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Autore: justinbieber    07/04/2014    15 recensioni
Life Out of Control è il continuo della storia 6 Days
“Evelyn aveva perso sonno pensando alle cose che sarebbero potuti essere.”
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber, Nuovo personaggio, Scooter Braun
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Justin’s Point of View:
 
Evelyn poteva provarci quanto voleva ma non sarebbe riuscita a fregarmi.

Per quanto si sforzasse di parlare con nonchalance del suo nuovo appartamento all’interno dell’università, di guardarmi dritto negli occhi o di seguire i miei discorsi, sapevo che dentro di lei stava esplodendo. La fregano gli occhi luminosi, il sorriso stampato sulle labbra a ogni mia affermazione, le mani tremolanti che gesticolavano per poi avvolgersi nuovamente intorno alla vita e il piede destro che lentamente – e probabilmente anche inconsciamente – tracciava cerchi invisibili contro l’asfalto.

Non mi dispiaceva che la situazione non fosse cambiata.

Non appena finì di raccontare, a grandi linee, cosa le era successo negli ultimi mesi, si guardò intorno inumidendosi le labbra. “Che facciamo qui fuori?” Sorrise ritornando a me.
Alzai le spalle prima di posare la schiena contro la parete. “Non ne ho idea ma non ho intenzione di ritornare dentro.” Feci un respiro prima di portarmi le mani nelle tasche dei jeans. “Sono venuto qua per rivedere i miei amici, per divertirmi un po’.”
Continuò a guardarsi intorno come se aspettasse l’arrivo di qualcuno. “Perché non ti stai divertendo?” Sorrise incrociando le braccia contro il petto.
Ricambiai il sorriso scuotendo la testa. “Sì, certo ma …”

Evelyn’s Point of View:

Lo guardai per qualche secondo aspettando che finisse la frase.
Rimase con le labbra socchiuse e lo sguardo perso nel vuoto.

“Ma…?” Ripetei la sua ultima parola cercando di farlo ritornare sul pianeta Terra.
“Vuoi venire a fare un giro in macchina?”
“Dopo vieni con me? Andiamo a prendere qualcosa al bar?”
Questa volta non mi sorrise, non mi diede le spalle, non sentii nessun ticchettio di orologio – solo il battito cardiaco accelerare.
Per quanto volessi ricadere di nuovo nella sua trappola d’amore, non potevo farlo succedere.

Scossi la testa facendo un passo indietro. “Credo che ci stiano aspettando …” Indicai dietro di me con il pollice, “Dentro.”
“E allora?”
Mi sentii la testa fluttuare nell’aria intorno a me e, per quanto non volessi stare in sua compagnia, mi ritrovai ad annuire.


Con lo sguardo fisso sulla strada deserta di fronte a noi, sentii l’umiliazione impregnarsi sulla mia pelle. Come un secchio di acqua gelida, il ricordo di ciò che gli avevo scritto mesi prima mi colpì rendendomi più imbarazzante di quanto potessi già esserlo.

Mi voltai leggermente verso Justin; con un mezzo sorriso faceva pressione sul pedale dell’acceleratore, le braccia tese e lo sguardo di uno che sa il suo, continuando a pavoneggiare la sua Lamborghini.
“Ah,” Sorrise togliendo una mano dal voltante. “Senti qua.” Accese la radio e iniziò a far dondolare la testa in avanti e indietro seguendo il ritmo.
La musica proveniva da ogni parte.
Chiusi gli occhi e lo seguii con la testa per qualche secondo. “Forte.” Sussurrai allungando la e finale.
“Cazzo se è forte!” Rise accentuando la stretta sul volante.

L’idea di poterlo sentire ridere di nuovo, di vedere le sue mani che, forse scioccamente, mi avevano fatto innamorare sin dall’inizio mi riempiva il cuore di gioia. Non metaforicamente; sentivo letteralmente il cuore riempirsi di sangue , stringersi in se e fare mille caprile.
Riaverlo qui, accanto a me, fisicamente, era un sogno che diventava realtà?

I miei pensieri furono interrotti dalla vibrazione del mio cellulare. Ormai con il sorriso stampato in faccia, accettai la chiamata senza neanche curarmi di guardare l’ID.

“Pronto?” Solo dopo averlo pronunciato, realizzai quanto il mio tono di voce fosse alto e allegro.
“Ev?” Rafe quasi urlò confuso dall’altra parte della cornetta. Mugolai qualcosa in risposta. “Dove cazzo sei?” Disse facendo una veloce pausa ogni parola.
Risi sentendomi sconosciuta alle mie emozioni. Ero incontrollabile. Accavallando la gamba sinistra sulla destra, guardai Justin. “Rafe vuole sapere dove siamo.”  Mi fece cenno di passargli il telefono e … come dirgli di no?
Si posò il telefono all’orecchio, “Sta bene, tranquillo amico.” – Sorrise, quasi compiaciuto, per poi chiudere la chiamata lanciando  gentilmente il cellulare sulle mie cosce.

Mi sentii l’aria mancare.

Sto bene.

“Insomma,” Ritornò serio guardando la strada.
“Insomma…” Ripetei giocando con gli angoli della cover del mio telefono.
“Hai qualcuno di cui mi dovrei preoccupare?”
Aggrottai la fronte a quella domanda confusa e piena di significata. “Come?” Chiesi cercando di non illudermi troppo.
“Hai qualcuno che non sarebbe d’accordo nel vederti seduta sul sedile di una Lamborghini guidata da Justin Bieber?”
Buttai fuori l’aria dal naso trattenendo una risata che, in quel momento, poteva essere evitata.

Rimasi un attimo in silenzio chiedendomi come avrei dovuto rispondere.
Con Naomi era stato facile. Alla domanda se ci fosse qualcuno nella mia vita, un no secco aveva evitato domande cui neanche io avevo trovato ancora una risposta.

La verità era tutt’altra: il suo nome era Miroslav, un ragazzo russo con un accento che avrebbe fatto cadere in ginocchio anche la ragazza più fedele del pianeta.
Non potevo chiamarlo ragazzo o fidanzato perché non era niente di tutto ciò.
Magari compagno di uscita? Amico che manda messaggi di buongiorno e buonanotte?  Compagno che ti porta i libri, che ti scorrazza ovunque, che passa le giornate con te e che quando avvolge le sue braccia intorno a te, ti fa provare qualche sensazione? Smisi di pensare e diedi una risposta. “Potrebbe esserlo.” Sorrisi sentendomi le guance avvampare. Sorrisi più per l’imbarazzo e per il fatto di non saper raccontare bugie.

Per qualche secondo, cadde il silenzio in macchina.

“Bene.” Sussurrò strofinandosi velocemente il palmo della mano sulle lebbra. “Come si chiama?”
“Miroslav. E’ un ragazzo che frequenta la mia stessa univers—” Mi fermai non appena sentii un cellulare, il suo, squillare.

La mano sinistra lasciò il volante e si fiondò nella tasca dei pantaloni per poi razzolare qualche secondo prima di tirare fuori il telefono.
“Pronto?” Non appena rispose, iniziai a giocare nuovamente con la cover del mio cellulare. “Hey.”

Il suo tono era cambiato dal Pronto? di qualche secondo fa. Era un Hey lieve, detto con una tale dolcezza che mi fece aggrottare la fronte. Smisi di tortura il mio cellulare e mi concentrai, continuando a fissarmi le gambe, a quello che aveva da dire.
Ogni frase era una pugnalata al cuore. Ogni frase pronunciata con quel tono – che avrei pagato pur di sentirlo in modo diretto.

Continuai a mordermi il labbro inferiore cercando di non ascoltare.

Non so esattamente quanto durò quella telefonata perché il tempo si fermò non appena le parole più banali e comuni lasciarono le sue labbra: “Ti amo.” E boom! Il rumore del rombo della macchina divenne sordo, il suono della sua voce era confuso e lontano, avevo lo sguardo perso e fisso sul cruscotto di fronte a me, gli alberi che fino a pochi secondi prima sfrecciavano ai lati della macchina, sembravano rallentare ogni secondo di più.

La telefonata era finita ma il modo con cui aveva marcato, in tono amorevole, quelle due parole rimbombava ancora nella mia testa. Socchiusi gli occhi e facendo un respiro profondo ritornai a fissare la strada.

“Senti qua!” Interruppe subito quel silenzio in cui stavo cercando di trovare pace, aumentando di poco il volume della radio. “Più accelera, più aumenta il volume.”
Tornando serio e fissando la strada, lasciò tutto il peso del piede sul pedale dell’accelerazione.

Spostai lo sguardo sul tachimetro:  130, 160, 190, 220 –

Senti l’aria mancarmi, le dita cercare appiglio nel sedile.

La freccia rossa continuava a oscillare intorno al numero 280. Le casse continuavano a pompare musica che lentamente aumentava insieme al rombo a singhiozzo della macchina.

Non ero abituata a quel tipo di macchina o a quella velocità.

Aspettai qualche secondo cercando di trovare il coraggio di chiedere di rallentare.
Non appena la freccia rossa del tachimetro toccò i 300 km/h posai la mano sul braccio di Justin. “Rallenta.” Lo ripetei due volte continuando a fissare la strada.
Lo sentii ridere e diminuire la velocità.
Feci un sospiro, quasi di sollievo, e mi domandai se avessi dovuto ringraziarlo.

Ringraziarlo di cosa?

Di avermi fatto rischiare la vita dopo un anno e più che non ci vedevamo? Di avermi chiesto di ‘venire a fare un giro’ solo per vantarsi della sua ‘baby’ Lamborghini e di farmi ascoltare la conversazione con la sua ragazza? O magari ringraziarlo di essere scomparso per –

“Non dirmi che hai avuto paura?” Sorrise divertito spostando lo sguardo su di me.
Mi limitai a lanciargli un’occhiata che rispondeva alla sua domanda . “Un po’.” Ammisi cercando di nascondere tutte quelle emozioni negative che mi circolavano nel sangue con un sorriso. “Puoi accompagnarmi a casa?” Lo dissi senza pensarci due volte.
In quel momento il desiderio di essere lontana da lui era più forte della voglia di averlo accanto. Non avevo intenzione di stare male di nuovo. Il sol pensiero di iniziare, nuovamente, ad avere sbalzi d’umore mi terrificava.

Quella serata doveva terminare il prima possibile.

“Di già?” Chiese quasi sconfortato.
“Ho lezione domani mattina.” Mentii.
“E non puoi saltare?”
“Se potessi, non ti avrei chiesto di riportarmi a casa.” Mi uscì con tono acido e infastidito ma abbastanza convincente.


Ringraziai ancor prima che fermasse la macchina davanti al cancello con sopra la scritta Canada University College.
“E’ qui che abiti?” Chiese rallentando per poi fermarsi al ciglio della strada.
Annuii cercando di farla breve. “All’interno ci sono alcuni appartamenti. Un po’ campus.”
Questa volta fu lui ad annuire continuando a guardarsi intorno come un bambino che mette per la prima volta il naso fuori di casa.

Era tanto bello da procurare dolore.

Continuai a fissarlo e più lo fissavo, più capivo che tutti i miei sforzi per dimenticarlo erano stati inutili. Più lo fissavo e più capivo che avrei sempre messo lui al primo posto. Più lo fissavo e più capivo che mi avrebbe riavuto ogni secondo.

Guardami. Pregai.

Ero sconfortata e stanca di questa situazione. Volevo togliermi di dosso ogni desiderio represso fino a quel giorno.
Avrei voluto posare le mie labbra sopra le sue – rosee e a forma di cuore, per sentirlo mio qualche secondo.

Distolsi lo sguardo non appena i suoi occhi incontrarono i miei. Erano troppo per me, non ci riuscivo a guardarlo.
Sorrisi e aprii lo sportello quando fui fermata dalla sua voce. “Mi ha fatto piacere rivederti.” Mi voltai e lo vidi indossare un sorriso – quasi di scusa, come se mi avesse letto nella mente per tutto questo tempo.
“Pure a me.” Sussurrai prima di chiudere la portiera e incamminarmi dentro il campus.

Eravamo veramente due persone destinate a non incontrarsi mai?


 
 

  
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