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Autore: Nanda    11/07/2008    4 recensioni
Non poteva, lui non poteva vivere senza di lei. Era come l’aria che saziava i suoi polmoni, come il sangue che affluiva nelle sue vene, come l’anima vestita del suo corpo. Lei era l’unica cosa che avesse desiderato veramente nella sua vita. Non poteva, lei non poteva vivere senza di lui. Era come il vento che con stilettate nel petto saziava la sua anima, come fuoco nelle vene, come l’anima vestita del suo corpo. Lui era l’unica cosa che avesse desiderato veramente nella sua vita.
Genere: Triste, Malinconico, Poesia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Draco/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1°

 

IL NOSTRO TEMPO

 

La cosa più grande che tu possa imparare

              è amare e lasciarti amare.

 

(Da Moulin Rouge)

 

Era da praticamente un’ora intera che continuava ad andare avanti e indietro lì fuori, misurando il corridoio del treno, senza accorgersi di attirare l’attenzione del controllore e della signora che portava il carrello dei dolci che di sicuro l’avrebbero ricordata per tutta la loro vita come una ragazza veramente strana e un tantino “labile psicologicamente”, questo perché nessuno sano di mente avrebbe avuto voglia con quella pioggia che c’era fuori di stare in piedi ad osservare un paesaggio che quel giorno non era proprio dei più invitanti; ovviamente nessuno tranne lei. Senza doversi affrettare gli ultimi cinque minuti prima di arrivare ad Hogwarts aveva già indossato la gonna a pieghe grigia con su la camicia e la cravatta giallo – rossa, il mantello era stato raccolto e poggiato sul baule leggermente rovinato agli angoli, perciò, in assenza di altre attività interessanti da svolgere e scartata a priori l’idea di tornare nel suo scomparto ad ascoltare i noiosi discorsi di Ron e della sua pseudo-amica Hermione, non poteva fare altro che continuare a muoversi senza avere la forza di fermarsi anche solo per pochi secondi, magari in modo da sembrare più normale di quello che non era mai stata.

I capelli morbidi e lievemente ondulati alle punte le ricadevano dolcemente sulle spalle rilucendo della loro naturale tonalità rossastra ai flebili raggi solari che s’insinuavano tra i nuvoloni grigi del cielo, il volto era lasciato libero dalla cascata dei suoi capelli con delle pinzette a forma di fiore ai lati. Apparentemente poteva presentarsi come una semplice ragazza carina più o meno pronta ad affrontare un nuovo anno scolastico ad Hogwarts, ma se qualcuno avesse avuto la possibilità di entrare nel suo cervello avrebbe senz’altro compreso che Hogwarts, in quel momento, era l’ultimo dei suoi innumerevoli pensieri. Nel suo cervello regnava tutto il disordine che lei non aveva mai sopportato in suo fratello, che lasciava i vestiti ovunque, in suo padre, che abbandonava i suoi manufatti babbani anche nel bagno, e nel suo fidanzato, o per meglio dire ex fidanzato, che non era stato in grado neppure di comprendere i suoi sentimenti. E lei? Lei in quel momento si ritrovava in un grande caos, con un forte mal di testa ed un nuovo anno apparentemente entusiasmante alle porte. Di certo “lui” non si era reso conto che con il suo comportamento e il suo modo di essere aveva mandato letteralmente allo sbando la vita di una ragazza da sempre conosciuta per la sua giovialità e il suo sorriso.

“Lui”; il suo tormento, la causa del suo dolore, il suo quinto anno ad Hogwarts incredibilmente diverso da tutti gli altri, il fuoco che le scorreva nelle vene, i suoi sorrisi, l’estate più bella della sua vita, i suoi pianti (numerosissimi). “Lui”; la pace, la tranquillità che ormai aveva perso per sempre. “Lui”; il primo ragazzo ad averla amata veramente, il primo ragazzo con il quale si era lasciata andare senza nessuna metrica o logica, l’unico con il quale era riuscita a provare quel sentimento fino ad allora a lei sconosciuto, l’amore, quello che divora l’anima e il cuore. “Lui”; il ragazzo che senza rendersene conto non era riuscito a capirla, che l’aveva fatta soffrire ma nello stesso tempo le aveva fatto toccare il cielo con un dito e… basta pensare a “lui”. Non voleva più saperne, non voleva più pensare al passato o immaginarlo ogni istante della sua vita e sognarlo tutte le notti, basta, non ne poteva più. Era veramente l’unica persona che aveva amato più della sua stessa vita e che subito dopo aveva odiato come mai aveva fatto con nessun altro, o almeno odiarlo era l’unico mezzo in suo possesso per dimenticarlo veramente, questo era quello che si ripeteva in continuazione mandando il suo cervello in fumo. Aveva sprecato un anno, un anno della sua meravigliosa esistenza per inseguire uno stupido sogno, e non si era mai accorta di avere uno stuolo di ragazzi più belli e più simpatici e coerenti che avrebbero fatto qualsiasi cosa anche solo per un suo sorriso e che sarebbero stati accettati in generale da tutti perché sicuramente più seri e intelligenti e provenienti da delle buone famiglie. Ormai “lui” era solo il riflesso del ricordo di un’estate indimenticabile, e di un anno scolastico da dimenticare.

In coda ai suoi pensieri giunse una voce familiare. La voce dell’unico ragazzo che era riuscito a tenerla allegra durante quell’estate monotona e fredda nonostante i rimproveri di Ron, che non faceva altro che attaccarla ogni qual volta potesse farlo, e di tutti i suoi fratelli in generale, che avevano preso ad ignorarla con tanta di quella disinvoltura che a volte sembrava quasi lei fosse un’anima trasparente che attraversava la casa e che nessuno all’infuori di suo padre e sua madre, ignari di tutto, riusciva a vedere. Forse se avessero saputo, anche loro avrebbero assunto lo stesso atteggiamento, e il solo pensiero le fece salire i brividi lungo la schiena. I suoi genitori erano gli unici veri affetti che le erano rimasti o perlomeno le uniche persone che ancora la trattavano come quella che era, la piccola affettuosa Ginny Weasley, e non come la bastarda che aveva tradito la sua famiglia e i suoi ideali per amare il figlio di un pericoloso mangiamorte.

“C’è qualcosa di interessante fuori dal finestrino?”  disse un ragazzo alto con i capelli neri spettinati sorridendo appena, cosa che Ginny aveva sempre adorato.

Sarebbe stata ore ed ore ad ascoltarlo, qualsiasi cosa dicesse, dalle solite battutine fino alla lezione di erbologia, l’unica cosa che a lei importasse veramente era poterlo ascoltare per essere invasa dalla calma che lo aveva sempre contraddistinto, per poter essere in pace con se stessa e colmare quel vuoto dentro al suo cuore molto simile ad una voragine nella quale temeva che un giorno o l’altro sarebbe irreparabilmente sprofondata. E quante volte aveva desiderato morire, poterci cadere veramente dentro quella voragine, quante volte aveva sperato che il dolore la divorasse dall’interno del suo corpo fino a consumare ogni sua cellula, come un virus letale. Ed ogni volta, era sempre stata quella voce, quella compagnia talvolta silenziosa e amorevole, talvolta severa e allo stesso tempo dolce, che l’aveva aiutata ad andare avanti e a non precipitare nel buio del suo cuore, quel cuore una volta palpitante e pieno di vitalità, e ora straziato da qualcosa troppo difficile da combattere persino per Ginny, l’unica ragazza della famiglia Weasley. Ancora adesso, dopo un anno e tanti buoni propositi per riprendersi dal torpore che aveva colto la sua anima, Ginny pensando si chiedeva perché dovesse continuare a vivere. Perché vivere se non aveva più un obbiettivo nella sua vita, se era diventata apatica verso tutto e tutti, se la sua vita non aveva più un senso, o almeno lei non riusciva a trovarne uno che le desse la forza di andare avanti? Perché vivere se non c’era quasi più nessuno che le stesse vicino, se l’unica persona che in quel momento avrebbe voluto accanto se ne era andata per sempre? Quanto era stato il dolore provato? Troppo. Quanti invece i giorni trascorsi serenamente da allora? Troppo pochi.

 

“E adesso cosa ti prende? Si può sapere cosa diavolo ti prende?” Ginny lo guardò negli occhi. Quegli occhi, che tanto amava, la scrutavano, alla ricerca di spiegazioni, alla ricerca di risposte. Ma a cosa sarebbero servite poi? Ad aumentare l’odio, il dolore, e a nient’altro. Lo guardò per dei lunghi attimi, silenziosamente, sentendolo reclamare ancora una volta spiegazioni che non era mai stata in grado di dare neppure a sé stessa.

Amava Potter? Amava Thomas? Amava un altro fottutissimo ragazzo? Bene, nessun problema… ma lui, lui aveva bisogno di chiarimenti, quegli stessi chiarimenti che era sicuro se lei gli avesse chiesto lui non avrebbe altrettanto saputo dare. La vide, penetrò dentro la sua anima scrutando dentro di lei, dentro il suo cuore puro e innamorato. Perché? Lo fissava, lo supplicava, sembrava cercasse le sue stesse risposte, perché il dolore? Perché…avrebbe voluto abbracciarla, ridere ancora una volta, insieme… perché?

Avrebbe voluto stringerlo al petto, amarlo ancora di più, sentirlo sulla pelle come un marchio di fuoco indelebile…perché il dolore? Perché guardarlo, sussurrargli con parole silenziose desiderio, e scappare… perché il dolore? Perché la delusione? Perché piangere dopo aver fatto una scelta dettata dal proprio cuore o semplicemente da delle regole astratte e surreali per due cuori innamorati?

“GINNY!!!” un urlo, per lei. Che cosa le sarebbe costato tornare indietro e fare come se nulla fosse?

Affondò la mano con un pugno nella porta. Le nocche rigate da rivoli di sangue, le ossa indolenzite, schegge di legno conficcate nella carne, come i piccoli aghi di ghiaccio piantati nel suo cuore. E ancora una volta dolore, e delusione… perché? Era forse amore?

 

Una goccia di pioggia poggiatasi sul finestrino la ridestò dai suoi pensieri. Solo in quel momento si accorse di essersi immersa in un altro mondo, lasciando lì Harry, senza una risposta, ad ammirare le dolci colline che sinuose si alternavano per il movimento del treno davanti al suo sguardo fermo e calmo, quasi come se stesse aspettando il momento giusto per parlare senza bloccare bruscamente i suoi pensieri. Eccola la sua dolcezza, ecco l’Harry che Ginny aveva genuinamente amato al suo primo anno, un Harry che non chiede spiegazioni, che ti capisce senza neanche il bisogno di parole, un Harry che non si arrabbia anche se lo lasci senza una risposta davanti ad un finestrino a guardare qualcosa che, Ginny ne era convinta, in quel momento non lo attirava minimamente.

“Bhè, guardare fuori dal finestrino è qualcosa che devo fare quando sono in viaggio, è rilassante.” disse Ginny guardandolo negli occhi, quegli occhi verdi, chiarissimi, simili a quelli di qualcun altro, o forse era solo una delle sue solite allucinazioni. Harry la guardò sorridendo per la seconda volta da quando era arrivato. No, era solo una stupida allucinazione, “lui” non sorrideva mai così, anche se amava ugualmente il sorriso di Harry e le sue iridi verde acqua.

“Se è solo per questo che te ne sei andata dallo scompartimento potevi dirmelo, ti avrei ceduto il mio posto vicino al finestrino.” Ginny portò lo sguardo fuori notando i primi invisibili cenni di pioggia sul vetro, simili a tante stelle argentate in un cielo illuminato ancora dai raggi caldi del sole. Avevo bisogno di stare sola, avevo bisogno di dimenticare. Ne ho bisogno, aiutami Harry…

“Lo so, ma non volevo provocarvi problemi facendo la figura di quella capricciosa, soprattutto davanti al vostro nuovo amico.”

“Mmh, e com’è che hai portato dietro tutti i bagagli? Vediamo, cosa spingerebbe una ragazza del sesto anno a soggiornare nel corridoio di un treno decrepito, seduta sui suoi bagagli, a guardare fuori da un finestrino sporco?” rise impercettibilmente, anche perché era praticamente impossibile non farlo quando lui si ritrovava nei paraggi, riusciva sempre in qualche modo a smorzare la tensione. E lo faceva così, in maniera tanto naturale, che non ti faceva mai pesare il fatto che lui era lì con te ad aiutarti quando avrebbe potuto divertirsi in mille altri modi diversi.

“Bhè, la pioggia sta lavando il finestrino.” si guardarono per pochi secondi con due sguardi entrambi indecifrabili, poi scoppiarono in una risata cristallina e contagiosa. Harry, il suo salvatore. Grazie…uno sbuffo del treno annunciò ad entrambi che a distanza di poco sarebbero arrivati ad Hogsmeade.

“Bhè, se mi aspetti un attimo vado a prendere le mie cose e scendiamo insieme.” disse ancora ridendo un poco Harry. La rossa fece cenno di si con la testa vedendolo scomparire in uno scompartimento, poi portò la sua attenzione a tutti gli altri scomparti che poco alla volta cominciavano ad aprirsi svelando persone più o meno eccitate, altre scocciate, altre ancora apparentemente tristi, proprio come lei in quel momento. Ti prego Dio fa che possa passare un anno migliore, fu questo il suo pensiero.

 

Lo sbuffo del treno lo avvertì di essere vicini alla meta. Eccolo, un altro anno ad Hogwarts, per fortuna l’ultimo, pensò il biondino. Si alzò con disinvoltura dal suo posto, prese il mantello tenendolo con le dita dietro una spalla e trascinò il baule lasciando i suoi compagni di casa ancora a vestirsi.

I capelli biondi gli ricadevano sul viso, la pelle marmorea spiccava sui suoi muscoli scolpiti, le maniche della camicia bianca erano arrotolate fino al gomito, proprio in quel modo…

 

I caldi raggi del sole illuminavano il giardino di Hogwarts, mettendo in risalto tutti i suoi colori più belli: il verde degli alberi, il blu intenso del lago, l’azzurro chiaro del cielo dove qua e là delle nuvolette bianche facevano la loro comparsa incipriando quella distesa immensa. Sotto una quercia, unici protagonisti di quel bellissimo quadro, due ragazzi abbracciati.

“Draco, insomma, quante volte te lo devo dire? Non mi piace così.”

“Ma ho freddo, che cavolo me ne frega se sono o non sono bello, e poi io sono sempre bello.”

“Si, ma se tieni le maniche della camicia arrotolate sei ancora più bello, sembri un duro.” lo guardò sorridendo, poi gli arrotolò di nuovo le maniche della camicia.

“Bene, domani ti ritroverai un Draco duro e raffreddato, e poi vedrai che bello sempre con il fazzoletto in mano.”

“L’importante è che piaci a me no?” disse Ginny con una nota di finta gelosia rifugiandosi nel suo abbraccio. Amava sentire quelle braccia solide tenerla stretta, amava sentire quelle mani infuocare la sua pelle ad ogni minimo tocco.

Dopo alcuni attimi Draco le prese il volto tra le mani e la baciò. Fece scorrere le mani sui suoi fianchi, poi più su, verso il suo seno, portò le sue labbra soffici sulle guance, gliele sfiorò appena. Poi si staccò e fece finta di starnutire all’improvviso, interrompendo il loro contatto.

“Ma che fai?”

“Starnutisco non vedi? Ma tanto tu non hai problemi a te piaccio così…vero?” lei lo guardò male, poi si alzò e cominciò ad andarsene verso il castello.

“Razza di idiota.”

“Ma che ho fatto adesso, non vedi che ho le maniche come vuoi tu?”

“Bhè mettitele come ti pare.”

“Dai Ginny, era solo uno scherzo fermati.”

 

Frenare il ritmo frenetico della sua mente, smettere di logorarsi l’anima e ricominciare a vivere… era questo quello che Draco Malfoy avrebbe dovuto fare dal primo di settembre di quel nuovo anno scolastico, assieme allo studio ovviamente, dato che molto probabilmente il padre l’avrebbe ucciso se fosse tornato a casa di nuovo con la metà delle materie esistenti rimandate, più preoccupato dell’onore del casato Malfoy che dell’istruzione del proprio figlio. A volte gli sembrava tremendamente facile, a volte si sentiva tremendamente felice; la guardava, la baciava, le accarezzava una guancia ringraziando Dio di avergli mandato una persona capace di farlo riprendere, capace di aiutarlo a dimenticare tutto ciò che mai e poi mai si sarebbe aspettato che avrebbe potuto farlo soffrire a quel modo. Ma altre volte, sembrava che il buio della notte lo ingoiasse rendendolo parte di sé, la guardava, la baciava, le accarezzava una guancia sognando al suo posto un’altra persona, immaginando di attorcigliare le sue dita in boccoli infuocati, di baciare quelle labbra carnose, di stringerla al petto con la consapevolezza che mai se la sarebbe potuta lasciare andare.

Preda dei suoi pensieri si accorse solo dopo un paio di minuti che il treno si era fermato e alcuni studenti avevano già cominciato ad uscire trascinando i loro bagagli. Chiudendo per quel che gli era possibile la mente si diresse assieme a tutti gli altri verso l’uscita. Mentre camminava con passo regale però, la vide. Bellissima, con lo sguardo rivolto fuori, con l’aria di chi aspettava qualcuno, con i capelli mossi color sangue morbidi sulle spalle e un che di malinconico… lei, bellissima protagonista dei suoi sogni, principessa delle sue fiabe, ragazza del suo cuore… distolse lo sguardo, non poteva permettersi di soffrire ancora, non poteva correre dietro qualcosa che ormai era diventato irraggiungibile. Se lo era ripromesso, doveva riprendere a vivere, proprio da quel giorno, e avrebbe dovuto dimenticarla una volta per tutte. Quando giunse sugli scalini però, si voltò per un momento, con l’istinto di andare, baciarla, rimpossessarsi con la forza ancora una volta di quel sogno proibito, di quel corpo visibilmente cambiato in soli tre mesi di lontananza. La guardò, avidamente, avvolto in un turbine di indecisione, passione, rabbia, frustrazione, dolore, desiderio. Ed i suoi occhi grigio tempesta, per un brevissimo attimo, non poterono fare a meno di tremare per ciò che si stava a poco a poco scatenando nel suo cuore.

 

Non poteva, lui non poteva vivere senza di lei. Era come l’aria che saziava i suoi polmoni, come il sangue che affluiva nelle sue vene, come l’anima vestita del suo corpo. Lei era l’unica cosa che avesse desiderato veramente nella sua vita.

 

Scese quegli scalini. Da lì cominciava la nuova vita di Draco Malfoy, che riprendeva a scrivere la storia della propria esistenza.

 

Ormai tutti si apprestavano verso l’uscita del treno; solo lei, imperterrita, continuava a tenere lo sguardo fisso fuori, forse perché realmente attratta da ciò che vedeva, una calca informe di primini che cercavano di seguire Hagrid e non perdersi dentro il suo cappotto imbottito, o forse cercando di non incrociare lo sguardo di un ragazzo biondo che insieme ai suoi compagni di casa si apprestava, come tutti stavano facendo e come anche lei avrebbe dovuto fare, a raggiungere le carrozze dei Thestral.

Il rumore secco di uno sportello che si chiudeva la fece voltare, sicura di trovare il sorriso di Harry a rasserenarla. Ma non vide Harry, non vide Luna che correva a salutarla o Hermione che la cercava preoccupata di che fine avesse potuto fare la piccola bambina dai capelli rossi e lo sguardo allegro. Vide proprio la persona che aveva cercato di evitare dalle undici di quella mattina, ovvero da quando era salita sull’espresso. L’unica persona che in quel momento avrebbe potuto far accelerare i battiti del suo cuore ed infuocare la sua anima.

I capelli gli ricadevano scomposti sul volto, lo sguardo argentato era posato a terra, i muscoli delle sue braccia marmoree erano scoperti, le maniche della camicia bianca arrotolate, proprio in quel modo che lei amava tanto.

 

Quanto amava stare seduta nei giardini di Hogwarts sotto la sua quercia preferita? Tanto. Quanto amava farlo con Draco Malfoy? Troppo. Da quanto tempo si trovavano abbracciati con le dita intrecciate? Fin troppo. Dal momento in cui sentiva quel fiato solleticarle il collo, quelle dita affusolate puntellare di stelle il suo ventre, quelle labbra incredibilmente soffici e fredde poggiarsi sulle sue, era come se venisse catapultata in un altro mondo, come se i suoi sensi venissero ridestati da un lungo sonno e cercassero di assorbire ogni cosa.

Ed era proprio quello che stava succedendo in quel momento. Ovunque passassero quelle dita, quelle labbra, la sua pelle prendeva a bruciare e lei non capiva più niente, non provava o sentiva più niente, se non quello strano movimento nel petto e le emozioni che quei piccoli gesti le provocavano. Poi…Draco starnutì.

“Ma che fai?”

“Starnutisco non vedi? Ma tanto tu non hai problemi a te piaccio così…vero?” lei lo guardò male, poi si alzò e cominciò ad andarsene verso il castello.

“Razza di idiota.”

“Ma che ho fatto adesso, non vedi che ho le maniche come vuoi tu?”

“Bhè mettitele come ti pare.”

“Dai Ginny, era solo uno scherzo fermati.”

Niente da fare, Ginny prese a correre come una furia attraversando quasi tutta la distesa verde smeraldo, in prossimità della fontana posta proprio al centro del giardino però prese una pietra e cadde rovinosamente a terra sbattendo il naso. Draco le si avvicinò di corsa aiutandola a rialzarsi mentre il naso di lei cominciava a pulsare prepotentemente. Fortunatamente non c’erano tracce di sangue sul suo volto, almeno per il momento.

Attorno a loro non c’era nessuno studente. Lì dov’erano in quel momento qualcuno avrebbe potuto scorgerli, qualche professore avrebbe potuto scoprire il loro segreto spiando attraverso una delle innumerevoli finestre della scuola, ma nessuno dei due in quel momento se ne preoccupava più di tanto, o forse a nessuno dei due era ancora venuto in mente, una con il naso troppo dolorante per pensare a qualsiasi altra cosa e uno troppo divertito dalla scena per pensare a qualsiasi altra cosa.

Stava per cominciare a sbraitare come una matta urlando contro il suo comportamento da deficiente quando si bloccò sentendo le mani fredde di Draco imprigionarle in una dolce morsa il volto. Rimase impietrita, come d’altronde tutte le volte che la loro pelle veniva a contatto, mentre lui le posava lievemente un bacio sul naso lentigginoso che incredibilmente smise di pulsare, poi le rivolse uno sguardo intenso. I loro occhi erano incatenati in una potente magia oscura, che l’avesse davvero incantata? Sentiva che il suo corpo era immobile, qualsiasi cosa fosse successa era sicura che non sarebbe mai riuscita a muoversi di un solo millimetro, anche se i mangiamorte avessero attaccato la scuola probabilmente sarebbe rimasta lì incapace di qualsiasi movimento labiale e fisico.

“Sei una stupida bambina capricciosa…” le disse lui e la sua voce la fece rabbrividire. Lei una stupida bambina capricciosa? Avrebbe tanto voluto rispondergli a tono, ma il ragazzo pensò bene di chiuderle la bocca prima che potesse dire qualsiasi altra cosa. Le loro labbra si unirono in un bacio da mozzare il respiro.

 

Si voltò di scatto verso il finestrino facendo finta di niente, mentre sentiva il cuore esploderle nel petto. Le lacrime minacciavano di invadere il suo volto, come un rivolo di sangue che spunta da un piccolo taglio, i ricordi affollavano la sua mente, come un diario riaperto dopo tanto tempo. Come il suo cuore sanguinante e pieno di ferite, le lacrime presero inspiegabilmente a bagnarle le guance oscurandole l’anima, e di nuovo sentì quella forza invadente dentro di sé, come se stesse per morire, come se stesse per esplodere in tanti invisibili pezzetti lasciando di sé stessa solo un piccolo ricordo.

Perché nessuno riusciva ad aiutarla? Perché la sua vita si era spenta? Perché il suo cuore aveva smesso di pompare vitalità alla sua anima ormai priva di luce? Indecisione, passione, rabbia, frustrazione, dolore, desiderio. Si voltò verso di lui, ormai in procinto di scendere, lo guardò, le sue spalle perfette, le sue braccia perfette, i suoi capelli perfetti… lui, perfetto in ogni cosa, in ogni pregio, in ogni difetto… fece qualche passo nella sua direzione, mentre lo vedeva scendere gli scalini.

 

Non poteva, lei non poteva vivere senza di lui. Era come il vento che con stilettate nel petto saziava la sua anima, come fuoco nelle vene, come l’anima vestita del suo corpo. Lui era l’unica cosa che avesse desiderato veramente nella sua vita.

 

Ed in quel momento capì che non poteva più fare niente, che lo aveva perso per sempre, e che aveva perso per sempre sé stessa in lui. Da lì cominciava la nuova vita di Ginny Weasley, che riprendeva a scrivere la storia della propria esistenza.

 

La sala grande pullulava di studenti. I primini avevano già preso posto ai rispettivi tavoli dopo un lungo e noioso smistamento e tutti erano ansiosi di sentire cosa avesse da dire Silente per quel nuovo anno, non perché a loro importasse realmente di ciò che diceva il loro preside, ma semplicemente perché gran parte di coloro che erano seduti non aspettavano altro da quando erano entrati che mangiare a sbafo le prelibatezze preparate dagli elfi domestici.

Un vocio sommesso aleggiava come una patina di lieve torpore ai primi cenni dell’alba avvolgendo tutta la sala. Dopo svariati minuti un leggero tintinnio amplificato squarciò tutte le voci più o meno concitate degli studenti facendo portare la loro attenzione al preside e alla Mc Granitt, che stava posando la forchetta per la frutta nuovamente al suo posto. I capelli erano elegantemente raccolti in una crocchia alta, lo sguardo severo e fermo sembrava scorresse da uno studente all’altro nonostante fosse fisso a guardare il vuoto davanti a sé e le mani erano poggiate sul ventre dolcemente incrociate tra loro. I ragazzi per un breve attimo la osservarono, dopodiché recependo il messaggio (Silente doveva parlare!) si voltarono verso il loro amato preside prestandogli tutta l’attenzione che degli studenti affamati potessero fare. Dal canto loro i primini sempre più spaventati non sapevano esattamente cosa dover fare, quindi provavano ad imitare i loro compagni di casa più grandi. Un povero serpeverde cercava disperatamente di imitare Tiger, ma una cosa che proprio non riusciva a fare era quello strano movimento della bocca, come se stesse quasi mangiando l’aria. Misteri della scienza, pensò il ragazzino tra sé, rinunciando all’ardua impresa.

Il preside si alzò dal suo seggio e rivoltosi a tutti i suoi studenti aprì la bocca in un sorriso incoraggiante.

“Benvenuti miei cari studenti del primo anno e bentornati a tutti voi altri, è un piacere per me darvi di nuovo i miei più sentiti auguri per l’inizio di un nuovo anno entusiasmante…” i primini sembravano quasi ammaliati da quella figura così paterna e serena. La lunga barba e i lunghi capelli completamente bianchi gli incorniciavano il volto, gli occhi azzurri e guizzanti come una cascata d’acqua fresca infondevano pace, quella stessa pace alla quale purtroppo ancora non si era realmente arrivati. Eppure, ad Hogwarts, in quel piccolo castello apparentemente isolato dal resto del mondo magico e babbano, la pace non era altro che la chiave per aprire quel luogo così pieno di magia pura e buona.

Silente portò veloce lo sguardo verso la Mc Granitt, poi continuò il suo sproloquio.

“Ora, voi primini ascoltate e anche voi più grandi che spesso trasgredite a qualche regoluccia…” puntò i suoi occhi chiari sull’esile figura di Hermione, Ron ed Harry che fecero come se il preside della scuola non li stesse incolpando di infischiarsene di tutte le norme della scuola, come in verità stava facendo, seppur indirettamente. Hermione arrossì leggermente mentre Ron sembrava quasi non si fosse reso conto dell’allusione. Fu solo quando Harry gli ruppe quasi una costola con una gomitata che capì tutto. Alcuni risolini scoppiarono soprattutto dalle parti dei Serpeverde, che cominciarono a confabulare tra loro puntandoli di tanto in tanto.  

“Non dovrete mai, e ribadisco mai, entrare nella Foresta Proibita a meno che accompagnati da personale qualificato…” e dicendo questo indicò Hagrid.

Dal suo tavolo Ginny guardò le facce sconvolte dei ragazzini che probabilmente non avrebbero mai e poi mai pensato di entrare nella foresta, tanto meno con Hagrid, probabilmente la sola idea li atterriva. La rossa si chiese come potessero mai avere paura di quel bonaccione di Hagrid, probabilmente era l’unica persona della scuola da cui non avrebbero dovuto guardarsi, oltre a Silente ovviamente.

“Poi, non dovrete entrare nel corridoio proibito del terzo piano, anche se più che una regola è un consiglio, potreste seriamente arrivare dalla nostra Madama Chips in pessime condizioni…” i primini tremarono nelle loro divise nuove o di seconda mano, tutti con gli occhi animati dallo spavento. Ma cosa voleva fare, spaventarli quei poveretti? Silente guardò con apprensione i ragazzini che sembrò si fossero ripresi solo grazie a questo.

“Comunque, confido in voi che non farete niente di tutto questo quindi non avrete di che preoccuparvi, Hogwarts è una delle scuole di magia, se non la migliore che dispone di una protezione magica molto elevata e di un corpo docente diligente e responsabile, quindi non vi sottraggo altro tempo, le altre regole vi saranno esposte dai prefetti delle vostre case e Gazza in persona, il nostro custode, vi elencherà la… ehm, piccola lista di cose che non dovrete fare per fare in modo di non finire nelle sue mani. Vi consiglio di non trovarvi mai in una situazione di questo tipo… bene, ora, buon appetito a tutti quanti.”  Gazza dalla porta principale mandò uno sguardo arcigno a tutti quanti e Silente, finito di parlare, schioccò le dita con una certa difficoltà (Un po’ vecchiotto ormai, eh Silente?!) e i tavoli in pochi secondi si riempirono delle migliori squisitezze che gli elfi potessero preparare. Tiger e Goyle si avventarono su tutto ciò che potessero afferrare perché sotto tiro mentre tutti gli altri studenti cominciarono anche loro affamati, ma leggermente meno di quei due energumeni, a riempirsi i piatti di pasticcio di carne e patate o fagiolini annaffiati con un buon succo di zucca fresco.

“Ah, mi mancavano queste…” Ron non riuscì a finire la frase che prese una forchettata di pasticcio di carne riempiendosi la bocca che sembrava un vulcano pronto ad eruttare. Ginny lo guardò realmente concentrata. Non riusciva ancora a capire come un ragazzo di diciassette anni potesse contenere tutto quel cibo in una bocca comune e uguale a tutte le altre. Sembrava un pozzo senza fondo.

“Se continui così finirai per raggiungere il primato di Tiger e Goyle Ron, e poi non credo che le ragazze continueranno a guardarti con aria sognante.” disse Ginny gustandosi una patata. Hermione la guardò sorridendo e facendole un occhiolino.

“Ma nessuno lo guarda con aria sognante in questa scuola.” Harry rise senza contenersi quasi rovesciandosi addosso l’acqua che aveva bevuto, mentre un Ron accigliato alzò il volto con una strana macchiolina di olio sul labbro superiore. Sarebbe potuto sembrare seriamente risentito se non possedesse perennemente quell’aria “ebete” che lo aveva contraddistinto da quando era nato.

“Scusa Hermione, sei per caso gelosa…?”

“Per niente, dico solo la verità Ron, l’unica che ti viene dietro è quella pazza di Jasmine del terzo anno dei Tassorosso.” Ron si voltò verso il suo tavolo e vide una ragazzina dai capelli arruffati e un apparecchio particolarmente scintillante sorridergli un momento prima di rovesciarsi per sbaglio la brocca sulla divisa nel vano intento di guardarlo per qualche secondo in più. Il rosso si voltò spaventato verso i suoi amici. Gli occhi azzurri e la bocca ancora sporca erano contratti in una smorfia da fare concorrenza ad un Troll di montagna.

“Harry, diglielo tu che quella sottospecie di scarafaggio travestito da ragazzina non si è buttata tutta l’acqua addosso per me.” l’amico come risposta lo guardò portandosi una mano a grattarsi la testa. Ginny teneva lo sguardo fisso sul suo piatto già svuotato per metà mentre Hermione guardava il rosso con aria ironica.

“Ronald, hai una macchia proprio qui.” disse indicandogli il mento. Quando la mora voleva sapeva diventare peggio dei serpeverde, l’anno precedente persino Malfoy aveva smesso di prenderla in giro tanto spesso, probabilmente per paura di non trovare una risposta decente alle sue controbattute. Il ragazzo prese immediatamente il tovagliolo e cominciò a sfregarlo così forte che la parte divenne più rossa dei suoi capelli. Poi si voltò verso gli amici squadrandoli uno ad uno con gli occhi stretti in due piccole fessure.

“Vi state prendendo gioco di me, brutti… ah, ma andate al diavolo ho fame.” e riprese indisturbato da dove aveva lasciato. I tre ragazzi lo guardarono riprendere a ingozzarsi e un altro scoppio di ilarità colse il tavolo dei Grifondoro. Certo che quel ragazzo era proprio un caso disperato, era questo quello che pensava Ginny gustandosi la scena di suo fratello che continuava a mangiare.

Alla fine della cena, quando vennero serviti i dolci, era tanto pieno che riuscì a ingerire solamente un pasticcino alla crema. Ginny aveva la testa che girava come una trottola impazzita e non si sentiva più le forze. Quella giornata era stata particolarmente pesante, soprattutto dopo aver trascorso un’estate all’insegna del dormire e del divertirsi a più non posso. Chissà come quando doveva stare insieme ai suoi amici anche fino a tardi non si stancava mai, mentre quando si trattava di riprendere la scuola i suoi muscoli si scollegavano dal cervello non reagendo più a nessun comando. Comunque, pensando che il giorno seguente si sarebbe dovuta svegliare “molto” presto, compito alquanto arduo per lei che prima di mezzogiorno si trovava ancora tra le braccia del suo grande amico Morfeo, pensò bene di andare subito a dormire in modo da essere abbastanza piena di energie l’indomani da affrontare una giornata, la “prima” giornata di scuola dopo tre mesi di letargo.

Si alzò dalla panca scavalcandola, quando, mentre cominciava a dirigersi verso l’uscita, sentì la voce di Ron improvvisamente diventata seria e indagatrice.

“Dove vai…?” Ginny lo guardò calma, fingendo indifferenza completa.

“Bhè, se non hai nulla in contrario, vado a letto.” lui la scrutò per diversi attimi poi prese a voltarsi freneticamente intorno come a controllare la mossa di ogni studente. Ginny strinse le mani in due pugni cercando di calmarsi. Riuscì a trattenersi solo pochi secondi.

“Bhè Ron, vuoi che Hermione mi accompagni?” disse lei ironicamente con un’espressione furiosa in volto. Il fratello le riservò un’occhiataccia degna di un Serpeverde, cosa che se gli avessero fatto notare probabilmente lo avrebbe fatto diventare pazzo.

“Non sarebbe una cattiva idea.” Rispose mandando un’occhiata all’amica che di risposta emise uno sbuffo evidente.

Improvvisamente il clima caldo e allegro di poco prima scomparve sostituito da una tensione che poteva essere tagliata con il coltello. Persino il povero Colin spaventato aveva smesso di scattare foto concentrandosi su quella scena che preannunciava tempesta. Hermione chinò il capo rassegnata. Troppe volte aveva assistito a quei litigi, troppe volte aveva dovuto far calmare Ron per evitare che gli scoppiassero le coronarie o che uccidesse mezza scuola a suon di pugni. Troppe volte aveva dovuto far finta di non aver visto l’amica dai capelli rossi abbracciata ad un biondino in un corridoio desolato se non per lei, che doveva assolutamente andare a prendere in biblioteca un libro nuovo da leggere. Se quell’anno, nonostante fosse ormai finito tutto da un’estate, la storia fosse continuata a quel modo, probabilmente neanche lei avrebbe più resistito. Tutto era finito, perché l’unico che ancora non se ne faceva una ragione era Ron? Chi era lui per decretare cosa fosse giusto e cosa invece sbagliato?

Ginny ricacciò indietro qualche lacrima cercando di celare ciò che provava nel suo cuore. Ormai si era giocata tutto. Gli amici, la vita, quella stessa vita che spesso si chiedeva perché le avessero donato. Cosa c’era di peggio di perdere l’affetto di un fratello? Di perdere la stima, anche se non gliel’avevano mai detto, dei suoi migliori amici? Cosa c’era di peggio che vedere le persone a te più vicine ritrarsi e allontanarsi sempre di più? C’era di peggio per lei, e quel peggio era vedere “lui”, l’unico soggetto dei suoi pensieri, l’unico che riusciva ad accendere il sole della sua vita che non era ancor del tutto tramontato, assieme ad un’altra. La nuova padrona del suo cuore. Avrebbe saputo conservarlo come solo lei credeva di saper fare? Avrebbe evitato di farlo raffreddare preda degli agenti atmosferici, sarebbe riuscita a curare le sue ferite profonde, sarebbe riuscita a riscaldarlo con il falò della sua anima nelle notti invernali più gelide e ancora sarebbe riuscita a farlo crescere mantenendolo forte e pieno di vitalità?

Draco Malfoy era appena uscito dalla Sala Grande con la sua solita eleganza accompagnato da una ragazza dai boccoli biondi che di tanto in tanto gli sorrideva continuando a parlargli di qualcosa di sconosciuto a Ginny, come sconosciuta era quella ragazza che la rossa era sicura di non aver mai visto fino a quel momento.

Il cuore perse un battito, che leggero e sobrio andò a rifugiarsi nella sua mente accendendo una lucina nel cassetto dei ricordi. Fotogrammi impazziti davanti ai suoi occhi, e poi il buio accecante di quella realtà in cui doveva ricominciare una nuova vita, se lo era ripromesso. Guardò Ron che nel frattempo aveva preso a fissare quella coppia con un misto di disgusto e serenità.

Almeno non avrebbe più potuto dare fastidio a sua sorella e a tutta la sua famiglia che se fosse venuta a conoscenza di ciò che era successo l’anno precedente probabilmente sarebbe morta. Ron la guardò senza emettere alcun fiato dopo aver discosto l’attenzione dall’ingresso.

“Ginny, ehm, credo che...” Harry s’intromise puntando il dito alle spalle della ragazza e calmando improvvisamente le acque. Ron infatti riprese a mangiare, improvvisamente con lo stomaco di nuovo vuoto e Ginny, completamente stravolta, attirata da un lieve brusio alle sue spalle, si accorse per la prima volta della folla di primini che aveva assistito al dibattito con il fratello e che continuava ad aspettarla impaziente. Ops, si era completamente dimenticata di essere stata nominata Prefetto. Tutti i Prefetti delle altre case infatti erano usciti, gli unici rimasti erano gli studenti più grandi e quei poveri marmocchi alla ricerca di risposte. E da lei, la padrona delle domande irrisolte, pretendevano risposte? Ginny si stramaledisse per non aver rinunciato a quella carica, poi sbarrando gli occhi si mise il mantello, frugò nelle tasche e appiccicò la spilla da Prefetto sul petto, con così tanta forza e uno strano tremolio nelle mani che per un momento le sembrò di sentire la punta della spilla penetrare dentro la carne. La aspettava un anno faticoso, molto faticoso.

 

Non si sa come i corridoi di Hogwarts erano sempre freddi, pieni di spiragli e anche se fosse stato Agosto inoltrato avresti di sicuro avuto bisogno del mantello per evitare il congelamento. L’unica fonte di calore erano le fiaccole accese per fare un po’ di luce, difatti tutti quanti camminavano radente i muri in modo da bearsi di quell’unica fonte di appagamento appena accennato.

Dal canto suo Draco Malfoy non riusciva proprio a sentire freddo ed era l’unico in quello stramaledetto corridoio che riusciva a mantenere uno sguardo fermo senza avere il bisogno di battere i denti per riscaldarsi, o per lo meno per immaginare di non essere in procinto di diventare un ghiacciolo. Era fin troppo abituato a quel freddo pungente, dato che i numerosi allenamenti da “pre-mangiamorte” prevedevano prove ben più difficili di resistere al freddo.

Mentre camminava, facendo un passo dopo l’altro meccanicamente, rimuginava sempre sulle stesse cose alle quali non riusciva a dare una spiegazione che andasse bene al suo cuore. “Cosa sto facendo?”, era questo quello che si chiedeva. Stava parlando con la sua ragazza o più precisamente era lei l’unica che parlava, ma di cosa stava parlando poi? Non aveva praticamente ascoltato niente del discorso che gli stava facendo. Era simpatica, sì, sembrava quasi avesse quella vitalità rossastra che lui tanto aveva amato. Proprio in quel momento si ricordò del motivo che lo aveva spinto a stare con lei e a socializzare amichevolmente, cosa che non era proprio da lui, lo sapeva lui stesso e lo sapeva anche tutta la scuola. In quella ragazza aveva visto il lasciapassare che avrebbe ricondotto la sua mente e il suo cuore alla vita regolare, la vita felice di un ragazzo maggiorenne di diciassette anni e non la vita di un ragazzo di diciassette anni che desidera morire, che chiuso nella sua casa per un’estate intera non aveva fatto altro che sorbire le torture del padre, una giusta punizione per essersi avvicinato a qualcuno che non avrebbe neppure dovuto degnare di uno sguardo.

E mentre riceveva quei colpi, sentiva il sangue rigare il suo corpo e in quelle piccole gocce cristalline vedeva riflessa in mille e mille pose diverse lei e solo lei, e ancora lei, i capelli rossi che si confondevano con il rosso del sangue, un sangue del tutto comune, caldo, quasi bollente, i suoi occhi di un verde intenso e le sue labbra, rosse come il fuoco che sentiva marcare la sua pelle.

 

Sentiva indistintamente il ferro arrugginito di quelle catene sfregarsi sui suoi polsi, lacerandogli la carne. Il peso completamente morto sostenuto solo da quei ferri, le ossa indolenzite. Una ferita gli squarciava l’addome, pulsava e bruciava, a causa anche del fuoco che lentamente la percorreva, facendolo urlare di dolore. Aveva il corpo ricoperto da una mistura di sangue e sudore, qualche goccia di quest’ultimo ancora pura gli percorreva la parte di fronte ancora candida. Era nell’inferno, ma sarebbe dovuto sopravvivere a quelle torture, molto meno dolorose di quell’addio.

Sentiva indistintamente il sudore ricoprirgli il corpo, e, involontariamente, la sua mente vagava verso ricordi lontani, dove il suo corpo era ricoperto da un velo di sudore, quando sopra di lui c’era lei, l’unica vera ossessione, quando moriva entrando in lei e si rinvigoriva quando la stringeva consapevole di essere tutto per lei, come lei tutto era per lui. E improvvisamente, perdendosi in quelle sensazioni, dimenticava il dolore di quella ferita, dimenticava di essere chiuso in quel sotterraneo subendo torture da suo padre, un uomo che avrebbe dovuto amarlo, e immaginava che quel ferro rovente che lo stava accarezzando non fosse altro che la mano di Ginny, che lentamente percorreva il suo addome, e che le sue labbra, e non delle gocce di sangue, stessero baciando la sua guancia non più candida facendolo fremere di desiderio, e accendendo quella piccola lucina detta speranza nel suo cuore.

 

Scostò un lembo del mantello e infilò la mano dentro la camicia, ripercorrendo il solco inesistente di quella ferita, ormai scomparsa. Dopo essere stato curato dal miglior Medimago del mondo magico e dopo aver ingerito migliaia di sostanze che sembrava avessero rimarginato ormai del tutto la ferita, la sentiva ancora bruciare, o forse non era altro che il suo cuore a bruciare. E allora, cosa avrebbe dovuto ingerire per farlo smettere? Solo una grande dose di buona volontà per dimenticare e non subire passivamente la vita.

Si voltò verso la ragazza che aveva accanto. I boccoli biondi dai riflessi rossicci le ricadevano sulle spalle, gli occhi erano verdi e pieni di vitalità e lo guardavano furtivamente, riscaldandogli il cuore; il sorriso… il sorriso era il suo. Probabilmente era stato Dio a donargli quella piccola parte di lei. Ed allora perché non provare a riprendere le redini della propria vita, con lei? Con quella piccola Ginny dai boccoli biondi?

“Grazie Draco.” Draco fu ridestato dalle parole della ragazza, che gli si avvicinò e gli posò un dolce bacio sulle labbra, quando si allontanò però, lasciò la sua mano sulla mandibola del ragazzo, aggrottando le sopracciglia e facendo scorrere le sue dita bianche su quello strano segno.

“Ma, cosa…” Draco le afferrò il polso e scostò immediatamente la mano. E il cuore, riprese a sanguinare ripetutamente, ancora, ancora, ancora. Gli sembrava che sarebbe morto da un momento all’altro preda dei ricordi più belli della sua vita e di quelle ferite invisibili ancora non del tutto rimarginate.

 

Erano ancora abbracciati, nel dormitorio dei serpeverde vuoto come non lo era mai stato in tutti quegli anni passati a scuola. I corpi nudi, le menti offuscate da sentimenti sconosciuti.

Ginny gli baciò la mandibola, ma quando scostò le labbra da quella pelle marmorea, vide quello strano segno. Lo ripercorse con le sue dita affusolate.

“Draco, cos’è questa?”

“Niente, solo una cicatrice.” Ginny la guardò stranita, poi poggiò la testa nell’incavo del suo collo. Lo abbracciò maggiormente, come a infondergli l’amore che provava per lui ancor di più.

Quella cicatrice gliel’aveva procurata suo padre. In uno dei tanti allenamenti, non era riuscito a parare un colpo ed ora portava con sé il segno indelebile di una vita fin troppo difficile. La sentiva bruciare ogni volta che suo padre era arrabbiato con lui, ed ogni volta bruciava come se fosse la prima. Ma da quel giorno, stranamente, dopo che Ginny l’accarezzò a quel modo, dopo quella sua dimostrazione d’affetto incondizionato, quella piccola ferita smise di bruciare. E il cuore di Draco rimase stupito, per la prima volta nella sua vita.     

 

“Questa? Tranquilla Giulia, non è niente.” senza preavviso, per distogliere la sua attenzione da quel piccolo segno indelebile, le prese il volto tra le mani e la baciò possessivamente.

Ma quelle non erano le labbra che credeva di baciare, quelle erano le labbra di una ragazza Serpeverde innamorata.

 

Era da qualche ora che la guardava nascosto dietro il tronco di un albero. Seduta sull’erba resa ormai asciutta dal sole stava ripetendo qualcosa, probabilmente trasfigurazioni, che amava tanto, o erbologia. Lo sguardo fisso davanti a sé, le mani che qualche volta gesticolavano descrivendo cerchi e forme nell’aria, le labbra che si muovevano in sussurri muti per riportare alla mente tutte le nozioni che riuscissero a ricordare. Una porzione di gambe scoperte dalla gonna e poggiate a terra, che sorreggevano un libro gigante. Si, stava ripetendo trasfigurazioni, solo il libro di quella materia poteva essere così grosso.

Le si avvicinò lentamente, prima di essersi assicurato che non ci fosse nessuno nel raggio di un chilometro, poi si sedette accanto a lei come se fosse la cosa più naturale di questo mondo. Lei scattò leggermente, poi lo guardò per svariati secondi. Chiuse il libro sbuffando e si voltò completamente verso di lui con aria scocciata, cercando nel suo immaginario qualche commento abbastanza tagliente da farlo andare via. Purtroppo non ebbe il tempo di replicare quel comportamento, perché Draco in quel momento pensò bene di unire le sue labbra a quelle rosse di Ginny. Passò la sua lingua sul suo labbro inferiore, sentendola prima rigida, poi pian piano rispondere a quel gesto sconsiderato. La baciò con tutto il trasporto che non aveva mai avuto, con tutto l’amore mai provato e ricevuto, e dentro di sé sentì un bruciore che gli divorava l’anima, che gli impediva di separarsi da lei.

L’abbracciò, se la portò tra le sue braccia forti senza mai staccarsi da lei per paura di ciò che avrebbe dovuto spiegare dopo, per paura di non avere le parole giuste per poterlo fare, per paura di non riuscire a dare una spiegazione neanche a sé stesso del motivo per cui stava provando tutto quello proprio per Ginevra Weasley, quando nessuno fino ad allora era riuscito a fare tanto. Più la baciava, più assaporava le fragole delle sue labbra, e più desiderava ancora, ancora e ancora divorarle, mangiarle, gustarle fino ad ogni goccia del loro sapore, fino ad ogni granello del loro dolce nettare.

E per la prima volta, Draco Malfoy sentì il suo cuore farsi leggero e la sua mente svuotarsi completamente lasciando posto solo ad una strana sensazione mai provata di completa serenità con sé stesso e con tutto ciò che lo circondava.

 

La Serpeverde prese a salire i primi scalini di quella rampa apparentemente infinita, che l’avrebbe portata finalmente nel Dormitorio femminile.

“Allora ci vediamo domani Draco.”

“A domani…” e si dileguò scomparendo dietro la porta del Dormitorio maschile.

Arrivata davanti alla porta vi entrò sbattendosela dietro; e nell’oscurità della sua stanza pianse tutte le lacrime di felicità che fino a quel momento aveva tenuto dentro.

 

Esausta; questo era l’unico aggettivo appropriato in quel momento, secondo la mente contorta della rossa, per descrivere in maniera meticolosa il suo stato mentale e fisico. E non di certo perché era una ragazza pigra, che non cammina mai e che si stanca dopo qualche oretta di studio, ma si era realmente resa conto che tanti piccoli mocciosi che ululavano, si spingevano, litigavano e discutevano animatamente mentre lei cercava di spiegare loro quel poco che sapeva riguardo la scuola e la loro casa, bhè, di certo non erano lontanamente paragonabili ad un intero pomeriggio di studio intensivo, questo perché erano mille volte peggio che scrivere una punizione per Piton di cinque pergamene che qualche volta a Ginny era toccato fare per aver fatto esplodere il suo calderone.

Comunque, evitando di parlare della materia da lei più odiata, la avevano condotta sull’orlo della disperazione. Continuavano a fare domande, su dove fosse il bagno, perché si chiamasse proprio “Hogwarts”, se esistesse sul serio una Camera dei Segreti, come si faceva ad entrare e persino come fare a partecipare ai festini Serpeverde. Ma chi gliele aveva dette tutte quelle cose? A malapena ne era al corrente lei, che frequentava il sesto anno, e quei mocciosi arrivavano con il libro di tutto ciò che si potesse fare, e che realmente si faceva, di illegale e non nella scuola. Ovviamente non sembravano più quei mocciosi impauriti vicino alla Mc Granitt che alla sola vista di Hagrid e al solo pensiero di entrare nella Foresta Proibita FINGEVANO, come aveva ben inteso Ginny, di provare una gran paura. “Inspiegabilmente” il coraggio tipico di Godric Grifondoro era venuto fuori.

Fortunatamente per lei non tutti sembravano pazzi alla ricerca del proibito, ad esempio c’erano molte ragazzine che stavano in silenzio e la guardavano sorridenti e sognanti. Perché la guardavano sognanti poi? Non era certo una bella ragazza lei, non aveva lunghe chiome bionde e occhi azzurri penetranti, solo ciocche rosse scomposte dopo una serata piuttosto movimentata e due occhi verdi molto stanchi con due evidenti occhiaie. Tra le varie cose, infatti, stava anche morendo di sonno.

In questo suo tragico stato, in procinto di entrare in coma, dopo l’urlo di un ragazzino che aveva cominciato a correre per le scale mobili seguito da un suo amico, Ginny non ci aveva visto più.

“FERMATEVI O CHIAMO IL PRESIDE E VI FACCIO COMINCIARE LA SCUOLA CON UNA SOSPENSIONE E CENTO PUNTI IN MENO A TESTA… E NON MI INTERESSA SE GRIFONDORO PER COLPA VOSTRA NON VINCE LA COPPA DELLE CASE!” a quella minaccia i due si erano bloccati, come del resto la voce di Ginny, che sembrava dopo l’incredibile urlo essere di colpo sparita. Di certo, se fare il prefetto avesse comportato perdere la voce ogni trenta secondi per fare ordine, sarebbe stata più che disposta a svolgere questo pesante compito. Chi l’avrebbe potuta interrogare ridotta a quel modo?!

Immersa nei suoi pensieri non si era accorta che la rampa di scale aveva cominciato a cambiare posizione e i due malcapitati, che si trovavano proprio sull’orlo di questa, avevano perso l’equilibrio trascinandosi a vicenda di sotto. Stavano per cadere, sfracellarsi al suolo, Ginny stava per finire ad Azkaban per tentato omicidio e la sua carriera da prefetto e da auror stava per svanire entro il tempo necessario affinché i due si sfracellassero. Tutti gli altri ragazzini guardavano la scena con un misto di stupore, paura, orrore. Probabilmente tutti quanti avrebbero visto i loro compagni morire, l’anno successivo sarebbero stati in grado di vedere i Thestral e ciò avrebbe traumatizzato per sempre le loro vite, spaventandoli maggiormente nel vedere quelle sottospecie di cavalli malriusciti. E finalmente non avrebbero FINTO di essere impauriti ed innocenti, quando forse la più innocente di tutti, tra quelli, era Ginny. E questo era da pazzi; Ginny innocente, ah, che battuta!

“Weasley, fa qualcosa no?!” quella voce. Di chi era quella voce? L’avrebbe riconosciuta tra mille, ma stranamente se lo chiedeva, di chi era quella stramaledettissima voce?! Non poteva, semplicemente non poteva essere sua, perché lei… e lui… doveva calmarsi. Doveva intervenire, doveva…

“Wingardium Leviosa!” puntò la sua bacchetta in direzione dei ragazzini che presero ad urlare come matti quando si resero conto di essersi improvvisamente bloccati a dieci centimetri di distanza dal pavimento mentre poco prima volavano a trecento e più chilometri orari. Ginny non comprendeva come potessero sentire il bisogno di urlare impauriti rendendosi conto di non essere morti, anche se pensandoci un po’ si rendeva conto di quanto potessero essersi spaventati. Li fece salire fin dove si trovava lei assieme a tutti gli altri piccoli Grifondoro, scrutandoli attentamente e cercando di acquisire un’aria minacciosa.

 

“Ecco Weasley, un giorno di questi potresti seriamente farci rischiare la pelle a tutti se non ti si riprende almeno una volta!”

 

“Dico, siete impazziti!?” i due, ancora tremanti per il colpo appena preso, la guardavano realmente terrorizzati da tutta la situazione.

“Potevate ammazzarvi, potevate…” aveva lasciato perdere cosa avrebbero potuto combinare se non fosse intervenuta grazie a quella voce miracolosa. Con un colpo di bacchetta aveva risistemato le loro divise nuove e i loro capelli arruffati, poi aveva fatto loro una carezza rassicurandoli.

“Facciamo un patto…” aveva detto di colpo e loro l’avevano guardata un po’ perplessi ma comunque attenti alle parole della loro salvatrice.

“Voi non dite niente riguardo questo brutto incidente ed io non dirò nulla al preside del vostro comportamento, così non perderete punti e non verrete sospesi!” i due si erano guardati, proprio come facevano sempre Harry e Ron dopo aver commesso qualcosa di proibito, poi, sorridendo, le avevano preso la mano che lei gli aveva porto.

Successivamente tutto era andato liscio come l’olio, ma ormai i capelli di Ginny erano diventati ricci per il nervoso e la sua mente poco incline a spiegare qualsiasi tipo di cosa. Aveva indicato loro i bagni, i dormitori, la Sala Comune, e poi li aveva mandati severamente a letto dicendo che l’indomani si sarebbero dovuti svegliare molto presto per le lezioni. Tutti avevano visto che la sala comune era ancora piena di studenti più grandi, ma non avevano osato ribellarsi per paura di fare la stessa fine che avrebbero potuto fare i loro compagni, in questo caso però volando dalla finestra, cosa ancora più terrificante.

Ed ora era lì, sotto lo sguardo degli altri Grifondoro, mentre i primini si dividevano per salire nei rispettivi dormitori e lei cercava di porre fine a quel mal di testa che la stava martoriando.

“Ginny!” l’urlo del fratello le penetrò fin dentro il cervello spaccandole i timpani.

Si voltò e vide tutti quanti impegnati nelle solite azioni abitudinarie. Hermione accovacciata accanto al fuoco ancora spento con un pesantissimo libro che Ginny era sicura fosse qualcosa di molto avanzato per una studentessa del settimo anno, Seamus e Dean impegnati in una partita a scacchi magici e… chi era il ragazzo che aveva sconvolto la routine di Ron ed Harry?! Era sicura di averlo già visto da qualche parte, ma proprio non ricordava dove e quando. Fatto sta che suo fratello ed Harry, per la prima volta nella loro vita, avevano smesso di parlare di Quidditch, improvvisamente più interessati ad instaurare un normale discorso tra civili.

“Hei Ginny, finalmente, ma perché ci hai messo tanto ad arrivare?” guardò il fratello, sconvolta di fronte al suo comportamento così diverso da quello in Sala Grande, poi si concentrò sulla sua domanda ridendo istericamente.

Perché ci aveva messo tanto ad arrivare? Bhè, a parte che aveva rischiato che due ragazzini si uccidessero sfracellandosi, aveva ascoltato voci che poi si erano rivelate solo tremende allucinazioni ed era scesa a patti con dei mocciosi, niente, piccoli contrattempi da Prefetto!

“Niente, è solo che non ricordavo tu fossi così scalmanato da moccioso.” dicendo questo si avvicinò sedendosi sul divano accanto al fratello e poggiandosi lievemente sulla sua spalla. Era stanca, esausta, avrebbe dormito anche a terra in quel momento pur di dare un po’ di sollievo alle sue gambe indolenzite.

            “Ti ricordi di Angelo?” Angelo? Si, Angelo, certo… chi era Angelo? Ricordava a malapena il suo profilo, ma non riusciva proprio a capire dove e quando lo avesse incontrato per la prima volta.

“Ma certo, Angelo… ti spiace se mentre parlate mi faccio una dormitina?” lui rimase un po’ spiazzato guardando la sua figura accovacciata accanto al fratello.

“Ma Ginny che fai?”

“Non si vede?! Ho sonno.” il rosso si voltò verso il nuovo amico con aria afflitta.

“Scusala, ma è fatta così.” e continuò a parlare delle partite di Quidditch ancora troppo lontane. Ginny sbuffò mentalmente, “Ancora Quidditch, ma non è possibile!”.

E lei sarebbe dovuta stare attenta ai loro discorsi? Ma che diamine, doveva perdonarla assolutamente Ron se preferiva dormire anziché parlare della nuova Firebolt Deluxe appena messa in commercio o dei parastinchi eccezionali di Mr. Quidditch.

 

“A domani Weasley…”  

 

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Salve ragazzi! Allora, cosa ne pensate di questa storia? Vi preannuncio che ho già scritto un bel po’, quindi ho già abbondantemente sviluppato la trama, inquadrandola in un contesto più ampio, e devo solo stilare i capitoli conclusivi, per cui è difficile che io possa sviluppare qualche vostra particolare richiesta relativa alla trama. Comunque sia vi chiedo assolutamente di recensire, e non tanto per avere vostre considerazioni positive, quanto più per ricevere dei possibili consigli su parti che vi sembrano scorrette, da ogni punto di vista, in modo da correggermi il più possibile. Perciò spero di ricevere molte vostre considerazioni in modo da avere anche un motivo in più per portare a termine questa mia storia. Vi preannuncio già che, sebbene io abbia già scritto per gran parte questa storia, il lavoro di revisione e messa a punto mi prende molto tempo, e dal momento che sono impegnata nello studio, i tempi di attesa tra un capitolo ed un altro non saranno molto brevi. Spero comunque che questo primo capitolo vi sia piaciuto e aspetto con ansia i vostri commenti.

 

P.S.

 

Spero non vi facciate influenzare negativamente dal mio Nickname; so che è un po’ strano, ma l’ho scelto solo perché ha un significato importante per me e ovviamente perché non sapevo davvero come registrarmi. Grazie   

 

Aspetto i vostri commenti!!

 

  
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