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Autore: _Silence    13/04/2014    2 recensioni
Louis prendeva sempre la linea tre, ogni mattina per andare a lavorare e al pomeriggio quando tornava a casa.
Lavorava in una caffetteria, faceva i caffè, faceva il cameriere, serviva dal bancone i clienti, era un tutto fare; era felice, si insomma, gli è sempre piaciuto stare a contatto con la gente, ama conversare e ridere, Louis ride sempre e quando lo fa è come quel succo pesca, mango e un goccio di latte che gli prepara sempre la signora Bennet: meraviglioso.
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Da quando suo padre seppe della sua omosessualità l'aveva cacciato fuori di casa, gli aveva dato giusto qualche spicciolo per permettersi un microscopico appartamento in uno di quei palazzoni altissimi e malandati che Harry amava tanto, diceva sempre che solo in un posto del genere avrebbe trovato l'ispirazione per poter dipingere [...]
-Louis, lui è Harry, sai è il figlio di quella cara amica di cui ti racconto sempre.-
-Piacere, io sono Louis.- e gli porse la mano, non sapeva che fare si trovava davvero in difficoltà.
-Harry.- non strinse la mano, non lo guardò negli occhi e si limitò solamente a mormorare il suo nome.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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                                                                        Linea tre.





Louis prendeva sempre la linea tre, ogni mattina per andare a lavorare e al pomeriggio quando tornava a casa.

Lavorava in una caffetteria, faceva i caffè, faceva il cameriere, serviva dal bancone i clienti, era un tutto fare; era felice, si insomma, gli è sempre piaciuto stare a contatto con la gente, ama conversare e ridere, Louis ride sempre e quando lo fa è come quel succo pesca, mango e un goccio di latte che gli prepara sempre la signora Bennet: meraviglioso.

La signora Bennet è la proprietaria della caffetteria, che l'aveva assunto solo perché fosse un ragazzo sorridente, ricorda lui ed ogni volta scoppia a ridere. Non sapeva perché, ma lo voleva un mondo bene, non si spiegava il perché, forse perché fosse straniero, un inglese sbarcato a Los Angeles alla ricerca di non si sa ancora cosa o forse perché fosse un ragazzo sorridente o semplicemente perché era lui.

Non lo ricorda nemmeno più perché avesse scelto proprio Los Angeles, o meglio non vuole.

All'età di diciotto anni era scappato di casa, era fidanzato con Kyle, aveva venticinque anni e doveva trasferirsi per lavoro; ai tempi credette che fosse l'amore della sua vita così lo seguì fin qui, l'altra parte del mondo, in un nuovo continente per creare, credeva, una vita insieme. Ma non lo è stato.

Una volta raggiunto Kyle fu come se non si conoscessero più, come se lui fosse un altro uomo, come se quel viaggio l'avesse cambiato radicalmente, forse era stato il nuovo ambiente di lavoro o forse era perché si era stufato di lui.

Per i primi tempi pensava fosse normale, pensava fosse lo stress, il trasloco, il nuovo ambiente di lavoro, ma non era affatto così; ricorda ancora quella sera, era seduto sul letto del motel, che pagava con la carta di credito che aveva rubato a suo padre, cercava una casa, anche una stanza poteva andare bene per i primi tempi. Mise giù il telefono, stanco di dover blaterare per poter contrattare un prezzo decente, chiuse per qualche istante le palpebre fin quando non sentì squillare il telefono e per qualche momento ebbe paura fosse l'ultimo affittuario con cui aveva parlato, ma era Kyle ed il cuore gli schizzò alla gola.

Una conversazione di poche parole, una di quelle che sembra sia tra due estranei, magari due di di quelle persone che si sono appena conosciuti, ma loro non si erano appena conosciuti, Louis aveva donato a lui la sua prima volta e non era una cosa da niente, ma evidentemente per Kyle si. E pianse, pianse per tutta la nottata e ci vollero settimane per poter riacquistare di nuovo quel bel sorriso che lo caratterizzava.

Non aveva detto a nessuno della sua fuga, non aveva il coraggio di parlare con i suoi, sopratutto con sua madre che sembrava davvero delusa da lui, ma lui era soltanto stato sincero con lei, si era fidato e le aveva confidato il suo segreto più grande.

Aveva lasciato una lettera attaccata al frigo con una calamita, prima di uscire, ai tempi era così che lui comunicava; scriveva, scriveva tantissimo, lo faceva per sfogo, riportava su carta i suoi pensieri invece di gridarli in faccia alla gente, lui scriveva e si sentiva bene.

Anche adesso scrive, lo fa con meno frequenza, ma lo fa; non scrive più i suoi pensieri, cerca di scrivere qualcosa che abbia un senso. Vorrebbe pubblicare un libro, ma si dice sempre che è impossibile, anche se in fondo ci crede, poco, ma abbastanza da fargli prendere il computer la sera per aprire word e continuare a scrivere quello che durante il giorno lo colpisce di più.

 

 

Harry è ossessivo, introverso, geloso, scontroso e una volta era anche scazzato di prima mattina.

Lui dipinge, sarebbe dovuto andare all'accademia delle belle arti, ma non rientrava nel suo di budget.

Da quando suo padre seppe della sua omosessualità l'aveva cacciato fuori di casa, gli aveva dato giusto qualche spicciolo per permettersi un microscopico appartamento in uno di quei palazzoni altissimi e malandati che Harry amava tanto, diceva sempre che solo in un posto del genere avrebbe trovato l'ispirazione per poter dipingere: voleva essere un artista lui, voleva dipingere quello che vedeva, dipingere la realtà, portarla sulla sua tela e far contenta la gente.Si era trovato anche un lavoro, lavorava in una libreria, lo pagavano puntualmente, la paga non era molta, ma lui si accontentava, non gli occorreva molto, solo i suoi colori e le sue tele e l'affitto; andava a mangiare sempre a scrocco dalla signora Bennet, un'amica di sua madre, e diamine ogni volta che entrava dentro quella casa la signora Bennet gli raccontava qualcosa di sua madre, di quello che faceva e poi parlava dei suoi occhi che erano tanto simili ai suoi e ogni volta lei piangeva e a lui toccava consolarla, anche se in realtà veniva da piangere anche a lui perché mamma gli mancava davvero tanto.

Harry prendeva sempre la linea tre alle sette e trentacinque minuti, la mattina non lavorava, ma non riusciva a dormire e si svegliava sempre presto così prendeva il bus e guardava la gente che saliva e che scendeva, cercava di capire che lavoro facessero e se fossero tristi o felici, ma poi vide lui. Da quel giorno prendere l'autobus alle sette e trentacinque minuti aveva un altro scopo.

Lui, per quasi un mese quel ragazzo nella sua mente si chiamava Lui, lui prendeva il bus prima di lui, ma non sapeva dove esattamente.

Lui scendeva sempre sei fermate dopo, aveva sempre un taccuino e una penna strana nella mano sinistra, le auricolari nelle orecchie e la musica sparata al massimo. Era sicuro lavorasse in qualche bar, una caffetterie, qualcosa che centrasse con il contatto costante con la gente, perché gli sembrava un ragazzo davvero socievole, uno di quelli che ride sempre, aveva sempre quel sorriso accennato. Si chiedeva come facesse ad avere quel sorrisetto di mattina.

Si era stufato, non riusciva a capire dove lavorasse, quel giorno si prese di coraggio e scese con Lui alla stessa fermata, prima di scendere gli aveva sorriso e per un attimo Harry rimase come sconvolto, impalato da quel sorriso, diamine.

Scrollò la testa e scese anche e prese a seguirlo.

Lavorava nella caffetteria della signora Bennet, un motivo in più per andare lì ogni mattina.

-Salve Harry.- Marie, la signora Bennet, lo riportò sul mondo reale e mentre cercava con lo sguardo Lui le rispose, anche se non era completamente concentrato.

-Dovresti venirmi a trovare più spesso in caffetteria, so che la mattina vai a zonzo sulla linea tre.-

-Come fai a saperlo?.- era allarmato, allarmato perché non era frequente che qualcuno sapesse quello che faceva ed era strano, ecco.

-Louis mi racconta sempre di un ragazzo molto carino con i capelli ricci e gli occhi proprio come i tuoi.- gli bisbigliò all'orecchio e a lui il cuore prese a martellare.

Quindi anche Lui-voleva dire Louis- l'aveva notato.

-Io … potrebbe essere anche un altro ragazzo, Marie.-

-Staremo a vedere.- Louis stava arrivando, si era messo il capellino e la maglietta con il logo della caffetteria ed era pronto per prendere l'ordinazione di Harry.

-Louis, lui è Harry, sai è il figlio di quella cara amica di cui ti racconto sempre.-

-Piacere, io sono Louis.- e gli porse la mano, non sapeva che fare si trovava davvero in difficoltà.

-Harry.- non strinse la mano, non lo guardò negli occhi e si limitò solamente a mormorare il suo nome.

 

Salve ragazze, questa è la mia seconda Larry nel giro di una settimana, nell'altra avevo già detto che mi stanno dando il tormento quindi non posso fare a me che scrivere.

Un'ultima cosa, non pensate che sia incompleta il "finale" è voluto così, è come se lasciassi immaginare a voi il finale vero .

Ciaao.

  
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