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Autore: Wazzighez    10/04/2014    0 recensioni
Un ragazzo che ritrova suo padre dopo diciassette lunghi anni di assenza e menzogne. Ma per lui, forse sarebbe stato meglio rimanere orfano.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia potrà risultare in alcuni tratti poco chiara a chi la leggerà, perciò premetto alcune cose. Numero uno, c'è un personaggio che si chiama RI, si, so che è un nome inesistente, ma prendetelo un po' come l'abbreviazione un po' esagerata del nome Richard. Numero due, l'antefatto della storia è questo: il protagonista scopre che suo padre è ancora vivo dopo diciassette anni in cui aveva sempre creduto che quello fosse morto addirittura per mano sua. Numero tre, al protagonista è morto un fratello gemello, circa un anno prima del fatto narrato nel racconto.
Detto questo, buona lettura!
PS: vi sarei molto grata se lasciaste una piccola recensione!


“Dimmi, perchè dovrei andarci? Non ne ho la minima voglia” disse Frollo, standosene seduto sulla sedia davanti ad foglio bianco, con la penna in mano. La stringeva, le mani quasi gli sudavano.
“Ma non dire idiozie. Hai scoperto che è vivo, che è qui, a cinquecento metri da Monza, e non vuoi andarci? Non stai mica bene” rispose di rimando Ri, in piedi, leggermente arrabbiato con l'amico per la sua testardaggine.
“No, Ri, non chiedermelo. Non voglio farlo, e poi non posso farcela. Non ne ho la forza, l'intenzione, il coraggio. Non ho motivi per andare da quell'uomo”
“Non hai motivi? Ma insomma, non ti attizza l'idea di sputargli in faccia quello che ti sei tenuto dentro per vent'anni? Tutte quelle volte in cui la sua immagine popolava i tuoi peggiori incubi, tutti quei momenti in cui vedevi una sua foto in camera di Reffalquad e poi stavi male tutto il giorno? Te le sei dimenticate quelle notti in cui Max chiedeva e tu ti infervoravi, a parlare e a sfogarti verso ciò che ti aveva fatto quell'uomo? Hai dimenticato tutto questo?”
“No cazzo Ri, no che non l'ho dimenticato! Ma non me ne frega nulla. Al solo pensiero di rivederlo, di rivedere quegli occhi neri freddi come due lastre di ghiaccio, quello sguardo penetrante e severo, i lineamenti del viso rigidi ed inflessibili come il suo carattere... mi sale davvero l'ansia al solo pensiero Ri, non ce la posso fare!”
“Hey ma mica sei da solo eh! Ti accompagno. Ti ci accompagno io. Starò li con te fin quando non gli avrai detto tutto e non l'avrai sbattuto contro il muro e non gli avrai sputato in faccia. Ti impedirò d'ammazzarlo, visto che tanto scommetto che ci provi, ci proveresti, l'hai già fatto una volta, che ti costerebbe rifarlo ancora? Lo so che è per questo che non vai, lo so. Non vuoi fare pazzie”
“No, non è per questo. Come dici tu, certo che avrei voglia di ammazzarlo e urlargli contro tutto ciò che mi brucia dentro lo stomaco da anni. Ma non è per questo che non desidero andarci”
“E allora? Che cosa c'hai?”
“Paura”

Perchè si. Era quello che sentiva Frollo. La paura. La paura di quegli occhi, che tante volte l'avevano scrutato fino in fondo all'anima, cogliendo i suoi segreti più remoti e nascosti e oscuri, denigrandolo, osservandolo col suo sguardo attento e indagatore, inquietante, come lui: il suo modo di vestire, le sue mani svelte, la bocca che si assottigliava in un ghigno, il suo fisico scolpito, Frollo ricordava tutto alla perfezione di lui, sebbene fossero passati cosi tanti anni. Frollo ne rimembrava ogni singolo gesto, ogni singola parola d'accusa contro di lui, e tutto questo lo spaventava. Aveva paura che lui, Ralph, suo padre, potesse di nuovo terrorizzarlo, ghermirlo, sbatterlo contro il muro e picchiarlo, e squadrarlo con quel suo sguardo malvagio per punirlo. Il panico si impossessava di Frollo, ormai ventenne, lo stringeva in una morsa di ferro che gli paralizzava il coraggio e la forza di andare avanti. Per questo, non voleva assolutamente vedere il padre, di nuovo.

Ri ci rimase un po' male. Poi sospirò e allungò la mano, prese fra le sue quella di Frollo che aveva cominciato a tremare, e lo fece alzare. “Adesso ci andiamo. Non può farti niente. Non hai più tre anni. Non sei più soggiogato alla sua giurisdizione. Se alza solo un dito, lo puoi denunciare. Anche se credo che, se solo ci provasse, glielo affereresti e glielo romperesti sotto i suoi occhi, e poi gli spaccheresti la faccia a suon di cazzotti. Ne saresti perfettamente capace” disse tranquillamente Ri.
Frollo scosse il capo. “Non ce la farei mai. Avrei troppo terrore delle sue reazioni” sussurrò.
“Col cavolo. Vestiti. Sobriamente. Ci andiamo” decise Ri.
Frollo avrebbe voluto opporsi, ma il ragazzo lo costrinse. Si infilò quindi un paio di jeans corti fino al ginocchio, maglietta a mezze maniche verde chiaro e scarpe blu da ginnastica. L'orologio brillava alla luce del sole e mandava bagliori accecanti negli occhi di Frollo, che in quel momento emanavano un'inquietudine immensa.
Ri lo trascinò fuori e gli piazzò in testa un casco da moto, glielo allacciò e lo prese per le spalle. “C'andiamo in motorino. Così vediamo se ti scialli un po'. Stai tranquillo”.
Frollo annuì, poco convinto. Montò in sella dietro il fratello adottivo, e partirono. Arrivarono dopo poco al casolare nel quartiere del Colle che racchiudeva al suo interno ambulatori e studi medici. Una serie di targhette era appesa al massiccio portone di legno.
Eccola, quella temuta dal ventenne. “Ralph De Marchi"
Deglutì con forza, poi ad un tratto lo vinse il dolore lancinante che provava allo stomaco e si accasciò lungo il muro. “Ti prego Ri, torniamo a casa. Non ce la faccio. Mi tremano le gambe. Se entro li dentro, non ci esco vivo. E sto parlando seriamente”
Ri sospirò, poi si sedette accanto a lui. “Senti Frollo... io lo so, adesso avresti bisogno di una sola persona. E quella persona non sono io. Quella persona non è più qui. Non ti dico quelle scemenze che ti sta guardando dal cielo, perchè tanto non è vero nulla, Max a quest'ora sarà a leggersi un bel libro, che ne so io. Tu invece sei qui, ad affrontare l'incubo peggiore della tua vita. Ma non sei certo da solo. Se adesso vai da lui, e ti trova con quella faccia terrorizzata, non avrebbe tutti i torti a disprezzarti. Perciò entra in quella stanza con dignità. Con onore. Fai la faccia un po' a incazzato, diamine! Te lo ricordi quando parlavi col preside muso a muso, com'eri sincero e incavolato di brutto in quel momento? O quando affrontavi Jhonny pur sapendo che se il Rosso ti abbandonava, eri fottuto? Ecco. Fai quella faccia, che apparivi veramente figo, sul serio. Magari se riesce a metter su quell'aria truce, Max comincia a guardarti per davvero. Quindi alzati da terra e vai da tuo padre. Ci sono io con te”
Il discorso di Ri aveva fatto venire le lacrime agli occhi a Frollo, specialmente la parte riguardante Max. Si fece coraggio e si rimise saldo sulle gambe, strinse i denti e inarcò le sopracciglia.
Ri sorrise soddisfatto. Frollo riacquistò la sua espressione, e con passo più leggero varcò la soglia dell'edificio. Lo studio di suo padre era al secondo piano. Niente ascensore, Ri lo sapeva, meglio non stuzzicare la claustrofobia.
Mentre saliva le scale, Frollo sentiva come un peso enorme opprimergli il petto. Come quando... cosa? Aveva mai provato una sensazione simile?
Come quando sei alla premiazione di un concorso e stanno per rivelare il vincitore. Come quando sei a fare il resoconto di fine anno a scuola e il prof chiama il tuo nome. Come quando ci sono i consigli di classe e il coordinatore dice che puoi entrare. Come quando al collegio ti vengono a cercare per portarti dal direttore, e mentre percorri le scale hai così paura che devi stare attento a non svenire.
Ma neanche tutte quelle volte aveva provato così tanta angoscia come in quel momento. E quando si trovò davanti la porta bianca dietro la quale stava suo padre, il coraggio gli venne quasi meno, la vista si appannò, e il cuore cominciò a battere così forte che poteva vedere il petto andare avanti e indietro. Ri gli strinse la mano. “Non lasciarmi mai da solo con lui, Ri. Solo se sarò io a chiedertelo” mormorò il ragazzo al fratello adottivo maggiore. “Sta' tranquillo. Non ti mollo”
Frollo lo ringraziò silenziosamente, dopodichè spinse il campanello. Il suono echeggiò nell'aria a lungo. Poi la porta si aprì automaticamente di scatto. E Frollo dovette fare un passo indietro, perchè in fondo alla stanza, di spalle, in piedi davanti alla scrivania, stava un uomo. Che si voltò non appena i due ragazzi entrarono. E quell'uomo era suo padre.

Occhi. Frollo se li era già descritti tante volte, aveva scavato nella sua memoria cercando l'immagine di quelle due pupille nere cariche d'odio. Uguali identiche a quelle di Reffalquad? No, non proprio. Suo padre vantava la possibilità di riempirle anche dell'inconfondibile autorità paterna.
Frollo aveva cercato di prepararsi all'immagine del volto di suo padre, la bocca sottile simile ad un taglio rossastro, l'espressione impassibile deformata dallo stupore per il trovarsi davanti quel figlio tanto odiato. Aveva cercato di pensare alla giacca nera che indossava sempre, qualunque stagione fosse, e alla camicia bianca che teneva sotto, abbottonata fino all'ultimo foro, col colletto sempre così liscio e rigido, e l'Orologio. L'Orologio nero dello stesso colore del suo umore, che accompagnava il polso destro conferendogli quel tocco di stile, di classe, che suo padre sicuramente amava.
Ma niente l'avrebbe potuto preparare a ciò che comunque si trovò davanti. Nonostante si fosse figurato in testa l'immagine di quell'uomo da quando Ri gli aveva allacciato il casco, quando quella stessa immagine si fu concretizzata davanti a lui, Frollo dovette veramente indietreggiare, deglutire e respirare a fondo, per non svenire. E puntò i piedi a terra, perchè la paura di cadere rovinosamente si era impossessata di lui dal momento in cui aveva visto la maniglia girarsi.
Il suo Orologio registrò quasi prima del suo cervello la presenza di un Nero, e vibrò all'improvviso, il braccio destro di Frollo fu invaso da quella strana e non familiare scossa elettrica, che serpeggiò fra le sue membra arrivando dritta al cuore.

“Frollo?”
Quella voce, quella voce che non udiva da così tanto tempo... ma il tono era sempre quello. Quel timbro così scuro, così profondo, così severo, così da lui.
In un lampo, davanti a Frollo balenò l'immagine della sua intera vita. Maltrattato, odiato e disprezzato durante la sua infanzia da un uomo che credeva di aver bruciato vivo insieme alla casa. Poi la conoscenza con quel bambino che così tanto gli somigliava, la scoperta della verità; scoprire che il proprio padre aveva abbandonato un figlio solo per quello stupidissimo Orologio. E poi erano sorti i problemi con Reffalquad che rassomigliava sempre di più caratterialmente al suo sosia. E poi Marc. E poi la morte di Max. Frollo ripensò in un attimo ad una delle loro ultime conversazioni.
“Forse la mia vita sarebbe stata diversa se non mi avesse abbandonato. Se fosse ancora vivo e se si fosse comportato da vero padre, adesso noi due avremmo una famiglia. Non che ora ci manchi, anzi. Ma a volte sento come un vuoto. Ed è strano che io sia felice del fatto che colui che avrebbe dovuto colmarlo è morto. Perchè se fosse vivo, sarebbe molto peggio di così. Lo odio, Frollo, lo odierò sempre, anche se non l'ho mai conosciuto. Lo odio e lo maledico. Se fosse qui, ora e adesso, lo ucciderei. Giuro sul mio Orologio Blu che lo ucciderei”
In fondo al cuore di Frollo quelle parole nuotarono, tornarono a galla, si mescolarono alla rabbia che come un'onda le travolse, e quasi esplosero. Quasi. Ri afferrò la sua mano, e come un colpo di vento spazzò via quell'accenno di mareggiata.

Ralph lo guardò, il suo solito ghigno ironico dipinto sul volto livido. “E così mi hai trovato. Lo sapevo che ci saresti riuscito... e a dire il vero non aspettavo altro. Ma vieni, entra. Abbiamo molto di cui parlare”
Frollo rimase letteralmente spiazzato. Non avrebbe mai immaginato che il padre l'avrebbe invitato ad entrare. Ma pensandoci bene, quello non era un invito. Era un ordine. Aveva cominciato a fissarlo negli occhi, come se volesse da lui un “Si, signore”. Ma Frollo non era disposto a concederglielo.
“No. Non sono venuto qui per chiacchierare”
“Ah no?” rispose semplicemente. La voce manteneva ancora una parvenza di tranquillità. Ma già lo sguardo sfidava quello del figlio, rispondere. Imponevano. Di ubbidire.
“No. Te lo ripeto: non verrò là dentro, e non mi siederò da qualche parte a parlare.”
“Tecnicamente con me ci stai già parlando”
Ri, nonostante l'atmosfera fosse tesa ai limiti del possibile, ad un tratto sentì come una strana sensazione in fondo all'animo. Una sensazione quasi piacevole. Dove, dov'era che aveva udito quelle risposte così pronte e taglienti, bastanti a zittire chiunque? Dove aveva già visto quel bagliore che guizzava negli occhi di Ralph? Quel guizzo severo, ma quasi divertito.
Ma certo, era ovvio. Quelle parole, un tempo era Frollo a pronunciarle. Era quasi triste constatare che il suo modo di fare ironico e tagliente il ragazzo l'avesse ereditato dalla persona che odiava cosi tanto.
Ma i pensieri di Frollo erano altri. Se a Ri il timbro pareva provocatorio e ironico, Frollo ricordava così il tono che suo padre aveva prima di scatenare la sua furia. Perciò decise di controllarsi.
“Credevo che fossi morto, da almeno diciassette anni” disse semplicemente.
“Oh, si. Lo so. Lo credevate tutti, tutti quanti pensavate che mi fossi fatto bruciare vivo, come un fesso, mentre dormivo. Ma il mio Orologio ha fregato tutte le tue speranze, mio caro Frollo, perchè mi ha fatto sopravvivere” replico Ralph, calmissimo, sfoderando quasi un sorriso di scherno.
“Il tuo Orologio non ha fregato proprio nessuno. Sei sparito, ed era ciò che volevo. Morto o vivo, pazienza. Mi bastava che tu non fossi più li con me.”
“Mi odi?” quella domanda affiorò alle labbra dell'altro quasi involontariamente.
Silenzio. Ralph piantò i suoi occhi colmi di rabbia in quelli del figlio, che ormai era alto esattamente come lui. Frollo se ne accorse, capì che le sue ultime parole avevano smosso qualcosa nell'animo del padre. Doveva approfittarsene, perchè non appena quell'uomo avrebbe replicato, per il ragazzo non ci sarebbe più stata la possibilità di parlare. E quindi.
“Si. Ti odio. Ti ho sempre odiato. Ti odiavo perchè tu odiavi me senza un motivo al mondo. Qualsiasi cosa facessi, qualsiasi parola dicessi, per te era sempre troppo. Non potevo sedermi a leggere, la mia presenza ti disturbava. Non potevo uscire fuori a giocare, le mie urla ti davano fastidio. Non potevo semplicemente divertirmi, perchè tu eri felice solo e soltanto quando io ero triste, abbacchiato, stanco, pieno di angoscia. E poi, bastava una frase. Bastava un gesto, nel momento sbagliato. Bastava far cadere la forchetta per terra quando i tuoi cari vecchi amici erano a cena con noi. Bastava questo, per scatenare la tua folle ira omicida. Bastava questo per maltrattarmi tutto il giorno seguente, e questo è bastato per popolare i miei peggiori incubi della tua immagine, i tuoi occhi che non facevano altro che fissarmi, carichi d'odio e di disprezzo.
Per questo, quel pomeriggio, non spensi il gas. Perchè in cuor mio, in fondo all'animo, volevo che tu morissi. Desideravo non vedere mai più la tua faccia, le tue mani, i tuoi abiti, il tuo studio, la tua casa, niente che mi ricordasse te. E quando i muri, il tetto, le persiane, quando tutto lentamente ha preso fuoco e ha cominciato a ridursi in un ammasso bruciante di polvere e cenere, ho sentito il mio petto alleggerirsi da un peso che mi opprimeva, togliendomi la forza di andare avanti. Eri morto. E così, solo e senza di te, ho ricominciato la mia vita. E ho scoperto. Che avevi abbandonato Max. E da quel giorno ti ho odiato ancora di più. Ogni sera pensavo che se ti avessi ritrovato, ti avrei ucciso con le mie stesse mani, e avrei assaporato ogni tuo ultimo attimo di vita, senza nessun rimorso, senza nessun dannato rimorso.
E poi Max muore. E poi Reffalquad dice di non considerarmi suo fratello a causa tua. E poi tu sei vivo. Sei vivo. Sei qui, davanti a me, e devo terribilmente mantenere la calma per non esplodere e prenderti a pugni, e sbatterti contro il muro e ammazzarti a forza di botte, come tu sembravi voler fare tanto tempo fa con me. La mia risposta è si, papà, è si e lo sarà sempre. Si, ti odio.”
Ralph aveva ascoltato tutto senza mai far udire un respiro. Ma non era riuscito a mantenere la sua pacatezza. Le narici gli fremevano. Le mani gli tremavano. L'orologio vibrava talmente tanto che si poteva udire il suono delle scariche elettriche. E gli occhi di suo figlio che non mollavano un attimo i suoi gli stavano facendo salire una furia omicida che sembrava volersi impadronire di tutto il suo corpo.
“Frollo...”
Non riuscì a continuare, suo figlio lo interruppe.
“Ah, sai che ti dico? Mi dispiace davvero che tu non sia morto. Sarebbe stato meglio se quella tomba al cimitero non fosse stata vuota”
Ralph esplose. Niente sarebbe riuscito a fermarlo.
La mano partì quasi improvvisamente, indirizzata verso il volto del figlio, che però aspettava da molto quell'istante. Con un gesto fulmineo alzò il suo braccio e arrivò a bloccare la mano del padre, fermandogliela a mezz'aria. 
“Non ci provare. Non ho più tre anni. Non puoi farlo. Ho creduto per tutta la vita di essere stato un assassino. Non farmi diventare davvero tale”
La voce di Frollo, terribile, come il suo sguardo. Non aveva più paura. Sentiva solo l'odio.
 
  
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