Quando il tutto diviene nulla
La
chiave gira nella serratura facendola scattare.
Apre
la porta, entra e la chiude alle proprie spalle: una serie di azioni che se non
fossero nella lista delle abitudini, considerando lo stato in cui si trova, non
riuscirebbe neppure ad immaginare di dover compiere.
Con
una lentezza assurda che non gli appartiene si sposta, dopo essersi tolto le
scarpe, dall’ingresso dell’appartamento alla camera da letto e,
nell’infilare passi incerti gli uni dietro gli altri, si toglie gli
occhiali da sole che fino a quel momento avevano nascosto,
dietro le loro lenti scure, ogni minima traccia di pianto o di cedimento. Si
sfila la giacca nera e la lascia scivolare a terra, seguita dalla camicia e dai
pantaloni, neri anch’essi.
La
stanza è immersa nel silenzio e nel buio più assoluti e per un
attimo ha come la netta impressione che non vi sia
assolutamente nulla tra quelle quattro mura, eccezion fatta per il nulla più assoluto, per la
più completa assenza di materia, di luce, di colori e di forme.
Eppure
non è il nulla a togliergli il
respiro non appena entra, né la mancanza di qualsiasi oggetto che i suoi
sensi, stanchi e sopiti, possano percepire,
bensì l’esatta presenza di tutto.
E’
il tutto a generare in lui un
malessere che pare senza fine e senza limiti; è quell’insieme di
cose, di clichè, di odori, di suoni, di sapori,
si sensazioni e di sentimenti che sembrano dovergli succhiare via l’anima,
strappandogliela dal petto, dalla carne.
Piano
si accascia sul letto, uno di quei dannatissimi oggetti che fanno parte del tutto che lo tormenta ed ogni cosa che
sfiora, sente, avverte o percepisce si muta in un’immagine già
vista, in un suono già udito, in un sapore già assaggiato, in una
superficie già esplorata, in un odore già sentito, in quel
riaffiorare del proprio io d’un tempo che gli
uomini chiamano ricordo.
E gli pare d’averlo ancora davanti agli occhi; gli pare
di poter seguire con lo sguardo la linea dolce della sua schiena, in un percorso illusorio che va dalle spalle,
leggermente femminee e piuttosto minute per essere quelle di un uomo, fino ai
glutei eburnei e perfetti, coperti per metà dalle lenzuola; per un
attimo le dita possono ancora godere del contatto con la sua pelle liscia il cui sapore gli rinasce tra le labbra secche ed
appena socchiuse, mentre l’aria nella stanza ritorna ad impregnarsi del suo odore, di quello del loro sesso e gli riecheggiano senza
sosta nelle orecchie tutti i suoi gemiti,
tutti i suoi sussurri, tutte le sue parole d’amore.
Ma
basta chiudere un attimo gli occhi, giusto il tempo di sbattere le palpebre, perché
la sua figura svanisca.
La cosa più atroce
da dover sopportare sarà la sua assenza, dovendo ammettere che senza di lui
il proprio tutto è divenuto nulla.
Fatemi
sapere se vi è piaciuta e se vi commesso, almeno un pochettino...
Vostra
Isi.