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Autore: LaraPink777    13/04/2014    4 recensioni
Una corsa contro il tempo. Fino all’ultimo respiro.
Genere: Angst, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello, Splinter
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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The Cave Singers, Black Leaf


“Cos’è questo posto, Donnie?” la tartaruga mascherata in arancione ha sussurrato al fratello che procedeva silenzioso al suo fianco.
“Sembrerebbe un vecchio complesso industriale di produzione alimentare… forse anche un vecchio macello. Ma deve essere abbandonato da almeno trent’anni.”
“E allora cosa ci fanno questi uomini qui?”
“E’ per questo che li stiamo seguendo, Mikey!”
Alcune luci si intravedevano nel magazzino davanti a loro.
“A me non sembra tanto abbandonato, Donnie.”
“Forse è diventato il covo di qualche organizzazione criminale. Stiamo attenti. Non penso che quei due brutti ceffi laggiù si stiamo facendo una passeggiata con dei pacchetti in mano. Vediamo cosa fanno e dove li portano e poi torniamo da Leo e Raph.”
Hanno continuato a seguire i due uomini a distanza, restando il più possibile nascosti nell’ombra, muovendosi veloci, silenziosi. Perfetti ninja. Non un suono, non un passo falso.
Ma nella vita la bravura a volte non basta. Puoi allenarti tutti i giorni, puoi essere il migliore, puoi evitare ogni errore. Ma se non hai anche una buona dose di fortuna, le cose prima o poi si metteranno male.
E così, proprio nel momento peggiore, si è aperta quella porta. Proprio mentre attraversavano l’unico pezzo illuminato e privo di protezioni di tutta la complessa struttura, pensando che fosse statisticamente improbabile che giusto in quei pochi secondi si aprisse una porta, dato che finora non se n’era aperta nessuna.
“Ehi, ma cosa…” la voce dell’uomo li ha fatti girare. Dalla porta sono usciti quattro, no cinque, sei uomini. Tutti armati.
Questa specie di uomini, prima spara, e poi si chiede a cosa diavolo ha sparato. Donatello e Michelangelo non hanno aspettato che finissero di puntare le pistole e le mitragliette prima di iniziare a correre in quella che Raffaello avrebbe chiamato fuga disonorevole ma Donatello definiva piuttosto ritirata strategica.
“Corri, Mikey!” ma Michelangelo già correva accanto a lui quando i primi colpi hanno rotto il silenzio della notte.
Le pallottole sibilavano spaventosamente vicine alla sua testa, mentre Donatello sperava nella cattiva mira dei loro aggressori. Correndo veloci tra le raffiche di mitra, hanno svoltato l’angolo che è esploso in una miriade di schegge di cemento. Al rumore degli spari si stava sommando adesso quello di grida rabbiose e del latrare dei cani.
La struttura era vasta e complessa. Edifici di tutte le fogge e dimensioni, scale di ferro, vecchie vetture, rugginosi macchinari abbandonati. Su tutti piovevano i proiettili, producendo tintinnanti scintille.
Un enorme fabbricato presentava delle grandi finestre rotte, in alto. Velocissimi, nella speranza di seminare gli inseguitori, i due mutanti si sono arrampicati sullo scheletro di un camion, e poi da lì diritti nella finestra. All’interno il vecchio soffitto a vetri permetteva il passaggio della luce dei potenti fari che adesso illuminavano il complesso. Donatello procedeva di pochi passi Michelangelo su una fatiscente passerella di ferro, che attraversava un sistema di nastri trasportatori.
Una raffica di proiettili si è infranta su una grande sega circolare arrugginita.
“Ci sono ancora dietro!”
“Svelto, Mikey, svelto!”
Le due tartarughe con una serie di salti sono scesi dalla passerella per addentrarsi tra le attrezzature  in disuso dello stabilimento. Michelangelo si stava chiedendo come faceva a mettersi sempre in questi casini. Questa volta almeno non era colpa sua! E pensare che c’era la pizza a casa che lo aspettava…
Ancora una pioggia di piombo. Vicina, vicinissima. Donatello avrebbe giurato che i proiettili fossero passati a pochi millimetri dal suo carapace, proprio tra lui e Michelangelo. Diverse squadre armate erano entrate nel fabbricato, che aveva delle grandi aperture su ogni lato. Lì dentro era un vero labirinto, pieno di stanze, corridoi, sovrapassaggi e scale.
Di fermare a combattere non se ne parlava. I nemici erano troppi, e dotati di armi da fuoco. Bisognava scappare, seminarli. Sperando di girare l’angolo e non ritrovarsi uno squadrone davanti.
Mentre i fuggitivi si infilavano tra i vecchi macchinari, hanno avuto l’impressione che il manipolo di inseguitori alle loro spalle si fosse distanziato; forse erano riusciti a seminarli in quel fatiscente dedalo industriale.
Ma all’improvviso, i due giovani mutanti si sono bloccati di colpo. Delle voci e dei passi concitati si avvertivano davanti a loro, proprio dietro l’angolo. Erano in trappola!
I due fratelli si sono guardati un attimo, ansimanti, occhi allargati dall’adrenalina. Tornare indietro con l’altissima probabilità di rincontrare l’altro manipolo o… sperare che la porta nel muro di fianco a loro fosse aperta.
Donatello non ha perso un secondo, si è aggrappato alla pesante ed arrugginita maniglia di ferro ed ha tirato. Era aperta.
Con gli occhi ha ordinato a Michelangelo di entrare; il fratello mascherato in arancione ha esitato appena un secondo con la mano appoggiata al bordo della porta: dentro era buio come l’inferno, come la cella in cui mesi fa era rimasto rinchiuso per tre giorni… Ma poi è entrato e Donatello lo ha seguito richiudendo velocemente la porta alle sue spalle. Dentro vi era il nero assoluto, e l’aria puzzava di rinchiuso in modo disgustoso.
In silenzio dietro la porta, col cuore che batteva nelle tempie, le due tartarughe si sono messe ad ascoltare il rumore dei nemici al di fuori.
Fai che passino, fai che non ci abbiano visto…
Donatello ha appoggiato la testa alla porta, ha sentito gli uomini avvicinarsi, li ha sentiti gridare, erano proprio davanti… e poi, tirando un sospiro di sollievo, li ha sentiti allontanarsi.
Ha lasciato passare qualche secondo, poi ha cercato nel buio la mano di Mikey, al suo fianco (era un po’ umida e appiccicosa, Donatello ha preferito non chiedersi quale schifezze il fratellino avesse toccato) e lo ha tirato.
“Andiamo, sono passati.”
L’altra mano ha cercato la maniglia, al buio. Eccola. L’ha girata. Tirata. Girata ancora. Niente.
Un groppo alla gola iniziava a formarsi nella tartaruga più alta. Girando più volte fino in fondo la maniglia, l’impressione era che il meccanismo interno si muovesse a vuoto. Donatello ha deglutito. La maniglia era rotta.
“Che succede Donnie? Andiamo!” La voce di Michelangelo al suo fianco era un sussurro ansioso.
Donatello ha continuato a girare e tirare. C’era il pericolo che i nemici tornassero sui loro passi da un momento all’altro. Niente da fare, la porta non si apriva.
Apriti apriti apriti apriti…
Michelangelo ha capito che qualcosa non andava.
“Donnie?”
“Non si apre, Mikey, dannazion…”
Adesso la tartaruga tirava forte. Inutile prenderla a spallate, la porta era di pesantissimo metallo e si apriva verso l’interno.
“Non… non si apre? Come…”
“Non si apre, Mikey. Siamo chiusi dentro.”
Donatello aveva bisogno di fare un po’ di luce, per ispezionare l’ambiente circostante. Sperava ci fosse un’altra uscita, o di poter almeno trovare qualcosa per cercare di forzare la porta.
Alla debole luce dello schermo del suo T-phone, quello che invece ha visto gli ha fatto cadere le braccia.
Non solo la stanza era completamente vuota e priva di altre aperture, ma non era neppure una vera stanza, quanto piuttosto uno sgabuzzino, anzi no… una cella frigorifera! Le pareti leggermente scanalate non lasciavano dubbi, così come i ganci da macellaio appesi al soffitto. Era una vecchia cella frigorifera industriale in disuso da molti anni, a giudicare dall’aria puzzolente che sapeva di muffa, polvere e metallo arrugginito.
Michelangelo  si è guardato intorno allibito; la situazione gli sembrava comica e tragica assieme: si erano chiusi in un vecchio frigorifero!
“Cioè, Donnie, fammi capire: ci siamo messi in trappola da soli?”
Donatello non riusciva a crederci: che situazione assurda! Rinchiusi in quello spazietto senza possibilità di fuga e col pericolo che da un momento all’altro potessero essere scoperti e…, no, meglio non pensarci. Inoltre era colpa sua! Lui aveva indicato a Mikey di entrare per quella porta! Aveva messo anche il suo fratellino nei pasticci.
A quel punto non aveva altra scelta che chiamare Leonardo e Raffaello ed aspettare il loro soccorso. Certo non gli piaceva l’idea di farli entrare in quel covo di vipere, ed inoltre si figurava già le abbondanti prese in giro da parte dei suoi fratelli maggiori. Bella figura dei fessi che ci avevano fatto! Già Leo e Raph si sentivano due spanne sopra a loro, dopo questa poi… Raph l’avrebbe preso per il culo per il resto della vita, lo sapeva.
Con un sospiro, ha toccato nuovamente il pulsante del T-phone, visto che nel frattempo il display si era oscurato.
“Mikey, dobbiamo farci venire a prendere.”
“Cosa? Che figura di m-”
“Sì. Preferiresti restare qui? Dobbiamo…”
Donatello si è bloccato, congelato. Il telefonino non presentava neppure una tacca. Non prendeva.
Una goccia di sudore è scesa gelida sul suo collo, solleticando appena la sua cicatrice. Certo. Erano all’interno di un frigorifero fatto di spesso metallo, cosa pretendeva? Valeva la pena fare un ultimo tentativo, ma senza troppa speranza.
“Mikey, passami il tuo telefono.”
“Perché?”
“Me lo passi, per favore?”
“N…non ce l’ho, Donnie. L’ho dimenticato a casa. Ma perché il tuo…” Michelangelo iniziava a capire. “Non c’è campo, vero?”
“No.”
Alla fioca luce del display, i due fratelli si sono guardati negli occhi. Michelangelo ha increspato un mezzo sorriso. “Ci siamo ficcati proprio in un bel casino, eh? Adesso che facciamo, genio?”
“Dobbiamo aspettare che vengano a cercarci. Non credo che ci vorrà molto. Appena vedranno che non torniamo sicuramente entreranno in allarme.” Certo, li avrebbero messi in pericolo. Donatello si sentiva lo stomaco chiudersi in un pugno al pensiero. Non solo non erano stati d’aiuto, ma avrebbero messo in difficoltà anche Leo e Raph.
“E come faranno a trovarci?”
Michelangelo non aveva tutti i torti. La struttura era grandissima, e loro si erano nascosti in un posto davvero poco visibile. Non potevano sicuramente gridare aiuto, col rischio di farsi scoprire da quei delinquenti. I loro fratelli, fermo restando che fossero riusciti a non farsi scoprire, ci avrebbero messo un po’ a trovarli.
Magari sarebbe passata qualche ora.
E lì dentro l’aria era davvero pessima. Sporca e nauseabonda. L’aria…
Un pensiero è esploso nella testa della tartaruga mascherata in viola.
Sempre facendosi luce con una mano, ha afferrato il suo bo da dietro le sue spalle con l’altra. Per farlo si è dovuto chinare, il soffitto era troppo basso.
Ora, il suo bo misurava esattamente 181,8 centimetri. L’ha tenuto in senso verticale, per notare che non arrivava al soffitto per una ventina di centimetri. Quindi due metri di altezza. Donatello ha ripetuto l’operazione per la distanza tra la porta e la parete di fondo. Stesso risultato, circa due metri. Ha quindi tentato di distendere le braccia. No, era più stretto. Un braccio aperto e l’altro piegato al gomito più una dozzina di centimetri. Circa un metro e mezzo.
Donatello ha fatto velocemente i conti. I loro polmoni avevano la forma ed il volume di quelli umani, ed erano come quelli dentro la cassa toracica. Non poteva sapere esattamente se il loro consumo d’aria fosse identico a quello degli uomini, ma poiché i loro organi interni erano molto più simili a quelli umani che a quelli delle tartarughe, ha supposto di sì. Avevano quindi circa venti ore d’aria, prima che la concentrazione di anidride carbonica diventasse letale. Di quell’aria stantia e quasi irrespirabile. Quindi forse anche meno.
Una piccola e strisciante paura si stava facendo largo nella sua testa. Donatello l’ha scacciata in un angolo. I loro fratelli li avrebbero trovati prima, molto prima.
Sperava.
  
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