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Autore: Natalja_Aljona    14/04/2014    1 recensioni
Novosibirsk, 2013.
Aljona Sergeevna Dostoevskaja e Lev Fëdorovič Puškin, l’aspirante pattinatrice e l’ex terrorista.
Lei quindici anni di sogni, lui ventidue anni di illusioni.
Lei scandalosamente bionda, coraggiosa e incosciente come poche.
Lui troppo impulsivo e troppo innamorato.
Lei frequenta il penultimo anno del Ginnasio, lui ha passato sei anni in carcere per un attentato a Putin.
Perché lui davvero non ci riusciva, a non idealizzare quel Paese, quella Siberia feroce e opprimente, il cuore bianco e grigio della sua Russia sanguinaria e corrotta, a non cullare l'illusione di una Patria gloriosa sotto le macerie della violenza fine a se stessa e le sue stesse cicatrici di ragazzino che credeva ciecamente nel suo mondo immaginario, nei suoi miti bellissimi e impossibili, perché non c'era davvero quella gloria, non c'era davvero quella Patria.
Non c'era davvero quella luce, c'erano solo loro.
Lev con la pelle mangiata dalla prigione e il cuore rubato da Aljona e Aljona fatta di ghiaccio, musica, libri e capelli.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Ottantasei

Ottantasei

Neodoljiv, neumoljiv

Irresistibile, impietosa

 

Novosibirsk, 2039

 

Non che non fosse sua amica: Anastasija era una di quelle ragazze che non si poteva vedere come una rivale, era troppo dolce, spontanea e carina con tutti.

Sonja era molto legata a Evelina e Lidija Gončarova, erano loro le sue migliori amiche.

Nastja era un raggio di sole, ma Sonja non riusciva a fidarsi completamente di lei.

Non quando rideva e faceva ridere così forte Lev, non quando lo prendeva sottobraccio e gli sussurrava chissà cosa all’orecchio, con un’innocenza a cui era difficile credere.

Lev la chiamava Stas o Stacey, Anastasija.

Le sfiorava i capelli e le schioccava baci sulle guance fin troppo affettuosi.

Nastja era nata in Vietnam, ad Hanoi, dove Khadija si trovava per scrivere la sua tesi di laurea, il 1 Agosto 2020, tre anni prima di Sonja e uno prima di Lev.

Aveva imparato il vietnamita perché non voleva essere nata lì per niente, e adorava i suoi fratelli, Roman, di quindici anni, e Layla, di nove.

Layla era la più piccola di tutte le loro famiglie, e anche Lev aveva un debole per lei, tanto che le sorelle Pugačëv erano le uniche, oltre alle sue vere sorelle e David e Anatol’, i suoi migliori amici, con cui era così espansivo.

Era un altro Lev, e lei era sempre la stessa Anastasija.

Voleva fare il reporter di guerra, lui, come Khadija.

E poi si girava e vedeva lo sguardo smarrito di Sonja, che aveva paura di qualcosa che lui non riusciva a capire e sentiva qualcosa che lui non riusciva a toccare, si mordeva le labbra e tornava indietro.

Qualsiasi cosa pensasse lei, con gli occhi lucidi e azzurrissimi rivolti a chissà quale dispiacere, le dita febbrili intorno all’archetto del violoncello e la treccia bionda che seguiva ogni suo movimento, era stato lui il primo ad innamorarsi.

E un giorno, magari, gliel’avrebbe anche detto.

 

Sonja era entrata nella crêperia con l’aria stravolta e i capelli sciolti leggermente in disordine, aveva cercato con gli occhi il loro tavolino e li aveva raggiunti a testa bassa.

Si passava continuamente le dita nella lunga chioma e di tanto in tanto si massaggiava la spalla destra, scura in volto, sperando solo che nessuno se ne chiedesse -ma soprattutto le chiedesse- il perché.

Salutò David con un bacio sulla guancia e si sforzò di sorridere ad Anastasija e Lev, per poi lasciar cadere lo zaino sul pavimento e sedersi accanto al fratello, che le accarezzò un braccio e le chiese cosa voleva ordinare.

Lei scosse la testa ma poi, per non destare sospetti, chiese un thè con un cornetto ai cereali che fissò a lungo con occhi vacui.

Ne sfiorò il dorso lucido di zucchero croccante e infine si decise a prenderlo in mano.

Era buonissimo come sempre, ma non aveva fame.

-Non hai caldo col cappotto?-

La domanda di David la colse totalmente alla sprovvista, visto com’era assorta nel non fare merenda, anche se avrebbe potuto aspettarsela, dato che suo fratello se ne stava tranquillamente in mezze maniche e non dava la minima impressione di essere turbato dal gelo che entrava quando gli altri clienti aprivano la porta del locale.

Ma era Dav e, dopo esserci cresciuta insieme, sembrava quasi più normale di tutti gli altri.

L’aveva guardata con quei suoi occhi sempre ridenti e luminosi e lei si era morsa le labbra, ancora più stordita.

-Sì, adesso lo tolgo-

In fondo non avrebbe dovuto vedersi così tanto.

Cos’era mai?

Uno strappo sulla spalla della maglietta di cotone bianca con le maniche di pizzo trasparente, ma non era mica così evidente, dai...

-Cosa ti hanno fatto?-

Sonja sgranò gli occhi, perché era la voce di Lev.

Il maggiore dei fratelli Gončarov aveva posato la sua tazza di cioccolata facendo tintinnare il piattino e aveva posato su di lei il suo furente sguardo grigiazzurro.

-Ma niente... Michail, dell'undicesimo anno, mi ha spinta sulle scale perché non volevo uscire con lui- confessò, e Anastasija sbiancò.

-Michail chi?-

David stringeva il cucchiaino come se avesse voluto piegarlo in trentaquattro.

-Michail Ivanovič Strelkov-

-Magnifico-

David si alzò di scatto, tirò fuori dalla tasca dei jeans alcuni rubli per pagare la merenda per lui e per Sonja e li sbatté sul tavolo, davanti alla tazza della sorella.

-Aspettami a casa-

Si infilò il cappotto direttamente sulla maglietta e le indicò la sua felpa, ancora riversa sullo schienale della sua sedia.

-Quella mettila tu. Lev, portala a casa-

Quando David fu uscito, sbattendo la porta con una violenza tale da far sussultare e girare parecchi clienti, Lev appoggiò la testa ad una mano, scuotendola lentamente.

-Deve lasciarti stare-

Dopo aver riaccompagnato a casa Sonja, Anastasija gli disse:

-A te avrebbe detto di sì-

Lev scrollò le spalle, con un sorriso mesto.

-Io non gliel’ho chiesto-

 

Quella sera David aveva litigato anche con Lev.

-Aspetti che la violentino, per dichiararti, eh?!- gli aveva gridato, con gli occhi fiammeggianti e quasi la voglia di fare a botte anche con lui, perché anche lui, a modo suo, faceva soffrire sua sorella.

Perché Dav lo sapeva, Lev no.

Era la sua piccola Sonja, la sua sorellina, l’unica sorella minore che aveva.

-Non voglio che le facciano del male- aveva sibilato poi, assorto, stringendo forte i pugni e fulminando con lo sguardo Lev.

Nessun fratello lo voleva, ma loro abitavano a Nostal’hiya.

-Non guardarmi così, Lev. O la ami o non la ami. E se la ami glielo devi dire!-

Per David bisognava dire tutto, fare tutto, sempre.

Come lui.

Lev era il suo migliore amico, e non gliel’aveva mai detto di Sonja, neanche a Nasten’ka, lui non lo diceva a nessuno.

Ma guardava Sonja come lui guardava Viktorija, e comunque non si aspettava certo una confidenza, non da uno come Lev Nikolaevič Gončarov, il figlio di Nikolaj e Zinaida.

David però non lo sapeva, quello che Michail aveva detto a Sonja dopo averla spinta.

-Non lo sai che Gončarov sta con la Pugačëva?-

Lo sguardo disperato che gli aveva lanciato Sonja gli aveva precluso qualsiasi pentimento.

Ma certo, la piccola Puškina e Gončarov.

Patetici, oltre che banali.


Idi gde hoćeš, ljubi sve živo

 

Vai dove vuoi, bacia tutte

(Idi dok si mlad, Ceca)

-Riferito a Sonja e Lev-

 

Lev, certe cose, a Sonja, non pensava di poterle dire.

Fare sì.

Baciarla a tempo indeterminato, per esempio.

Stordirla di carezze e giurarglielo così, tutto quello che provava.

E allora sì che sarebbe stato appassionato come David, i suoi occhi si sarebbero infuocati e avrebbe fatto bruciare tutto intorno a loro, tranne le loro dita intrecciate, quelle dovevano rimanere.

E allora sì che le avrebbe confessato quante volte era morto di gelosia, ma era sempre stato bravo a gelare le scintille e, come faceva suo padre, a ficcarsi in tasca i pugni che avrebbe voluto dare in faccia a quei ragazzi che non si vergognavano a mangiarla con gli occhi e a confessare i loro desideri, seppur molto spesso con le parole sbagliate.

Lev non voleva usare le parole sbagliate.

Dirle quanto se la sarebbe voluta portare a letto, ed era maledettamente vero, ma non solo questo, non così.

Però lui voleva fare il reporter di guerra, non lo scrittore come Dav.

Quella poesia non ce l’aveva.

Con Anastasija, la sua migliore amica, non aveva problemi di parole.

Le diceva le cose così come gli venivano, le diceva tutto tranne che di Sonja, che ce l’aveva proprio incastrata nel cuore e dopo aver saputo quello che era successo con Michail e averla riaccompagnata a casa aveva quasi pianto di rabbia e perché quel maledetto si era permesso di toccarla e farle male, e comunque lui gliel’aveva detto, che voleva uscire con lei e non solo.

Lei però non voleva, chissà con chi voleva uscire, lei.

 

Neodoljiv, neumoljiv

Voleh te i suviše

Takvi kao ti me, dušo, ubiše

 

Irresistibile, impietosa

Ti ho amata troppo

Come tu, tesoro, mi hai ucciso

(Neodoljiv, neumoljiv, Ceca)

-Riferito a Lev e Sonja-

 

-Sonja...-

L’aveva incrociata nel corridoio di casa sua un giorno che era andata a studiare con Evelina e Lidija, e lei aveva deglutito e gli aveva sorriso, per poi cominciare a toccarsi nervosamente i capelli, passandosi le unghie smaltate di acquamarina traslucido tra le seriche ciocche color oro.

Poi Lyn e Lidočka erano uscite con Zinaida per andare all’Accademia di Danza e lei stava per tornare a casa, ma Lev l’aveva fermata ancora, sentendosi un totale cretino.

Chissà se era quello che provavano i rappresentanti di aspirapolvere porta a porta.

Ma quella era casa sua, Khristos.

-Sonja! Sonja...-

Le aveva preso una mano e gliel’aveva stretta e accarezzata a lungo, e forse grazie a qualcosa di indefinito che brillava negli occhi azzurri della piccola Sof’ja Elizaveta, bruciante speranza e trepidazione, gli era svanito il complesso del venditore di aspirapolvere porta a porta.

Lui avrebbe fatto il reporter di guerra, punto.

-Ti amo- gli disse lei all’improvviso, e poi serrò gli occhi e lo strinse a sé, lasciandosi accarezzare i capelli e la schiena.

Lev e Nikolaj Gončarov erano gli unici uomini più alti di suo fratello David, ma glielo poteva anche perdonare.

Dopo lui la baciò e non poté più fermarlo, era così innamorato di lei e non sapeva spiegarglielo, ma la stringeva tanto forte da non lasciarla respirare, e quando la portò in camera sua e girò la chiave, e sul letto le rubò i suoi sorrisi più tremanti e il celeste più limpido dei suoi occhi, riuscì a sussurrarle tra i baci ogni parola e si convinse che, a patto che Sonja non facesse caso alla forma e alla sua voce come disperata, erano tutte giuste.

Sonja. Ti. Amo. Punto.

Questo era il concetto principale.

Telegrafico, ma era lui.

-Sonja, ti amo, ti amo...-

Con le labbra sulla sua spalla, con una mano che forse le aveva tirato i capelli e l'altra stretta intorno alla sua.

Non gliela poteva lasciare, no.

Era la sua promessa.

La sua Sonja.

Davvero.

-Ti amo...-


Bella
Lei mi porta via con gli occhi e la magia
E non so se sia vergine o non lo sia
C’è sotto Venere e la gonna sua lo sa
Mi fa scoprire il monte e non l’aldilà


Chi
È l’uomo vivo che potrebbe rinunciare
Sotto il castigo, poi, di tramutarsi in sale?

(Bella, Notre Dame de Paris)


Я душу дьяволу продам за ночь с тобой

 

Ya dushu d’yavolu prodam za noch’ s toboy

 

Venderei l’anima al diavolo per una notte con te

(Belle -Russian Version-, Notre Dame de Paris)

-Riferito a Sonja e Lev-

 

Adesso riusciva a dirle tutto.

Se la teneva stretta a un respiro dal cuore e non riusciva a smettere di parlare, spiegare e raccontare, e lei lo ascoltava con un sorriso che non poteva più andare via e lo riempiva di baci che rallentavano un po’ i suoi discorsi.

Suo padre non molto tempo prima parlando di Sonja gli aveva detto: “Lei è la figlia di Lev, ti dirà sempre la verità”.

Lui era il figlio di Nikolaj ed era altrettanto sincero, ma aveva dovuto capire che dichiararsi era legale, prima di riuscire a dirle la verità.

Ora nessuno gli avrebbe impedito di baciarla davanti al Ginnasio, che lui aveva finito da un anno, fino all’ultimissimo istante dell’ultima campanella, anche davanti alle sue sorelle, e aspettarla fuori sul motorino alle due, sentirla stringersi a sé e portarla via, era sua, era la sua fidanzata.

Michail non le poteva fare più niente di male, nessun altro avrebbe potuto più dire una sola parola su di lei, la più piccola dei Puškin, coi fratelli che avevano finito la scuola già da un pezzo, uno dei quali faceva una paura tremenda, e lo sapeva bene quel teppistello che l’aveva spinta giù dalle scale e forse aveva creduto davvero che senza i suoi fratelli maggiori e suo padre nei paraggi poteva prendersi certe libertà, che non sarebbe venuto nessuno a difenderla, la figlia del professore pregiudicato.

Quella sera l’aveva portata a cena alla crêperia e l’aveva baciata davanti a tutti facendola quasi soffocare con il boccone di crêpe che non le aveva lasciato finire di masticare, da tanto che era incapace di resistere.

Ma adesso non doveva più resistere.

La gente si girava a guardarli dagli altri tavoli mentre Lev, la testa di Sonja contro il suo petto, le accarezzava i capelli e le parlava all’orecchio.

Avevano avvicinato talmente tanto i loro sgabelli che le gambe di questi ultimi si erano incastrate tra loro e se avessero provato a spostarne uno si sarebbero ribaltati entrambi.

Lev era sempre stato un ragazzo fin troppo riservato, ma Sonja, Sonja, beh...

Con la sua bellezza splendente e il suo visino raggiante che non riusciva proprio a smettere di guardare, e dir guardare era ancora poco...

Gli aveva fatto perdere la testa e ogni stilla di lucidità, e ora lo poteva ammettere.

-Sai, ti ho sempre trovata meravigliosa. Così meravigliosa da farmi innervosire, ogni volta pensavo su chi diamine volessi fare colpo con quei vestiti, quella pettinatura e quel sorriso, e non capivo che eri tu e basta, e non volevi attirare le attenzioni di nessuno, ero io che non riuscivo a smettere di guardarti... E non riuscivo a perdonarmelo. E poi a un certo punto ho pensato che ti piacesse, Michail, col suo dimostrarti sempre la sua ammirazione. Pensavo che ti piacessero i tipi così, e sentivo dentro una furia... Poi mi dicevo: “Vabbé, è troppo bella, è anche normale che sia così”. Ma non mi sembrava normale per niente, mio Dio... Perché ero io, alla fine. Ero io quello che ti amava-

-Lev, io Michail non l’ho mai sopportato-

-Ma eri gentile con lui, all’inizio-

-Gentile, sì, ma...-

-Più di quanto lo fossi con me-

-Tu eri troppo imbarazzante-

-In che senso?-

-Troppo bello, troppo alto, troppo silenzioso. E io, troppo innamorata-

-Di me?-

-Eh-

-Ma Khristos...-

-Ascolta, non te lo potevo dire! Tu stavi sempre con Anastasija, e ridevi sempre quando eri con lei, eri sempre felice...-

-Ma era evidente che lei era solo la mia migliore amica!-

-Ma evidente dove?-

-Vabbé. Mi dispiace-

-Anche a me...-

-Sonjetschka...-

Lev le accarezzò una guancia e le sorrise, facendola sorridere.

-Domani vieni da me, appena finisci gli esercizi al violoncello? Lyn e Lid saranno a danza, e anche la mamma...-

-Certo che vengo da te-

-Davvero?-

-Lev...-

-Sei straordinaria. Non so perché credevo che se te l’avessi detto mi sarei sentito un cretino, però è questo che sei...-

-Hai tanti altri motivi per sentirti un cretino, Levočka. Io non lo dicevo a nessuno, ma morivo per te-

David lo sapeva, sapeva di entrambi, senza che nessuno dei due gliene avesse mai parlato, ma voleva proteggere sua sorella ed era convinto che, finché Lev non avesse avuto il coraggio di dichiararsi, non avrebbe avuto il coraggio di amare Sonja.

E avrebbe dovuto essere amata davvero, la sorella di David Puškin.

 

Sonja aveva chiamato sua madre e le aveva detto che quella sera sarebbe rimasta a dormire a casa di David.

A mezzanotte meno un quarto aveva suonato il campanello e suo fratello le aveva aperto con una sigaretta tra le dita e i capelli arruffatissimi, ma appena l’aveva vista aveva sorriso.

-Ehi, eccoti qui...-

Aveva inclinato la testa da un lato e l’aveva osservata attentamente, gli occhi chiarissimi quasi liquidi dallo sguardo trasognato e i capelli che le piovevano lungo il fianco sinistro, alta solo tre centimetri in meno di lui nonostante i sei anni di differenza, ma questa non era certo una novità.

Si avvicinò e le sfiorò una guancia con le dita, la sua adorabile piccola Sonjetschka, e così era successo, Lev ce l’aveva fatta, a rubarle definitivamente il cuore.

E poi, in un impeto di gelosia, le sussurrò:

-Non ti vorrà mai bene quanto te ne voglio io-

Ma sorrideva, David sorrideva sempre, e la strinse a sé e la prese per mano.

-Andiamo di là? Poi se ti va racconti, se no parliamo d’altro, se no dormiamo-

-Ma è presto...-

-Per noi sì-

Sonja rise e lo abbracciò di nuovo.

-Che stavi facendo?-

-Fumavo, leggevo, scrivevo-

-E non hai bruciato i fogli?-

-Nah-

-Meglio. Mi fai una treccia?-

-Come quando eri piccola?-

-Sono ancora piccola-

-Non per Lev-

-Questa è un’altra storia-

-Mica tanto-

A Sonja piaceva da morire la casa di Dav, dormire con lui, nella sua tenda da Cosacco e tutti quegli scaffali in posizioni assurde traboccanti di libri, millemila foto della loro famiglia alle pareti e quella sensazione che tutto intorno a lei sorridesse come David.

Quando fu sdraiata accanto a suo fratello nella tenda, con i capelli biondi sparsi sul cuscino -la treccia alla fine avevano deciso di farla il mattino dopo- e lo sguardo perso nel buio, sussurrò:

-Dav, io lo amo-

-Lo so-

-E...-

-E va bene così-

Sonja lo abbracciò e rimase con la testa sul suo petto e le dita intrecciate alle sue finché non si addormentò.

-Dormi bene, stellina- le sussurrò David all’orecchio un attimo prima.

 

 

 

Note

 

Neodoljiv, neumoljiv: titolo di una canzone di Ceca. Letteralmente Irresistibile, impietoso, nel titolo è al femminile perché è riferito a Sonja.

 

Buonasera a tutti ;)

In questo capitolo abbiamo conosciuto Sonja e Lev, l’ultima figlia di Lev e Al e il primogenito di Nikolaj, e la loro storia...

Non aggiungo altro, ma sono curiosa di sapere cosa pensate di loro ;)

 

A presto!

Marty

  
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