Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: Pretty_Liar    07/04/2014    3 recensioni
Lei era un piccolo grande amore,
solo un piccolo grande amore,
niente più di questo, niente più!
Mi manca da morire
quel suo piccolo grande amore,
adesso che saprei cosa dire,
adesso che saprei cosa fare,
adesso che, voglio un piccolo grande amore
**************************************************
Harry è un ventenne universitario, con una vita difficile. Fumo, droga, alcool, sono l'unica realtà che conosce e che lo porterà a distruggere il suo unico piccolo grande amore, Honey, una diciassettenne liceale, piena di ideali e amici. Una storia destinata a finire nello stesso modo in cui era iniziata.
**************************************************
Ci sono amori che durano per l'eternità, altri che si consumano nel tempo, lasciando solo parole sospese a mezz'aria, altri, invece, che consumano te, lasciandoti solo le rughe dovute alle lacrime che per troppi giorni hanno solcato le tue guance. Baci che diventando solo sospiri lontani, canzoni troppo silenziose, ti amo troppo remoti e foto racchiuse in un album.
***************************************************
«Vieni, vieni amore mio», disse a fatica Harry. «Vieni. Ti prendo, lo giuro».
--------------------------------------------------------------------
«Fanculo, Harry, sentito? Fanculo!», urlò, dandogli un pugno sul petto, allontanandosi.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 


Ci sono amori che durano per l'eternità, altri che si consumano nel tempo, lasciando solo parole sospese a mezz'aria, altri, invece, che consumano te, lasciandoti solo le rughe dovute alle lacrime che per troppi giorni hanno solcato le tue guance. Baci che diventando solo sospiri lontani, canzoni troppo silenziose, ti amo troppo remoti e foto racchiuse in un album.

Harry era solo un ragazzino di vent'anni. Fumo e moto erano all'ordine del giorno. Le ragazze solo divertimento, niente più. Camminava con le sue scarpe bianche rotte, i jeans strappati e troppo stretti e la camicia sbottonata verso altezze del petto. I capelli ricci e spettinati tirati indietro dalla troppa lacca, gli occhi verdi sempre oscurati dagli occhiali da sole anche in inverno, quando la neve si posava sul solito cappotto di pelle e le labbra rosee e piene si screpolavano, tanto che doveva passarci la lingua sopra spesso, per inumidirle.

Era solo un ragazzino che non ricordava l'ultima volta che aveva salutato la madre con un bacio sulla guancia, l'ultima volta che aveva discusso sul divano con il padre della partita di calcio  del Manchester e dei suoi giocatori. Adesso era solo Harry, il bello dell'università, poggiato sul muretto vicino gli scalini principali della facoltà di ingegneria, con il mozzicone delle sigaretta fra le labbra e le mani nelle tasche.

Rideva. Rideva per la cazzata del suo amico Josh, che continuava a far scattare gli antifurti delle auto dei prof, nascondendosi poi dietro il motorino rosso del riccio, con le mani davanti la bocca per smorzare le risate.

«Dovresti trovare ti una ragazza», mormorò Carl, accostandosi a lui, con gli occhiali da vista enormi sul naso adunco, con il suo volto troppo scuro e i denti storti. «E dovresti smettere di fumanti queste porcherie», continuò risoluto, sfilandogli la cicca dalla bocca, calpestandola in fretta sotto la scarpa di pelle marrone, guardando severamente il volto del ragazzo dagli occhi troppo verdi.

«Dovrei», rispose solo Harry, accendendo sente un'altra, inspirando la nicotina, per poi buttare tutto fuori sul volto dell'amico, che tossì fortemente, tappandosi quel naso grande con la mano sinistra, roteando gli occhi al cielo. «E la ragazza non la voglio», rise, scendendo velocemente gli scalini per dirigersi verso la sua moto. Lui era forte da solo, così com'era, con i suoi jeans vecchi e le scarpe bucate sotto le suole, i libri fotocopiati e la puzza di fumo impregnata sulla pelle chiara, punteggiata da piccoli nei sulla schiena. Con i troppi tatuaggi sul petto e l'orologio di ferro, lo stesso, sempre quello.

Raccolse lo zaino da terra, avvicinandosi la mezzo parcheggiato alla fine della strada, con il casco stretto nella mano sinistra. Vidi una piccola folla di ragazza sedute sul sedile in pelle appena lucidato e ringhiò. Odiava che toccava e distruggeva ciò che era suo, soprattutto se per ottenere quella cosa aveva dovuto sgobbare tutta l'estate sotto il sole cocente. Ma in fondo, erano ragazze, quindi decise di fare buon viso a cattivo gioco, avvicinandosi lentamente, mentre con la mano l'onera si scompigliava i capelli per attirare l'attenzione di tutte quelle ragazzine, quelle liceali.

E la vide. La vide seduta a cavalcioni sul sedile, con quella sua maglia rossa  fina, tanto stretta al punto che immaginava tutto. E quel l'aria da bambina, che, anche se non glielo disse mai, lui ci andava matto. Il sorriso largo dai denti piccoli e bianchi, la pelle diafana, i capelli lunghi e mossi, con le punte ricce che le incorniciavano il seno minuscolo, adatto già alle sue mani troppo grandi. Gli occhi grigi coperti in l'arte dalla frangia castana e le labbra sottili rosse da biasciare, quelle che avrebbe voluto mordere.

Rideva. Gesticolava. Urlava al suo amico di metterla giù quando la prendeva fra le braccia stile sposa. Metteva il broncio.

Ed Harry rimase pietrificato, con la mano sospira a mezz'aria, ancora vicina ai capelli, ma immobile e senza vita. Le labbra schiuse e gli occhi verdi incatenati da quelli così grigi.

Voleva farsi notare da quelle ragazzine, facendosi spazio con stile, con lo zaino blu in spalla e la sigaretta fra le labbra, invece dovette camminare a testa bassa, coprendosi con le braccia e sperando che lei non sentisse dalla sua posizione la puzza di fumo nel suo alito. 

Le si accostò da dietro, restando in disparte a guardarla, non interrompendo la sua chiacchierata e desiderando per la prima volta che non scendesse dal sedile del suo motorino.

«Scusa, ma chi è quello Honey?», urlò una rossa, indicando un punto dietro la spalla della mora, che si girò di scatto, facendo ondeggiare i capelli lunghi, tenendosi salda al sedile con entrambe le mani, troppo sbadata per mantenere l'equilibrio.

E lo vide. Lo vide poggiato alla carrozzeria di un'auto non troppo distante dal quel motorino di uno sconosciuto. Lo vide con la testa china, gli occhiali davanti gli occhi, i ricci che ricadevano sulla fronte larga, il naso a punta, le braccia muscolose incrociate davanti il letto scoperto dalla camicia sbottonata, i jeans rotti e scoloriti e... Una dannata sigaretta fra le labbra.

Arricciò il suo nasino all'insù, vedendo quel mozzicone inutile incastrato fra quelle labbra carnose e   perfette, facendo scattare come una molla Harry, che con un gesto fulmineo sputò la sigaretta sull'asfalto, calpestandola con foga per farla spegnere.

Cretino, ecco cos'era.

«È della nostra scuola?», chiese qualcuno, «Nono, deve essere un universitario», urlava un'altra, dando leggeri colpi sulla spalla di Honey, «E ti sta guardando», concluse la rossa.

Harry respirò profondamente. Il cuore batteva troppo velocemente, le mani sudavano un sacco e le gambe tremavano all'impazzata, tanto che ebbe paura di cascare a terra e fare l'ennesima figura di merda.

Si vicino cauto, sistemandosi la giacca sulle spalle e sorridendo dolcemente per sembrare più ducato di quanto invece non era.

«Ciao», sussurrò con voce roca alla ragazza, soffermando lo sguardo sulla maglietta attillata in cotone, che le fasciava la pancia piatta. Era carina. Ma carina non poteva bastare per lui. Harry amava le bionde con il seno prosperoso, non le more dal petto quasi piatto, le gambe troppo corte e le mani piccole.

«Ciao. Ti serve qualcosa?», chiese dolcemente Honey. Sentiva la puzza di nicotina sprigionata da quel riccio dagli occhiali scuri e la giacca in pelle nonostante facesse molto caldo. Si scostò i capelli da una spalla all'altra, facendo invece avvertire ad Harry il suo odore di vaniglia troppo forte, che lo stordì a tal l'unto che, anche se solo per un attimo, ebbe una voglia tremenda di caricarsela in spalla e fuggire dietro l'università, per farci l'amore senza mai smettere.

«È la mia moto», disse invece, quasi con una punta di sgarbatezza, come se fosse colpa sua se la sua vita era una merda, come se fosse colpa sua se stava quasi per innamorarsi.

Lui? Forse. Mai. Quasi? Innamorarsi? E se facesse male? Non ora. Doveva andare. Restare era la cosa migliore. Adesso. No, meglio domani. 

«Oh, scusa! Starai aspettando da molta. Dio che scema», balbettò nervosamente lei, stando giù velocemente. Forse troppo velocemente, perché inciampò sul cavalletto del mezzo, cadendo quasi a faccia a terra. Quasi, perché Harry ebbe giusto il tempo di allargare le braccia, prima di ritrovarsela spiaccicata al petto. E se avesse sentito il cuore battergli troppo forte. No!

La scostò velocemente da lui, come se fosse pericolosa. E forse lo era. Però era davvero carina. Egli stava bene che fosse carina, perché adesso le guance le si stavano colorando di rosso, come quella maglia da cui, finalmente, era riuscito a distogliere lo sguardo, ma solo perché era concentrato sulla sua bocca a cuore, schiusa, quasi terrorizzata.

Baciarlo. Lo voleva. Sarebbe stato il primo bacio. No, adesso no. Domani. Forse quando avrebbe fatto diciotto anni. Tra un anno? No, no! Adesso. Chiedigli il nome. E se poi pensa che lei sia malata, sciroccata? Magari dopo, quando si calma il respiro. E se non si calma? Il cuore batte troppo velocemente. Fa male.

«Sei strana», rise Harry, scostandole la frangia dagli occhi, per perdersi in quel grigio malinconico.

Ecco, lo pensava davvero. Pensava che lei fosse matta. Honey voleva solo piangere, fuggire e dire che era normale, come le sue amiche che si erano allontanate.

«Strana... In senso buono», scrollò le spalle Harry, passando l'indice lungo il profilo del volto di lei, che rabbrividì e sorrise quasi involontariamente alle parole del ragazza che puzzava di fumo.

«Sono Harry, piacere», protese una mano grande verso Honey, immobile.

Ecco, lo aveva fatto, aveva detto il suo nome ad una ragazza che non si sarebbe scopato neanche fra mille anni. Che poi, l'avrebbe voluta scopare? No! Si sarebbe fatta male.

«Honey», disse prontamente lei, bloccando i suoi pensieri sciocchi. Era perfetto, impacciato. Incastrò la mano piccola in quella del riccio, stringendola saldamente, iniziando a muoverla, senza sosta.

E si ritrovarono a ridere senza un preciso motivo, mentre quelle mani ancora non si lasciavano andare.

«Sei piccola», affermò Harry, ancora con il sorriso fra le labbra. «Ho diciassette anni, dai! Tu?», ridacchiò la mora, sfilando a malincuore la mano da quella del ragazzo, che si tolse gli occhiali per vederla meglio.

«Venti», disse a bassa voce, scostandosi innocentemente i capelli dalla fronte, «Quasi ventuno».

«Hai gli occhi verdi!», esclamò Honey, avvicinandosi a lui per osservare quelle pozze meglio da vicino. Era più che perfetto. Ma ad Honey non piacevano i ragazzi perfetti, con i capelli scuri e gli occhi verdi. Lei odiava il verde. Amava i ragazzi biondi con gli occhi azzurri, le mani delicate e non enormi e così calde.

«Ti va di... Non so... Prendere un gelato?», propose stupidamente lui, imprecando mentalmente. 

Un gelato? Odia  i gelati, ma appena vide i suoi occhi illuminarsi capì che non era poi una cattiva idea.

«Paghi tu però», sorrise lei raccogliendo la borsa da terra e passandogli accanto, ancheggiando anche troppo per i gusti del riccio. Voleva lei, adesso, lì, su quel marciapiede, davanti tutti per dimostrare al mondo intero che loro erano fatti l'uno per l'altra.

Non ho un euro, pensò, «Ok, ma solo se mi dai il tuo numero di telefono».

«Non vale. Questo si chiama ricatto!», disse con un falso broncio, puntandogli l'indice contro il petto saldo. Harry rise, afferrando quel dito così freddo a pallido fra le sue dita affusolate, «No, baby. Questo si chiama venire a patti».

Baby. L'aveva chiamata baby? Era la solita cosa volgare.

Però le piaceva.

«Hey, Hey! Vacci piano pulce», sorrise Harry levandole la bottiglia di birra dalle mani, la quarta che mandava giù troppo velocemente.

Il loro secondo appuntamento e l'aveva già portata ad una delle merde di festa che frequentava il sabato sera e lei sembrava non essersi mai ubriacata. A dire il vero sembrava che non avesse mai neanche bevuto dal collo di una bottiglia, dato che si era bagnata tutto il vestitino nero che le arrivava sopra il ginocchio, scoprendo le sue gambe corte e pallide.

«Sai che ti dico Harry?», disse Honey, traballando in avanti, ridendo sguaiatamente, senza un preciso motivo, aggrappandosi ai bicipiti di Harry con una forza tale che lo fece gemere, mentre immaginava di tenerla sotto di se, mentre gli affondava le dita fra i ricci con quella stessa forza.

«Cosa?», chiese Harry, scostandole i capelli sudati dalla fronte. Aveva le spalle scoperte ed il seno piccolo stretto nel corpetto del vestito dalla gonna larga.

Honey tacque, osservando dal basso verso l'alto il viso di Harry, il suo profilo disegnato, il mento scolpito e le guance scavate quasi tanto che era magro.

«Sei molto bello», disse inciampando nelle sue stesse parole, mentre la stanza girava.

Harry sorrise, facendo comparire le due fossette che Honey adorava a tal punto che, grazie all'alcool, riuscì a toccare per la prima volta, affondandoci dentro le dita fredde.

«Sei ubriaca», le sussurrò Harry in un orecchio, stringendola a se, dondolando qua e là, a ritmo di una musica che proveniva dall'interno della casa sulla spiaggia.

«Tu dici?», disse ridendo Honey. Si sentiva una cretina, ma l'alcool era più forte del suo buon senso, quindi continuò a ridere ed urlare come una pazza schizofrenica, incollandosi sempre più al corpo muscoloso di Harry.

Fece scontrare accidentalmente i loro bacini, mandando in ecstasi il giovane, che ansimò dolcemente nel suo orecchio pallido, baciandolo subito dopo. Era ubriaca, tanto valeva approfittarsene un po'.

No! Harry è... Piccola, pensò, mentre la vedeva avvicinarsi sempre più. Lo voleva baciare.

Harry inarcò un sopracciglio, osservando quel visino perfetto, prima di scostare il capo di lato e far scontrare le labbra di lei con la sua guancia morbida.

«Che c'è? Ti faccio schifo?», chiese Honey contrariata, allontanandosi da lui con un gesto brusco ma traballante.

«Honey, attenta», sospirò Harry, allungando nuovamente le mani verso di lei per tenerla stretta a se e non farla cadere, ma lei non ne voleva sapere e si allontanava sempre più, verso la riva.

«Lo so, lo so», disse con vice da ubriaca, «È perché non ho seno. Lo so, è troppo piccolo», rise amara, stringendo il letto fra le mani per farlo risaltare di più, facendo eccitare ancor di più Harry, che deglutì pesantemente.

«Smettila Honey, finirai per bagnarti. Vieni qui», la pregò, allungando una mano verso di lei.

La ragazza indietreggiò, sentendo i piedi bagnati dalle leggere onde del freddo mare salato a.

«Non è così? Allora perché non mi baci?», chiese lei, lasciandolo avvicinare e lasciando che le sue braccia si richiudessero sulla sua vita stretta, mentre i pollici di lui le massaggiavano i fianchi e le gambe si intrufolavano fra le sue scoperte.

«Sei troppo ubriaca», mormorò Harry, scostandole una ciocca di capelli bagnati dal viso. Però voleva baciarla.

Honey gemette contrariata, tirandolo per il colletto della camicia vicino al suo viso. «Baciami, Baciami, Baciami», continuava a lagnarsi sulle labbra carnose del riccio, a cui salì sempre più la voglia di racchiudere quelle labbra sottili e rosse nelle sue. 

Così, all'ennesimo Baciami sussurrato a fior di labbra, cedette, gemendo fortemente ed avventando su quelle labbra così carine e delicate, mordendole forte per sentirne il sapore, quasi come se volesse mangiarle.

Le loro lingue vorticavano come la mente di Honey, che dopo un po', cadde fra le bracci del riccio in un sonno profondo.

«Forse ti amo», disse il ragazzo, prendendola fra le braccia per riportarla a casa.

«Un altro» mormorò Harry, protendendosi verso di lei, che si scostò all'indietro, affondando le mani nella sabbia calda sotto di se, ridendo.

«No! Basta! Te l'ho già dato un attimo fa», gli fece la linguaccia, scostandolo da se, premendo le sue manine sul petto tonico di lui.

«Honey, dammi un bacio», rise il riccio, saltandole addosso, stendendola sotto di se, poggiando le mani ai lati della sua testa, circondata dai capelli mossi, così morbidi e profumati.

Si piegò verso verso il suo viso, sfiorandole più volte le labbra con le sue, per aumentare la voglia di far incastrare quelle lingue così ansiose.

Il fuoco scoppiettava al loro fianco, mentre i cartoni delle pizze erano abbandonati sulla tovaglia da picnic a quadroni rossi, mossa dal vento leggero.

«Ho paura», sussurrò tremolante Honey, facendo salire le mani lungo il petto di Harry, sbottonando ogni volta un bottone della sua camicia, accarezzando, quasi sfiorando con i polpastrelli delle dita i lembi di pelle scoperta, risalendo fin sulle spalle, dove fece scivolare via l'indumento lungo i suoi bicipiti, facendolo fremere.

«Honey», ansimò lui, nascondendo il viso nell'incavo della ragazza, strofinandoci il naso. Era perfetto, quel momento, loro, insieme, così vicini. «Però lo voglio», continuò ingenuamente, incastrando le dita sottili fra i ricci di lui.

«Non ti farò del male, prometto. E se ti sentirai male, lo supereremo insieme come sempre. Io e te», disse con voce roca il riccio, iniziando a baciarla con trasporta, lasciandosi stringere fra quelle braccia fragili.

Io e te, la prima volta che si sentiva legato a qualcuna. Un amore così grande.

Ansimarono, lasciando travolgere da quella passione così sfrenata che lì prendeva ogni volta che erano vicini.

«Ti amo», gemette Harry, scoprendole il seno così piccolo e chiaro, così perfetto e morbido tra le sue mani che lo rinchiudevano con leggerezza. Era sua. No, non ancora. Però mancava poco. Lui lo sapeva. Il cuore batteva troppo velocemente.

«Amami dopo», disse fra gli ansimi Honey, faticando a restare ad occhi aperti, scivolando fra le mani del riccio, che sembrava governare la sua mente, il suo corpo.

«Non farà male», le assicurò Harry, fondendo i loro corpi.

Era una bugia, Honey lo sapeva, perché sentiva solo il ventre bruciare, fastidio e voglia di piangere la invasero. Lui però era lì, con la mano stretta nella sua. Gemette di dolore, mentre gli occhi grigi se facevano lucidi. Dolore.

«Non ti lascio. Insieme, ok? Piano», le sussurrò in un orecchio Harry, baciandolo subito dopo, spingendo lentamente e respirando con lei, baciandole senza sosta il mento, suo punto debole, solo per distrarla, mentre sentiva di perdersi in lei. Non voleva più uscire  lo sapeva.

«Harry», disse sul culmine lei, stringendo gli più forte la mano. Sentiva ancora dolore mischiato ad un leggero e quasi impercettibile piacere che  stava per portarla verso un confine che non aveva mai raggiunto. Aveva paura adesso.

«Vieni, vieni amore mio», disse a fatica Harry, vicino a quel traguardo anche lui. Spinse più forte e velocemente, sentendo i muscoli della schiena contrarsi. «Vieni. Ti prendo. Lo giuro», sospirò! lasciandosi andare con lei.

«Ti amo, lo giuro», urlò al cielo! facendola sorridere sotto di se. 

Il suo grande amore

«Se corri così velocemente cadi, Honey!», la sgridò, seguendola lungo il prato del pacchetto fuori la sua scuola, vedendola rincorrere le stelle cadenti. Sembrava una bambina. Così piena di vita e.... Capricciosa. Con la sua voglia di trovare il lato positivo in tutto, la sua voglia di ridere ovunque, la sua voglia di tenerlo stretto. Ma Harry era libero. Anzi, Harry credeva di voler essere libero.

«Cazzo, Honey! Fermati!», la afferrò violentemente per i polsi! strattonandola all'indietro per arrestare la sua corsa.

«Harry», disse contrariata la ragazza. Voleva finire quella giornata felicemente, dato che era iniziata una merda. Lui, il suo essere così testardo e stronzo. Avevano litigato giusto qualche ora fa, perché? Perché lui doveva baciar e un'altra fuori scuola, stringendola come stringeva lei.

«Lasciami», lo strattonò lontano, girandosi dalla parte opposta, mentre le lacrime rincominciavano a scendere lungo le sue guance candide e morbide, delicate e lisce.

«Sei infantile, Honey», disse brusco, camminando verso un'altalena situata sotto una quercia enorme.

Perché l'aveva fatto, perché aveva baciato una che non fosse la sua Honey? Perché lui era libero, perché lui faceva cosa voleva. Anzi, voleva fumare di nuovo, drogarsi e bere. A lei non piaceva? E allora?

Tirò fuori un pacchetto di sigarette, accedendone una ed inspirando la familiare nicotina.

«Avevamo fatto un patto», ringhiò Honey, camminando furiosamente verso di lui, tirandogli bruscamente la sigaretta dalle labbra. «Non dovevi più fumare».

Harry roteò gli occhi al cielo. Il suo piccolo amore, così fragile da non permettergli di vincere il vizio di fumare e drogarsi. Così piccolo da non farlo resistere quando se ne presentava una bionda e dal seno più prosperoso.

«Me ne sbatto della tua scommessa del cazzo. Faccio quello che voglio», mormorò, alzandosi ed accendendosene una seconda, che velocemente portò alle labbra. «E baciare quella gnocca fuori l'università è stata la cosa più eccitante che faccio dopo due mesi, passati a fare il santarellina con te».

Un rumore assodante di un cuore che si infrange fu udito solo dalle orecchie di Honey, che non ebbe neanche la forza di piangere. Usata, sporca, rotta... Ecco come si sentiva. La testa pulsava e girava velocemente.

«Stronzo», ringhiò a denti stretti, raccogliendo le sue cose, pronta ad andarsene.

Lo stava lasciando? Forse non sapeva che nessuno lasciava Harry Styles, NESSUNO. Tantomeno una diciassettenne del cazzo, inesperta di sesso e rompi cazzo.

«Honey, torna qui!», le urlò da dietro, afferrandola per un polso e fermandola, tirandola troppo vivacemente verso di se, tanto da farla male. Aveva il polso piccolo e rosso, troppo rosso per la presa violenta.

«Vaffanculo!», urlò la ragazza, stampandogli uno schiaffo sulla guancia sinistra, così forte che gli fece voltare la testa di lato, facendogli sbarrare gli occhi. Aveva la mano piccola e costa mente fredda, che gli bruciava, come se un fuoco si stesse consumando sulla sua pelle. Forse si era slogata anche il polso, poiché Harry era molto più forte ed era stato come picchiare una pietra.

«Puttana che non sei altro», urlò il riccio, spingendola allineato, massaggiandosi una guancia. Lei, una stronzetta qualunque, lo aveva picchiato. A lui, Harry Styles. «Sei solo una Troia in calore».

Urlava quelle parole così pungenti che la sgretolavano sempre più. 

«Te la sei scopata la puttana!», scoppiò, voltandosi verso di lui, con i pugni serrati lungo i fianchi fragili, «Senza ritegno te la scopavi, porco!». Calpestò con foga l'erba sotto di se, quasi a formare l'impronta della suola delle sue scarpette rosse di seta.

«Capirai che affare!», sbuffò Harry, fermandola. E lo sapeva che le stava facendo male. Ma lui non era di nessuno. E lei non poteva impedirgli di scoparsene una a notte. Però lui l'amava, perché lo stava facendo? Perché voleva convincersi di desiderare una vita libera se l'unica cosa che realmente voleva era appartenerle?

«Avevi detto di amarmi mentre facevano l'amore!», pianse Honey, asciugandosi velocemente le lacrime con la manica della felpa larga, «Avevi detto che era stata anche per te la tua prima volta!».

«Appunto, l'avevo detto. Ora è cambiato», replicò Harry, incrociando le braccia e fumando ancora, la quarta sigaretta.

«Buona serata, Harry», disse infine lei. Due parole, due semplicissime parole, che fecero paralizzare Harry. Se me stava andando. Voleva che lei lo baciasse come faceva ogni volta che ritornava a casa. E in quel momento si pentì di aver fatto lo stronzo senza cuore.

«Honey, Honey, aspetta», corse verso di lei, mettendosi davanti, cercando di farsi guardare in volto, ma lei scostava sempre gli occhi verso oggetti diversi.

«Amore, guardami, guardami», mormorò dolcemente, prendendole il viso fra le mani. Limate a. Il suo piccolo amore che piangeva. 

«Hey. Hey. È un banale litigio. Adesso facciamo l'amore e tu-tutto torna come pri-prima», balbettò, stringendola a se, mettendo il mento sulla sua testa e cullandola a ritmo di una musica adesso inesistente.

«Perché sei così cattivo?», singhiozzò nel suo petto lei, stringendo la sua camicia fra le mani, bagnandola e sporcandola con il solo trucco che metteva, il mascara nero.

«Shh», sussurrò Harry, «Lo supereremo anche questo insieme».

«Vuoi funghi o piselli?», chiese Harry, prendendo le buste congelate dal frigo, mostrandogliele alla ragazza seduta sul divano, sorridente e stanca.

«È uguale», fece una smorfia di dolore, che doveva sembrare un sorriso, ma dimostrava quanto la caviglia le doleva.

Harry l'affianco, mettendole sulla gamba la busta di piselli e portandosi sopra l'occhio la suasi funghi, gemendo silenziosamente. «Abbiamo fatto una bella caduta», rise, sentendo la testa pulsare. Andare sui pattini non era stata una buona idea, M aveva voluto soddisfare, almeno per una volta i suoi desideri, quelli del suo grande amore, quell'amore che aveva ferito forse troppo.

Ma adesso le cose sembravano andare bene. Perché loro stavano bene, vero? Allora perché Honey sentiva le guance bagnate anche in quel momento, quando tutto sembrava essere perfetto? Perché quell'amore era così piccolo e fragile? Perché Harry non faceva niente per migliorare le cose?

Sentì una sua mano salirle verso la coscia, lentamente. 

«Facciamo l'amore», le sussurrò nell'orecchio, afferrandola per i fianchi e portandola nella sua stanza disordinata, illuminata solo da una piccola lampada sul comodino, che emanava una luce così debole, ma abbastanza forte da fare luce sui loro corpi. Come il loro amore.

Stava uscendo dall'università, con lo zaino blu in spalla, la sigaretta fra le labbra, anche se lei non voleva. Lei, seduta sul suo motorino, a cavalcioni, con quella maglia rossa troppo stretta. Era sorridente. E se avesse saputo? Cosa avrebbe detto quando si sarebbe resa conto che aveva fatto sesso nei cessi della facoltà con una bionda più grande di lui? Lo avrebbe perdonato adesso, di nuovo?

«Amore!», esclamò Honey, vedendolo avvicinandosi lentamente, con i ricci troppo disordinati e le mani in tasca. Il sole batteva forte quella mattina e lui sembrava più bello del solito.

Gli corse incontro, balzando giù dalla moto distrattamente, e si ancorò al suo collo, baciandolo con trasporto, baciando quelle labbra così sue. Aveva deciso. Avrebbe lottato per il suo amore. Le cose potavano aggiustarsi.

«Che ci fu qui, Honey?», chiese Harry, scostandola dolcemente dal suo corpo per guardarla in volto, per vedersi riflesso in quegli o secchi grigi e capire quanto facesse schifo. Perché lo hai fatto Harry? Perché?

«Sono due giorni che non rispondi alle mie chiamate, cucciolo», rise, trascinandolo dietro di se, stringendogli la mano e parlando, parlando per colmare quel vuoto che ogni giorno si espandeva sempre più. Lo vedeva strano, così giù, ma attribuì la colpa a qualche esame andato male.

«Voglio un gelato! Però questa volta facciamo che chi arriva prima paga!», rise la mora, iniz ado a correre e lasciandogli così la mano.

«Honey, aspetta! Honey!», urlò, ma lei era già partita, facendosi spazio fra la gente. Era pronto. Dove a dirglielo. Dirgli addio.

«Avanti, Harry. Sei lento. Guarda che paghi di nuovo tu», gli fece la linguaccia, fissando il muro poco distante da se.

«Honey fermati! Io devo-», provò a parlare, ma lei sembrava interromperlo a posta, per non sentire ciò che aveva da dire. «Honey!», la richiamò, niente. Correva, facendo oscillare i lungi capelli da una parte alla te della schiena ritta e giovane. I jeans le fasciavano le gambe perfette, quelle che aveva baciato tante notti. La ragazza dai capelli morbidi stava per andarsene dalla sua vita.

Honey corse più velocemente. Le cose si sarebbero aggiustate. Lo sapeva. Ce l'avrebbero fatta. Come diceva lui? Ah si, insieme.

Si voltò per vedere dove fosse. Era abbastanza vicino. «Chi arriva prima a quel muro-», provo a dire, ma questa volta la voce forte del riccio si fece udire fra quel fracasso della metropoli. «Honey, io non sono sicuro se ti amo davvero. Io non... Non sono sicuro!».

Lei, ferma, che tutto ad un tratto non parlava. E lui, lui capiva che soffriva, che ancora una volta l'aveva spezzata sotto il suo tocco rude e rugoso. L'aveva trasformata in una ragazzina piena di dubbi e sofferenze e, di quella allegra e sorridente che vide il primo giorno di scuola sul motorino, non restavano che foto e ricordi lontani.

«P-perché dici così?», singhiozzò la ragazza  torturandosi le mani, «Harry noi-». «Non esiste un noi, Honey!  Non è mai esistito. Tu... Io... Dio! Io non credo di amarti!», urlò esasperato, mettendosi le mani fra i capelli spettinati a causa del sesso fatto in bagno.

«Ma tu, tu avevi de-detto che ero il tuo... Gra-grande amore», singhiozzò, cercando di prendergli la mano, ma lui la scostò. «Hai mentito?».

No! Questo mai, Harry non aveva mentito. Amarla era stata la cosa più bella della sua vita. Allora perché la stai lasciando, Hazza, perché?.

«No, Honey, era la verità! Io ti amo... Ma non ti amo abbastanza».

«Che significa che non mi ami abbastanza? Harry spiegati!», era sull'orlo delle lacrime la ragazzina, quella dalla maglia troppo stretta, che lasciava immaginare tutto e niente.

«Significa che me ne sono scopate altre quando stavo con te! Anche stamattina l'ho fatto nel bagno dell'università!» scoppiò, facendole capire tutto.

Honey abbandonò le braccia lungo i fianchi, sentendosi salire il vomito alla bocca. Era troppo per lei. «Questo cambia tutto, Honey, capisci? Noi...», mormorò il riccio, avvicinandosi.

«Fanculo, Harry, sentito? Fanculo!», urlò, dandogli un pugno sul petto, allontanandosi. 

E, per la seconda volta, fu travolto dalla verità. Lei se ne stava andando. 

«Honey io», la affiancò, bloccando la sua camminata. «Tu! Tu cosa? Lasciami in pace, Harry. È finita! Finita! Sai, proprio questa mattina, mentre tu scopavi come un maiale nel bagno, io ho riflettuto su di noi, sul nostro amore. Pensavo che potevamo tornare quelli di prima, io e te, Harry e Honey, le due H. Ma tu, tu hai rovinato tutto», pianse, lasciando che le lacrime scendessero velocemente sulle sue guance. E avrebbe voluto che lui contestasse le sue parole, che le dicesse che era solo uno scherzo, che il loro amore era più grande di tutto quella merda che li circondava, e non così piccolo. Che loro si amavano, che lui le altre neanche le guardava. Invece stette in silenzio, perché Harry non sapeva che dire, che fare.

«Allora è vero», mormorò la diciassettenne, mettendosi le mani davanti le labbra sottili,«È finito tutto. Era davvero troppo fragile questo sentimento. Il nostro... Piccolo grande amore», sussurrò, con la voce impastata dal pianto.

Il loro piccolo grande amore. Queste parole rimbalzavano da una parte all'altra della mente di Harry. E se ne pentiva, ma adesso era finita. Adesso che si rendeva conto che lei era un piccolo grande amore, solo un piccolo grande amore, niente più di questo, niente più. Gli mancava già da morire quel suo piccolo grande amore, adesso che saprebbe cosa fare, adesso che saprebbe cosa dire, adesso che vorrebbe un piccola grande amore. Ma lei stava già camminando dalla parte opposta alla sua e, quella maglietta, si faceva sempre più lontana.

Ci sono amori che durano per l'eternità, altri che si consumano nel tempo, lasciando solo parole sospese a mezz'aria, altri, invece, che consumano te, lasciandoti solo le rughe dovute alle lacrime che per troppi giorni hanno solcato le tue guance. Baci che diventando solo sospiri lontani, canzoni troppo silenziose, ti amo troppo remoti e foto racchiuse in un album.



Harry era solo un ragazzino di vent'anni. Fumo e moto erano all'ordine del giorno. Le ragazz? Solo divertimento, niente più. Camminava con le sue scarpe bianche rotte, i jeans strappati e troppo stretti e la camicia sbottonata verso l'altezza del petto. I capelli ricci e spettinati tirati indietro dalla troppa lacca, gli occhi verdi sempre oscurati dagli occhiali da sole anche in inverno, quando la neve si posava sul solito cappotto di pelle e le labbra rosee e piene si screpolavano, tanto che doveva passarci la lingua sopra spesso, per inumidirle. Era solo un ragazzino che non ricordava l'ultima volta che aveva salutato la madre con un bacio sulla guancia, l'ultima volta che aveva discusso sul divano con il padre della partita di calcio, del Manchester e dei suoi giocatori. Adesso era solo Harry, il bello dell'università, poggiato sul muretto vicino gli scalini principali della facoltà di ingegneria, con il mozzicone delle sigaretta fra le labbra e le mani nelle tasche.


Rideva.


Rideva per la cazzata del suo amico Josh, che continuava a far scattare gli antifurti delle auto dei prof, nascondendosi poi dietro il motorino rosso del riccio, con le mani davanti la bocca per smorzare le risate.


«Dovresti trovarti una ragazza», mormorò Carl, accostandosi a lui, con gli occhiali da vista enormi sul naso adunco, con il suo volto troppo scuro e i denti storti. «E dovresti smettere di fumarti queste porcherie», continuò risoluto, sfilandogli la cicca dalla bocca, calpestandola in fretta sotto la scarpa di pelle marrone, guardando severamente il volto del ragazzo dagli occhi troppo verdi.


«Dovrei», rispose solo Harry, accendendosene un'altra, inspirando la nicotina, per poi buttare tutto fuori sul volto dell'amico, che tossì fortemente, tappandosi quel naso grande con la mano sinistra, roteando gli occhi al cielo. «E la ragazza non la voglio», rise, scendendo velocemente gli scalini per dirigersi verso la sua moto. Lui era forte da solo, così com'era, con i suoi jeans vecchi e le scarpe bucate sotto le suole, i libri fotocopiati e la puzza di fumo impregnata sulla pelle chiara, punteggiata da piccoli nei sulla schiena. Con i troppi tatuaggi sul petto e l'orologio di ferro, lo stesso, sempre quello.


Raccolse lo zaino da terra, avvicinandosi al mezzo parcheggiato alla fine della strada, con il casco stretto nella mano sinistra. Vide una piccola folla di ragazza sedute sul sedile in pelle appena lucidato e ringhiò. Odiava chi toccava e distruggeva ciò che era suo, soprattutto se per ottenere quella cosa aveva dovuto sgobbare tutta l'estate sotto il sole cocente. Ma in fondo, erano ragazze, quindi decise di fare buon viso a cattivo gioco, avvicinandosi lentamente, mentre con la mano libera si scompigliava i capelli per attirare l'attenzione di tutte quelle ragazzine, quelle liceali.


E la vide.


La vide seduta a cavalcioni sul sedile, con quella sua maglia rossa  fina, tanto stretta al punto che immaginava tutto. E quell'aria da bambina, che, anche se non glielo disse mai, lui ci andava matto. Il sorriso largo dai denti piccoli e bianchi, la pelle diafana, i capelli lunghi e mossi, con le punte ricce che le incorniciavano il seno minuscolo, adatto già alle sue mani troppo grandi. Gli occhi grigi coperti in parte dalla frangia castana e le labbra sottili rosse da biaciare, quelle che avrebbe voluto mordere.


Rideva. Gesticolava. Urlava al suo amico di metterla giù quando la prendeva fra le braccia stile sposa. Metteva il broncio.


Ed Harry rimase pietrificato, con la mano sospesa a mezz'aria, ancora vicina ai capelli, ma immobile e senza vita. Le labbra schiuse e gli occhi verdi incatenati da quelli così grigi.Voleva farsi notare da quelle ragazzine, facendosi spazio con stile, con lo zaino blu in spalla e la sigaretta fra le labbra, invece dovette camminare a testa bassa, coprendosi con le braccia e sperando che lei non sentisse dalla sua posizione la puzza di fumo nel suo alito. Le si accostò da dietro, restando in disparte a guardarla, non interrompendo la sua chiacchierata e desiderando per la prima volta che non scendesse dal sedile del suo motorino.


«Scusa, ma chi è quello Honey?», urlò una rossa, indicando un punto dietro la spalla della mora, che si girò di scatto, facendo ondeggiare i capelli lunghi, tenendosi salda al sedile con entrambe le mani, troppo sbadata per mantenere l'equilibrio.


E lo vide.


Lo vide poggiato alla carrozzeria di un'auto non troppo distante dal quel motorino di uno sconosciuto. Lo vide con la testa china, gli occhiali davanti gli occhi, i ricci che ricadevano sulla fronte larga, il naso a punta, le braccia muscolose incrociate davanti il petto scoperto dalla camicia sbottonata, i jeans rotti e scoloriti e... Una dannata sigaretta fra le labbra.


Arricciò il suo nasino all'insù, vedendo quel mozzicone inutile incastrato fra quelle labbra carnose e perfette, facendo scattare come una molla Harry, che con un gesto fulmineo sputò la sigaretta sull'asfalto, calpestandola con foga per farla spegnere.Cretino, ecco cos'era.


«È della nostra scuola?», chiese qualcuno, «Nono, deve essere un universitario», urlava un'altra, dando leggeri colpi sulla spalla di Honey, «E ti sta guardando», concluse la rossa.


Harry respirò profondamente. Il cuore batteva troppo velocemente, le mani sudavano un sacco e le gambe tremavano all'impazzata, tanto che ebbe paura di cascare a terra e fare l'ennesima figura di merda. Si avvicinò cauto, sistemandosi la giacca sulle spalle e sorridendo dolcemente per sembrare più educato di quanto invece non era.


«Ciao», sussurrò con voce roca alla ragazza, soffermando lo sguardo sulla maglietta attillata in cotone, che le fasciava la pancia piatta. Era carina. Ma carina non poteva bastare per lui. Harry amava le bionde con il seno prosperoso, non le more dal petto quasi piatto, le gambe troppo corte e le mani piccole.


«Ciao. Ti serve qualcosa?», chiese dolcemente Honey. Sentiva la puzza di nicotina sprigionata da quel riccio dagli occhiali scuri e la giacca in pelle nonostante facesse molto caldo. Si scostò i capelli da una spalla all'altra, facendo invece avvertire ad Harry il suo odore di vaniglia troppo forte, che lo stordì a tal punto che, anche se solo per un attimo, ebbe una voglia tremenda di caricarsela in spalla e fuggire dietro l'università, per farci l'amore senza mai smettere


.«È la mia moto», disse invece, quasi con una punta di sgarbatezza, come se fosse colpa sua se la sua vita era una merda, come se fosse colpa sua se stava quasi per innamorarsi. Lui? Forse. Mai. Quasi? Innamorarsi? E se facesse male? Non ora. Doveva andare. Restare era la cosa migliore. Adesso. No, meglio domani. 


«Oh, scusa! Starai aspettando da molto. Dio che scema», balbettò nervosamente lei, saltando giù velocemente. Forse troppo velocemente, perché inciampò sul cavalletto del mezzo, cadendo quasi a faccia a terra. Quasi, perché Harry ebbe giusto il tempo di allargare le braccia, prima di ritrovarsela spiaccicata al petto. E se avesse sentito il cuore battergli troppo forte? No!La scostò velocemente da lui, come se fosse pericolosa. E forse lo era. Però era davvero carina. Egli stava bene che fosse carina, perché adesso le guance le si stavano colorando di rosso, come quella maglia da cui, finalmente, era riuscito a distogliere lo sguardo, ma solo perché era concentrato sulla sua bocca a cuore, schiusa, quasi terrorizzata.


Baciarlo. Lo voleva. Sarebbe stato il primo bacio. No, adesso no. Domani. Forse quando avrebbe fatto diciotto anni. Tra un anno? No, no! Adesso. Chiedigli il nome. E se poi pensa che lei sia malata, sciroccata? Magari dopo, quando si calma il respiro. E se non si calma? Il cuore batte troppo velocemente. Fa male.


«Sei strana», rise Harry, scostandole la frangia dagli occhi, per perdersi in quel grigio malinconico.


Ecco, lo pensava davvero. Pensava che lei fosse matta. Honey voleva solo piangere, fuggire e dire che era normale, come le sue amiche che si erano allontanate.


«Strana... In senso buono», scrollò le spalle Harry, passando l'indice lungo il profilo del volto di lei, che rabbrividì e sorrise quasi involontariamente alle parole del ragazzo che puzzava di fumo. «Sono Harry, piacere», protese una mano grande verso Honey, immobile. Ecco, lo aveva fatto, aveva detto il suo nome ad una ragazza che non si sarebbe scopato neanche fra mille anni. Che poi, l'avrebbe voluta scopare? No! Si sarebbe fatta male.


«Honey», disse prontamente lei, bloccando i suoi pensieri sciocchi. Era perfetto, impacciato. Incastrò la mano piccola in quella del riccio, stringendola saldamente, iniziando a muoverla, senza sosta. E si ritrovarono a ridere senza un preciso motivo, mentre quelle mani ancora non si lasciavano andare.


«Sei piccola», affermò Harry, ancora con il sorriso fra le labbra. «Ho diciassette anni, dai! Tu?», ridacchiò la mora, sfilando a malincuore la mano da quella del ragazzo, che si tolse gli occhiali per vederla meglio. «Venti», disse a bassa voce, scostandosi innocentemente i capelli dalla fronte, «Quasi ventuno».


«Hai gli occhi verdi!», esclamò Honey, avvicinandosi a lui per osservare quelle pozze meglio da vicino. Era più che perfetto. Ma ad Honey non piacevano i ragazzi perfetti, con i capelli scuri e gli occhi verdi. Lei odiava il verde. Amava i ragazzi biondi con gli occhi azzurri, le mani delicate e non enormi e così calde.


«Ti va di... Non so... Prendere un gelato?», propose stupidamente lui, imprecando mentalmente. Un gelato? Odiava  i gelati, ma appena vide i suoi occhi illuminarsi capì che non era poi una cattiva idea.


«Paghi tu però», sorrise lei raccogliendo la borsa da terra e passandogli accanto, ancheggiando anche troppo per i gusti del riccio. Voleva lei, adesso, lì, su quel marciapiede, davanti tutti per dimostrare al mondo intero che loro erano fatti l'uno per l'altra.


Non ho un euro, pensò, «Ok, ma solo se mi dai il tuo numero di telefono». «Non vale. Questo si chiama ricatto!», disse con un falso broncio lei, puntandogli l'indice contro il petto saldo. Harry rise, afferrando quel dito così freddo a pallido fra le sue dita affusolate, «No, baby. Questo si chiama venire a patti».


Baby. L'aveva chiamata baby? Era la solita cosa volgare. Però le piaceva.


 


«Hey, Hey! Vacci piano pulce», sorrise Harry levandole la bottiglia di birra dalle mani, la quarta che mandava giù troppo velocemente. Il loro secondo appuntamento e l'aveva già portata ad una delle merde di festa che frequentava il sabato sera e lei sembrava non essersi mai ubriacata. A dire il vero sembrava che non avesse mai neanche bevuto dal collo di una bottiglia, dato che si era bagnata tutto il vestitino nero che le arrivava sopra il ginocchio, scoprendo le sue gambe corte e pallide.


«Sai che ti dico Harry?», disse Honey, traballando in avanti, ridendo sguaiatamente, senza un preciso motivo, aggrappandosi ai bicipiti di Harry con una forza tale che lo fece gemere, mentre immaginava di tenerla sotto di se, mentre gli affondava le dita fra i ricci con quella stessa forza.


«Cosa?», chiese Harry, scostandole i capelli sudati dalla fronte. Aveva le spalle scoperte ed il seno piccolo stretto nel corpetto del vestito dalla gonna larga.


Honey tacque, osservando dal basso verso l'alto il viso di Harry, il suo profilo disegnato, il mento scolpito e le guance scavate quasi tanto che era magro. «Sei molto bello», disse inciampando nelle sue stesse parole, mentre la stanza girava. Harry sorrise, facendo comparire le due fossette che Honey adorava a tal punto che, grazie all'alcool, riuscì a toccare per la prima volta, affondandoci dentro le dita fredde.


«Sei ubriaca», le sussurrò Harry in un orecchio, stringendola a se, dondolando qua e là, a ritmo di una musica che proveniva dall'interno della casa sulla spiaggia.


«Tu dici?», disse ridendo Honey. Si sentiva una cretina, ma l'alcool era più forte del suo buon senso, quindi continuò a ridere ed urlare come una pazza schizzofrenica, incollandosi sempre più al corpo muscoloso di Harry. Fece scontrare accidentalmente i loro bacini, mandando in ecstasi il giovane, che ansimò dolcemente nel suo orecchio pallido, baciandolo subito dopo. Era ubriaca, tanto valeva approfittarsene un po'. No! Harry è... Piccola, pensò, mentre la vedeva avvicinarsi sempre più.


Lo voleva baciare.


Harry inarcò un sopracciglio, osservando quel visino perfetto, prima di scostare il capo di lato e far scontrare le labbra di lei con la sua guancia morbida.


«Che c'è? Ti faccio schifo?», chiese Honey contrariata, allontanandosi da lui con un gesto brusco ma traballante. «Honey, attenta», sospirò Harry, allungando nuovamente le mani verso di lei per tenerla stretta a se e non farla cadere, ma lei non ne voleva sapere e si allontanava sempre più, verso la riva.


«Lo so, lo so», disse con voce da ubriaca, «È perché non ho seno. Lo so, è troppo piccolo», rise amara, stringendo il petto fra le mani per farlo risaltare di più, facendo eccitare ancor di più Harry, che deglutì pesantemente. «Smettila Honey, finirai per bagnarti. Vieni qui», la pregò, allungando una mano verso di lei. La ragazza indietreggiò, sentendo i piedi bagnati dalle leggere onde del freddo mare salato.


«Non è così? Allora perché non mi baci?», chiese lei, lasciandolo avvicinare e lasciando che le sue braccia si richiudessero sulla sua vita stretta, mentre i pollici di lui le massaggiavano i fianchi e le gambe si intrufolavano fra le sue scoperte. «Sei troppo ubriaca», mormorò Harry, scostandole una ciocca di capelli bagnati dal viso. Però voleva baciarla. Honey gemette contrariata, tirandolo per il colletto della camicia vicino al suo viso. «Baciami, Baciami, Baciami», continuava a lagnarsi sulle labbra carnose del riccio, a cui salì sempre più la voglia di racchiudere quelle labbra sottili e rosse nelle sue. Così, all'ennesimo Baciami sussurrato a fior di labbra, cedette, gemendo fortemente ed avventandosi su quelle labbra così carine e delicate, mordendole forte per sentirne il sapore, quasi come se volesse mangiarle. Le loro lingue vorticavano come la mente di Honey, che dopo un po', cadde fra le braccia del riccio in un sonno profondo.


«Forse ti amo», disse il ragazzo, prendendola fra le braccia per riportarla a casa.


 


«Un altro» mormorò Harry, protendendosi verso di lei, che si scostò all'indietro, affondando le mani nella sabbia calda sotto di se, ridendo.«No! Basta! Te l'ho già dato un attimo fa», gli fece la linguaccia, scostandolo da se, premendo le sue manine sul petto tonico di lui. «Honey, dammi un bacio», rise il riccio, saltandole addosso, stendendola sotto di se, poggiando le mani ai lati della sua testa, circondata dai capelli mossi, così morbidi e profumati. Si piegò verso verso il suo viso, sfiorandole più volte le labbra con le sue, per aumentare la voglia di far incastrare quelle lingue così ansiose.


Il fuoco scoppiettava al loro fianco, mentre i cartoni delle pizze erano abbandonati sulla tovaglia da picnic a quadroni rossi, mossa dal vento leggero.


«Ho paura», sussurrò tremolante Honey, facendo salire le mani lungo il petto di Harry, sbottonando ogni volta un bottone della sua camicia, accarezzando, quasi sfiorando con i polpastrelli delle dita i lembi di pelle scoperta, risalendo fin sulle spalle, dove fece scivolare via l'indumento lungo i suoi bicipiti, facendolo fremere.


«Honey», ansimò lui, nascondendo il viso nell'incavo della ragazza, strofinandoci il naso. Era perfetto, quel momento, loro, insieme, così vicini.


«Però lo voglio», continuò ingenuamente, incastrando le dita sottili fra i ricci di lui.


«Non ti farò del male, prometto. E se ti sentirai male, lo supereremo insieme come sempre. Io e te», disse con voce roca il riccio, iniziando a baciarla con trasporto, lasciandosi stringere fra quelle braccia fragili.Io e te, la prima volta che si sentiva legato a qualcuna. Un amore così grande.


Ansimarono, lasciandosi travolgere da quella passione così sfrenata che li prendeva ogni volta che erano vicini. «Ti amo», gemette Harry, scoprendole il seno così piccolo e chiaro, così perfetto e morbido tra le sue mani che lo rinchiudevano con leggerezza. Era sua. No, non ancora. Però mancava poco. Lui lo sapeva. Il cuore batteva troppo velocemente. «Amami dopo», disse fra gli ansimi Honey, faticando a restare ad occhi aperti, scivolando fra le mani del riccio, che sembrava governare la sua mente, il suo corpo.


«Non farà male», le assicurò Harry, fondendo i loro corpi. Era una bugia, Honey lo sapeva, perché sentiva solo il ventre bruciare, fastidio e voglia di piangere la invasero. Lui però era lì, con la mano stretta nella sua. Gemette di dolore, mentre gli occhi grigi si facevano lucidi.


Dolore.


«Non ti lascio. Insieme, ok? Piano», le sussurrò in un orecchio Harry, baciandolo subito dopo, spingendo lentamente e respirando con lei, baciandole senza sosta il mento, suo punto debole, solo per distrarla, mentre sentiva di perdersi in lei. Non voleva più uscire  lo sapeva. «Harry», disse sul culmine lei, stringendogli più forte la mano. Sentiva ancora dolore mischiato ad un leggero e quasi impercettibile piacere che  stava per portarla verso un confine che non aveva mai raggiunto. Aveva paura adesso. «Vieni, vieni amore mio», disse a fatica Harry, vicino a quel traguardo anche lui. Spinse più forte e velocemente, sentendo i muscoli della schiena contrarsi. «Vieni. Ti prendo. Lo giuro», sospirò, lasciandosi andare con lei. «Ti amo, lo giuro», urlò al cielo, facendola sorridere sotto di se. Il suo grande amore.


 


 


«Se corri così velocemente cadi, Honey!», la sgridò, seguendola lungo il prato del parchetto fuori la sua scuola, vedendola rincorrere le stelle cadenti. Sembrava una bambina. Così piena di vita e.... Capricciosa. Con la sua voglia di trovare il lato positivo in tutto, la sua voglia di ridere ovunque, la sua voglia di tenerlo stretto. Ma Harry era libero. Anzi, Harry credeva di voler essere libero.«Cazzo, Honey! Fermati!», la afferrò violentemente per i polsi, strattonandola all'indietro per arrestare la sua corsa.


«Harry», disse contrariata la ragazza. Voleva finire quella giornata felicemente, dato che era iniziata una merda. Lui, il suo essere così testardo e stronzo. Avevano litigato giusto qualche ora fa, perché? Perché lui doveva baciare un'altra fuori scuola, stringendola come stringeva lei. «Lasciami», lo strattonò lontano, girandosi dalla parte opposta, mentre le lacrime rincominciavano a scendere lungo le sue guance candide e morbide, delicate e lisce.


«Sei infantile, Honey», disse brusco, camminando verso un'altalena situata sotto una quercia enorme. Perché l'aveva fatto, perché aveva baciato una che non fosse la sua Honey? Perché lui era libero, perché lui faceva cosa voleva. Anzi, voleva fumare di nuovo, drogarsi e bere. A lei non piaceva? E allora? Tirò fuori un pacchetto di sigarette, accedendone una ed inspirando la familiare nicotina. «Avevamo fatto un patto», ringhiò Honey, camminando furiosamente verso di lui, tirandogli bruscamente la sigaretta dalle labbra. «Non dovevi più fumare». Harry roteò gli occhi al cielo. Il suo piccolo amore, così fragile da non permettergli di vincere il vizio di fumare e drogarsi. Così piccolo da non farlo resistere quando se ne presentava una bionda e dal seno più prosperoso.


«Me ne sbatto della tua scommessa del cazzo. Faccio quello che voglio», mormorò, alzandosi ed accendendosene una seconda, che velocemente portò alle labbra. «E baciare quella gnocca fuori l'università è stata la cosa più eccitante che faccio dopo due mesi, passati a fare il santarellino con te».


Un rumore assodante di un cuore che si infrange fu udito solo dalle orecchie di Honey, che non ebbe neanche la forza di piangere. Usata, sporca, rotta... Ecco come si sentiva. La testa pulsava e girava velocemente. «Stronzo», ringhiò a denti stretti, raccogliendo le sue cose, pronta ad andarsene.


Lo stava lasciando? Forse non sapeva che nessuno lasciava Harry Styles, NESSUNO. Tantomeno una diciassettenne del cazzo, inesperta di sesso e rompi cazzo. «Honey, torna qui!», le urlò da dietro, afferrandola per un polso e fermandola, tirandola troppo vivacemente verso di se, tanto da farla male. Aveva il polso piccolo e rosso, troppo rosso per la presa violenta. «Vaffanculo!», urlò la ragazza, stampandogli uno schiaffo sulla guancia sinistra, così forte che gli fece voltare la testa di lato, facendogli sbarrare gli occhi. Aveva la mano piccola e costantemente fredda, che gli bruciava, come se un fuoco si stesse consumando sulla sua pelle. Forse si era slogata anche il polso, poiché Harry era molto più forte ed era stato come picchiare una pietra.


«Puttana che non sei altro», urlò il riccio, spingendola di lato, massaggiandosi una guancia. Lei, una stronzetta qualunque, lo aveva picchiato. A lui, Harry Styles.


«Sei solo una Troia in calore». Urlava quelle parole così pungenti che la sgretolavano sempre più. 


«Te la sei scopata la puttana!», scoppiò, voltandosi verso di lui, con i pugni serrati lungo i fianchi fragili, «Senza ritegno te la scopavi, porco!». Calpestò con foga l'erba sotto di se, quasi a formare l'impronta della suola delle sue scarpette rosse di seta.


«Capirai che affare!», sbuffò Harry, fermandola. E lo sapeva che le stava facendo male. Ma lui non era di nessuno. E lei non poteva impedirgli di scoparsene una a notte. Però lui l'amava, perché lo stava facendo? Perché voleva convincersi di desiderare una vita libera se l'unica cosa che realmente voleva era appartenerle?


«Avevi detto di amarmi mentre facevano l'amore!», pianse Honey, asciugandosi velocemente le lacrime con la manica della felpa larga, «Avevi detto che era stata anche per te la tua prima volta!».


«Appunto, l'avevo detto. Ora è cambiato», replicò Harry, incrociando le braccia e fumando ancora, la quarta sigaretta.


«Buona serata, Harry», disse infine lei. Due parole, due semplicissime parole, che fecero paralizzare Harry. Se ne stava andando. Voleva che lei lo baciasse come faceva ogni volta che ritornava a casa. E in quel momento si pentì di aver fatto lo stronzo senza cuore. «Honey, Honey, aspetta», corse verso di lei, mettendosi davanti, cercando di farsi guardare in volto, ma lei scostava sempre gli occhi verso oggetti diversi.


«Amore, guardami, guardami», mormorò dolcemente, prendendole il viso fra le mani. Il suo piccolo amore che piangeva. «Hey. Hey. È un banale litigio. Adesso facciamo l'amore e tu-tutto torna come pri-prima», balbettò, stringendola a se, mettendo il mento sulla sua testa e cullandola a ritmo di una musica adesso inesistente. «Perché sei così cattivo?», singhiozzò nel suo petto lei, stringendo la sua camicia fra le mani, bagnandola e sporcandola con il solo trucco che metteva, il mascara nero. «Shh», sussurrò Harry, «Lo supereremo anche questo insieme».


 


«Vuoi funghi o piselli?», chiese Harry, prendendo le buste congelate dal frigo, mostrandogliele alla ragazza seduta sul divano, sorridente e stanca.


«È uguale», fece una smorfia di dolore, che doveva sembrare un sorriso, ma dimostrava quanto la caviglia le doleva.


Harry l'affiancò, mettendole sulla gamba la busta di piselli e portandosi sopra l'occhio la sua di funghi, gemendo silenziosamente. «Abbiamo fatto una bella caduta», rise, sentendo la testa pulsare. Andare sui pattini non era stata una buona idea, ma aveva voluto soddisfare, almeno per una volta i suoi desideri, quelli del suo grande amore, quell'amore che aveva ferito forse troppo.Ma adesso le cose sembravano andare bene. Perché loro stavano bene, vero? Allora perché Honey sentiva le guance bagnate anche in quel momento, quando tutto sembrava essere perfetto? Perché quell'amore era così piccolo e fragile? Perché Harry non faceva niente per migliorare le cose?


Sentì una sua mano salirle verso la coscia, lentamente. «Facciamo l'amore», le sussurrò nell'orecchio, afferrandola per i fianchi e portandola nella sua stanza disordinata, illuminata solo da una piccola lampada sul comodino, che emanava una luce così debole, ma abbastanza forte da fare luce sui loro corpi. Come il loro amore.


 


Stava uscendo dall'università, con lo zaino blu in spalla, la sigaretta fra le labbra, anche se lei non voleva.


Lei, seduta sul suo motorino, a cavalcioni, con quella maglia rossa troppo stretta. Era sorridente. E se avesse saputo? Cosa avrebbe detto quando si sarebbe resa conto che aveva fatto sesso nei cessi della facoltà con una bionda più grande di lui? Lo avrebbe perdonato adesso, di nuovo?


«Amore!», esclamò Honey, vedendolo avvicinanrsi lentamente, con i ricci troppo disordinati e le mani in tasca. Il sole batteva forte quella mattina e lui sembrava più bello del solito.Gli corse incontro, balzando giù dalla moto distrattamente, e si ancorò al suo collo, baciandolo con trasporto, baciando quelle labbra così sue. Aveva deciso. Avrebbe lottato per il suo amore. Le cose potavano aggiustarsi.


«Che ci fai qui, Honey?», chiese Harry, scostandola dolcemente dal suo corpo per guardarla in volto, per vedersi riflesso in quegli occhi grigi e capire quanto facesse schifo. Perché lo hai fatto Harry? Perché?


«Sono due giorni che non rispondi alle mie chiamate, cucciolo», rise, trascinandolo dietro di se, stringendogli la mano e parlando, parlando per colmare quel vuoto che ogni giorno si espandeva sempre più. Lo vedeva strano, così giù, ma attribuì la colpa a qualche esame andato male.


«Voglio un gelato! Però questa volta facciamo che chi arriva prima paga!», rise la mora, iniziando a correre e lasciandogli così la mano. «Honey, aspetta! Honey!», urlò, ma lei era già partita, facendosi spazio fra la gente. Era pronto. Doveva dirglielo. Dirgli addio.


«Avanti, Harry. Sei lento. Guarda che paghi di nuovo tu», gli fece la linguaccia, fissando il muro poco distante da se. «Honey fermati! Io devo-», provò a parlare, ma lei sembrava interromperlo a posta, per non sentire ciò che aveva da dire. «Honey!», la richiamò, niente. Correva, facendo oscillare i lungi capelli da una parte all'altra della schiena ritta e giovane. I jeans le fasciavano le gambe perfette, quelle che aveva baciato tante notti. La ragazza dai capelli morbidi stava per andarsene dalla sua vita.


Honey corse più velocemente. Le cose si sarebbero aggiustate. Lo sapeva. Ce l'avrebbero fatta. Come diceva lui? Ah si, insieme.Si voltò per vedere dove fosse. Era abbastanza vicino.


«Chi arriva prima a quel muro-», provò a dire, ma questa volta la voce forte del riccio si fece udire fra quel fracasso della metropoli.


«Honey, io non sono sicuro se ti amo davvero. Io non... Non sono sicuro!».


Lei, ferma, che tutto ad un tratto non parlava. E lui, lui capiva che soffriva, che ancora una volta l'aveva spezzata sotto il suo tocco rude e rugoso. L'aveva trasformata in una ragazzina piena di dubbi e sofferenze e, di quella allegra e sorridente che vide il primo giorno di scuola sul motorino, non restavano che foto e ricordi lontani.


«P-perché dici così?», singhiozzò la ragazza  torturandosi le mani, «Harry noi-». «Non esiste un noi, Honey!  Non è mai esistito. Tu... Io... Dio! Io non credo di amarti!», urlò esasperato, mettendosi le mani fra i capelli spettinati a causa del sesso fatto in bagno. «Ma tu, tu avevi de-detto che ero il tuo... Gra-grande amore», singhiozzò, cercando di prendergli la mano, ma lui la scostò. «Hai mentito?».


No! Questo mai, Harry non aveva mentito. Amarla era stata la cosa più bella della sua vita. Allora perché la stai lasciando, Hazza, perché?.


«No, Honey, era la verità! Io ti amo... Ma non ti amo abbastanza».


«Che significa che non mi ami abbastanza? Harry spiegati!», era sull'orlo delle lacrime la ragazzina, quella dalla maglia troppo stretta, che lasciava immaginare tutto e niente.


«Significa che me ne sono scopate altre quando stavo con te! Anche stamattina l'ho fatto nel bagno dell'università!» scoppiò, facendole capire tutto.


Honey abbandonò le braccia lungo i fianchi, sentendosi salire il vomito alla bocca. Era troppo per lei.


«Questo cambia tutto, Honey, capisci? Noi...», mormorò il riccio, avvicinandosi.


«Fanculo, Harry, sentito? Fanculo!», urlò, dandogli un pugno sul petto, allontanandosi. E, per la seconda volta, fu travolto dalla verità. Lei se ne stava andando. «Honey io», la affiancò, bloccando la sua camminata.


«Tu! Tu cosa? Lasciami in pace, Harry. È finita! Finita! Sai, proprio questa mattina, mentre tu scopavi come un maiale nel bagno, io ho riflettuto su di noi, sul nostro amore. Pensavo che potevamo tornare quelli di prima, io e te, Harry e Honey, le due H. Ma tu, tu hai rovinato tutto», pianse, lasciando che le lacrime scendessero velocemente sulle sue guance. E avrebbe voluto che lui contestasse le sue parole, che le dicesse che era solo uno scherzo, che il loro amore era più grande di tutto quella merda che li circondava, e non così piccolo. Che loro si amavano, che lui le altre neanche le guardava. Invece stette in silenzio, perché Harry non sapeva che dire, che fare.


«Allora è vero», mormorò la diciassettenne, mettendosi le mani davanti le labbra sottili,«È finito tutto. Era davvero troppo fragile questo sentimento. Il nostro... Piccolo grande amore», sussurrò, con la voce impastata dal pianto.


Il loro piccolo grande amore.


Queste parole rimbalzavano da una parte all'altra della mente di Harry. E se ne pentiva, ma adesso era finita.


Adesso che si rendeva conto che lei era un piccolo grande amore, solo un piccolo grande amore, niente più di questo, niente più. Gli mancava già da morire quel suo piccolo grande amore, adesso che saprebbe cosa fare, adesso che saprebbe cosa dire, adesso che vorrebbe un piccolo grande amore.


Ma lei stava già camminando dalla parte opposta alla sua e, quella maglietta, si faceva sempre più lontana.


 

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Pretty_Liar