, tabula rasa...!

- Consiglio ad alcuni di voi di dare il massimo in questo esame perché ho visto altre verifiche e... beh, avete capito - disse ancora Tagata con sguardo perentorio. - Avete due ore di tempo, ragazzi, mi raccomando. Da ora. -

 Ecco grandioso, doveva dire proprio questo per farmi sentire meglio. Cercando di rimettere in moto la linea piatta dell'elettroencefalogramma che in questo momento rispecchiava alla perfezione lo stato vegetativo del mio cervello, diedi un occhiata in giro per la classe, per vedere le facce dei miei compagni e quasi mi scappò una risata: alcuni di loro erano sull'orlo di una crisi di nervi, alcuni stavano già piangendo disperati e altri fissavano il foglio come persi nel nulla. Allora non era solo una mia impressione che quella roba fosse arabo. Trassi un profondo respiro e cercai di mettermi all'opera.

Le due ore terminarono davvero in un soffio di tempo, e consegnai mio malgrado la scheda. Avevo finito di risolvere quasi tutti i quesiti richiesti alla bell'e meglio, pregando tutti i kami esistenti in ogni angolo del pianeta di non avere fatto troppi errori. Quando il trillo della campanella invase l'intero istituto segnando finalmente anche la fine della tanto sospirata ultima ora, acchiappai la cartella e corsi a perdifiato per tornare a casa.



Una volta arrivata, percorsi tutte le scale del tempio e aprii la porta di casa.

- Sono arrivata! - urlai. - Nonna! Ci sei? -

Niente. Silenzio. Entrai in cucina e notai un biglietto scritto a mano sul tavolo: " Oggi pomeriggio sarò in giro per sbrigare alcune commissioni con gli zii e i bambini. Non aspettarci tesoro, faremo tardi. Nonna". Ah, quindi era questo che voleva dirmi stamattina. Presi una penna, girai il foglio dall'altro lato e risposi al messaggio: "Ok, ci vediamo domattina. Vi voglio bene".

Impaziente, andai di folata al pozzo senza nemmeno andare a cambiarmi per togliere la divisa. Era da un mese esatto che ero via per prepararmi agli esami e non vedevo l'ora di poter riabbracciare i miei genitori e quegli impiastri dei miei fratelli, sempre se li avrei trovati in casa. Aprii la porta scorrevole del tempio, la richiusi subito dopo e con un sorriso a trentacinquemila dent mi fiondai subito nella cavità del vecchio pozzo, venendo immediatamente accolta dalla familiare luce di un violetto abbagliante, per poi essere pervasa dalla sensazione di volare fra le stelle. Tutto come la prima volta.

Ricordo come se fosse ieri il giorno in cui attraversai accidentalmente il pozzo mangia-ossa.

Avevo otto anni e mentre giocavo assieme ai miei cuginetti con una vecchia palla, questa, lanciata troppo in alto, andò a finire nel pozzo mangia-ossa: sapevo cosa quel pozzo era stato in passato ma sapevo anche che non funzionava più e quindi, essendo fra tutti la più agile, mi ci ero tranquillamente arrampicata su per scendere a prendere la nostra palla e continuare a giocare ma, nello stesso istante in cui mi ci ero tuffata dentro, una piccola luce azzurrina apparve dal fondo, spaventandomi, e di riflesso, mi aggrappai a un qualcosa all'ultimo momento. Curiosa, allungai di più il collo per guardare meglio quella misteriosa luce ma l'edera a cui mi reggevo si staccò d'improvviso sotto il mio peso, facendomi cadere rovinosamente giù: terrorizzata, avevo chiuso gli occhi aspettando l'urto con il fondo del pozzo che però non giunse; anzi, non sentii nulla per parecchi secondi, solo i capelli che iniziarono a fluttuarmi sul viso e una strana sensazione attorno: sì, era come se stessi...galleggiando. Non sentivo nessuna superficie sostenermi eppure ero ferma. Cercando di richiamare a me quanto più coraggio possibile ed aprendo un solo occhio, mi ero poi ritrovata a guardare sbigottita un luogo che non so né dove possa essere collocato né come possa essere definito, solo che era pieno di stelle luminose e costellazioni lontane. Poi tutto scomparve nella luce azzurrina e sentii che la corrente che mi stava facendo galleggiare mi stava spingendo piano verso l'alto e richiusi di scatto gli occhi. Questa, mi adagiò delicatamente su un piano e quando trovai il coraggio di guardare mi ritrovai di nuovo sul fondo del pozzo: notai, però, che la luce del sole non arrivava più e che tutto era rivolto in penombra, anche gli odori erano decisamente cambiati e della palla che era caduta dentro poco prima, non ce n'era nessuna traccia. Alzai lo sguardo, e non vidi più il cielo azzurro e luminoso della mia terra che avrei dovuto vedere ma solo un vecchio tetto di legno malandato. Una volta uscita fuori, avevo constatato di essere all'interno di un piccolo tempietto: dall'esterno invece, non molto lontano da lì sentivo arrivare dei suoni davvero stranissimi di aggeggi che poi, successivamente, avrei scoperto essere il rumore dei motori delle automobili e degli altri mezzi di trasporto urbani; e dopo aver visto l'ampio spiazzale, quella casa dall'architettura così stramba e le lunghe scale che portavano a quella strana strada grigia un po' più in giù, avevo finalmente capito, per quanto fosse impossibile, dove ero finita. I miei genitori mi avevano sempre parlato del mondo aldilà del pozzo, e che quest'ultimo molti anni addietro era stato una barriera mistico-temporale: era grazie a lui se io e i miei fratelli eravamo nati, in fondo; se mia madre, non avesse avuto dentro di sé la Sfera dei Quattro Spiriti, non avrebbe mai potuto attraversarlo per andare nell'epoca Sengoku, non avrebbe mai conosciuto mio padre e io ed i miei fratelli davvero non avremmo mai visto la luce...

Tuttavia, nonostante fossi grata al pozzo per aver permesso tutto questo e di poter passare continuamente qua e là fra le due epoche, davvero non riuscivo a capire perché si fosse aperto di nuovo e perché permettesse solo a me, e a me soltanto, di attraversarlo: non c'era più motivo di rimanere attivo dato che la Sfera dei 4 Spiriti era andata distrutta, quindi, ero arrivata alla conclusione che questi possedesse una coscienza propria che si manifestava aprendo passaggi per motivi solo a lui noti.

Comunque, non ricordo bene come spiegai alla nonna, al nonno e allo zio Sota chi ero esattamente e come mi trovavo lì, ma con mio grande stupore loro mi credettero subito senza fare troppe domande e, da quel giorno cominciai a viaggiare spesso fra le due epoche portando notizie e lettere che mia madre e mia nonna si scrivevano a vicenda. Poi la mamma aveva deciso di mandarmi a scuola... e così conducevo quella vita da ben nove anni ormai, e stavo frequentando il secondo anno di scuola superiore a Tokyo. Ma Tokyo, a parte il liceo, non era il mondo a cui appartenevo: il mio mondo era dall'altra parte, dall'altro lato del pozzo, dove avevo vissuto i miei primi otto anni di vita e dove vivevano tutt'ora i miei genitori, i miei fratelli e i miei amici. Beh, non proprio ora...diciamo circa cinquecento anni fa.


Con un balzo uscii fuori dal pozzo, ritrovandomi in un ampio spiazzo di radura verdeggiante, e subito l'aria pulita e genuina del bosco mi colpì le narici con tutti i suoi profumi, facendomi finalmente respirare a pieni polmoni.

Alle mie spalle, su un ramo di un'imponente quercia, sentii due occhi ambrati fissarmi imperturbabili.

- Ciao papà. -
 

 

 
 


 
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Ehm ciao ^_^' se siete arrivati fino a qui penso sia già un miracolo quindi vi dico grazie già da ora ^_^" questa è la prima storia che provo a scrivere quindi mi scuso fin da ora se ci sono errori di battitura, parole ripetute più volte o errori/orrori ortografici... ho ricontrollato spesso ma qualcuno me ne sarà scappato sicuramente, cercherò di riparare quanto prima!
Se vi va, sarei molto felice di sapere cosa ne pensate ^^ è una pazzia vero? sicuramente avrete pensato "ecco tiè, un altra che si inventa la figlia di Inuyasha -.-" T_T ma vi assicuro che dai prossimi capitoli la storia cambierà un po' e lei non sarà l'unica protagonista! Comunque accetto tutto sia critiche positive che negative (non siate troppo crudeli ^_^'''')
Dedico la storia alle ragazze della cyber famiglia che, anche se sono con loro da poco, mi hanno accolto a braccia aperte, motivato e soprattutto sopportato (e minacciato) per farmi andare avanti nello scrivere la storia ^^' grazie di cuore davvero, vorrei ringraziarvi una ad una ma verrebbe un post lunghissimo ^_^" quindi... Un grazie speciale a voi e a chi leggerà. 
  
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