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Autore: blackhina    11/04/2014    1 recensioni
Il liceo è finito, ed è ora di andare al college. La vita autonoma sta per cominciare, con nuove scoperte e nuove amicizie; tutto avrà inizio in una nuova casa, con l'inseparabile compagna delle superiori e due nuovi coinquilini. Ma la calma e la tranquillità previste dalla protagonista saranno solo un sogno lontano, dato che il carattere di uno dei due ragazzi le renderà tutto più difficile, o almeno così lei crederà...
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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Il sole faceva capolino ad intermittenza dalle chiome tinte di rosso e arancio degli alberi, il finestrino abbassato a metà lasciava entrare, danzando, mille spirali di brezza autunnale. Io amavo l’autunno: le foglie che saltellano nell’aria spinte da spruzzi di vento, l’odore del legno bagnato, il profumo dei maglioni appena tirati fuori dagli scatoloni. Una buca mi fece sobbalzare e tornare alla realtà.
- Ti eri addormentata?- la voce di Erin mi sfiorò l’orecchio.
- Cos… no. Non mi ero addormentata. Ero semplicemente assopita nei miei pensieri.- sospirai. Ero stranamente inquieta: non vedevo l’ora di andare a vivere da sola, di diventare indipendente. E allora perché mi stava salendo il panico? Forse non mi sentivo abbastanza pronta per abitare in una casa tutta mia e di mia sorella? Una mano mi dette qualche colpetto sulla testa. Mi girai e vidi un enorme sorriso sul viso di Erin.
- Ormai siamo qui ed è ciò che abbiamo sempre desiderato fin dai primi tempi, ricordi? Quindi ora ti tiri su, mi sorridi e tiri fuori le chiavi di- esitò con un sorriso, tamburellando con le mani sulle ginocchia- di casa!!-  il suo sorriso si allargò ancora di più.
- Credo che dovrò abituarmi all’idea della nuova casa. Già, diventerà una tradizione.- la mia bocca si piegò e diede forma ad un bel sorriso, degno di quel momento.
Una voce spuntò dal sedile davanti a me: probabilmente ci avvertì del fatto che eravamo quasi arrivate, ma i miei pensieri ricascarono sotto l’ombra dei profili autunnali.
 
[…]
 
Le ruote del taxi sgommarono dietro di me; le valige circondavano le nostre gambe. Eravamo entrambe immobili con le braccia lungo i fianchi ad osservare la casa davanti a noi: era a due piani, con le pareti di legno tinte di bianco. Se osservavo bene un punto fisso, riuscivo ad intravedere le venature più scure che trapassavano la vernice. Qualche sospiro lieve di vento mi sfiorava e circondava il mio collo. Non eravamo molto lontano dal mare; a pochi metri da noi c’era già la sabbia sottile e bianca. Lo scroscio delle onde che si infrangevano sugli scogli in lontananza arrivava sino alla strada, come arrivava il profumo di salsedine. Misi la mano destra nella tasca dei jeans, e la punta del mio dito toccò il metallo fresco delle chiavi. Agganciai l’anello del portachiavi e le tirai fuori, un tintinnio risuonò nell’aria e fece voltare Erin.
- Andiamo?- sussurrò mia sorella.
- Beh, direi.- sorrisi.
Feci un passo, ma un qualcosa, qualcosa che io avrei sicuramente maledetto per le prossime ore, mi si agganciò alla caviglia. Naturalmente cascai, rischiando di slogarmi un polso. Una grassa risata uscì dalla bocca di Erin. Una risata ironica saltellò fuori dalla mia gola. Mi rialzai, spolverandomi i vestiti. Raccattai le borse intorno a me, e mi avviai verso la porta d’ingresso: da dove ero io non si vedeva granché, solo il pomello luccicante, a causa del roso che ostacolava la vista. La casa era circondata dagli alberi, principalmente da frutto, come meli, peri, limoni e aranci. Non ero sicura che potessero crescere lì, ma facevano un gran bel effetto. Sospirai, passando accanto al cespuglio, e un’ape particolarmente impetuosa, mi fece sobbalzare. Mi fermai avanti alla porta, e facendo cascare la borsa che tenevo nella mano destra, inserii le chiavi nella serratura. Clack. Un solo scatto.
- Mhm...- ero perplessa. Erin si avvicinò.
- Ehi! Perché non entri?- le feci cenno di fare silenzio. Appoggiai lentamente per terra le altre borse che tenevo sulle spalle. Serrai i pugni e aggrottai la fronte, alzando leggermente il piede destro da terra. Guardai Erin, e osservai la sua espressione: era preoccupata, ma più che altro perplessa. Annuii e girai di nuovo la testa verso la porta. Spinsi, non troppo forte, la porta con la punta del piede. Balzai dentro con le braccia e i pugni alzati pronti ad un ipotetico scontro.
- Esci fuori! Fatti sotto, io sono pronta.- il mio tono era deciso, alto. Dal grande arco nel muro, poco distante sulla destra rispetto alla porta d’ingresso , sbucarono due grandi occhi color del ghiaccio, che distraevano dalla bocca color rosa pallido. Il naso era all’insù ed a conferire al tutto un aspetto completo ci pensavano una massa di capelli corti, scuri come la pece. L’espressione era piuttosto perplessa, ma credo mai quanto la mia. Un grande sorriso si formò sulle sue labbra.
- Ciao- un voce squillante, non troppo- voi siete le ragazze che abiteranno qui, giusto?-
Sentii un piccolo suono provenire dalla bocca di Erin. Era difficile decifrarlo, anche perché non avevo la minima idea di che cosa potesse essere.
- Già… e tu saresti?- ero sempre più perplessa. Mi girai verso mia sorella, la guardai per un attimo, ma il suo sguardo era rivolto altrove. “ Ah… ho capito” sorrisi. Messaggio ricevuto e decifrato. Mi rigirai verso il ragazzo.
- Wayne, il mio nome è Wayne. Piacere.- non smetteva di sorridere.
- Connie-
- Erin- nella sua voce c’era un sottile tremolio. Mi scappò una risatina. Rimanemmo per qualche secondo fermi, in silenzio, poi Wayne si schiarì la voce.
- Beh, io ho già portato le mie cose dentro e ho già preso la camera. Se volete sistemarvi anche voi o se avete bisogno di una mano…-
- Oh, si certo. Grazie! Potresti prendere qualche borsa che è là fuori?- stavo sorridendo anch’io. Mi girai e mi avviai verso l’arsenale di valige. Quando mi trovai davanti ad esse mi sentii prendere per un braccio.
- Oddio… Connie, è lui il nostro coinquilino?- la mia testa roteò di novanta gradi verso la sua; la fissai per qualche secondo. Aveva un’espressione sognante.
- Beh, mi sa che dovrai fare un sacrificio.- il mio tono ironico nascondeva una risata. Mi piegai, presi una borsa e me ne tornai in quella casa, quella che sarebbe stata la nostra casa.
 
[…]
 
La mensola di legno massello sopra il mio letto fu la prima cosa che sentii, quella mattina. Un grugno si svegliò nella mia gola. Mi portai la mano destra sulla testa e mi massaggiai l’imminente bernoccolo. Sbuffai. Poi sentii delle risate provenire dalla cucina. Un lieve sorriso spuntò sulle mie labbra. Un pizzicorino al naso.
- Etciù! Etciù, etciù, etciù!- un sosta - Oh ma insomma! Ma che cavolo c’è nell’aria?- poi mi fermai, in silenzio “ c’è amore”. Una risatina. Alcune volte mi ritenevo proprio simpatica.
Dopo qualche minuto che me ne stavo seduta a gambe incrociate, con il lenzuolo intrecciato tra i piedi, mi accorsi che c’era qualcosa che mi dava fastidio. Mi girai verso sinistra, dalla parte della grande finestra, con lo scheletro in legno scuro, che occupava tutta la parete est: un raggio di sole filtrava attraverso la cima del piccolo nocciolo che si affacciava timidamente al davanzale. Rimasi per un po’ ferma, a farmi accecare dalla luce pigra del mattino, mi stropicciai gli occhi e mi alzai, dirigendomi verso la finestra. Con la mano destra sfiorai la maniglia d’ottone, che formava una ‘i’ curva, con due riccioli ad entrambe le punte. Un piccolo e quasi impercettibile brivido mi corse lungo il braccio; il ferro era freddo, come piaceva a me. Rimasi ad assaporare, ad occhi chiusi, quella superficie fresca, finché non divenne troppo tiepida perché potesse piacermi ancora come prima. Con uno scatto girai l’ansa, dando la possibilità ad uno spiraglio gelido di entrare. Mi avvolse la punta del naso, facendomi socchiudere gli occhi. Ancora la luce tiepida del sole che mi illuminava il viso. Mi venne la pelle d’oca su tutte le gambe: forse era il caso di mettere via i pantaloncini estivi. Sospirai. Automaticamente scattò uno sbadiglio. Spalancai i vetri, e le tende blu scuro, sottili, cominciarono a volteggiare ai miei lati, creando figure contorte e sinuose; lo fecero anche i miei capelli, e alcuni ciuffi ribelli caddero per qualche istante lungo il mio viso, sfiorandomi la bocca. Mi stirai, le braccia alzate sino a sfiorare l’asse di legno sopra la finestra, portando lo sguardo al giardino sottostante: c’era Wayne che mi salutava, con un rastrello in mano. Sorrisi e risposi al saluto. Portai i vetri al massimo dell’apertura: volevo che la stanza venisse travolta dall’aria mattutina. Mi girai verso il letto e arrotolai le coperte, bianche con ghirigori blu, fino all’altezza del posto dei piedi, facendo prendere aria fresca al materasso. Mi avviai verso la porta, davanti al letto, e presi la vestaglia verde scuro di cotone, che mi arrivava fino a poco prima delle ginocchia. Era morbida e comoda, ma rimanevo sempre dell’opinione che fosse tutto merito del colore scuro se era così confortevole. Mi strusciai qualche secondo la manica alla guancia, tanto per sentire il profumo del detersivo che usava la mamma. Gelsomino… Inspirai profondamente ancora una volta, poi girai il pomello della porta e mi avviai verso la cucina, guidata dal canticchiare di Erin.
[…]
Avevamo deciso che quel giorno saremmo andati ad esplorare gli isolati circostanti, sotto la guida del poco esperto e impavido Wayne.
- Ok. Io sono pronta! Aspetta un attimo… dov’è il mio portafogli?-
- Connie… non mi dire che l’hai perso di nuovo.- non sopportavo le riprese di mia sorella, ma ormai c’avevo fatto l’abitudine.
- Ragazze il tram passa tra sette minuti, e per arrivare alla fermata ce ne vogliono almeno cinque- Wayne era già posizionato sull’uscio della porta, impaziente di metter  fuori il piede.
- Eureka! Questo bastardo s’era nascosto nel cassetto.- la mia euforia era troppo, considerato che era per aver ritrovato un borsellino.
- Connie ce l’hai messo tu ieri sera- Erin stava ridendo- sei proprio un caso irrecuperabile!-
- Alla carica!- di nuovo troppa euforia. Partii spedita fuori dalla porta, seguendo il percorso del vialetto di pietre bianche, eccessivamente felice per poter aspettare gli altri.
- Le chiavi! Non hai preso le tue chiavi!- la voce di mia sorella mi arrivò, senza sconvolgermi.
- Tanto ce le avete voi, no? Andiamo che facciamo tardi!-
- Ma tu guarda da che pulpito- sentii i passi affrettati dirigersi verso di me, poi una mano s’intromise tra il mio braccio e il fianco, impossessandosi del gomito. Girai la testa e sorrisi alla pazza che prima mi faceva le prediche, e che poi si dimentica perfino del suo innamorato.
- Ehi, voi due, avete intenzione di lasciarmi qui?-
- Muoviti bradipo, che il tram non aspetta. Tradisce e scappa!- scoppiammo a ridere, Erin ed io, mentre Wayne chiudeva la porta e recuperava terreno. Il rumore dei nostri passi si mescolò, dando vita ad un susseguirsi di strusciate e scricchiolate sotto le suole. Wayne s’infilò tra me e mia sorella e ci prese sotto braccio, tirandoci a sé. Tutti e tre ridevamo, quando, sotto al naso di ognuno di noi, passò indisturbato e puntuale il tram. Troppo puntuale. I passi si fecero più affrettati, fino a che non ci ritrovammo a correre verso la fermata del quel maledetto aggeggio su rotaie.
Il fiatone che ci irrompeva in bocca non ci impediva di continuare a ridere come pazzi, attirando l’attenzione di quasi tutti i passeggeri.
 Quella giornata sarebbe stata fantastica, perché aveva già cominciato a plasmare un nuovo trio.
  
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