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Autore: trullitrulli    12/07/2008    4 recensioni
Il suo unico talento era uccidere; amava sentire le ossa cedere, il sangue stillare dalle suture con l'imposizione delle sue mani. Una schiava di razza nobile gli cambierà la vita con un incantesimo, la sua maledizione...questa è la loro storia.
Genere: Romantico, Commedia, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Bulma, Vegeta
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Anche adesso non ho potuto fare a meno di scrivere un poema epico, chiedo perdono per la lunghezza del capitolo ( dono della sintesi= 0) comunque visto che ho notato che le minacce funzionano mi sono munita di armamenti vari ( tra cui Bazooka, il mio preferito) gentilmenti offerti da Sonia ^^ nel delirio potrei decidere di usarli ( carico il Bazooka^^). Recensite ancora vi preeeeego. A quelli che hanno recensito nello scorso capitolo: grazie non so come avrei fatto senza di voi ( ehi aspettate un attimo questo non vuol dire che dovete smettere di recensire chiaro???)

Bulma era sdraiata con la schiena contro il muro della cella, incapace di muoversi, incapace di pensare, svuotata di ogni cosa.
Se ne stava stravaccata li, con i muscoli rilassati e lo sguardo fisso davanti a se, non era irrigidita dalla paura, sembrava in uno stato di catalessi; sembrava in coma.
Pareva un fantoccio in paglia riposto in un angolo della stanza di un bambino.
Solo gli occhi sembravano ancora "vivi", da questi poteva traboccare tutta la sua preoccupazione, tutta la sua ansia.
Erano fissi davanti a se; nulla attirava l'attenzione delle due lapislazzuli che aveva al posto delle iridi, nulla le interessava a tal punto da smuoverle per farle guizzare su un altro punto della stanza.
Sembrava stremata, sembrava avessero narcotizzato anche lei.
Il muro della cella era freddo e duro, come quello del castello.
All'improvviso sussultò, riuscì a smuovere un braccio, riuscì a trovare la forza d'animo necessaria per formulare un semplice pensiero, un nome.
"Vegeta"
Con lentezza, dovuta al torpore che attraversava il suo corpo stanco, girò la testa verso l'oggetto del suo interesse e della sua preoccupazione.
Anche se avesse voluto non sarebbe potuta andare in contro al corpo incosciente del principe che avevano gettato dall'altro lato della cella e ora riposava.
Bulma trovò altra forza d'animo dentro di se per trascinarsi verso il gancio che assicurava una solida catena in acciaio al muro.
Il piccolo bracciale in ferro che le circondava la caviglia, collegato alla catena, la vincolava alla parete e le martoriava la pelle, di certo le avrebbe lasciato un rosso segno, poichè, era troppo stretto.
Diede un inutile e debole strattone alla catena, nel delirio e nella disperazione.
Tempo prima le lacrime erano scemate in singhiozzi convulsi con intermezzi silenziosi sempre più duraturi e vuoti di pensieri.
Lei stessa si sentiva vuota, le era sembrato di dormire in piedi; vedeva le immagini davanti a se ma non era capace di collegarle a nulla nella sua mente, non le vedeva neanche come figure definite: erano macchie.
Non sapeva si trattassero di mura di pietra, erano solo immagini scure.
All'improvviso si era sentita come catapultata nel suo corpo, ritornata da un limbo molto lontano, da una lenta rigenerazione, da un momento di arresto e di pausa.
Aveva capito più o meno dove si trovava: in una cella, sicuramente non in un sotterraneo visto che c'era una piccola finestrella circolare scavata nella pietra e sbarrata da due aste di metallo.
Ricominciare a piangere non poteva; aveva esaurito tutte le lacrime, aveva pianto per così tanti motivi che ormai aveva esaurito anche quelli per versarne altre.
In fondo piangere era inutile, e, mentre l'intirizzimento del suo corpo andava lentamente svanendo, lei recuperava la ragione e cominciava a studiare con la sua acuta mente la situazione.
Vegeta era narcotizzato, svegliarlo, quindi, era impossibile, oltre che inutile: era legato anche lui, per sicurezza, a due catene che lo assicuravano alla pietra del muro.
Con tutta la forza che ci avrebbe potuto mettere non sarebbe riuscito a spezzarne gli anelli.
Bulma l'aveva riconosciuta, quella lega, era tra le più dure che si conoscessero, dovevano averla usata per precauzione.
Era buio; lo vedeva dalla finestrella sbarrata da cui passava l'aria.         Nella notte sarebbe stato facile scappare, ma i mezzi per liberarsi mancavano.
Inoltre da fuori arrivavano delle voci di uomini deliranti avvinazzati, che pronunciavano frasi illogiche.
La porta in legno della stanza dove erano rinchiusi venne accostata da un gruppo di persone che emanavano un forte odore di alcolici.
Le loro voci erano briose, parlavano di divertirsi, di prigionieri, di donne...
Bulma si sentì improvvisamente come stretta da un boa all'altezza della bocca dello stomaco.
I battiti divennero più forti, le pulsava nelle orecchie e sulle tempie il sangue che fluiva nelle vene pompato con forza e vigore dal cuore impazzito d'ansia.
L'apprensione la attanagliava in una morsa, la sua bocca per un attimo era divenuta secca, e solo dopo che la saliva riprese a bagnarla se ne accorse.
Il cuore, di battere più lentamente e meno intensamente, non ne voleva sapere.
Non poteva rimanere li seduta, oramai l'adrenalina era entrata in circolo.
Si issò in piedi di scattò e nello stesso istante la porta si aprì con un calcio sonoro.
Si vide davanti un paio di uomini di media stazza con giubbe di cuoio e cinture di pelle a cui erano assicurate armi e coltelli.
Bulma impallidì.
L'adrenalina ora scorreva in ogni fibra del suo corpo più copiosa del sangue stesso.
Bulma fece scattare la testa in tutte le direzioni in cui i soldati l'avevano circondata.
Il suo corpo era pronto per la fuga, ma rimaneva immobile, ansante come se avesse già corso.
Uno degli uomini si avvicinò e la tenette ferma cingendole il copo con le braccia forti, bloccandole gli arti in quella stretta.
Un altro degli ubriachi aveva estratto dal taschino di una giubba una chiave in metallo arrugginito e, con difficoltà, l'aveva inserita nella fessura predisposta per l'apertura e la chiusura dell'anello di metallo che stringeva il piede di Bulma.
Lei, che prima era rimasta immobile incapace ancora di sbattere solo le palpebre prima di essere certa di ciò che volessero fare,  stava tentando si svincolarsi dalle braccia dell'uomo.
Era ubriaco e confuso, sarebbe stato un po' più facile.
Li tirò un calcio nello stinco, il soldato la lasciò andare in preda ad un dolore atroce, nello stesso istante, l'ultimo giro di chiave dell'uomo la liberò anche dalla catena e mentre gli anelli cadevano producendo un sonoro tintinnio sulla terra battuta dove si trovavano, lei, rapidissima, scattò valicando la porta, guadagnando una certa distanza dagli etilisti.
Purtroppo andò a sbattere contro un uomo di grossa stazza con una folta barba nera,altrettanto folte sopracciglia dello stesso colore e una faccia grottesca.
Emanava un forte odore di vino, e i baffi stessi erano impregnati di quel liquido liquoroso.
Le rivolse un sorriso sbilenco, con un dente mancante davanti.
Quella figura grottesca la fece sussultare e si ritrasse incespicando in un cespuglio, cadde in un atterraggio morbido sull'humus.
-Ehi donnetta che ci fai qui nel cuore della notte?- delirava l'uomo spalleggiato da altri suoi compari.
Bulma più che mai ora aveva paura.
Un altro ragazzo ben piazzato, e più lucido degli altri la sollevò di peso caricandosela sulle spalle mentre lei scalciava e strepitava con urla assordanti e particolarmente acute.
-L'avevamo detto che era carina- fece quello che, Bulma notò, portava la stessa armatura rossiccia dei suoi aggressori nel bosco.

***
Il signor Brief camminava in pena avanti e indietro, strascicando i piedi sul terreno, ormai stanco di quel via vai a destra e a sinistra e dando un calcio a qualche sassolino.
Era un uomo così pacato e pacifico solitamente, era in preda, anche egli al nervosismo e all'angoscia.
Dal'atra parte, sua moglie, aveva continuato a piangere per tutto il giorno, e, ancora ora, stava continuando singhiozzando e ansando.
Il professor Brief aveva tentato di mantenere il sangue freddo, ma invano.
Qualcuno scostò la tenda del suo alloggio.
-Signore...?- chiese un timoroso Goku preoccupato per aver interrotto un intimo momento di preoccupazione famigliare o per aver disturbato i pensieri agitati del re.
-Si Goku?- gli rispose con la sua solita gentilezza.
Goku, resosi conto che la sua presenza non era sgradita, entrò completamente nel tendone.
La prima cosa che si notava era la regina presa da spasmi dovuti al pianto, che durava da un giorno circa.
Dopo essersi portato la mano dietro la nuca, tentando di ignorare la signora Brief che si era avvinghiata al suo petto cercando conforto anche da lui cominciò a balbettare qualcosa; non voleva suscitare nei coniughi Brief false speranze.
-Ecco...i soldati hanno trovato...-
Ai consorti luccicarono per un momento gli occhi.
-...due persone nel bosco-
I signori Brief continuavano ad essere in ascolto.
-Una ragazza e un uomo armato che la stava...ehm...a quanto dicevano...molestando-
-Chi sono?- chiese il re.
Goku aveva troppo cuore per scostare la regina che ancora gli stava strangolando il braccio preoccupata.
-Non sono ancora andato a vedere personalmente, non so se si tratta di vostra figlia, ma domani andrò a control...-
Un boato risuonò per l'accampamento seguito da una nube di fuoco che avvampò metà del tendone.
Goku i gettò sui coniughi Brief e li mantenne saldamente al suolo aspettando che la fiammata di fosse lievemente placata.
-Fuori- urlò lui.
I due obbedirono e scostarono le tende dell'accesso laterale all'alloggio.
Goku li seguì dopo aver recuperato alcune mappe importanti che una volta fuori consegnò al re.
-Ma che diamine è stato?- disse il signor Brief che teneva sulla spalla la moglie, che, aveva ricominciato a piangere per la forte emozione e la paura.
-C'è mancato poco...-
-...Sembrava alito di drago-
-Signor Son dovrebbe cercare di controllare meglio il suo drago...- gli consigliò il signor Brief gentilmente.
-Fortuna che c'era lei- singhiozzò la signora Bunny Brief.
Goku continuò a fissare ciò che rimaneva della tenda.
-Ma non era Barod, lui è legato cinque tendoni più in la, accanto al mio, non può essersi liberato.
Goku impietrì.
Un ombra solcò il cielo semi nuvoloso dell'accampamento.
Goku alzò lo sguardo al cielo e notò una colossale bestia alata molto simile al suo drago solo con una cresta un po' più grossa e un colore che alla luna diveniva quasi un blu decorato da scaglie argentate.
Atterrò esattamente cinque tende più in la e cominciò a ruggire.
Di nuovo il suo grido i guerra echeggiò per le tende provocando la fuga di coloro che vi risiedevano.
Al suo ruggito si aggiunse quello di Barod; il drago di Goku che cominciò a sbattere freneticamente le ali arrabbiato.
***
Qualche chilometro più in là all'accampamento, dove un gruppo di soldati aveva acceso un falò...
-Ahahahhahahahahahah-
-Ma che donna piacevole...- disse uno inspirando l'odore del vino che avevano forzatamente fatto bere a Bulma e spingendola tra le braccia di un altro.
Lei d'atra parte, frastornata e confusa, non riusciva a reggere bene una sola bottiglia, poichè non vi era abituata.
Si era fatta, senza rendersene conto, accerchiare da una decina di uomini che  la spintonavano  passandosela e facendole scolare altro liquido alcolico, palpandole il seno e gettandola in mezzo alla piccola arena circolare sul quale confine erano posizionati.
Bulma, tra uno spintone e l'altro, cadeva impotente al suolo e veniva risollevata, e, con altrettanta poca delicatezza spinta di nuovo.
A volte si spingeva verso il fuoco, essendo questo, l'unica cosa che riusciva a vedere distintamente.
Ne percepiva la luce e il calore e come una falena ne era attratta, poichè era il suo unico punto di riferimento.
Si avvicinava un pochino per vedere meglio nei dintorni, ma l'alcol le aveva reso la vista inutile; le figure erano appannate e i contorni confusi.
Ogni volta che sentiva la polvere del terreno sulla faccia capiva di aver perso l'equilibrio, e ogni volta che sentiva il metallo delle armature e il cuoio degli abiti capiva di essere nelle mani di un brillo soldato.
Assoggettata da quegli uomini non aveva più la forza neanche per pensare a imprecare contro di loro.
Qualche soldato aveva anche una fiaccola in mano, o un ferro dall'estremità bollente e semi fluida; le avevano messe sul fuoco e con la punta incandescente del metallo la spaventavano minacciando di colpirla.
Bulma cacciò un urlo acuto, un invocazione al cielo che facesse fermare quella follia, quel divertimento spregiudicato, quella tortura che il destino le infliggeva.
Ogni volta che sembrava essersi salvata di colpo ritornava alla sua schiavitù e alla sua impotenza.
Un soldato la minacciò nuovamente con un ferro arroventato, pericolosamente vicino al suo ventre.
I ruggiti animali dei draghi li distolsero per un attimo dal loro svago notturno.
-Che è stato?-
-Sarà quel bestione che Goku ha portato all'accampamento-
Un altro urlo, stavolta umano, dalla direzione del casolare dov'era rinchiuso il prigioniero, arrivò alle loro orecchie.
Lentamente, l'urlo si tramutò in un gemito implorante e poi il debole vociare cessò definitivamente.
-Avete chiuso la porta?- chiese uno dei soldati.
Quelli un po' più sbronzi si guardarono tra loro con il viso rosso per le risate e il vino.
Uno di loro lasciò Bulma che cadde in ginocchio.
Seguiva stancamente la conversazione cogliendone solo i fondamenti: qualcuno era scappato.
I soldati accorsero a vedere ciò che accadeva, probabilmente il prigioniero era riuscito a fuggire e, debole come era, poteva essere già stato ucciso.
Appena fuori dal casolare si accertarono che si trattasse davvero del prigioniero.
La porta l'avevano chiusa perchè era evidente che era stata...abbattuta.
I soldati guardarono al loro interno notando le catene fuse, che giacevano molli e incandescenti al suolo.
Un brivido percosse la loro schiena.
-Niente panico, è mezzo narcotizzato, si è svegliato troppo presto, è vero, ma deve essere debole, magari l'hanno già ammazzato, magari quello che ha urlato era lui-
Cominciarono, mezzi sbronzi, a perlustrare la zona.
Un soldato particolarmente confuso e frastornato vide un ombra, stanca e lenta, trascinarsi con l'ausilio di qualcosa.
Camminò in direzione di questa ma il suo piede anzi che il terreno toccò carne.
Tolse il fogliame per vedere di cosa si trattasse: era un suo compagno, caduto in un cespuglio, che ansava per una ferita alla spalla.
Stava bene ma doveva portarlo in salvo.
-Ragazzi venite un po' qua- disse con tono molto allegro e brioso, quasi non si rendesse conto della situazione.
Gli altri accorsero.
-Che c'è? Hai trovato qualcosa?-
-Guarda qua, questo è Morren, è ridotto maluccio, era lui che aveva urlato?-
Gli altri, più consci della situazione non risposero., rimasero pietrificati.
Un furioso e stordito e drogato guerriero si aggirava nel bosco, per poco non faceva fuori un loro compagno, era pericoloso.
Doveva essere forte se era riuscito a svegliarsi prima del tempo, ma sopratutto doveva essere rabbioso.
Passi incerti e pesanti si udirono alla loro sinistra.
Qualcosa affondava nel terreno, poi due passi, qualcosa veniva conficcato ancora nel fogliame e poi ancora passi lenti.
Una figura dalle pupille dilatate per effetto del narcotico si avvicinò.
Si era svegliato solo, non aveva pensato che, prima, potesse esserci qualcuno prigioniero con lui, non se ne era curato, non ci aveva pensato; gli avevano sparato, si, questo se lo ricordava e insieme al veleno ribolliva la rabbia per essere stato così stupido da lasciarsi drogare, non ricordava il motivo della sua distrazione, ora quelli stolti dovevano solo pagare per la loro sfrontatezza.
Quando era riuscito a liberarsi dalle catene grazie alla magia non ricordava ancora nulla, era ancora confuso, aveva a mala pena trovato la forza di sfondare la porta, era ancora sotto l'intorpidente effetto della droga.
Si trascinava con precario equilibrio con la spada come appoggio che scintillava riflettendo la poca luce che attraversava la coltre boschiva.
Tra le ombre si nascondeva, confuso e delirante, sentiva il bisogno di inspirare l'odore della carne ferita, di trarne conforto, di vendicarsi dei suoi aggressori.
La tossina iniettata scorreva nel suo regale sangue e fino a che questa sarebbe rimasta in circolo lui avrebbe dovuto essere sotto il suo effetto tranquillante
ma lo infiacchiva solo nei movimenti, la rabbia persisteva, il narcotico non serviva ad affievolirla ne tanto meno a eliminarla, in fondo, era un Sayan.
"Mi hanno sparato un veleno." continuava a trascinarsi "chiunque abbia osato pagherà con la vita".
Appena fu abbastanza vicino i soldati lo riconobbero.
- é il prigioniero-
Vegeta li guardò con aria da sufficienza, ben che, tra loro e lui, pareva lui quello più svantaggiato.
Lentamente la sua espressione divenne rabbiosa, si avvicinò sempre con l'ausilio della spada.
-Ehi, questo ora cosa crede di fare, è ancora mezzo addormentato- commentò uno, commento che, non fece smuovere Vegeta, continuò a camminare deciso verso di loro.
-Sarà facile- rispose uno degli ubriachi al commento del compare - farlo fuori e togliercelo di mezzo-
Vegeta sorrise, loro non sapevano, sarebbe stato un piacere doppio dimostrarli che tra loro il più forte era lui, sarebbe stato un piacere addirittura triplo vederli supplicare pietà.
Un altra vendetta, il principe dei Sayan non deve essere offeso nel suo orgoglio, i pochissimi attimi in cui si era reso conto di essere prigioniero lo avevano incattivito, per loro non c'era scampo.

  
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