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Autore: screaming_underneath    11/04/2014    4 recensioni
[Vincitrice del premio «Speciale Guest» per le storie extra (terza tornata) del Summer Contest indetto da My Pride]
[2a classificata al "Randagi Contest!" indetto da ManuFury]
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Lei è solo una delle tante ombre che popolano il parcheggio di un'anonima area di servizio. Una di quelle che gli umani hanno scelto di fare finta di non vedere, perché possiede un'anima, e si sa, l'anima è una cosa scomoda, quando si parla di un cane il cui unico sbaglio è stato quello di essere troppo buono.
Troppo cane.
- Attraversi il lungo parcheggio dell'area di servizio tenendoti bassa, la schiena una curva di ossa e pelle tirata, le orecchie ritte e il naso che scatta nell'aria marzolina, coi muscoli tesi, pronta a correre via al primo rumore sospetto. Tutto è sospetto: il brusio umano che proviene dal grande stabile di fronte a te, le mastodontiche ombre dei camion e delle auto in sosta ai lati del marciapiede; il rumore ruggente, spaventoso, che proviene da Là, dove il mondo è solo puro terrore e null'altro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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STORIA SECONDA CLASSIFICATA AL CONTEST “Randagi Contest!”, INDETTO DA ManuFury SUL FORUM DI EFP
 

Nick sul Forum / Nick su EFP: LaViSvampita/screaming_underneath
Titolo: Storie di bestie e cani
Fandom / Genere Originale: Originale ― Drammatico
Generi: Drammatico, Introspettivo, Triste
Rating: Verde
Tipo di Coppia: Nessuna
Note/Avvertimenti: Nessuno
Lunghezza (numero di parole): 2160 parole
Introduzione: Lei è solo una delle tante ombre che popolano il parcheggio di un'anonima area di servizio. Una di quelle che gli umani hanno scelto di fare finta di non vedere, perché possiede un'anima. E si sa, l'anima è una cosa scomoda, quando si parla di un cane il cui unico sbaglio è stato quello di essere troppo buono. Troppo cane. 
*Eventuali Note dell’Autore: (vedi fine)










 

Storie di bestie e cani


Se raccogliete un cane affamato e lo rifocillate, non vi morderà.
Questa è la principale differenza tra il cane e l'uomo.

[Mark Twain]




La fame è più forte della paura.

Le zampe fanno male quando le muovi per la prima volta dopo ore; i cuccioli guaiscono allarmati quando ti stacchi da loro con dolorosa decisione, ma lo stomaco è troppo vuoto e l'istinto di sopravvivenza sussurra all'orecchio nomi e odori di squisitezze umane ― complice anche il vento ― ormai da un bel po'.
Così ti alzi e dai un'ultima leccata ai tuoi piccoli, sette esserini di pochi giorni che ancora non riescono a tenere gli occhi aperti e che richiedono tutte le magre energie, guardandoli con la terribile certezza che forse non li rivedrai più. La fame incalza; non passerà molto tempo dall'ora in cui, dopo aver preso il tuo corpo emaciato, esigerà infine di prendersi anche il loro.
Attraversi il lungo parcheggio dell'area di servizio tenendoti bassa, la schiena una curva di ossa e pelle tirata, le orecchie ritte e il naso scattante nell'aria primaverile, coi muscoli tesi, pronta a correre via al primo rumore sospetto. Tutto è sospetto: il brusio umano che proviene dal grande stabile di fronte a te, le mastodontiche ombre dei camion e delle auto in sosta ai lati del marciapiede; il rumore ruggente, spaventoso, che proviene da Là, dove il mondo è solo puro terrore e null'altro.
Là non vuoi assolutamente tornarci, mai più: preferisci lasciar morire di fame i tuoi cuccioli, prima di dover affrontare di nuovo quell'inferno di gas e pneumatici e velocità e argento, bianco, nero, rosso, blu, tutti quei colori mescolati e quell'odore terribile di benzina e olio e morte; quel costante, orribile senso di stordimento e incapacità di muoversi, persino quando l'istinto diceva di buttarsi e basta, alla cieca, così. Non sai neanche come sei riuscita ad attraversare senza perire: ne hai visti tre tentare e fallire miseramente, hai sentito i loro guaiti quando prima un'auto e poi un'altra e un'altra ancora passava sui loro corpi straziati, hai sentito come chiedevano che l'oblio li raggiungesse e basta, perché non ce la facevano più. Li hai sentiti maledire gli umani e piangerli, perché c'era ancora qualcuno che credeva che un giorno, prima che la fame e la sete gli togliesse ogni forza, uno di Loro sarebbe tornato indietro a salvarli, fermando quel marasma di colori e odori che pungono il naso e gli occhi e il cuore, per il semplice sollievo di una carezza.
Forse è stata la rabbia a conservarti la vita. Non se ne vede molta, negli occhi di un cane randagio, il più delle volte meticcio, quasi sempre mal voluto e sempre, sempre tradito dall'uomo che pensava fosse suo pari: tu stessa hai visto tristezza, dolore, rassegnazione, ma quasi mai rabbia, perché quella non appartiene a voi, voi animali, ma solo a quelle bestie più evolute che avete avuto la disgrazia di cercare di farvi amiche. , decidi, mentre scivoli silenziosa al fianco delle auto parcheggiate, cercando di individuare cibo commestibile tra i mucchi disordinati di rifiuti e domandandoti cosa succederebbe se provassi ad avvicinarti là dove il Cibo Buono è ancora davvero buono e non ci sono avanzi gettati via distrattamente, ma persone che addirittura sorridono quando ti porgono un pezzo di pane. Sì, forse è la rabbia.
Quale altra bestia all'infuori dell'essere umano potrebbe mai fare una cosa simile? Se chiudi gli occhi, puoi ancora ricordare gli echi terribili di quell'ultimo comando
(Vai!)
pronunciato senza una minima esitazione che potesse far presagire qualcosa di così orribile. Come
se fosse una semplice scampagnata di famiglia e non un abbandono; come se ci fossero ancora dita che sfiorano leggere e dolci il capo e non quelle stesse mani cattive, cattive! che afferrano sopra il collo e ti fanno impattare in malo modo contro l'asfalto dell'area di sosta di una dannata autostrada, dove non c'è un odore che profumi di casa, ma solo altri musi come il tuo che mormorano quando ti vedono, goffa con la pancia gravida e gli occhi tristi, aspettando di trovare il coraggio di attraversare. Aspettando di trovare il coraggio di scegliere, vita o morte, cibo od oblio.

«Mamma, guarda!»
La voce ti fa sussultare, anche se è lontana ed è abbastanza palese che si tratti soltanto di un cucciolo. Volti la testa, ed eccolo là, minuscolo e rotondo come tutti i figli degli uomini, che punta il dito nella tua direzione e strepita e salta cercando di richiamare l'attenzione di sua madre. Non ha nulla in mano, peccato: i bambini sono sempre così distratti (così simili ai cuccioli di cane che ti si stringe il cuore; gli umani non dovrebbero avere il diritto di rovinare così irrimediabilmente la mente di un piccolo; non dovrebbero avere il diritto neanche di crescerli, loro) che avresti potuto rimediare persino metà di un panino, con un po' di fortuna.
Invece passi a dritto, voltando di nuovo la testa, senza il minimo cenno da parte tua di aver notato la presenza dei due, la coda ― quella stessa coda un tempo ballerina non appena il tuo cucciolo d'uomo pronunciava il tuo nome ― forzatamente rigida.
Nessuna confidenza, è la prima regola di un cane di strada.
Mai. Neanche quando lo stomaco duole e le zampe inciampano su se stesse, prive di forza.
Prima la morte. Così hai imparato sulla tua pelle e così insegnerai se ne avrai l'occasione a quei sette esserini che già guaiscono flebili, chiamandoti affamati dal misero riparo di una tana improvvisata, fatta di stracci sporchi e spazzatura al di sotto di una siepe bruciata dallo smog.
 

**


Attraversi il grande parcheggio quattro volte, durante tutta la mattina.
Ogni volta più lentamente, ogni volta con più fatica di quanto ti sia mai costata in tutta la tua vita.
Le tue zampe, fino a qualche settimana fa capaci di portarti a corsa persino più lontano del colle dove il tuo branco d'umani viveva, adesso non riescono a smettere di torturarti con fitte spaventose a ogni passo. La gola, riarsa dalla calura dell'asfalto e dei fumi di scarico, dalla spossatezza e per i lunghi ululati cui ti lasci andare di notte in preda alla disperazione, ti punge talmente forte che persino respirare è diventato una tortura.
Ci sono persone e macchine ovunque; nascondersi diventa più difficile con il maturare del giorno, ma non ti dai ancora per vinta. Sai bene che se tornassi al tuo giaciglio adesso forse non ti rialzeresti più, e non sei ancora pronta a dire addio alla vita. Non quando la fame ti stringe lo stomaco persino più forte del bisogno viscerale di accucciarti assieme ai tuoi cuccioli.

Hai appena iniziato il quinto giro, stavolta passando più vicino alle grandi sagome degli autobus da gran turismo degli umani, quando infine lo senti.
Vicino. Forte.
Molto più forte di qualsiasi odore il tuo naso, secco e screpolato dal sole, abbia catturato fin'ora.
Odore di cibo. Non rifiuti, neanche scarti rimasti al sole troppo a lungo per essere davvero commestibili, ma odore di carne.
Carne. Non sai riconoscerne il tipo; qualcosa che mangiano Loro, di questo sei certa. Evoca nella tua mente una serie selezionata di ricordi, tutti dal sapore retroamaro e struggente della nostalgia. Ricordi che fanno guaire il cuore, radicati nelle profondità della tua mente con più tenacia di quella con cui hai tentato di disfartene.
(profumo di buono dalla cucina bambini che ridono mani accarezzano la tua testa mentre mastichi bocconcini saporiti e c'è la voce di Lei calda e gentile che sussurra promesse dice bugie bugie ma ancora non lo sai e c'è solo la dolcezza di quel momento e la felicità e la sicurezza di essere amata e--)
«Ehi, bella?» La Voce ti chiama, strappandoti dalla soleggiata cucina teatro della tua altra vita, quella che amavi, con un fischio. Ti eri ripromessa di non accorrere mai più a richiami del genere, ma le vecchie abitudini sono dure a morire, proprio come i ricordi, e non riesci a impedire alle tue orecchie di alzarsi un pochino, interessate.
Un giovane bipede ti fissa, a una ventina di zampe di distanza. Ha un brutto sorriso sulla quella sua faccia piatta e in mano l'oggetto di tutti i mali: un pezzo di prosciutto, strappato forse all'ultimo morso di panino che sta ancora ancora masticando. Lo fa oscillare lentamente, dapprima alla sua altezza, poi abbassando la mano al tuo livello. Un invito fin troppo esplicito ― Vieni qui, questo è davvero molto, molto buono.
Ma ancora non cedi. Vuoi vedere dove l'umano si spingerà: butterà la strisciolina a terra, o è solo una finta? Di certo non ti avvicinerai più di così, un incontro casuale tra due viandanti. Sai bene che lui non si fida di te, e che tu non ti fidi di lui. Non devi fidarti.
«Eddai... vieni» dice, facendo due passi in avanti. Tu, per buona misura, ne fai altrettanti indietro, senza guardare. «Non avere paura!» grugnisce il bipede, adesso vagamente scocciato. Fa oscillare di nuovo il prosciutto, meno convinto. Il movimento del suo braccio è talmente repentino dal farti retrocedere ancora di cinque passi, gli occhi fissi sul cibo, costringendo lui ad avvicinarsi di nuovo.

Finisci nella trappola senza neanche rendertene conto.
Un attimo prima c'è solo il ragazzo e quella deliziosa, profumatissima strisciolina di grasso; il secondo dopo sei circondata.
Da ogni lato, urla e schiamazzi ti bombardano, facendoti impazzire. La maggior parte di Loro ha bottiglie in mano e ti lanciano acqua addosso, negli occhi, sul pelo, assieme ai vuoti di plastica e a cartacce di ogni genere. Retrocedi di nuovo, prima in una direzione, poi nell'altra, finendo solo col ritrovarti con la schiena al fianco di un grosso autobus, la cerchia dei tuoi aguzzini a troneggiare sulla tua impotenza.
Quello con il prosciutto sembra essere il capobranco: ha fatto sparire la carne e adesso se ne sta in disparte, a guardarsi la scena, ghignando più forte di tutti gli altri. Quando le bottiglie finiscono, ti lanciano addosso quelli che sembrano pezzi di crackers. Sei talmente terrorizzata che l'idea di leccarne qualche briciola dall'asfalto neanche ti sfiora. Coda tra le gambe, orecchie basse e occhi sgranati dalla paura, rimani semplicemente ferma, lasciando che gli umani si facciano beffe della tua miserabile vita ancora una volta.
Va avanti per un'infinità. Ti chiamano bastarda, schifosa, sudicia, cagnaccia rognosa, bestiaccia. Colpiscono il tuo corpo emaciato con gli oggetti più disparati, ridendo sguaiati dei tuoi tentativi di trovare una via d'uscita. Qualcuno tira un sasso; gli altri sembrano trovare l'idea talmente divertente dal diventare cianotici per l'ilarità, mentre tu sbatti le palpebre, cercando di proteggere gli occhi. Ti accasci a terra, col muso tra le zampe. Non hai la forza di lottare, e comunque tutto ciò è troppo persino per te. Che ti ammazzino pure. Non dureresti molto lo stesso.

Va avanti per un'infinità e quando Lei interviene credi di essere finalmente trapassata.
Non più dolore alla pancia, alla gola. Non più zampe che tremano e cuccioli che guaiscono e cercano di succhiare latte dalle tue povere mammelle tirate. Non più offese, violenza. Non più umani.
Riapri gli occhi e Lei ti sta guardando.
È penetrata nel cerchio dei tuoi aguzzini e li ha dispersi, con una furia che non credevi una femmina d'uomo potesse dimostrare, urlando a pieni polmoni. Non hai avuto bisogno di comprendere tutte le parole per capire il senso di quelle grida. Hanno la stessa inflessione che tua madre usava su di te e i tuoi fratelli quando eravate solo dei cucciolotti disobbedienti.
Li ha fatti fuggire e poi si è semplicemente accucciata, a cinque o sei zampe di distanza da te.
Non fa movimenti. Non parla. Ti guarda con occhi stracolmi di pena e di qualcosa che il tuo cervello provato riconosce come amore, qualcosa che avevi dimenticato Loro fossero capaci di esprimere nei confronti di un'altra creatura.
«Mi dispiace» dice alla fine, dopo qualche minuto che vi guardate, occhi contro occhi. Tiene le spalle e la testa bassa, in un gesto di sottomissione. «Mi dispiace» ripete.

Ha tirato fuori una bottiglia di acqua. Ti irrigidisci, credendo che voglia gettartela addosso, ma lei svita il tappo e versa il contenuto in un bicchiere, con un gorgoglio che mette sete solo a sentirlo. Fa per alzarsi, porgendotelo, ma non appena prova a ridurre la distanza tu balzi in piedi ed indietreggi di nuovo.
«Ok. Ok. Fa niente. Ecco. Lo lascio qui, ok?» Lei sorride di nuovo. È un sorriso bello, dolcissimo. Non sapevi quanto ti mancassero questo tipo di attenzioni da un umano fino ad adesso. Adesso che sei quasi vicina alla fine.
La vedi rialzarsi, spolversarsi il fondo dei calzoni e guardare accigliata nella direzione dove i tuoi aguzzini sono fuggiti, allontanandosi per permetterti di avvicinarti al bicchiere. «Non ti daranno più fastidio. Non loro, almeno».

Quando rialzi la testa dall'acqua, la gola piacevolmente fresca, stai scodinzolando un ringraziamento. Non succede da settimane e ti sorprendi di te stessa, ma non sei riuscita ad impedirlo. Forse per quelle parole. Mi dispiace.
Ma l'umana non c'è già più, l'autobus ripartito.
Con un sospiro, torni a fare la ronda del parcheggio, in cerca di cibo.

Almeno per l'immediato futuro, vivrai.











*Eventuali Note dell’Autore: Questa storia è nata ad Aprile 2012, ed è, tolta una piccola fetta di romanzato, una di quelle purtroppo successe sul serio.
È successo in un autogrill in Campania, ad opera di un gruppo di ragazzetti della mia scuola, ed è più o meno andata così come l'ho descritta. Il mio rimpianto più grande rimarrà sempre quello di non aver fatto nulla di più che darle qualcosa da mangiare e da bere. Avrei voluto poterle salvare la vita, e so che non è andata così.
Ringrazio Carlotta, che in quel frangente è stata l'unica che mi ha dato una mano, nel mezzo dell'indifferenza generale.
Da qualche parte, sono convinta, c'è ancora qualche uomo tra le bestie.

 

   
 
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