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Autore: Natalja_Aljona    07/04/2014    2 recensioni
Novosibirsk, 2013.
Aljona Sergeevna Dostoevskaja e Lev Fëdorovič Puškin, l’aspirante pattinatrice e l’ex terrorista.
Lei quindici anni di sogni, lui ventidue anni di illusioni.
Lei scandalosamente bionda, coraggiosa e incosciente come poche.
Lui troppo impulsivo e troppo innamorato.
Lei frequenta il penultimo anno del Ginnasio, lui ha passato sei anni in carcere per un attentato a Putin.
Perché lui davvero non ci riusciva, a non idealizzare quel Paese, quella Siberia feroce e opprimente, il cuore bianco e grigio della sua Russia sanguinaria e corrotta, a non cullare l'illusione di una Patria gloriosa sotto le macerie della violenza fine a se stessa e le sue stesse cicatrici di ragazzino che credeva ciecamente nel suo mondo immaginario, nei suoi miti bellissimi e impossibili, perché non c'era davvero quella gloria, non c'era davvero quella Patria.
Non c'era davvero quella luce, c'erano solo loro.
Lev con la pelle mangiata dalla prigione e il cuore rubato da Aljona e Aljona fatta di ghiaccio, musica, libri e capelli.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Ottantacinque

Ottantacinque

Little ice-skating queen

Piccola regina del pattinaggio sul ghiaccio

Girl, we couldn't get much higher

Ragazza, non potremmo arrivare più in alto

Поклянись мне

Poklyanis’ mne

Giurami

 

E tu mi dici: “Fatti scrivere, è normale”
Per te bisogna solo scrivere e lottare

(Velázquez, Roberto Vecchioni)

 

[...]

 

Ribaltare le parole, invertire il senso fino allo sputo
Cercando un’altra poesia

(A.R., Roberto Vecchioni)

-Riferito a David-

 

Novosibirsk, 2039

 

Everybody’s looking at her

She’s got everybody talking about her

She’s good, she’s kind, she’s so refined

But me, I’m losing my mind

 

Tutti la stanno guardando

Tutti parlano di lei

Lei è buona, è gentile, è così raffinata

Ma io, io sto perdendo la testa

(Looking at her, Paul McCartney)

-Riferito a David e Viktorija-

 

-Com’è? Ѐ bello?-

Lilija Igorevna Levina guardò con curiosità la sua disciplinatissima sorella maggiore che, nel suo vestito di pizzo bianco più delizioso, con lo scialle argentato della loro madre avvolto intorno alle spalle e ancora a piedi nudi, si stava pettinando allo specchio i lunghi capelli biondi che, a causa della stretta treccia appena sciolta, terminavano in soffici boccoli.

Era bella, Viktorija, così angelica e minuta e con una grazia innata che sembrava provenire da un altro mondo, ma era sempre stata troppo presa dal pattinaggio per pensare ai ragazzi.

Eppure adesso aveva un fidanzato.

Un fidanzato vero, in carne ed ossa, un ragazzo che amava, e non c’entrava proprio niente col pattinaggio, se non per il fatto di essere il figlio di Aljona Sergeevna Puškina, il fratello di Natal’ja L’vovna Puškina e il nipote di Jakov Fëdorovič Puškin, i campioni di Novosibirsk.

bellissimo, Lil...-

-Oh! Non vedo l’ora che arrivi!-

Viktorija si voltò di scatto verso la sorellina e le scoccò un’occhiata severa.

-Non essere troppo impaziente, Lily. Non deve proprio piacerti quanto piace a me-

-Sei già così gelosa, e lui non è nemmeno un pattinatore? Santo Cielo, Vik, dev’essere un miracolo della natura quest’uomo...-

-Ѐ il mio David, punto. Ѐ... Speciale, tanto. A volte fa un po’ paura, si comporta esattamente come se fosse il re del mondo e non ci fosse niente che lui non può fare, ma è il mio Dav.

Salvador Dalí una volta ha detto: Mi dimostri che si può diventare celebri con l’umiltà e io sarò umile”. Ecco, è la frase di Dav-

-Dev’essere molto passionale...-

Gli occhi di Viktorija brillavano in un modo che fece sentire Lilija quasi a disagio.

-Molto? Lui vive di passione!-

-E tu vivi per il pattinaggio e per lui- concluse Lilija, un po’ ammirata un po’ invidiosa.

Lei aveva dodici anni e Viktorija quattordici.

Viktorija era una reginetta in tutto e per tutto, Lilija una ragazzina vivace e radiosa, che quella sera indossava un vestitino di lana rossa su un paio di collant bianchi e degli stivaletti di vernice nera, e aveva una gran massa di capelli biondi e lisci raccolti in due morbide code.

Non era eterea come sua sorella ed era molto meno composta, ma non le era mai importato granché, almeno fino a quella sera.

Perché Vik era bravissima a pattinare ma a Lil pattinare non interessava, era orgogliosa di lei quando la vedeva esibirsi, questo sì, ma non aveva mai avuto un’attrazione particolare per il ghiaccio.

Un fidanzato, però, era un’altra storia.

Non era preparata a vedere sua sorella con un ragazzo, non era preparata a conoscere il ragazzo di sua sorella.

Viktorija era una pattinatrice, dove diavolo l’aveva trovato, il tempo?

La sua curiosità era anche inquietudine, e paura che ora Vik avesse davvero qualcosa in più di lei.

Poi era suonato il campanello e Viktorija aveva guardato con orrore i suoi piedi, a cui aveva fatto in tempo a infilare solo un paio di leggerissimi calzini bianchi.

Sua madre aveva promesso di prestarle i suoi sandali bianchi con i diamanti finti, tanto non dovevano uscire di casa e non rischiava di assiderarsi i piedini, ma si era persa a sistemarsi i capelli e a passarsi il burrocacao alle mandorle dolci sulle labbra e David era già arrivata.

-Lil, vai tu ad aprire, io salgo in camera di mamma e papà a mettermi i sandali!-

-Ma Vik, è il tuo fidanzato...- cercò di protestare Lilija, intimidita.

-Ti prego, Lily! Non posso aprire a Dav a piedi nudi, no, non posso... Almeno gli stivali di mamma hanno un po’ di tacco, se no con lui mi sento troppo bassa!-

-Tu sei bassa, Vik...-

-Vai ad aprire, Lilečka!-

-Oh, e va bene!-

David come il David del Bernini e il David di Michelangelo.

Però David L’vovič Puškin, il fidanzato di sua sorella, si chiamava così per David Grohl, il leader, cantante e primo chitarrista dei Foo Fighters, una band un attimino troppo movimentata a sentir Vik, ma era la preferita di Aljona, la madre di David.

E mentre Viktorija andava a finire di agghindarsi per sembrare davvero la Madonna, lei doveva aprire a quel tizio che sembrava tanto speciale.

Sua madre Larisa era in cucina a sorvegliare la cottura dei вареники (varenyky), i tipici ravioli ucraini, che quella sera aveva preparato con ripieno di patate e formaggio, in onore di David che era per un quarto ucraino, ma a sentirlo parlare sembrava esserlo del tutto.

Igor’ Levin, invece, era uscito a comprare la vodka purissima fatta arrivare da Kiev, perché David beveva solo quella, oppure, in sua assenza, acqua naturale.

Lui non l’aveva chiesta né tantomeno nominata, ma Viktorija lo sapeva e aveva praticamente costretto i suoi genitori a procurarsela per quella cena, anche se la vodka così forte la reggeva soltanto lui.

Lilija quasi non riusciva a respirare per l’imbarazzo.

David suonò un’altra volta e dal piano di sopra Viktorija le gridò di nuovo, sull’orlo dell’isteria:

-Apri!-

E lei aprì.

Ma doveva esserci un errore...

Sembrava un attore di uno spettacolo teatrale sui Cosacchi, il ragazzo che aveva davanti.

Di un’altezza impressionante, con un colbacco di pelliccia sotto il quale spuntavano ciocche di capelli biondissimi, un lungo cappotto col collo di pelliccia, stivali quasi completamente coperti di neve, pelle diafana e due iridi azzurre di una luminosità sconcertante.

-Spero di non essere in ritardo, sono arrivato adesso da Rostov!- esclamò il giovane, con un sorriso travolgente.

A... Adesso?

Prima della cena con la famiglia della sua fidanzata era stato a Rostov-sul-Don, nel Caucaso Settentrionale?

Era appena tornato?

No, non poteva essere lui il fidanzato di Vik...
Viktorija sembrava caduta dal cielo e David appena tornato dalla guerra!

-Tu sei Lilija, vero? Piacere, David! Vik è in casa?-

-Beh, cioè... La cena... Deve, certo che è in casa-

Gli sembrava logico fare una domanda simile?

Viktorija lo invitava a cena a casa sua e poi non si faceva trovare?

Dove avrebbe dovuto essere?

-Oh, benissimo!-

Benissimo, già.

-Entri?-

-Oh, grazie! Sì, sì, arrivo!-

-Fantastico...-

Finalmente Lilija riuscì a chiudergli la porta alle spalle e, mentre David si puliva gli stivali dalla neve sul tappetino dell’ingresso, continuò a guardarlo di sottecchi.

Non era vero, no...

Era un travestimento, una messa in scena, di sicuro faceva l’attore, non poteva essere sempre così, vestito così e con quell’aria da veterano di guerra...

A meno che...

-Sei un hetman? Un esaul? Un sotnik?-

(Rispettivamente Capitano, Generale e Capocenturia dell’Esercito Cosacco)

-Eh? Io? Oh, no, magari... Io sono uno scrittore, però ho fatto il servizio militare a Rostov e sono praticamente uno Zaporožcy* d’adozione-

*Cosacchi ucraini della Seč di Zaporože.

-Nel 2039?- chiese ancora Lilija, scettica.

-Sì, perché?-

-No, vabbé, niente... Beh, carino, comunque-

-Già... Ma sei sicura che Vik è in casa?-

-Sì, adesso arriva... Era andata a prendere il cav... I sandali-

-Oh, bene...-

-Ma tu reciti anche? Hai fatto qualche film di guerra?-

David rise, per poi passarsi una mano tra i capelli provocando così una pioggia di fiocchi di neve.

-Ti assicuro di no!-

-Sicuro?-

-Sono solo uno scrittore, Lilija-

No, tu sei completamente matto...

-Lil, eccomi, era David?-

Larisa Konstantinovna Levina si bloccò a metà del soggiorno, gli occhi chiari sgranati e un’espressione di puro terrore dipinta sul viso.

-Perché l’hai fatto entrare? Chi è? Un evaso, uno zingaro? O forse è venuto a pubblicizzare l’Accademia Militare? Ma io ho solo due figlie femmine...-

-Signora, io sono David, il fidanzato di Viktorija... Le assicuro che non ho precedenti penali, è mio padre che... Vabbé, fa niente-

-Oh, mio Dio! Sei David! Ma stai bene? Cosa ti hanno fatto, sembri stravolto... Sei stato prigioniero di guerra da qualche parte, vero? In battaglia succedono delle cose terribili...-

-Oh, sì, sto benissimo, grazie! Non so, sono sempre così...-

-Oddio, scusami! Ma sei... Cioè, hai dormito? Hai una casa? Mangi?-

-Sono appena arrivato da Rostov, ma è stato un viaggio abbastanza tranquillo...-

-Da Rostov?! Adesso?! Oh, cielo, povero ragazzo...-

-Beh, comunque sono felice di conoscervi...-

-Anche noi, caro, anche noi! Ma togliti pure il cappotto... Oh! Non vorrei essere stata indelicata... Sei menomato?-

-Cosa? No! Signora, si calmi, sono in perfetta forma...-

David cominciò a pensare che forse avrebbe dovuto guardarsi allo specchio, prima di andare a casa di Viktorija.

Ma aveva guardato il suo riflesso nel finestrino del treno da Rostov, e gli sembrava di essere esattamente come al solito...

Forse era proprio questo, il problema.

Mentre si toglieva il cappotto intercettò Larisa mimare a Lilija: -Ѐ un senzatetto?- e Lilija scuotere la testa e scrollare le spalle, alzando gli occhi al cielo.

Dio, sembrava davvero ridotto così male?

All’Accademia Militare di Rostov l’avevano trovato in forma smagliante...

-David!-

Tre teste bionde si voltarono nella direzione da cui era arrivata la voce e la videro, in cima alle scale, scintillante nel suo abito di pizzo, nell’argento dello scialle e nei brillanti dei sandali, la loro Viktorija, con le guance arrossate per l’emozione e lo sguardo fisso sul suo fidanzato.

Fidanzato che spalancò gli occhi e sbiancò più di quanto gli fosse effettivamente possibile, per poi scuotere la testa, più per accertarsi di avere ancora la percezione del proprio corpo che per altro.

-Mi sposi?- biascicò infine, con una voce un po’ meno stentorea e autoritaria del solito.

E a Viktorija mancò il respiro, perché un altro ragazzo avrebbe potuto dirlo per scherzo, per l’abbaglio del momento, ma lui no.

Lui, da questo punto di vista, era come Parmenide: l’essere, il pensiero e il linguaggio erano direttamente collegati.

Lui pensava, diceva e faceva quello che era.

Una volta le aveva detto che aveva bisogno di un dettaglio del paesaggio di Zaporože per descrivere una determinata scena del suo libro, e quando gli aveva telefonato quella sera era in Ucraina.

Un mattino, quando l’aveva chiamata dopo aver trascorso la notte in treno a scrivere e lei gli aveva chiesto se non fosse stanco, le aveva risposto:

-Non lo so, Vik, la notte mi annoio-

-Ma non puoi, che ne so, magari dormire?-

Se fosse stata con lui in quel momento, l’avrebbe visto scuotere la testa con il suo sorriso più dolce.

-No, non dormo, scrivo. Oppure cerco di ricordarmi qualche battaglia-

-Ricordarti?-

-Sì, certo. Se ci penso bene me le ricordo tutte, lo so. I Generali, le strategie militari... Ce le ho sempre in testa, da qualche parte. Dopo un po’ mi vengono in mente-

-Ma se non le hai vissute...-

-Cosa c’entra?-

-Le inventi, vuoi dire?-

-A volte le invento, anche, ma da qualche parte dentro di me ci sono tutte, almeno quelle di cui scrivo. Se non le sentissi abbastanza non ne scriverei. Non potrei. Ma non c’è niente di strano. O ne ho letto, o ne ho sentito parlare, o le ho sognate-

-Ora cosa fai?-

-Vado in riva al Don ghiacciato, ne osservo le sfumature e cerco di ricordarmi di che colore erano cinque secoli fa-

-Ma non puoi ricordartelo...-

-Posso percepirlo-

E lei aveva imparato a credergli, a capirlo.

Non era facile, no.

Lui a volte sembrava semplicemente completamente matto.

Lo era.

Ma, in tutto questo e con tutto questo, era straordinario.

-Sì....-

David sorrise, raggiante, fece un rapido calcolo e poi asserì:

-20 Marzo 2041. Va bene?-

-Cosa?-

-Il nostro matrimonio. Ѐ il giorno del compleanno di Gogol’. Tu avrai sedici anni, io ventitré, ma a Novembre io ne compirò ventiquattro e tu a Dicembre diciassette-

-Oh, Dav, poi ne parliamo...-

-Domattina a colazione, andiamo da I Cosacchi dell’Ob’ e organizziamo tutto-

-Va bene...- sospirò Viktorija, per poi scoppiare a ridere.

Aveva decisamente il fidanzato più sconvolgente di tutta Novosibirsk!

Lei lo guardava come se fosse stato Dio, quel Cosacco reincarnato.

E in realtà, ad essere sinceri, neanche Lilija riusciva a distogliere lo sguardo da lui.

David era tutto meno che equilibrato, aveva un aspetto e un modo di fare assurdi e la maggior parte delle cose che diceva per la gente normale non aveva senso, ma aveva un fascino che stordiva.

Vik aveva ragione, era troppo, troppo bello.

Aveva una logica completamente irrazionale e a tratti perfino inquietante, ma non ne faceva mistero, non nascondeva a nessuno i suoi pensieri e le sue congetture.

Quando Igor’ L’vovič Levin tornò a casa con la vodka e vide David, che sovrastava tutti con la sua altezza, dato che neanche lui era molto imponente, sebbene non fosse minuto quanto la moglie e le figlie, sussultò e disse a Viktorija, un po’ intimidito:

-Vik, non mi avevi detto che era un hetman...-

-Neanche a lui l’avevano detto, papà- sospirò Viktorija, facendo sorridere David, Lilija e Larisa.

-Ho fatto il servizio militare a Rostov-sul-Don, volontario- spiegò David. -Sono stato io a fare richiesta per il Distretto Militare Caucasico. Forse è per questo che faccio così impressione-

Come dolce Larisa aveva preparato le crêpes, e Lilija ci aveva tenuto a sottolineare che Viktorija aveva contribuito all'opera andando a comprare la nutella dopo gli allenamenti di pattinaggio.

David aveva preso la mano della fidanzata e gliel'aveva baciata, per poi tenerla stretta e continuare ad accarezzarla per tutto il resto della serata.

I genitori e la sorella di Vik lo guardavano con un misto di soggezione e ammirazione, perché, questo era sicuro, non avevano mai visto un ragazzo come lui.

Si era comportato in modo adorabile e aveva sorriso a tutti con la massima sincerità, aveva raccontato del suo servizio militare a Rostov, uno dei periodi più belli della sua vita, e non era mica da tutti arruolarsi volontari con quell’entusiasmo, e del suo libro, in cui aveva lasciato anche il sangue, da tanto che ci teneva e aveva viaggiato e studiato per documentarsi.

Poi d’un tratto aveva guardato Vik e aveva detto, come sovrappensiero: -Io la amo-.

Ma non era sovrappensiero, affatto.

-È stata una serata fantastica, grazie. Siete tutti troppo carini, davvero. I miei fratelli credevano che mi avreste buttato fuori di casa, perché loro mi conoscono, ma agli altri faccio troppa paura. Così l’hanno fatta venire a me, la paura, ma poi, prima che partissi per Rostov, stamattina, mia madre mi ha gridato: “Ricordati che sei di stirpe Cosacca!”. È assolutamente fantastica, maman. Un’altra madre, con un figlio come me, sarebbe finita in Ospedale Psichiatrico o ci avrebbe mandato me, o quantomeno si sarebbe disperata. Ma lei dice che sono il figlio più bello e coraggioso del mondo e devo sempre farmi onore come sto facendo. Lei è tremendamente fiera di me. Mi ha dedicato Hard rain’s a-gonna fall di Bob Dylan cantata da Joan Baez e mi ha aiutato a stampare i poster dei Cosacchi da mettere sul mio armadio. Li hanno anche lei e papà, in camera loro-

-Oh, non dirlo!- intervenne Lilija, reggendosi la fronte con una mano. -Vik è già abbastanza infatuata di Aljona. Figurarsi, la sua Al! Anche se non credevo che fosse così simile a suo marito-

-Certo che lo è- sorrise David, orgoglioso. -Mia madre è per metà ucraina, ed è assolutamente di stirpe Cosacca. Cioè, si vede. No, Vik?-

-Beh... In te e tuo padre si vede di più, ma credo di sì. Quando ne parla si vede eccome. Ed è strano, perché il nesso tra il pattinaggio e i Cosacchi... Non è così evidente, ecco-

-Vik, i Cosacchi sono ovunque!- esclamò David, sognante, e Viktorija sgranò gli occhi, un po' inquieta.

Igor’ e Larisa si guardarono intorno, suggestionati, e Lilija gettò un’occhiata sotto il tavolo.

-Fantastico...-

Quando arrivò il momento di salutarsi Larisa diede a David due baci sulle guance, alzandosi sulle punte dei piedi per arrivare al suo viso, Igor’ gli strinse calorosamente una mano e Lilija gli sorrise, stordita dal suo fascino e dai suoi discorsi logorroici.

Viktorija fece in modo di rimanere per ultima e, dopo aver fatto un cenno ai suoi genitori e a sua sorella, chiuse la porta di casa alle spalle sue e di David.

-Ehi... Allora, com’è andata?- gli chiese con un sorriso rivolto un po' a lui un po’ ai suoi sandali, scintillanti al buio della sera.

-Oh, sono tutti adorabili! Ancora non ci credo che tuo padre si è procurato proprio la vodka di Kiev, Khristos, apposta per me! Che bisogno c’era, dai, bevevo l’acqua! E tua madre ha fatto le crêpes, Vik! Le ha fatte lei! Non è mica normale... È stato straordinario, comunque. Spero solo di non aver fatto una brutta impressione... Sai, all’inizio mi ero un po’ preoccupato. Ma poi... Insomma, credo che sia andata bene, alla fine-

-Li hai scioccati, storditi e poi incantati. Fai così con tutti, no?- lo prese in giro Vik, e lui le sorrise, scompigliandole i capelli.

-Così dicono di me- ammise, rassegnato.

-Sono contenti che tu sia il mio fidanzato, ora che si sono -più o meno- abituati al tuo modo di fare-

-Tu ti sei abituata?-

-Eh, direi...-

-E allora...-

David la guardò con una scintilla negli occhi e le afferrò di slancio una mano, ma poco dopo la lasciò, esitante.

Abbassò lo sguardo e scosse la testa.

-Buonanotte, mia piccola Vik. Sei fantastica, meravigliosa e fantastica. Dormi bene e... Niente. A domani-

-No! Cosa... Cosa volevi dirmi, Dav? Perché mi hai preso la mano così, perché poi l’hai lasciata? Tu non fai così, tu non rinunci mai a niente... Cos’è successo?-

-Tocca a te- sospirò lui, prendendole di nuovo la mano e posandosela sul cuore.

-Che... Che cosa?- sussurrò Viktorija, in un fremito.

-Tocca a te decidere e dirmi se stanotte vuoi venire a casa mia. Quando i tuoi e Lil dormono, senza farti sentire... Dove sono lo sai. Ti aspetto...-

Viktorija sbiancò e lui le accarezzò lentamente una guancia, per poi baciarle delicatamente le labbra.

-Tesoro mio... Se vuoi, io ti aspetto-

-Io...-

Con un mormorio sommesso Viktorija lo trattenne per la mano e lo avvicinò ancora un po' a sé.

-A dopo, Dav...-

E fu lei a dargli l’ultimo bacio prima di quella notte e a lasciargli il cuore sulle labbra prima di voltarsi, in una pioggia di capelli sulla schiena provocata dal suo scatto repentino, e tornare in casa.

A dopo, David.

 

Aveva infilato la mantella di lana bianca e gli stivali neri, la sciarpa di raso bianca, la cuffietta di lana e i guanti dello stesso colore.

Con i capelli avvolti e agitati dal vento si era incamminata, nel silenzio.

Nessuno l’aveva sentita, nessuno l’avrebbe fermata.

 

David era stato il primo dei suoi fratelli ad andare a vivere da solo, anche se molto vicino a Casa Puškin, solo in un vicolo un po’ appartato di Nostal’hiya.

Non aveva chiesto aiuto a nessuno per arredare le stanze, e le aveva sistemate nel modo che aveva in mente fin da piccolo, con sei scaffali di libreria in cucina di fronte al tavolo e tre in bagno.

La sua camera, poi, era un altro mondo.

Non aveva un letto, ma una gigantesca tenda montata al centro della stanza con due materassi organizzati come se fossero un vero letto matrimoniale, quattro cuscini e una montagna di piumoni, in cui ospitava a dormire i suoi fratelli ogni volta che sentivano la sua mancanza in casa.

Affissa con lo scotch ad una parete della tenda c’era la foto di una ragazzina piuttosto minuta vestita di bianco, dai capelli chiari come il latte, serici e lunghi fino al sedere, seduta su un letto sfatto insieme a un ragazzo altrettanto biondo e ridente che, con un braccio intorno alla sua vita, la stringeva a sé.
Natal’ja e David poco più che bambini, nella camera che avevano diviso fino a quando Dav era andato a vivere da solo.
David teneva maledettamente a quella foto, era la sua preferita tra tutti gli scatti di famiglia, e voleva averla sempre sotto gli occhi.
Al’ja, la sua sorellina preferita, che lui stringeva sempre troppo forte, così esile eppure, come lui, piena di luce e di fuoco.
Dovevano stare sempre insieme.

Erano una casa e una camera assolutamente uniche, le sue, e lui ne andava oltremodo fiero.

La sua famiglia la trovava fantastica e Lev si era chiesto come mai non ci avessero pensato anche lui e Aljona, ma del resto la loro, di casa, non era molto più ordinaria.

Quando sentì bussare delicatamente alla porta -stava aspettando quasi incollato a

quest’ultima-, David aprì di scatto con una furia di battiti nel petto tale da provocargli dolore.

Era venuta, la sua Viktorija era lì fuori, era lì... Per lui.

A casa sua. Con lui.

-Ciao...- sussurrò, come senza fiato, per poi abbandonarsi con la schiena contro al muro mentre la guardava entrare.

Era a piedi nudi, con gli stessi jeans che aveva a cena poche ore prima e una maglietta nera a mezze maniche.

Già grazie ai geni di famiglia non soffriva il freddo, in casa, poi, gli veniva un caldo assurdo, soprattutto quando era nervoso.

Era bello, ma di una bellezza quasi innocente, quella sera, ansioso e preda dei brividi, con i suoi mille sguardi fugaci, per una volta più incerti che feroci.

Era un Cosacco e aveva un fascino innato, una magia che gli proveniva allo stesso modo dal sangue e dal cuore, non aveva paura di niente, o meglio, niente di quello che faceva paura agli altri.

Era il più coraggioso dei figli di Lev e Aljona e, come diceva la sua maman, come la chiamava affettuosamente lui, doveva farsi onore.

La amava.

Lui amava ardentemente e disperatamente Viktorija.

-Come stai?-

-Beh, bene... Come prima... Ho fatto qualche esercizio di ginnastica artistica e ho provato qualche passo di danza che mi serve per la prossima coreografia sul ghiaccio... E poi ho guardato la tua foto, quella che mi ha regalato Natal’ja perché diceva che dovevo assolutamente averla io, dove sei davanti all’Accademia Militare di Rostov, nel 2036, ed eri così sfacciatamente felice... E ho pregato che dormissero già tutti per poter correre da te-

Raskol’nikov, che aveva seguito David fino alla porta girandogli intorno e passandogli tra le gambe instancabilmente, assestò una testata decisa a una gamba di Viktorija, facendola sorridere.

-Oh, tesoro...- lo salutò, e David impiegò un bel po’ a capire che si stava riferendo al suo gatto e non a lui.

-Oh, Ras... Eh, sempre tra i piedi, sta... Però è fantastico...-

-Davvero!-

David le posò una mano dietro la schiena e la spinse delicatamente verso di sé.

Viktorija inciampò nei suoi stessi passi e finì contro il suo petto.

Le dita strette intorno alla maglietta del fidanzato, tremava dentro ed era sua.

David avrebbe avuto tutto di lei quella notte, ogni singolo centimetro della sua pelle, ogni anelito della sua vita.

La baciò ed era la sua stella, la sua promessa d’onore.

Era magica, lei, il suo abbandono e la sua fragile adolescenza contro tutto il suo amore per lui.

Poi smise di baciarla e la strinse semplicemente a sé, e seppe con certezza che non avrebbe potuto desiderare e amare di più.

 

-Quante ragazze hai avuto?-

Viktorija si strinse a David sotto al piumone color panna di quel letto improvvisato, nella tenda di quel suo Cosacco solo un po’ in ritardo coi secoli, meraviglioso e folle allo stesso modo.

Lui non aveva ancora avuto il coraggio di abbassarle una sola spallina dell’abito di pizzo, non mentre lei lo guardava con quegli occhi liquidi e colmi di paura e gelosia.

-Avuto in senso...-

-Fisico, anche- precisò lei, lievemente stizzita.

Non riusciva a pensarci.

Non voleva immaginarlo.

Perché lui doveva aver avuto altre ragazze?

Perché, quando lei non poteva sopportarlo?

-Tre- ammise lui, flebile ma sincero.

Ol’ga Vasil’evna Ledjachova a Rostov, Veronika  Alekseevna Romanenko a Zaporože e Elena Stanislavovna Hladkaja a Novosibirsk.

Tutte abbastanza innamorate di lui, tutte abbastanza carine, nessuna che superasse l’abbastanza, per lui.

Dolci quando capitava, relativamente simpatiche, mai troppo entusiaste e tranquille quando lui parlava, perché lui doveva essere così tanto bello e così poco normale ed equilibrato?

Eppure ci era andato a letto, e onestamente un po’ le aveva anche amate.

Che non fossero loro probabilmente lo sapeva.

Ma allora Viktorija era troppo giovane e troppo lontana.

-E poi?-

-E poi se ne sono andate- sospirò David, accarezzandole distrattamente i capelli.

-Prima o dopo di te?-

-Vik, io non me ne vado mai davvero. Non quando parto all’improvviso e non lo dico. Ѐ che io vado in un’altra città come gli altri vanno al bar o in edicola. Ho una concezione bacata del tempo e dello spazio, come dice mia madre. Ma se devo lasciare qualcuno, intendo non solo una ragazza, lasciare una persona in generale, davvero... Glielo dico sempre, prima. Sarebbe troppo sleale, altrimenti-

-E io?-

-Tu sarai mia moglie, punto. Per sempre-

-Perché?-

-Perché ti amo. E ti ricordi cosa succede quando dico una cosa? Ti ricordi cosa significa quello che dico? Ti ricordi quanto ci credo?-

-Me lo ricordo, Dav... Solo che...-

-Se non vuoi tu è un’altra storia. Ma io mi impicco, eh-

-Io non voglio?- chiese Vik, confusa. -Io ti sposerò di sicuro, ci mancherebbe altro, non so proprio come tu faccia a pensare che potrei non sposarti, ma stavo pensando... Va bene il 20 Marzo 2042? Così io li avrò già compiuti, diciassette anni, e tu ventiquattro-

-Però intanto tu stai sempre con me, vero?-

-No...- lo prese in giro lei, e David le lanciò uno sguardo preoccupato.

-Fantastico...-

-Ma ti amo, ti amo- gli giurò Viktorija all’orecchio, e così gli diede il permesso di diventare davvero il suo unico uomo, il suo unico amore.

 

It’s true that I used to be crazy

And harder to love than most men

And the blood that ran in these tired hands

Was harder and wilder back then

 

Ѐ vero che sono solito essere pazzo

E più difficile da amare della maggior parte degli uomini

E il sangue che scorre in queste mani stanche

Era più difficile e selvaggio allora

(It takes  one to know me, Johnny Cash e June Carter)

-Riferito a David-

 

 

 

 

Note

 

Ed ecco un altro capitolo importante per David e Viktorija, in cui li conosciamo meglio tutti e due.

Io mi sono divertita tantissimo a scriverlo e ho una cotta non indifferente per Dav, ma lasciamo perdere... ;)

Spero che vi sia piaciuto!

 

A presto,

Marty

  
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