Storie originali > Azione
Segui la storia  |       
Autore: lupacchiotta blu    14/04/2014    1 recensioni
Valentina è una ragazza come ce ne sono tante: i suoi genitori la amano, ha un cane fedelissimo, un migliore amico-fratello, è determinata, intelligente,pratica uno sport che ama... ma che cosa succederebbe se il suo mondo cambiasse, se venisse invaso dagli zombie? E se la sua famiglia non volesse seguirla? Cosa farebbe lei? Scapperebbe impaurita o farebbe l'eroina della situazione? Questo è un mistero, ma ha dalla sua parte un'arma formidabile: è un po' paranoica, e non si può prenderla alla sprovvista.
Genere: Avventura, Azione, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
25 gennaio 2014 primo pomeriggio

 
L’ho ucciso… ho ammazzato mio papà.
Il suo cadavere è immobile davanti a me; non è tanto diverso da quello degli altri zombie: la testa aperta in due, il cervello per terra, il corpo martoriato.
No, non l’ho ucciso io, lo hanno fatto fuori loro. Io l’ho solo liberato dalle sofferenze.
Il mondo attorno a me ricomincia ad esistere: sento i rumori, le urla, vedo i non morti, le guardie immobili  sulla torretta, come pietrificate, Mosè che…
< Valentina! > è preoccupato, ha gli occhi spalancati, mi prende le spalle e mi scuote con forza.
< Hey! Valentina! >.
< C-cosa c’è? > la mia voce è roca, appena un sussurro, la gola brucia.
< Come cosa c’è?! >.
Lo fisso immobile, non capisco.
< Lasciami > sussurro.  Mi molla immediatamente.
< Ne parliamo dopo, adesso dobbiamo scappare alle macchine >.
Mi tira per un braccio per i primi metri, poi mi divincolo dalla sua presa e corro da sola. Ci sono pochissimi zombie qui, il terreno è troppo pendente per loro. Francesca li uccide e noi arriviamo finalmente alla fiesta nera.
Come aveva detto il vecchio, le chiavi erano dentro. Fa fatica ad avviarsi, ma al terzo tentativo finalmente parte.
Era da un po’ che non salivo su una macchina: l’ultima volta è stato proprio qua, e non è un bel ricordo.
L’uomo stringe con forza il volante e schiaccia l’acceleratore. Non è tanto sicuro andare così veloci in montagna, si potrebbero fare degli incidenti, ma io non capisco più niente. Dovrei aver paura, ma non sono minimamente preoccupata.
Mi tocco distrattamente il viso, e quando guardo la mia mano, la ritrovo sporca di sangue, così come la mia giacca a vento.
Mosè dice delle cose, ma non capisco cosa. Pare agitato, urla, ma io non comprendo.
Tiro giù l’aletta parasole che è munita di specchietto e mi vedo riflessa: il naso cola ancora, ho la fronte imperlata di sudore e delle lacrime hanno lasciato una scia pulita sul mio viso sporco di polvere. Ho gli occhi stralunati e, a parte un leggero rossore sulle guance, sono bianca come un fantasma.
Voglio prendere il mio fazzoletto di stoffa dalla tasca cosciale, che non ho mai tolto nemmeno quando sono arrivata qui. Faccio un po’ fatica perché mi trema la mano, ma dopo un paio di tentativi apro la zip e tiro fuori quel piccolo rettangolo di stoffa candida che mi ha regalato la mamma qualche giorno fa.
Mi tampono il naso e l’emorragia si arresta, pulisco sommariamente la giacca e caccio il fazzoletto nella tasca della giacca.
Ma… siamo già arrivati? Quanto tempo sarà passato? Credevo ci volesse di più, anche a questa velocità e in macchina.
Mosè salta giù dall’auto e corre ad avvertire chissà chi, mentre io scendo lentamente.
Le persone si agitano, corrono da tutte le parti, gli uomini sfrecciano ai carretti e ai muli, armati fino ai denti.
C’è pure il dottore. Mosè ci sta parlando e ogni tanto mi indica, gesticola molto, è molto pallido e forse ci assomiglia di più lui a uno spettro. Beh, non c’è molto da fare, devo tornare giù, devo aiutare gli altri. Mi incammino verso un carretto quando il medico mi afferra un braccio e mi fa voltare.
Dice delle cose, mi punta una luce negli occhi, non so bene cosa stia facendo.
Ma cosa fa? Perché non mi lascia? Non sa quello che è successo?
< Marco, devo andare ad aiutare gli altri! > dico io.
< No, adesso devi restare qui. Stanno già andando tutti a dare una mano, tu hai già fatto molto >.
< No, devo andare… Francesca, Davide, Giuseppe… loro… sono là… >.  
Lui parla ancora, ma io non capisco niente… adesso i suoni mi sembrano così distanti… così fiochi… gli uomini corrono ovunque, ma anche i loro passi sono attutiti. È tutto a rallentatore.
Io vorrei seguirli, ma anche se cammino non mi sposto. Guardo in basso e mi accorgo che Marco mi ha alzata di peso, non mi lascia andare. Muove la bocca ma non sento niente, tutto è così lento.
Mi mette per terra e mi guida dalla parte opposta in cui vorrei andare, faccio un po’ di resistenza, mi volto spesso, ma lui mi porta lontano.
Non facciamo che qualche metro, quando io perdo i sensi.
 
 
 
27 gennaio 2014, mattina

 
Che bello, qui si sta così bene…
Il mio corpo ben disteso è adagiato su qualcosa di soffice e avvolto da una nube morbida e calda, mi pare di dormire su una nuvola. Mi sento leggera, come se stessi galleggiando sull’acqua.
Le gambe sono stanche  come se fossi stata in piedi un giorno intero e mi fossi appena concessa un attimo di riposo, è una sensazione così rilassante, vorrei quasi che non finisse mai. Prendo lentamente coscienza anche del resto del mio corpo e apro gli occhi.
Metto a fuoco un soffitto bianco e un lampadario elegante, sono nella mia stanza nella casa di Giuseppe. La camera è illuminata solo da un fascio di luce che entra dagli scuri socchiusi.
Mi accorgo quasi con dispiacere che la nuvola soffice non è altro che il materasso e la nube le coperte di piumino d’oca.
Sono da sola.
Con estrema lentezza mi alzo e infilo le pantofole che Giuseppe mi ha gentilmente prestato. Cavolo, mi sento un po’ debole: le gambe sono malferme e mi fanno male le braccia.
Appoggiandomi ai mobili e ai muri, esco, supero il corridoio e scendo in cucina. Non faccio neanche in tempo ad arrivare a metà delle scale che Davide mi corre incontro e avverte della mia presenza anche gli altri abitanti della casa, che prima erano seduti attorno al tavolo in religioso silenzio.
< Valentina! Cosa fai?! Avresti dovuto chiamare, sarei venuto a prenderti io! >.
Lo fisso con gli occhi ancora impastati dal sonno e non posso fare a meno di chiedermi perché sia così apprensivo. Mi aiuta a scendere e mi fa sedere sul divano davanti al caminetto acceso, coprendomi poi con una coperta pesante. Tutti gli altri si sono già alzati e si mettono attorno a me.
< Valentina! > urla mia mamma abbracciandomi < Ero così preoccupata! Pensavo… pensavo… > e scoppia a piangere.
< Mamma, va tutto bene >. La voce mi graffia la gola, non sembra neanche la mia.
Singhiozza e dice:
< Come va tutto bene?! Ma lo sai che potevi morire?! >. E piange ancora di più.
Le sue lacrime sono seguita da quelle più discrete di Francesca che si siede alla mia destra e mi abbraccia delicatamente.
< Eravamo parecchio in pensiero per te, non sai che colpo ci hai fatto prendere > dice facendo uno sforzo immane per mantenere la voce salda.
Davide e Giuseppe sono in piedi davanti a me, e anche se non vogliono darlo a vedere perché sono uomini, si stanno commuovendo.
Sto per chiedere cosa sia mai successo, quando qualcuno gratta alla porta e in fine riesce ad entrare: è Asso; si fionda da me, scodinzola allegro e abbaia un poco, mi lecca la mano e si siede felice e contento sopra i miei piedi.
< Cosa è successo? > domando finalmente. Ho solo dei ricordi vaghi, non sono sicura di quello che mi passa per la testa. Si guardano negli occhi e Giuseppe prende la parola:
< Non ricordi proprio nulla? >.
< Diciamo che ho dei ricordi un po’  strani. Raccontami tutto dall’inizio >. Devo assolutamente sapere.
< Beh, dopo che sono stati tappati i buchi, tu, Francesca e Mosè vi siete allontanati, e tu e lui siete scesi dalla parete rocciosa. Avete percorso pochi metri quando avete dovuto cominciare a combattere contro gli zombie. Non sappiamo cosa è successo, ma a un certo punto tu… >. Non sa come andare avanti, ma comincio a ricordare tutto per filo e per segno.
< … tu sei diventata una furia > dice < Ne hai uccisi una trentina, tutti da sola. Non facevi nemmeno attenzione a non esporti troppo, ma in quelle condizione, nessuno zombie ti sarebbe scappato >.
La mamma mi stringe la mano e Davide prende la parola:
< Non ti avevo mai vista così arrabbiata, io e tutti gli altri presenti ci siamo rimasti di sasso. A un certo punto, ti sei bloccata, hai ucciso il tuo ultimo zombie e poi Mosè ti ha presa e portata fino alla macchina >.
< Siete arrivati qui in neanche quaranta minuti > dice la mamma, che ora si è calmata un po’ < eri tutta sudata, sporca di sangue e barcollavi. Non eri in stato di shock, ma c’eri vicina >.
< Sì, fin qui ci sono. Cosa è successo dopo? >.
< Ho visto il dottore che ti sorreggeva > continua lei < così ti abbiamo portata fino a casa sua, dove ti ha medicata. Sapessi quanto siamo stati in pensiero questi giorni… > e ricomincia a piangere.
Mi spiegano anche che sono stata portata qui subito dopo le cure del medico. La rabbia ha provocato l’emorragia al naso, che ha contribuito ad annebbiarmi la mente e a rendermi debole già pochi minuti dopo.
La ferita sul fianco aveva delle croste che si sono staccate e hanno sanguinato un poco per colpa dei movimenti bruschi, i muscoli fanno male per le botte date e ho dormito per un giorno intero.
Sono stata dispensata da ogni lavoro per due giorni, e, cosa più importante, non farò più la cuoca.
< Dopo che tutti gli zombie sono stati uccisi e la barriera completamente riparata > spiega Francesca < noi guardie e tutti gli altri presenti siamo andati a casa del sindaco. Volevamo chiedergli di cambiarti mestiere, ma lui non voleva farci entrare, allora noi gli abbiamo sfondato la porta! >. Adesso lei, Davide e Giuseppe sghignazzano. Chiaramente mi sono persa qualcosa di epico.
< Era l’una di notte, e lui era spaventatissimo, in pigiama e… senza parrucchino! Buahahaha! >.
Scoppiano tutti a ridere, me compresa.
< Così > riprende lei, ancora scossa dalle risate < si è messo a urlare che dovevamo andare via! Ahaha! Vedessi come si vergognava! Ahahahaha! >. Chiaramente non ce la fa ad andare avanti, allora continua Davide che è rosso in faccia:
< Si è chiuso in camera da letto, così gli abbiamo devastato la casa! Ahahaha! continuava a gridare dalla sua stanza, ma noi non lo stavamo a sentire! Ahahah! >. Si asciuga le lacrime, prende un respiro profondo e riattacca:
< Gli abbiamo detto che tutti ti volevamo come guardia, ma lui ribatteva con frasi del tipo “niente da fare” “qui comando io” e “le donne devono stare in cucina” e Francesca- > viene interrotto da lei stessa che dice:
< Aspetta, aspetta! Ahahah! Questo pezzo voglio raccontarlo io! Quando ho sentito questa frase ho sparato alla maniglia della porta della camera, sono entrata e ho sparato a tutti i mobili, gli arredi e quant’altro ci fosse, gli ho lasciato la stanza come un colabrodo! Ahahaha! >.
< Oddio, non ce la faccio più! Ahahaha!  > urlo in preda alle risate < e poi cosa è successo? >.
< Mosè gli ha tirato via i pantaloni, lasciandolo in mutande, lo ha legato e lo stava per portare in strada, quando il sindaco si è arreso! Ahaha! >.
Che peccato, mi sarebbe piaciuto che quella faccia di merda fosse umiliata davanti a tutti.
< Ahaha! > anche Giuseppe se la ride di gusto < dovevi vedere quanto era spaventato! Ahahaha! ha accettato di farti entrare nel corpo di guardia e di farti fare anche qualche scambio commerciale sulle altre montagne in cambio del nostro silenzio sul suo parrucchino! >.
Mi sento felice, finalmente ho ottenuto quello che volevo.
 
Dopo la colazione mi sento già molto meglio, salgo a vestirmi e noto delle bende nuove e cerotti.
Faccio in fretta, devo assolutamente parlare con mamma. So che adesso che sono sveglia lei si è tranquillizzata, ma io devo sapere perché mi ha mentito su papà.
Scendo di nuovo, Asso mi attende sulle scale. Lo accarezzo sulla tesa e dico:
< Dopo giochiamo un po’, va bene? Adesso ho da fare >. Guaisce, sembra un po’ deluso: è da quando siamo qui che gli dedico poco tempo. In salotto c’è solo Francesca.
< Dov’ è mia mamma? >.
< È andata dal dottore, ha detto che torna subito >.
< Ok, grazie >.
Forse è andata da Marco a prendere qualcosa per me, la aspetterò qui.
Francesca è seduta sul divano e legge un libro, una copia della Divina Commedia. Non mi sarei mai aspettata che le piacesse la letteratura. Mi siedo accanto a lei e Asso, che mi ha seguita, appoggia la testa sulle mie gambe ed elemosina qualche carezza.
< Non pensavo ti piacesse Dante > dico per attaccare bottone.
< Mi piace tantissimo, ci ho fatto anche la tesi di laurea >.
Ci resto di sasso.
< Sul serio? Sei laureata? In cosa? Non pensavo… >.
< Ahahah! Beh, essendo solo una sarta, nessuno pensa che abbia anche un’istruzione > mi risponde sorridendo. Deve aver notato la mia faccia imbarazzata, non volevo certo offenderla in alcun modo.
< Dai, non crucciarti: lo pensano tutti quando mi conoscono poco. “Fai la sarta quindi sei poco intelligente”. Lo capisco benissimo, anche io quando vedo un operaio o un contadino penso che abbia solo la licenza di terza media. Come vedi, neanche io sono immune agli stereotipi >.
Mi scompiglia i capelli corti e ricci con fare affettuoso, non se l’è presa.
< Comunque, sono laureata in letteratura italiana >.
E chi l’avrebbe mai detto?
 
Io e Francesca disquisiamo per un buon quarto d’ora su libri e autori, risvegliando in me quel desiderio di lettura che non provo ormai da settimane, quando la mamma entra in cucina.
< Sono tornata! Valentina, ti ho portato una pomata che mi ha dato il dottore per i dolori muscolari. Dovrei dirti di usarla con parsimonia, ma sono sicura che tu lo sappia già, previdente come sei >.
< Mamma, che ne dici se facciamo due passi? >.
La domanda le pare sospetta. Dimenticavo che è mia madre.
< Sai, anche se siamo qui da giorni, non abbiamo mai avuto tanto tempo per parlare e passare un po’ di tempo insieme >.
< Va bene > acconsente lei < tanto mi hanno dato la giornata libera per prendermi cura di te >.
 
Io e la mamma passeggiamo per le strette viuzze di Oasi, chiacchierando tranquillamente del più e del meno. Anzi, forse è più corretto dire che lei parla pacatamente mentre io mi scervello su come introdurre l’argomento papà.
Per mia fortuna, non devo aspettare molto che lei stessa comincia a parlarne:
< Valentina, credo di sapere perché tu sia voluta uscire con me >.
< Ah sì? In realtà io non volevo parlare di nulla in particol- >.
< Ti ho mentito su papà > dice tutto d’un fiato interrompendomi.
Bene, non devo più chiederle niente. Male, se ha detto una bugia c’è qualcosa sotto.
< Perché? Come mai non mi hai detto la verità? > domando delusa.
Il suo sguardo si fa triste, si sente in colpa. Mi prende la mano e si siede sui gradini di una casa disabitata, facendomi accomodare accanto a lei.
< Hai visto tuo padre tra quegli zombie, vero? >.
< Come fai a saperlo?! Davide era l’unico a conoscerlo e non era abbastanza vicino per vederlo! >.
< Sei mia figlia, ti conosco bene, so che non ti saresti mai arrabbiata così tanto per una sciocchezza. Dovevi per forza aver visto qualcosa che ti ha fatta andar via di testa, così chiedendo in giro e andando direttamente sul campo > sospira sonoramente < Ho capito tutto >.
Che abbia visto anche il cadavere? Sto per chiederlo quando continua la sua storia:
< Ho fatto fatica a riconoscerlo, ma portava gli stessi vestiti dell’ultima volta. > la voce le trema, sta per piangere < Devi sapere che mentre stavamo attraversando il paese ai piedi della montagna, tuo padre ha combattuto contro quei mostri per difendermi, ma è stato morso. Nonostante le medicazioni, dopo nemmeno venti minuti si è trasformato in uno di loro, ma… >. Si blocca di colpo e non dà segni di voler proseguire.
< Ma cosa? Mamma, devo sapere! >.
Si asciuga gli occhi umidi con la manica della giacca e dice:
< Prima di trasformarsi, lui… lui… lui mi chiese di ucciderlo > e scoppia a piangere. La abbraccio per darle conforto, mi sembra che ci siamo scambiate i ruoli: io la mamma, lei la figlia.
< Io non ce l’ho fatta! Come potevo ucciderlo? Io.. io… non potevo farlo. Così sono scappata, lasciandolo dov’era. Chissà cosa penserai di me adesso! Per colpa della mia vigliaccheria, sei stata costretta a fare quel che avrei dovuto concludere io! >.
Piange ancora, singhiozza e si copre le mani con il viso, come se si vergognasse a farsi vedere in faccia da me.
< Mamma, non devi sentirti così in colpa! Hai fatto quello che avrebbe fatto chiunque! > dico per confortarla < Come potevi sapere che me lo sarei trovato davanti? Non potevi neanche immaginarlo >.
Le spiego che non sono arrabbiata, che anche io avrei preferito raccontare una bugia, che non è colpevole di nulla.
Si calma un poco, pare convinta, ma so che questo peso la perseguiterà per il resto dei suoi giorni.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Azione / Vai alla pagina dell'autore: lupacchiotta blu