Salirono immediatamente a parlare coi due giovanissimi testimoni. I bambini sedevano sul
divano del loro appartamento e sembravano tranquilli.
Beckett e Castle si avvicinarono sorridendo.
«Ciao!» salutò la detective, fingendo un buon umore che non provava. I bambini non dovrebbero mai essere
coinvolti in queste cose.
«Ciao. Voi siete della polizia?» domandò il bambino più grande.
«Sì. Io mi chiamo Kate. Lui è Richard.»
«Perché non indossate la divisa?» domandò il fratellino.
«Perché… noi siamo detective. Possiamo vestirci come vogliamo.»
«Bello.»
Intervenne la madre dei bambini, che assisteva preoccupata.
«Bambini, raccontate ai detective cosa avete visto.»
«Sì, vi ascoltiamo. Raccontateci. Avete visto qualcuno che usciva di
nascosto?»
«Scendeva dalle scale.»
«Quali scale?»
«Le scale antincendio. All’esterno.»
«Stavamo giocando in cortile…»
«…e lui è sceso.»
I due fratelli si completavano le frasi a vicenda come Ryan ed Esposito. In
altre condizioni, Beckett ne avrebbe riso, ma in quel momento era troppo
preoccupata che i bambini fossero rimasti sconvolti da qualcosa o che fossero in
pericolo in quanto testimoni.
«Chi è “lui”? Potreste descrivercelo?»
I due fratelli si consultarono per qualche secondo.
«Aveva la testa grossa…»
«… le braccia sottili…»
«… gli occhi grandi…»
«… la pelle grigia…»
Castle capì per primo che non si stavano riferendo ad una persona umana. Un
gatto? Un cane? La loro descrizione era molto confusa e contraddittoria.
Nel frattempo Beckett sorrise, improvvisamente più serena. Preferiva di
tutto cuore non avere nessun testimone che coinvolgere due bambini.
«Non fa niente. Dunque avete visto un animale scendere per le scale?»
domandò.
I due fratelli avevano già descritto con tutti i dettagli quello che
sapevano. Alzarono le spalle perplessi. Non avevano altre parole per spiegarlo
in modo diverso e, se i poliziotti non avevano capito, non sapevano cosa
aggiungere.
«No… non era un animale» disse il più piccolo. «Ma non era nemmeno un
uomo.»
«Ho visto un cartone alla tv, una volta» aggiunse l’altro. «Secondo me
quello… era un alieno.»
I due bambini erano convinti e sicuri. Raccontavano la stessa versione dei
fatti senza mai entrare in contraddizione. Non potevano averlo inventato.
Qualsiasi cosa avessero visto, era uscita dalla finestra dell’appartamento di
Mack, era scesa per le scale esterne e aveva saltato a terra con agilità,
svanendo poi in un vicolo laterale.
«Testa e occhi grandi, membra sottili e pelle grigiastra. È chiaro: hanno
visto un grigio!»
Sbottò Castle quando uscirono di nuovo sul pianerottolo.
«Un che cosa?»
«Un grigio! Esistono diverse razze aliene, Beckett, lo sanno tutti.»
«Io non lo so.»
«Beh, ci sono i rettiliani, i nordici e i grigi... In realtà i grigi sono
i più diffusi.»
«Un assassino alieno. Questo mi mancava.»
«Non ci credi, vero? Eppure è quello che hanno detto i bambini. Fino
all’ultimo dettaglio.»
Kate si allungò per guardare fuori da una finestra. Il palazzo in cui si
trovavano non era né ricco né povero, semplicemente uno dei tanti complessi di
appartamenti di New York, di stile moderno americano. Paul Mack viveva al
quarto piano, i bambini al sesto.
Da dov’erano, il piano della strada non era troppo lontano e si aveva una
buona visione degli edifici circostanti.
«Laggiù.»
«Cosa?»
«Quella è una banca. La vedi, all’angolo? Secondo i bambini, il tuo alieno
è fuggito da quella parte.»
Castle fece una smorfia di disappunto. Di certo Beckett voleva farsi dare
le registrazioni di sicurezza delle videocamere che circondavano il perimetro.
«È tempo sprecato. Gli alieni non si fanno riprendere dalle telecamere a circuito
chiuso, sono molto più intelligenti di noi.»
«Forse sono più intelligenti di te, Castle.»
«Ehi, Beckett, cosa vorresti insinuare…?»
La detective scese le scale senza lasciarlo finire.
«Ryan, dove sei? Abbiamo bisogno di un mandato!»