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Autore: Sognolicantropi    11/04/2014    3 recensioni
È una scisaac (con molti accenni Sciles e Sterek) un po' diversa, il soprannaturale non c'entra, quindi non ci saranno lupi mannari, kanima ecc.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Derek Hale, Isaac Lahey, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: AU | Avvertimenti: Bondage
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Scott ancora non riusciva a rendersi conto di ciò che aveva fatto, ma specialmente delle pronte risposte da parte di Isaac.
Dopo che i suoi amici erano tornati al lavoro, aveva impiegato almeno mezz’ora per decidere che cosa scrivere al ragazzo, aveva per prima cosa salvato il numero di Isaac, era un passaggio facile dopo tutto, ma per Scott era stato un grande traguardo.
Cominciò poi a scrivere un sacco di messaggi, prima presentandosi poi spiegandogli il motivo del suo testo, ma non uno solo di quelli l’aveva convinto. Scriveva, ossessionato dal trovare il messaggio perfetto, ma cancellava ogni parola finchè non rimase solamente un “sì” accanto alla barra lampeggiante che, impaziente, aspettava nuove istruzioni. Inviò l’affermazione con mani tremanti, attendendo una risposta.
Scott aveva paura di risultare banale e diciamo che con quel testo aveva sfiorato il ridicolo, o almeno era ciò che pensava. Quante probabilità c’erano che Isaac capisse a che cosa si stava riferendo? E per fortuna, proprio prima di inviare il messaggio, si era ricordato di firmarlo.
“Grazie a Dio” fu l’altrettanto breve risposta, a cui replicò con un “E’ solo un sì”.
Non capiva davvero che cosa ci fosse di speciale nella sua persona e soprattutto nell’uscire con lui. Scott era un ragazzo normale, proprio come tutti gli altri e non aveva nessun talento particolare.
Beh, sapeva cantare. Aveva una voce molto particolare e profonda, da brividi, come molto spesso i suoi amici l’avevano definita, ma d’altra parte Isaac non l’aveva mai sentito cantare.
“E’ il tuo sì”.
Scott si sentì morire.
Quella sensazione che ti stringe forte il cuore da lasciarti senza fiato, senza la forza per un nuovo respiro. Quel sentimento che ti fa sorridere per davvero, da rimanere immobile, guardando il vuoto per ore. Quello che ti fa dimenticare chi sei o dove sei, che ti ricorda solamente quanto sei felice in quel momento.
Scott si sentiva realmente così.
Per un momento dimenticò tutta la sofferenza che aveva fatto da sottofondo ad ogni giorno della sua vita, proprio come un amaro promemoria di quanto fosse sbagliato e di come stesse pagando per ciò che era. Era davvero felice, come non lo era mai stato prima, quasi gli sembrava essere più leggero: non esisteva più niente, se non lui e quel ragazzo, Isaac.
Non gli aveva risposto, non avrebbe potuto, rimase in camera sua, con un sorriso stampato in volto, pensando solamente a quanto fosse stato fortunato ad incontrare Isaac, combattivo, che non si era arreso ai suoi no. L’aveva saputo sorprendere quel giorno sul ponte e ancora una volta quel pomeriggio con un semplice messaggio.
Quella sera quando Stiles tornò da lavoro, Scott era ancora in camera, aveva passato il pomeriggio rinchiuso lì dentro.
«Scotty?» chiamò Stiles, bussando lievemente alla porta, aprendola. Quando entrò, rimase un po’ sconcertato dalla scena che si trovò di fronte. Scott era seduto a terra con le gambe incrociate, attorno a lui c’erano fogli sparsi, alcuni accartocciati, alcuni invece ancora bianchi.
Stiles si avvicinò raccogliendogli , cominciando a leggere. «Scott! Hai ricominciato a scrivere?» chiese con un sorriso che si allargava. Scott gli sorrise di rimando, annuendo. Stiles era davvero felice. Ancora quando erano degli adolescenti in California, Scott gli aveva confidato che scriveva molte canzoni, ma dal giorno del suo coming-out non aveva più preso in mano una penna.
«Come mai?» domandò curioso Stiles.
Scott,per tutta risposta, si alzò e si sedette sul bordo del letto, prendendo fra le mani il suo cellulare.
«Isaac» disse mostrando al migliore amico la conversazione. Stiles cominciò a leggere con un sorriso che si allargava nel suo volto.
«Caspita Scott, ti sei sprecato!» scherzò Stiles, leggendo i brevi messaggi. Scott alzo un sopracciglio mettendolo a tacere, Stiles scoppiò a ridere, facendolo sbuffare.
«Ehi, Ally e Lyds dove sono?» chiese ricordandosi improvvisamente le “minacce” della mora, sapeva che il giorno dopo non gli avrebbero dato un attimo di tregua..
«Si scusano, ma erano stanchissimi. Tranquillo ho già inviato loro la conversazione!» esclamò Stiles scappando nell'altra stanza, aspettandosi una reazione ben conosciuta e decisamente nella quotidianità dei loro giorni da parte di Scott.
«STILES STILINSKI» urlò infatti il moro, una volta alzatosi per rincorrerlo, «Perché?! Insomma quella del ponte gliel'hai detta te, ora i messaggi!» sbottò esasperato, fermandosi davanti al tavolo del soggiorno e appoggiando le mani sopra. Stiles era dalla parte opposta ed entrambi non sapevano che direzione prendere. Stiled cominciò a balbettare qualche scusa, ma Scott con un balzo felino saltò sopra il tavolo, superandolo, e finendo addosso a Stiles.
Entrambi scoppiarono a ridere senza contegno, era bello vedere Scott finalmente così spensierato. Si, Stiles era geloso di questo Isaac, ma se il suo Scott era diventato così allegro solamente nella prospettiva di passare un pomeriggio con lui, doveva semplicemente ringraziarlo.
«Okay, come posso farmi perdonare?» si arrese allora Stiled, parlando tra una risata e l’altra.
«Mmh.. Sta sera dormiamo assieme» annunciò Scott con voce solenne. Stiles alzò gli occhi al cielo, dormire assieme a Scott semplicemente significava non dormire per nulla! L’amico gli rubava sempre le coperte, si muoveva nel letto e volte lo faceva anche cadere, ma specialmente, estate o inverno che fosse, gli si spalmava addosso senza lasciarlo respirare.
«E no, non hai nessuna scusa, perché abbiamo cambiato i nostri letti solo perché il signorino si lamentava che quelli da una piazza e mezza erano troppo scomodi» aggiunse quindi notando l’espressione di Stiles, fermando sul nascere le sue proteste.
Quella sera Scott stranamente si propose di cucinare la cena, mentre Stiles apparecchiava la tavola. Erano entrambi di buon umore e Scott non la finiva di parlare. Stiles era davvero molto sorpreso, Scott non era così loquace da anni.
Mangiarono velocemente e poi si piazzarono davanti alla televisione, uno accanto all’altro, coprendosi con un plaid che Scott aveva comprato solo perché c’erano disegnati un sacco di gattini.
«Allora, sei agitato?» chiese Stiles, non trovando nulla di interessate da guardare.
«Non ne hai idea» gli rispose Scott sorridendo. Poi continuò «A proposito domani mi accompagnerai, perché nel caso mi avesse dato l'indirizzo sbagliato e fosse tutt-» non poté finire la frase perché due labbra dolci si scontrarono subito con le sue. Si separò qualche secondo dopo, realizzando che Scott si era finalmente rilassato contro lo schienale del divano.
«Grazie, Stiles» rispose sincero, guardandolo negli occhi.
Dopo aver asserito che non trasmettevano niente di interessante, si cambiarono per andare a letto. O meglio, Stiles mise il suo imbarazzante pigiama di Batman, mentre Scott, come al solito, rimase solamente in boxer. Ancora prima che Stiles potesse tornare dal bagno era già sotto le coperte quasi del tutto addormentato.
Stiles quando entrò in camera lo guardò affettuoso e si infilò sotto il piumino cercando di non svegliarlo, ma non appena riuscì a sistemarsi comodo, Scott si rannicchiò contro il suo petto.
Stiles lo abbracciò e sorrise. Fin da quando erano adolescenti Scott faceva così quando era preoccupato o agitato per un evento importante. Sapeva inoltre che la notte sarebbe stata lunga e per nulla riposante. Quando Scott si metteva in quella posizione Stiles era certo che avrebbe avuto degl'incubi e Stiles doveva essere presente per rassicurarlo.
Non si sbagliava infatti, Scott dormì poco e male, in una notte costellata da incubi dove veniva deriso e preso in giro ancora una volta. Ogni volta Stiles lo stringeva a sé, stretto, sussurrandogli rassicurazioni all'orecchio.
Gli anni precedenti era difficile gestire quelle situazioni perché non avendo ancora ben chiarito il loro rapporto non avevano mai dormito assieme. La conseguenza era semplice: il più delle volte Scott si svegliava sudato e tremante nel mezzo della notte a volte anche urlando. Stiles restava con lui, nel bordo del letto, paziente, finché il moro non si addormentava nuovamente.
Da quando avevano iniziato a condividere lo stesso letto le cose erano notevolmente migliorate.
Scott si lamentava un po’ e si muoveva in continuazione, ma se non altro il fatto di non doversi trovare da solo lo tranquillizzava.
Quella mattina, quando Stiles svegliò Scott per andare a lavoro notò con piacere che anche se aveva dormito poco non aveva perso la gioia della sera prima. Si alzò infatti con sorriso per nulla turbato dai suoi sogni.
Andarono a lavoro dove Scott trovò i suoi amici super elettrizzati che non facevano altro che domandargli come stesse o cosa avesse intenzione di fare.
Come se lui lo sapesse!
Scott sapeva solo che quel pomeriggio sarebbe andato con Stiles a Manhattan per uscire con Isaac.
Non aveva pensato a nient’altro, se non si conta il loro bacio, Isaac, quello sulla guancia, Isaac, i messaggi del giorno prima e Isaac.
Quella mattina passata al bar fu molto piacevole, Scott servì tutti con il sorriso, tanto che i clienti abituali si accorsero del suo cambio d'umore.
il pomeriggio arrivò anche troppo presto e l'ansia cominciava a farsi sentire. I quattro amici chiusero i bar a mezzogiorno, mangiarono assieme, come d’abitudine, tra le varie domande che Scott si sentì porre. Al sabato non tenevano mai aperto perché di solito lo passavano assieme, passeggiando per le strade di Brooklyn o Manhattan. Quel pomeriggio però, Stiles e Scott ci andarono da soli, mentre Lydia e Allison programmarono una giornata di shopping. Stiles non era riuscito a resistere agli occhi dolci di Scott che lo implorò di seguirlo, così anche se molto riluttante lo accompagnò.
Chiamarono un taxi e quando arrivò, Stiles per far entrare Scott dovette praticamente tirarlo per le orecchie.
Scott aveva semplicemente paura.
Non tanto di una possibile presa in giro, quel giorno infatti era stranamente positivo riguardo l’uscita, ma di non sapere come comportarsi, cosa fare o dire. Stiles per tutto il viaggio lo rassicurò ancora, calmo e paziente come al solito.
Arrivarono di fronte ad un palazzo non molto alto, vicino a Central Park. Quando scesero Scott non aveva la forza di muoversi. Stava sorridendo “come un idiota”, pensò Stiles divertito.
«Avanti, entra» disse allora premuroso, «Ti guardo da qui e poi torno a casa» aggiunse Stiles sorridendo, sentendosi tanto come un papà che accompagna il figlio più piccolo a scuola per la prima volta.
«Okay. Posso farcela» disse Scott più a sé stesso che a Stiles. Successivamente lo salutò, ringraziandolo per il supporto e soprattutto per la pazienza poi entrò.
Come promesso Stiles aspettò di vederlo sparire imboccando le scale, prima di cominciare a sbracciarsi per fermare qualche taxi che però lo ignoravano. Sbuffò irritato, cercando il suo cellulare tra le tasche della giacca, avrebbe decisamente fatto prima a chiamarne uno. “Ma dove l’ho messo?” si domandò silenzioso, tastando ogni tasca che aveva.
Ora si ricordava! Scott l'aveva preso durante il viaggio e probabilmente l'aveva tenuto, dimenticandosi di tornarglielo.
L’unica cosa che gli rimaneva da fare era andare da Scott per farselo tornare. Sapeva che l'avrebbe ucciso per aver interrotto il loro "appuntamento", ma non se ne sarebbe tornato a casa senza.
Ultimo piano, ultimo appartamento, si ricordava benissimo quale fosse perché Scott nell’ultima mezz’ora non aveva fatto altro che ripeterlo.  
Decise di usare l’ascensore, non aveva voglia di fare tutte quelle scale e poi prima arrivava, prima se ne sarebbe tornato a casa.
Arrivò quindi all’ultimo piano e quando usci notò che c'era soltanto un appartamento, quindi in pratica il ragazzo viveva da solo su un piano intero.
Suonò una volta il campanello, aspettando pazientemente il padrone di casa.
«Arrivo» esclamò un voce al di là della porta. Era sicuro che non fosse Scott, l’avrebbe riconosciuto tra mille, ma gli sembrava impossibile che fosse Isaac, insomma quella era una voce molto calda e profonda, non si addiceva all’aspetto del ragazzo
Quando si aprì la porta, il suo cuore mancò di un battito.
Stiles aveva ragione: non era Scott e nemmeno Isaac.
«S-Scott?» balbettò insicuro, non sapendo neppure lui se quella fosse una domanda o un’affermazione. Si sentì inoltre un idiota, dopo aver fatto quella domanda, era palese che quello non fosse il suo Scott, eppure era sicuro che fosse quello il piano giusto; il ragazzo perfetto che vedeva per almeno quattro volte a settimana da lui, ora era a pochi metri di distanza e lo stava guardando e osservando, a metà tra l’imbarazzato e il divertito.
«No, sono Derek, piacere» disse il moro con voce altrettanto insicura, porgendogli la mano, la quale Stiles si guardò bene dal stringerla. Non era pronto per un contatto del genere, non era pronto neppure per parlargli!
«I-Io penso di aver sbagliato piano» si scusò distogliendo gli occhi dal volto di Derek, non riusciva a sostenere quello sguardo così dolce e passionale al tempo stesso. Aveva sognato mille volte il giorno in cui lo avrebbe conosciuto, ma ora che gli stava a pochi metri non poteva crederci.
«No, Scott mi ha lasciato questo» disse togliendo la tasca posteriore dei suoi jeans il cellulare di Stiles, «Mi ha pregato di tornartelo, era sicuro che saresti arrivato» “E io ci speravo” pensò Derek, trattenendosi dal dirlo. «E’ sceso pochi minuti fa, strano tu non l'abbia incontrato» aggiunse subito dopo.
«Ascensore» rispose Stiles impacciato.
Derek lo guardo bene, sorridendo, sempre porgendogli il telefono che però non aveva il coraggio di prendere.
«Vuoi rimanere?» chiese di getto il moro senza rendersene conto, morsicandosi la lingua un secondo dopo. Stare con Isaac gli faceva decisamente male, era Isaac che gli diceva sempre di cogliere l’attimo, di provarci un po’ di più, ma soprattutto gli ricordava scherzoso quanto fosse patetico, nel guidare fino a Brooklyn solo per prendere un caffè nel posto dove Stiles lavorava, senza proferire parola.
«Scusa, d-devo andare» disse Stiles pentito. Aveva bisogno di tornare a casa, elaborare il tutto e parlare con Scott, arrabbiarsi con Scott.
Derek lo guardò dispiaciuto, ma prima che Stiles potesse allontanarsi gli prese il polso gentilmente facendolo voltare.
«Domani? Questo è il mio numero» disse salvandolo nel blackberry che aveva tra le mani.
Poi glielo porse e Stiles finalmente lo prese, sfiorandogli le dita. Si sentì rabbrividire:  una sensazione nuova, strana, ma piacevole.
Derek gli sorrise,prima di chiudersi la porta alle spalle.

Quando Scott entrò nel condominio non capiva esattamente cosa stesse succedendo dentro di lui. Era felice, felice proprio come un ragazzino di dieci anni alle prese con la sua prima cotta.
Prese le scale, aveva otto piani da fare, ma avrebbe avuto modo di pensare con più calma a che cosa dire una volta arrivato.  
Sospirò lentamente davanti alla porta dell’appartamento, prima di suonare con mano tremante il campanello.
Nella frazione di un secondo Isaac aprì la porta sorridendogli felice, un sorriso luminoso proprio di quelli che ti sciolgono l’anima.
Scott non ne aveva mai visto uno più bello; tutti, se confrontati a quello del ragazzo, erano piuttosto banali. Isaac aveva la straordinaria capacità di sorridere con il volto, con in corpo, ma soprattutto con gli occhi dell’animo.
«Ciao» disse Scott semplicemente, perdendosi negli occhi azzurri del biondo, sorridendo a sua volta. «Vieni pure», Isaac lo invitò dentro, spostandosi dall’entrata facendolo passare.
Scott non se lo fece ripetere più di una volta. Entrò in un salotto molto spazioso, ben arredato con uno stile moderno: si poteva dire che il ragazzo o aveva ereditato una fortuna dal un membro della famiglia molto anziano, o era un ladro oppure un pirata. Come Scott potesse immaginare delle situazioni del genere lo sapeva solamente lui.
Un ragazzo, che a guardarlo bene Scott si ricordò di averlo già visto, stava disteso nel divano, con un blocco da disegno in mano.
«Se te lo stai chiedendo, lui è l’inutile Derek, il ragazzo a cui avevo chiesto di sparire, nonché mio migliore amico» borbottò Isaac, attirando l’attenzione del moro.
L’interessato si alzò velocemente, lasciando cadere il suo quaderno.
«Ciao sono Derek, non sono inutile, solo il tipo che ascolta quell’idiota parlare di te per ore e or-»,
«Oh grazie Derek! Grazie davvero!» sibilò Isaac imbarazzato, mettendogli una mano davanti alla bocca impedendogli di continuare.
«Ricordami ancora perché sei il mio migliore amico?» chiese Isaac ancora rosso in volto.
«Principalmente perché sono un figo» rispose il moro non curante, alzando le spalle.
Scott rise, attirando lo sguardo Isaac  che lo osservò dolcemente; Scott abbassò gli occhi, timido, senza smettere di sorridere.
Derek aveva appena detto che Isaac gli parlava di lui? Che cosa mai avrebbe potuto dire? Non lo conosceva nemmeno.
Ancora una volta sì sentì felice e lusingato.
Buttò gli occhi sul quaderno aperto che Derek aveva fatto cadere, era forse il volto di Stiles quello disegnato? Impossibile, era appena accennato, ma gli occhi erano già stati completati a regola d’arte tanto che sembravano quasi veri.
«Sei molto bravo a disegnare, sai quegli occhi assomigliano moltissimo a quelli del mio migliore amico» gli disse gentilmente,
Derek quasi si strozzò ricordandosi dove fosse finito il suo blocco. Lo prese in mano chiudendolo un po’ impacciato.
«Oh sono solo schizzi…» disse il moro, minimizzando con sguardo a terra.
«Sicuro? Secondo me l'hai visto l’altro giorno con Isaac al bar» provò ancora Scott. Insomma non c’era niente di male se aveva scelto di disegnare il suo amico, probabilmente aveva scaffali pieni di gente disegnata e che magari aveva visto solo una volta.
Scott poi sì girò, cercando una conferma negli occhi del ragazzo affianco a lui.
Quando si voltò, vide Isaac scambiarsi un sorriso molto eloquente con Derek, quelli che non possono essere fraintesi e decise in quel modo di abbandonare l’argomento, ma curioso di saperne di più.
«Scott, ti va di fare una passeggiata a Central Park?» si propose Isaac sorridendo.
«Sì, certo» rispose sorridendo a sua volta e seguendo il più grande verso l’uscita. Mise le mani in tasca com’era solito fare, ma andò a sbattere contro il cellulare di Stiles. Nell’agitazione non si era ricordato di tornarglielo. Poco prima di rimetterlo nella giacca però, avendo già deciso di darglielo quella sera, gli venne un idea geniale.
«Ehm Detek, mi fai un favore?» chiese attirando l’attenzione del moro che nel frattempo era tornato al suo album, «Sono sicuro che tra un po’ Stiles, quel mio amico di cui ti parlavo, verrebbe a chiedermi il suo cellulare, ma stiamo uscendo, quindi daglielo e basta, d’accordo?» chiese lanciandoglielo. Derek l’afferrò al volo, ben attendo a non farlo cadere, iniziando inoltre a borbottare qualche parola non molto chiara, arrossendo.
«Grazie mille!» esclamò Scott, uscendo in fretta seguito da Isaac che se la rideva, divertito.
Non appena si chiusero la porta alle spalle Isaac elettrizzato cominciò a parlare velocemente quasi mangiandosi le parole, Scott rise: doveva essere sincero, non aveva mai sentito parlare una persona così tanto, nemmeno Lydia il che era tutto dire.
«Ma come l'hai capito?!» domandò il biondo radioso, mentre si incamminavano scendendo le scale.
«Ho una straordinaria capacita nel capire gli sguardi, i movimenti e le intenzioni delle persone» confessò Scott, calmo. La parte di sé che Isaac aveva potuto conoscere quel giorno nel ponte stava tornando fuori, ma per una volta non aveva paura che una persona potesse cominciare a conoscerlo a fondo.
«Con me non l'hai fatto» asserì Isaac.
«Hai ragione» confermò il moto, «Con te è impossibile, quando ti guardo non riesco a decifrare le tue intenzioni».
“Forse perche mi perdo nei tuoi occhi" aggiunse mentalmente, subito dopo.
Isaac sorrise, «Ci possiamo lavorare».
«Posso vivere anche nel dubbio» disse Scott anche se poco convinto.
«Qualcosa mi dice che non sarai in pace con te stesso finchè non ci riuscirai».
Scott rise, Isaac aveva ragione. Non poteva sopportare il fatto di non capire cosa passasse nella testa di Isaac. Non l’aveva capito prima che lo baciasse, né quando gli aveva chiesto di uscire. Semplicemente la persona di Isaac lo distraeva dal formulare dei pensieri concreti nella sua mente.
Uscirono dal codominio senza incontrare Stiles, come Scott aveva previsto, lasciando nuovamente Isaac senza parole, dirigendosi poi verso il parco.
Non parlarono molto durante quella passeggiata finchè non arrivarono ai piedi di un grande salice piangente, un luogo abbastanza appartato che veniva raggiunto solo da poche persone.
Isaac ci andava sempre quando voleva stare da solo, era il posto dove poteva essere sè stesso e non ci aveva mai portato nessuno, forse nemmeno Derek. Non aveva accennato a Scott quanto fosse speciale per lui quel luogo. Aveva paura di una reazione sbagliata da parte sua cosi, facendo finta che fosse un luogo come un’altro, scostò le foglie che pendevano inermi dai rami e lasciò passare Scott che gli sorrise appena con sguardo a terra.
Si sedettero tra l’erba, appoggiandosi con la schiena al tronco spesso, entrambi intenti a studiare ogni dettaglio dell'altro, cercando di memorizzarne il più possibile.
«Come puoi capire cosi bene le persone?» chiese Isaac interrompendo quel silenzio, dopo essersi accorto dello sguardo fermo del moro sulle sue mani aggrovigliate.
«Bisogna imparare a proteggersi in un mondo così ingiusto e, a volte, è meglio conoscere i propri nemici».
Scott sospirò lievemente faceva sempre un po’ male ricordare quei particolari della sua vita.
Isaac lo guardò, aggrottando la fronte in una espressione confusa.
«Chi ha il coraggio di farti del male?» chiese allora davvero sconcertato, calcando con lieve irritazione ogni parola.
Isaac aveva voglia di conoscere tutte le persone che avevano osato ferire Scott, un ragazzo tanto fragile con il semplice bisogno di essere amato, e far passare loro tutto ciò che avevano fatto al suo Scott.
Suo.
Isaac ogni volta che pensava a Scott gli veniva spontaneo mettere quel piccolo aggettivo come per rivendicarne la proprietà. Poi sorrideva, rendendosi conto che in fondo non lo conosceva ancora e che l’aveva visto solamente tre volte.
Scott sorrise sentendo il tono quasi aggressivo di Isaac, grato per la comprensione che finalmente qualcuno provava nei suoi confronti.
Non rispose, non lo sapeva nemmeno lui.
Nel corso di quegli ultimi anni si era sentito chiamare in tutti i modi possibili e per formulare certi pensieri, c’era davvero bisogno di coraggio.
Guardò Isaac che ancora aspettava una risposta, perdendosi nei suoi occhi blu. Subito dopo il suo sguardo passò istintivamente alle sue labbra. Avrebbe voluto baciarlo, anche solo per un secondo, tutto pur di sentire ancora il calore del corpo del ragazzo contro Il proprio.
Quelle labbra sottili e soffici, appena schiuse, erano davvero troppo da sopportare, distolse in fretta lo sguardo quando Isaac gli chiese se lo stava ascoltando.
«Ti chiedevo se vuoi fare un giro» ripeté tranquillamente, «Con questo freddo a stare qui fermi ci congeliamo e tu hai le labbra quasi viola!» disse moriscandosi la lingua subito dopo, rendendosi conto che forse era un commento da poter evitare.
Scott rosso in viso annuì, alzandosi imbarazzato, mordendosi inoltre le labbra, cercando si far ripartire la loro circolazione.
Si incamminarono, continuando a chiacchierare come poco prima.
Per Scott era piacevole passare del tempo in compagnia di Isaac, era quel raggio di sole che riusciva a illuminare il suo giorno.
Con lui, il moro non smetteva di ridere, poteva dire di essere finalmente felice. L'irritazione che aveva provato nei suoi confronti era stata messa da parte, ammettendo questa volta che il suo sesto senso si era decisamente sbagliato.
Isaac, da parte sua, cercava con ogni parola di strappare un sorriso o una ristata dal volto di Scott. Non aveva sopportato di vederlo serio o sperduto le prime volta, così si sentiva in obbligo di farlo sorridere. Avrebbe ascoltato la sua risata in continuazione: era dolce e profonda al tempo stesso, ma la cosa che adorava di più era quando Scott non trovava un contegno per le sue battute, scoppiando in una sana risata. Chiudeva sempre gli occhi e nel suo viso si formavano delle fossette marcate che donavano al suo viso un espressione angelica.
«Scott, ho detto qualcosa che non va?» chiese Isaac preoccupato, fermandosi di colpo in mezzo alla stradina.
«No, perche?!» gli rispose il ragazzo sorpreso da quella domanda.
«Perche stiamo camminando a quasi tre metri di distanza, neanche non ci conoscessimo. Vieni più vicino?» gli chiese Isaac gentilmente. Non voleva averlo così tanto lontano. Voleva sentire il calore del suo corpo, sentire le loro spalle che si sfioravano, le loro mani, imbarazzate, scontrarsi per la prima volta: e Isaac, in genere, otteneva ciò che voleva.
Scott, infatti, un po’ imbarazzato da quella richiesta si avvicinò al ragazzo che soddisfatto prosegui l'argomento di poco prima.
Non sapeva cosa doveva fare, come comportarsi con le altre persone. Si ricordava quanto fosse stato difficile per Stiles diventare il suo migliore amico e successivamente fargli conoscere Allison e Lydia. Ora che ci pensava quel pomeriggio era tutto frutto dei suoi sforzi. Stiles, quella volta, non l’aveva aiutato a conoscere Isaac, certo era stato con lui e consolato nei giorni precedenti, ma quella volta era stato Isaac ad interessarsi di lui e decidere di conoscerlo.
Le loro dita, poi, si sfiorarono appena e Scott rabbrividì piacevolmente sorpreso. Cercò di sottrarre la sua mano, ma prima che potesse metterla in tasca, quella calda di Isaac si intrecciò alla sua.
Il moro sussultò appena, guardando in fretta il ragazzo accanto a lui che continuava ad osservare un punto indefinito davanti a sè.
«Hai le mani ghiacciate» gli disse, stringendola appena per riscaldarla.
Il discorso morì con quelle parole e nessuno dei due parlò per un bel pezzo.
Scott continuava a spostare lo sguardo dalle loro mani al viso di Isaac che aveva un espressione serena, per nulla turbato. Non capiva come poteva stare così calmo, erano nel bel mezzo del parco e stavano attirando parecchie occhiate curiose.
Scott si rese conto che non era più in California. C’erano occhi che li guardavano con dolcezza e comprensione: due parole che Scott pensava di non dover mai più usare. Non poteva negare ovviamente che alcune persone si rivolgevano a loro con freddezza, ma, quel giorno, accanto ad Isaac sapeva che non avrebbe dovuto più temerle.
Dopo quasi tre ore, mentre il sole stava già calando, tornarono all’appartamento di Isaac. Scott non voleva rincasare, durante quelle ore era stato davvero bene in compagnia del ragazzo e in qualche modo sentiva che il sentimento era reciproco.
«Ti riaccompagno a casa?» propose Isaac, rompendo il silenzio imbarazzato che si era creato. Nessuno dei due parlava, stavano fermi, uno di fronte all’altro, sperando che il tempo di fermassi, lasciando loro altri minuti a quel prezioso giorno.
«Grazie».
Scott gli aveva risposto d’impulso. Non aveva bisogno di mentire proprio ora che aveva trovato la sua anima gemella. Il ragazzo non stava facendo castelli in aria. Non aveva già progettato tutta la sua vita con Isaac, semplicemente sapeva che con lui poteva essere sé stesso, che non sarebbe stato giudicato. Isaac era la metà che da tempo cercava, riusciva a completarlo, anche se solo come amico.
«Aspettami qui, vado a prendere le chiavi» disse il biondo, tutto d’un fiato, sorridendogli. Poi scomparve tra le scale di corsa e Scott si sedette in un muretto a pochi metri di distanza. Mise le mani in tasca, sorridendo mentre pensava che Isaac gliel’aveva stretta per diversi minuti.
Un rombo irruppe quel silenzio, facendolo saltare in piedi di colpo. Si girò in direzione di quel rumore e vide Isaac a cavallo di una moto nera che se la rideva per il suo salto.
Isaac. E una moto. Scott pensò di non farcela. Aveva indosso, tra le altre cose, una giacca in pelle che gli segnava il fisico, facendolo risultare più magro di quanto non fosse già.
«Sei un idiota» borbottò Scott, facendo ricorso ai pochi neuroni che erano rimasti.
«Tieni, metti questo» disse Isaac, avvicinandosi con un casco tra le mani. Scott lo prese un po’ impacciato e se lo mise; dopo seguì Isaac sulla moto senza ben sapere cosa fare.
«Se non vuoi cadere, ti conviene tenerti» suggerì il biondo, ma Scott non si mosse. Gli prese allora le mani, facendolo stringere la sua vita. Scott era riluttante, non sapeva  come reagire, si lasciò guidare da Isaac e una volta stretto a lui, sospirò silenziosamente, accettando quella condizione.
Partirono verso Brooklyn, ci impiegarono quasi mezz’ora, trovando un po’ di traffico.
Scott dopo qualche minuto si tranquillizzò e si mise più vicino ad Isaac, in un moto di coraggio improvviso. Gli piaceva il fatto di essere così stretto al ragazzo e approfittò della situazione per stringerlo a sé, appoggiando il suo petto alla schiena di Isaac, che nel frattempo pregava che non si spostasse.
Per entrambi quel viaggio durò troppo poco e quando arrivarono erano entrambi riluttanti nel salutarsi.
«Grazie» sussurrò Scott, una volta sceso dalla moto. Aveva lo sguardo basso, non lo voleva guardare.
«Per cosa?» domandò Isaac interrogativo. Era sicuro che il moro non si riferisse al passaggio ricevuto
«Grazie» ripeté ancora, questa volta incatenando lo sguardo a quello di Isaac.
Scott si avvicinò in fretta e lo abbracciò.  
Nemmeno lui si era accorto di farlo. Si avvinghiò al collo del più grande che ricambiò quell’abbracciò compiaciuto. Nessuno dei due disse più niente quando si separano, e Isaac aspettò che Scott rientrasse prima di voltarsi e tornare a casa.
  
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