Ottantacinque
Little ice-skating
queen
Piccola regina del pattinaggio
sul ghiaccio
Girl, we couldn't get much higher
Ragazza, non potremmo arrivare
più in alto
Поклянись мне
Poklyanis’ mne
Giurami
E tu mi dici: “Fatti scrivere, è
normale”
Per te bisogna solo scrivere e lottare
(Velázquez, Roberto Vecchioni)
[...]
Ribaltare le parole, invertire il
senso fino allo sputo
Cercando un’altra poesia
(A.R., Roberto Vecchioni)
-Riferito
a David-
Novosibirsk, 2039
Everybody’s
looking at her
She’s
got everybody talking about her
She’s
good, she’s kind, she’s so refined
But
me, I’m losing my mind
Tutti la stanno guardando
Tutti parlano di lei
Lei è buona, è gentile, è così
raffinata
Ma
io, io sto perdendo la testa
(Looking
at her, Paul McCartney)
-Riferito
a David e Viktorija-
-Com’è? Ѐ bello?-
Lilija Igorevna Levina
guardò con curiosità la sua disciplinatissima sorella maggiore che, nel suo
vestito di pizzo bianco più delizioso, con lo scialle argentato della loro
madre avvolto intorno alle spalle e ancora a piedi nudi, si stava pettinando
allo specchio i lunghi capelli biondi che, a causa della stretta treccia appena
sciolta, terminavano in soffici boccoli.
Era bella, Viktorija, così
angelica e minuta e con una grazia innata che sembrava provenire da un altro mondo,
ma era sempre stata troppo presa dal pattinaggio per pensare ai ragazzi.
Eppure adesso aveva un
fidanzato.
Un fidanzato vero, in
carne ed ossa, un ragazzo che amava, e non c’entrava proprio niente col
pattinaggio, se non per il fatto di essere il figlio di Aljona Sergeevna
Puškina, il fratello di Natal’ja L’vovna Puškina e il nipote di Jakov
Fëdorovič Puškin, i campioni di Novosibirsk.
-Ѐ bellissimo, Lil...-
-Oh! Non vedo l’ora che
arrivi!-
Viktorija si voltò di
scatto verso la sorellina e le scoccò un’occhiata severa.
-Non essere troppo
impaziente, Lily. Non deve proprio piacerti quanto
piace a me-
-Sei già così gelosa, e
lui non è nemmeno un pattinatore? Santo Cielo, Vik, dev’essere un miracolo
della natura quest’uomo...-
-Ѐ il mio David, punto. Ѐ... Speciale, tanto. A volte fa un po’ paura, si comporta esattamente
come se fosse il re del mondo e non ci fosse niente che lui non può fare, ma è
il mio Dav.
Salvador Dalí una volta ha
detto: “Mi dimostri che si
può diventare celebri con l’umiltà e io sarò umile”. Ecco,
è la frase di Dav-
-Dev’essere
molto passionale...-
Gli occhi
di Viktorija brillavano in un modo che fece sentire Lilija quasi a disagio.
-Molto? Lui vive
di passione!-
-E tu vivi
per il pattinaggio e per lui- concluse Lilija, un po’ ammirata un po’
invidiosa.
Lei aveva
dodici anni e Viktorija quattordici.
Viktorija
era una reginetta in tutto e per tutto, Lilija una ragazzina vivace e radiosa,
che quella sera indossava un vestitino di lana rossa su un paio di collant
bianchi e degli stivaletti di vernice nera, e aveva una gran massa di capelli
biondi e lisci raccolti in due morbide code.
Non era eterea come sua
sorella ed era molto meno composta, ma non le era mai importato granché, almeno
fino a quella sera.
Perché Vik era bravissima
a pattinare ma a Lil pattinare non interessava, era orgogliosa di lei quando la
vedeva esibirsi, questo sì, ma non aveva mai avuto un’attrazione particolare
per il ghiaccio.
Un fidanzato, però, era
un’altra storia.
Non era preparata a vedere
sua sorella con un ragazzo, non era preparata a conoscere il ragazzo di sua
sorella.
Viktorija era una
pattinatrice, dove diavolo l’aveva trovato, il tempo?
La sua curiosità era anche
inquietudine, e paura che ora Vik avesse davvero qualcosa in più di lei.
Poi era suonato il campanello
e Viktorija aveva guardato con orrore i suoi piedi, a cui aveva fatto in tempo
a infilare solo un paio di leggerissimi calzini bianchi.
Sua madre aveva promesso
di prestarle i suoi sandali bianchi con i diamanti finti, tanto non dovevano
uscire di casa e non rischiava di assiderarsi i piedini, ma si era persa a
sistemarsi i capelli e a passarsi il burrocacao alle mandorle dolci sulle
labbra e David era già arrivata.
-Lil, vai tu ad aprire, io
salgo in camera di mamma e papà a mettermi i sandali!-
-Ma Vik, è il tuo fidanzato...- cercò di protestare
Lilija, intimidita.
-Ti prego, Lily! Non posso
aprire a Dav a piedi nudi, no, non posso... Almeno gli stivali di mamma hanno
un po’ di tacco, se no con lui mi sento troppo bassa!-
-Tu sei bassa, Vik...-
-Vai ad aprire,
Lilečka!-
-Oh, e va bene!-
David come il David del
Bernini e il David di Michelangelo.
Però David L’vovič
Puškin, il fidanzato di sua sorella, si chiamava così per David Grohl, il
leader, cantante e primo chitarrista dei Foo Fighters, una band un attimino
troppo movimentata a sentir Vik, ma era la preferita di Aljona, la madre di
David.
E mentre Viktorija andava
a finire di agghindarsi per sembrare davvero la Madonna, lei doveva aprire a quel tizio che sembrava tanto speciale.
Sua madre Larisa era in
cucina a sorvegliare la cottura dei вареники
(varenyky), i tipici ravioli ucraini,
che quella sera aveva preparato con ripieno di patate e formaggio, in onore di
David che era per un quarto ucraino, ma a sentirlo parlare sembrava esserlo del
tutto.
Igor’ Levin, invece, era
uscito a comprare la vodka purissima fatta arrivare da Kiev, perché David
beveva solo quella, oppure, in sua assenza, acqua naturale.
Lui non l’aveva chiesta né
tantomeno nominata, ma Viktorija lo sapeva e aveva praticamente costretto i
suoi genitori a procurarsela per quella cena, anche se la vodka così forte la
reggeva soltanto lui.
Lilija quasi non riusciva
a respirare per l’imbarazzo.
David suonò un’altra volta
e dal piano di sopra Viktorija le gridò di nuovo, sull’orlo dell’isteria:
-Apri!-
E lei aprì.
Ma doveva esserci un
errore...
Sembrava un attore di uno
spettacolo teatrale sui Cosacchi, il ragazzo che aveva davanti.
Di un’altezza
impressionante, con un colbacco di pelliccia sotto il quale spuntavano ciocche
di capelli biondissimi, un lungo cappotto col collo di pelliccia, stivali quasi
completamente coperti di neve, pelle diafana e due iridi azzurre di una
luminosità sconcertante.
-Spero di non essere in
ritardo, sono arrivato adesso da Rostov!- esclamò il giovane, con un sorriso
travolgente.
A... Adesso?
Prima della cena con la
famiglia della sua fidanzata era stato a Rostov-sul-Don, nel Caucaso
Settentrionale?
Era appena tornato?
No, non poteva essere lui
il fidanzato di Vik...
Viktorija sembrava caduta dal cielo e David appena tornato dalla guerra!
-Tu sei Lilija, vero?
Piacere, David! Vik è in casa?-
-Beh, cioè... La cena...
Deve, certo che è in casa-
Gli sembrava logico fare
una domanda simile?
Viktorija lo invitava a
cena a casa sua e poi non si faceva trovare?
Dove avrebbe dovuto
essere?
-Oh, benissimo!-
Benissimo, già.
-Entri?-
-Oh, grazie! Sì, sì,
arrivo!-
-Fantastico...-
Finalmente Lilija riuscì a
chiudergli la porta alle spalle e, mentre David si puliva gli stivali dalla
neve sul tappetino dell’ingresso, continuò a guardarlo di sottecchi.
Non era vero, no...
Era un travestimento, una
messa in scena, di sicuro faceva l’attore, non poteva essere sempre così, vestito così e con
quell’aria da veterano di guerra...
A meno che...
-Sei un hetman? Un esaul? Un sotnik?-
(Rispettivamente Capitano, Generale e Capocenturia dell’Esercito
Cosacco)
-Eh? Io? Oh, no, magari... Io sono uno scrittore, però ho
fatto il servizio militare a Rostov e sono praticamente uno Zaporožcy* d’adozione-
*Cosacchi ucraini della Seč di Zaporože.
-Nel 2039?- chiese ancora Lilija, scettica.
-Sì, perché?-
-No, vabbé, niente... Beh,
carino, comunque-
-Già... Ma sei sicura che
Vik è in casa?-
-Sì, adesso arriva... Era
andata a prendere il cav... I sandali-
-Oh, bene...-
-Ma tu reciti anche? Hai
fatto qualche film di guerra?-
David rise, per poi passarsi
una mano tra i capelli provocando così una pioggia di fiocchi di neve.
-Ti assicuro di no!-
-Sicuro?-
-Sono solo uno scrittore,
Lilija-
No, tu sei completamente matto...
-Lil, eccomi, era David?-
Larisa Konstantinovna
Levina si bloccò a metà del soggiorno, gli occhi chiari sgranati e
un’espressione di puro terrore dipinta sul viso.
-Perché l’hai fatto
entrare? Chi è? Un evaso, uno zingaro? O forse è venuto a pubblicizzare
l’Accademia Militare? Ma io ho solo due figlie femmine...-
-Signora, io sono David,
il fidanzato di Viktorija... Le assicuro che non ho precedenti penali, è mio
padre che... Vabbé, fa niente-
-Oh, mio Dio! Sei David!
Ma stai bene? Cosa ti hanno fatto, sembri stravolto... Sei stato prigioniero di
guerra da qualche parte, vero? In battaglia succedono delle cose terribili...-
-Oh, sì, sto benissimo,
grazie! Non so, sono sempre così...-
-Oddio, scusami! Ma sei...
Cioè, hai dormito? Hai una casa? Mangi?-
-Sono appena arrivato da
Rostov, ma è stato un viaggio abbastanza tranquillo...-
-Da Rostov?! Adesso?! Oh, cielo, povero ragazzo...-
-Beh, comunque sono felice
di conoscervi...-
-Anche noi, caro, anche
noi! Ma togliti pure il cappotto... Oh! Non vorrei essere stata indelicata... Sei menomato?-
-Cosa? No! Signora, si
calmi, sono in perfetta forma...-
David cominciò a pensare
che forse avrebbe dovuto guardarsi allo specchio, prima di andare a casa di
Viktorija.
Ma aveva guardato il suo
riflesso nel finestrino del treno da Rostov, e gli sembrava di essere
esattamente come al solito...
Forse era proprio questo, il problema.
Mentre si toglieva il
cappotto intercettò Larisa mimare a Lilija: -Ѐ
un senzatetto?- e Lilija scuotere la testa e scrollare le spalle, alzando
gli occhi al cielo.
Dio, sembrava davvero ridotto così male?
All’Accademia Militare di
Rostov l’avevano trovato in forma smagliante...
-David!-
Tre teste bionde si
voltarono nella direzione da cui era arrivata la voce e la videro, in cima alle
scale, scintillante nel suo abito di pizzo, nell’argento dello scialle e nei
brillanti dei sandali, la loro Viktorija, con le guance arrossate per
l’emozione e lo sguardo fisso sul suo fidanzato.
Fidanzato che spalancò gli
occhi e sbiancò più di quanto gli fosse effettivamente possibile, per poi
scuotere la testa, più per accertarsi di avere ancora la percezione del proprio
corpo che per altro.
-Mi sposi?- biascicò infine, con una voce un po’ meno stentorea e autoritaria del
solito.
E a Viktorija mancò il
respiro, perché un altro ragazzo avrebbe potuto dirlo per scherzo, per
l’abbaglio del momento, ma lui no.
Lui, da questo punto di
vista, era come Parmenide: l’essere, il pensiero e il linguaggio erano
direttamente collegati.
Lui pensava, diceva e
faceva quello che era.
Una volta le aveva detto
che aveva bisogno di un dettaglio del paesaggio di Zaporože per descrivere una
determinata scena del suo libro, e quando gli aveva telefonato quella sera era
in Ucraina.
Un mattino, quando l’aveva
chiamata dopo aver trascorso la notte in treno a scrivere e lei gli aveva chiesto
se non fosse stanco, le aveva risposto:
-Non lo so, Vik, la notte
mi annoio-
-Ma non puoi, che ne so,
magari dormire?-
Se fosse stata con lui in
quel momento, l’avrebbe visto scuotere la testa con il suo sorriso più dolce.
-No, non dormo, scrivo.
Oppure cerco di ricordarmi qualche battaglia-
-Ricordarti?-
-Sì, certo. Se ci penso
bene me le ricordo tutte, lo so. I Generali, le strategie militari... Ce le ho
sempre in testa, da qualche parte. Dopo un po’ mi vengono in mente-
-Ma se non le hai
vissute...-
-Cosa c’entra?-
-Le inventi, vuoi dire?-
-A volte le invento,
anche, ma da qualche parte dentro di me ci sono tutte, almeno quelle di cui
scrivo. Se non le sentissi abbastanza non ne scriverei. Non potrei. Ma non c’è
niente di strano. O ne ho letto, o ne ho sentito parlare, o le ho sognate-
-Ora cosa fai?-
-Vado in riva al Don
ghiacciato, ne osservo le sfumature e cerco di ricordarmi di che colore erano
cinque secoli fa-
-Ma non puoi ricordartelo...-
-Posso percepirlo-
E lei aveva imparato a
credergli, a capirlo.
Non era facile, no.
Lui a volte sembrava
semplicemente completamente matto.
Lo era.
Ma, in tutto questo e con
tutto questo, era straordinario.
-Sì....-
David sorrise, raggiante,
fece un rapido calcolo e poi asserì:
-20 Marzo 2041. Va bene?-
-Cosa?-
-Il nostro matrimonio.
Ѐ il giorno del compleanno di Gogol’. Tu avrai sedici anni, io ventitré,
ma a Novembre io ne compirò ventiquattro e tu a Dicembre diciassette-
-Oh, Dav, poi ne
parliamo...-
-Domattina a colazione,
andiamo da I Cosacchi dell’Ob’ e organizziamo
tutto-
-Va bene...- sospirò
Viktorija, per poi scoppiare a ridere.
Aveva decisamente il
fidanzato più sconvolgente di tutta Novosibirsk!
Lei lo guardava come se
fosse stato Dio, quel Cosacco reincarnato.
E in realtà, ad essere
sinceri, neanche Lilija riusciva a distogliere lo sguardo da lui.
David era tutto meno che
equilibrato, aveva un aspetto e un modo di fare assurdi e la maggior parte
delle cose che diceva per la gente normale non aveva senso, ma aveva un fascino
che stordiva.
Vik aveva ragione, era troppo, troppo bello.
Aveva una logica
completamente irrazionale e a tratti perfino inquietante, ma non ne faceva
mistero, non nascondeva a nessuno i suoi pensieri e le sue congetture.
Quando Igor’ L’vovič
Levin tornò a casa con la vodka e vide David, che sovrastava tutti con la sua
altezza, dato che neanche lui era molto imponente, sebbene non fosse minuto
quanto la moglie e le figlie, sussultò e disse a Viktorija, un po’ intimidito:
-Vik, non mi avevi detto
che era un hetman...-
-Neanche a lui l’avevano detto, papà- sospirò Viktorija, facendo sorridere David, Lilija
e Larisa.
-Ho fatto il servizio
militare a Rostov-sul-Don, volontario- spiegò David. -Sono stato io a fare
richiesta per il Distretto Militare Caucasico. Forse è per questo che faccio così
impressione-
Come dolce Larisa aveva
preparato le crêpes, e Lilija ci aveva tenuto a sottolineare che Viktorija
aveva contribuito all'opera andando a comprare la nutella dopo gli allenamenti
di pattinaggio.
David aveva preso la mano
della fidanzata e gliel'aveva baciata, per poi tenerla stretta e continuare ad
accarezzarla per tutto il resto della serata.
I genitori e la sorella di
Vik lo guardavano con un misto di soggezione e ammirazione, perché, questo era
sicuro, non avevano mai visto un ragazzo come lui.
Si era comportato in modo
adorabile e aveva sorriso a tutti con la massima sincerità, aveva raccontato
del suo servizio militare a Rostov, uno dei periodi più belli della sua vita, e
non era mica da tutti arruolarsi volontari con quell’entusiasmo, e del suo
libro, in cui aveva lasciato anche il sangue, da tanto che ci teneva e aveva
viaggiato e studiato per documentarsi.
Poi d’un tratto aveva
guardato Vik e aveva detto, come sovrappensiero: -Io la amo-.
Ma non era sovrappensiero,
affatto.
-È stata una serata
fantastica, grazie. Siete tutti troppo carini, davvero. I miei fratelli
credevano che mi avreste buttato fuori di casa, perché loro mi conoscono, ma
agli altri faccio troppa paura. Così l’hanno fatta venire a me, la paura, ma
poi, prima che partissi per Rostov, stamattina, mia madre mi ha gridato: “Ricordati che sei di stirpe Cosacca!”.
È assolutamente fantastica, maman. Un’altra
madre, con un figlio come me, sarebbe finita in Ospedale Psichiatrico o ci
avrebbe mandato me, o quantomeno si sarebbe disperata. Ma lei dice che sono il
figlio più bello e coraggioso del mondo e devo sempre farmi onore come sto
facendo. Lei è tremendamente fiera di me. Mi ha dedicato Hard rain’s a-gonna fall di Bob Dylan cantata da Joan Baez e mi ha
aiutato a stampare i poster dei Cosacchi da mettere sul mio armadio. Li hanno
anche lei e papà, in camera loro-
-Oh, non dirlo!-
intervenne Lilija, reggendosi la fronte con una mano. -Vik è già abbastanza
infatuata di Aljona. Figurarsi, la sua Al! Anche se non credevo che fosse così
simile a suo marito-
-Certo che lo è- sorrise
David, orgoglioso. -Mia madre è per metà ucraina, ed è assolutamente di stirpe Cosacca. Cioè, si vede. No, Vik?-
-Beh... In te e tuo padre
si vede di più, ma credo di sì. Quando ne parla si vede eccome. Ed è strano,
perché il nesso tra il pattinaggio e i Cosacchi... Non è così evidente, ecco-
-Vik, i Cosacchi sono ovunque!- esclamò David, sognante, e Viktorija
sgranò gli occhi, un po' inquieta.
Igor’ e Larisa si
guardarono intorno, suggestionati, e Lilija gettò un’occhiata sotto il tavolo.
-Fantastico...-
Quando arrivò il momento
di salutarsi Larisa diede a David due baci sulle guance, alzandosi sulle punte
dei piedi per arrivare al suo viso, Igor’ gli strinse calorosamente una mano e
Lilija gli sorrise, stordita dal suo fascino e dai suoi discorsi logorroici.
Viktorija fece in modo di
rimanere per ultima e, dopo aver fatto un cenno ai suoi genitori e a sua
sorella, chiuse la porta di casa alle spalle sue e di David.
-Ehi... Allora, com’è
andata?- gli chiese con un sorriso rivolto un po' a lui un po’ ai suoi sandali,
scintillanti al buio della sera.
-Oh, sono tutti adorabili!
Ancora non ci credo che tuo padre si è procurato proprio la vodka di Kiev,
Khristos, apposta per me! Che bisogno c’era, dai, bevevo l’acqua! E tua madre
ha fatto le crêpes, Vik! Le ha fatte lei!
Non è mica normale... È stato straordinario, comunque. Spero solo di non aver
fatto una brutta impressione... Sai, all’inizio mi ero un po’ preoccupato. Ma
poi... Insomma, credo che sia andata bene, alla fine-
-Li hai scioccati,
storditi e poi incantati. Fai così con tutti, no?- lo prese in giro Vik, e lui
le sorrise, scompigliandole i capelli.
-Così dicono di me-
ammise, rassegnato.
-Sono contenti che tu sia
il mio fidanzato, ora che si sono -più o
meno- abituati al tuo modo di fare-
-Tu ti sei abituata?-
-Eh, direi...-
-E allora...-
David la guardò con una
scintilla negli occhi e le afferrò di slancio una mano, ma poco dopo la lasciò,
esitante.
Abbassò lo sguardo e
scosse la testa.
-Buonanotte, mia piccola
Vik. Sei fantastica, meravigliosa e fantastica. Dormi bene e... Niente. A domani-
-No! Cosa... Cosa volevi
dirmi, Dav? Perché mi hai preso la mano così, perché poi l’hai lasciata? Tu non
fai così, tu non rinunci mai a niente... Cos’è
successo?-
-Tocca a te- sospirò lui, prendendole di nuovo la mano e posandosela sul cuore.
-Che... Che cosa?- sussurrò Viktorija, in un
fremito.
-Tocca a te decidere e
dirmi se stanotte vuoi venire a casa mia. Quando i tuoi e Lil dormono, senza
farti sentire... Dove sono lo sai. Ti
aspetto...-
Viktorija sbiancò e lui le
accarezzò lentamente una guancia, per poi baciarle delicatamente le labbra.
-Tesoro mio... Se vuoi, io ti aspetto-
-Io...-
Con un mormorio sommesso
Viktorija lo trattenne per la mano e lo avvicinò ancora un po' a sé.
-A dopo, Dav...-
E fu lei a dargli l’ultimo
bacio prima di quella notte e a lasciargli il cuore sulle labbra prima di
voltarsi, in una pioggia di capelli sulla schiena provocata dal suo scatto
repentino, e tornare in casa.
A dopo, David.
Aveva infilato la mantella
di lana bianca e gli stivali neri, la sciarpa di raso bianca, la cuffietta di
lana e i guanti dello stesso colore.
Con i capelli avvolti e
agitati dal vento si era incamminata, nel silenzio.
Nessuno l’aveva sentita,
nessuno l’avrebbe fermata.
David era stato il primo
dei suoi fratelli ad andare a vivere da solo, anche se molto vicino a Casa
Puškin, solo in un vicolo un po’ appartato di Nostal’hiya.
Non aveva chiesto aiuto a
nessuno per arredare le stanze, e le aveva sistemate nel modo che aveva in
mente fin da piccolo, con sei scaffali di libreria in cucina di fronte al
tavolo e tre in bagno.
La sua camera, poi, era un
altro mondo.
Non aveva un letto, ma una
gigantesca tenda montata al centro della stanza con due materassi organizzati
come se fossero un vero letto matrimoniale, quattro cuscini e una montagna di
piumoni, in cui ospitava a dormire i suoi fratelli ogni volta che sentivano la
sua mancanza in casa.
Affissa con lo scotch ad
una parete della tenda c’era la foto di una ragazzina piuttosto minuta vestita
di bianco, dai capelli chiari come il latte, serici e lunghi fino al sedere,
seduta su un letto sfatto insieme a un ragazzo altrettanto biondo e ridente
che, con un braccio intorno alla sua vita, la stringeva a sé.
Natal’ja e David poco più che bambini, nella camera che avevano diviso fino a
quando Dav era andato a vivere da solo.
David teneva maledettamente a quella foto, era la sua preferita tra tutti gli
scatti di famiglia, e voleva averla sempre sotto gli occhi.
Al’ja, la sua sorellina preferita, che lui stringeva sempre troppo forte, così
esile eppure, come lui, piena di luce e di fuoco.
Dovevano stare sempre insieme.
Erano una casa e una
camera assolutamente uniche, le sue, e lui ne andava oltremodo fiero.
La sua famiglia la trovava
fantastica e Lev si era chiesto come mai non ci avessero pensato anche lui e
Aljona, ma del resto la loro, di casa, non era molto più ordinaria.
Quando sentì bussare
delicatamente alla porta -stava aspettando quasi incollato a
quest’ultima-, David aprì
di scatto con una furia di battiti nel petto tale da provocargli dolore.
Era venuta, la sua
Viktorija era lì fuori, era lì... Per lui.
A casa sua. Con lui.
-Ciao...- sussurrò, come
senza fiato, per poi abbandonarsi con la schiena contro al muro mentre la
guardava entrare.
Era a piedi nudi, con gli
stessi jeans che aveva a cena poche ore prima e una maglietta nera a mezze
maniche.
Già grazie ai geni di
famiglia non soffriva il freddo, in casa, poi, gli veniva un caldo assurdo,
soprattutto quando era nervoso.
Era bello, ma di una
bellezza quasi innocente, quella sera, ansioso e preda dei brividi, con i suoi
mille sguardi fugaci, per una volta più incerti che feroci.
Era un Cosacco e aveva un
fascino innato, una magia che gli proveniva allo stesso modo dal sangue e dal
cuore, non aveva paura di niente, o meglio, niente di quello che faceva paura
agli altri.
Era il più coraggioso dei
figli di Lev e Aljona e, come diceva la sua
maman, come la chiamava affettuosamente lui, doveva farsi onore.
La amava.
Lui amava ardentemente e
disperatamente Viktorija.
-Come stai?-
-Beh, bene... Come prima... Ho fatto qualche esercizio
di ginnastica artistica e ho provato qualche passo di danza che mi serve per la
prossima coreografia sul ghiaccio... E poi ho guardato la tua foto, quella che
mi ha regalato Natal’ja perché diceva che dovevo assolutamente averla io, dove
sei davanti all’Accademia Militare di Rostov, nel 2036, ed eri così
sfacciatamente felice... E ho pregato che dormissero già tutti per poter
correre da te-
Raskol’nikov, che aveva
seguito David fino alla porta girandogli intorno e passandogli tra le gambe
instancabilmente, assestò una testata decisa a una gamba di Viktorija,
facendola sorridere.
-Oh, tesoro...- lo salutò,
e David impiegò un bel po’ a capire che si stava riferendo al suo gatto e non a
lui.
-Oh, Ras... Eh, sempre tra
i piedi, sta... Però è fantastico...-
-Davvero!-
David le posò una mano
dietro la schiena e la spinse delicatamente verso di sé.
Viktorija inciampò nei
suoi stessi passi e finì contro il suo petto.
Le dita strette intorno
alla maglietta del fidanzato, tremava dentro ed era sua.
David avrebbe avuto tutto
di lei quella notte, ogni singolo centimetro della sua pelle, ogni anelito
della sua vita.
La baciò ed era la sua
stella, la sua promessa d’onore.
Era magica, lei, il suo
abbandono e la sua fragile adolescenza contro tutto il suo amore per lui.
Poi smise di baciarla e la
strinse semplicemente a sé, e seppe con certezza che non avrebbe potuto
desiderare e amare di più.
-Quante ragazze hai avuto?-
Viktorija si strinse a
David sotto al piumone color panna di quel letto improvvisato, nella tenda di
quel suo Cosacco solo un po’ in ritardo coi secoli, meraviglioso e folle allo
stesso modo.
Lui non aveva ancora avuto
il coraggio di abbassarle una sola spallina dell’abito di pizzo, non mentre lei
lo guardava con quegli occhi liquidi e colmi di paura e gelosia.
-Avuto in senso...-
-Fisico,
anche- precisò lei, lievemente stizzita.
Non riusciva a pensarci.
Non voleva immaginarlo.
Perché lui doveva aver
avuto altre ragazze?
Perché, quando lei non
poteva sopportarlo?
-Tre-
ammise lui, flebile ma sincero.
Ol’ga Vasil’evna
Ledjachova a Rostov, Veronika Alekseevna
Romanenko a Zaporože e Elena Stanislavovna Hladkaja a Novosibirsk.
Tutte abbastanza innamorate
di lui, tutte abbastanza carine, nessuna che superasse l’abbastanza, per lui.
Dolci quando capitava,
relativamente simpatiche, mai troppo entusiaste e tranquille quando lui parlava,
perché lui doveva essere così tanto bello e così poco normale ed equilibrato?
Eppure ci era andato a
letto, e onestamente un po’ le aveva anche amate.
Che non fossero loro probabilmente lo sapeva.
Ma allora Viktorija era
troppo giovane e troppo lontana.
-E poi?-
-E poi se ne sono andate-
sospirò David, accarezzandole distrattamente i capelli.
-Prima o dopo di te?-
-Vik, io non me ne vado
mai davvero. Non quando parto all’improvviso e non lo dico. Ѐ che io vado
in un’altra città come gli altri vanno al bar o in edicola. Ho una concezione
bacata del tempo e dello spazio, come dice mia madre. Ma se devo lasciare
qualcuno, intendo non solo una ragazza, lasciare una persona in generale, davvero... Glielo dico sempre, prima. Sarebbe troppo sleale, altrimenti-
-E io?-
-Tu sarai mia moglie,
punto. Per sempre-
-Perché?-
-Perché ti amo. E ti
ricordi cosa succede quando dico una cosa? Ti ricordi cosa significa quello che
dico? Ti ricordi quanto ci credo?-
-Me lo ricordo, Dav...
Solo che...-
-Se non vuoi tu è un’altra
storia. Ma io mi impicco, eh-
-Io non voglio?- chiese Vik, confusa. -Io ti sposerò di sicuro, ci mancherebbe altro, non
so proprio come tu faccia a pensare che potrei non sposarti, ma stavo
pensando... Va bene il 20 Marzo 2042? Così io li avrò già compiuti, diciassette
anni, e tu ventiquattro-
-Però intanto tu stai
sempre con me, vero?-
-No...- lo prese in giro
lei, e David le lanciò uno sguardo preoccupato.
-Fantastico...-
-Ma ti amo, ti amo- gli
giurò Viktorija all’orecchio, e così gli diede il permesso di diventare davvero
il suo unico uomo, il suo unico amore.
It’s
true that I used to be crazy
And
harder to love than most men
And
the blood that ran in these tired hands
Was
harder and wilder back then
Ѐ vero che
sono solito essere pazzo
E più difficile da amare della
maggior parte degli uomini
E il sangue che scorre in queste mani
stanche
Era più difficile e selvaggio allora
(It
takes one to know me, Johnny Cash e June
Carter)
-Riferito a David-
Note
Ed ecco un altro capitolo
importante per David e Viktorija, in cui li conosciamo meglio tutti e due.
Io mi sono divertita
tantissimo a scriverlo e ho una cotta non indifferente per Dav, ma lasciamo
perdere... ;)
Spero che vi sia piaciuto!
A presto,
Marty