Ottantasei
Neodoljiv,
neumoljiv
Irresistibile, impietosa
Novosibirsk, 2039
Non che non fosse sua
amica: Anastasija era una di quelle ragazze che non si poteva vedere come una
rivale, era troppo dolce, spontanea e carina con tutti.
Sonja era molto legata a
Evelina e Lidija Gončarova, erano loro le sue migliori amiche.
Nastja era un raggio di
sole, ma Sonja non riusciva a fidarsi completamente di lei.
Non quando rideva e faceva
ridere così forte Lev, non quando lo prendeva sottobraccio e gli sussurrava
chissà cosa all’orecchio, con un’innocenza a cui era difficile credere.
Lev la chiamava Stas o
Stacey, Anastasija.
Le sfiorava i capelli e le
schioccava baci sulle guance fin troppo affettuosi.
Nastja era nata in
Vietnam, ad Hanoi, dove Khadija si trovava per scrivere la sua tesi di laurea, il 1 Agosto 2020,
tre anni prima di Sonja e uno prima di Lev.
Aveva imparato il
vietnamita perché non voleva essere nata lì per niente, e adorava i suoi
fratelli, Roman, di quindici anni, e Layla, di nove.
Layla era la più piccola
di tutte le loro famiglie, e anche Lev aveva un debole per lei, tanto che le
sorelle Pugačëv erano le uniche, oltre alle sue vere sorelle e David e
Anatol’, i suoi migliori amici, con cui era così espansivo.
Era un altro Lev, e lei
era sempre la stessa Anastasija.
Voleva fare il reporter di
guerra, lui, come Khadija.
E poi si girava e vedeva
lo sguardo smarrito di Sonja, che aveva paura di qualcosa che lui non riusciva
a capire e sentiva qualcosa che lui non riusciva a toccare, si mordeva le
labbra e tornava indietro.
Qualsiasi cosa pensasse
lei, con gli occhi lucidi e azzurrissimi rivolti a chissà quale dispiacere, le
dita febbrili intorno all’archetto del violoncello e la treccia bionda che
seguiva ogni suo movimento, era stato lui il primo ad innamorarsi.
E un giorno, magari, gliel’avrebbe
anche detto.
Sonja era entrata nella
crêperia con l’aria stravolta e i capelli sciolti leggermente in disordine,
aveva cercato con gli occhi il loro tavolino e li aveva raggiunti a testa
bassa.
Si passava continuamente
le dita nella lunga chioma e di tanto in tanto si massaggiava la spalla destra,
scura in volto, sperando solo che nessuno se ne chiedesse -ma soprattutto le
chiedesse- il perché.
Salutò David con un bacio
sulla guancia e si sforzò di sorridere ad Anastasija e Lev, per poi lasciar
cadere lo zaino sul pavimento e sedersi accanto al fratello, che le accarezzò
un braccio e le chiese cosa voleva ordinare.
Lei scosse la testa ma
poi, per non destare sospetti, chiese un thè con un cornetto ai cereali che
fissò a lungo con occhi vacui.
Ne sfiorò il dorso lucido
di zucchero croccante e infine si decise a prenderlo in mano.
Era buonissimo come
sempre, ma non aveva fame.
-Non hai caldo col
cappotto?-
La domanda di David la
colse totalmente alla sprovvista, visto com’era assorta nel non fare merenda, anche se avrebbe
potuto aspettarsela, dato che suo fratello se ne stava tranquillamente in mezze
maniche e non dava la minima impressione di essere turbato dal gelo che entrava
quando gli altri clienti aprivano la porta del locale.
Ma era Dav e, dopo esserci
cresciuta insieme, sembrava quasi più normale di tutti gli altri.
L’aveva guardata con quei
suoi occhi sempre ridenti e luminosi e lei si era morsa le labbra, ancora più
stordita.
-Sì, adesso lo tolgo-
In fondo non avrebbe
dovuto vedersi così tanto.
Cos’era mai?
Uno strappo sulla spalla
della maglietta di cotone bianca con le maniche di pizzo trasparente, ma non
era mica così evidente, dai...
-Cosa ti hanno fatto?-
Sonja sgranò gli occhi,
perché era la voce di Lev.
Il maggiore dei fratelli
Gončarov aveva posato la sua tazza di cioccolata facendo tintinnare il
piattino e aveva posato su di lei il suo furente sguardo grigiazzurro.
-Ma niente... Michail,
dell'undicesimo anno, mi ha spinta sulle scale perché non volevo uscire con
lui- confessò, e Anastasija sbiancò.
-Michail chi?-
David stringeva il
cucchiaino come se avesse voluto piegarlo in trentaquattro.
-Michail Ivanovič
Strelkov-
-Magnifico-
David si alzò di scatto,
tirò fuori dalla tasca dei jeans alcuni rubli per pagare la merenda per lui e
per Sonja e li sbatté sul tavolo, davanti alla tazza della sorella.
-Aspettami a casa-
Si infilò il cappotto
direttamente sulla maglietta e le indicò la sua felpa, ancora riversa sullo
schienale della sua sedia.
-Quella mettila tu. Lev,
portala a casa-
Quando David fu uscito,
sbattendo la porta con una violenza tale da far sussultare e girare parecchi
clienti, Lev appoggiò la testa ad una mano, scuotendola lentamente.
-Deve lasciarti stare-
Dopo aver riaccompagnato a
casa Sonja, Anastasija gli disse:
-A te avrebbe detto di sì-
Lev scrollò le spalle, con
un sorriso mesto.
-Io non gliel’ho chiesto-
Quella sera David aveva
litigato anche con Lev.
-Aspetti che la
violentino, per dichiararti, eh?!- gli aveva gridato, con gli occhi
fiammeggianti e quasi la voglia di fare a botte anche con lui, perché anche
lui, a modo suo, faceva soffrire sua sorella.
Perché Dav lo sapeva, Lev
no.
Era la sua piccola Sonja,
la sua sorellina, l’unica sorella minore che aveva.
-Non voglio che le
facciano del male- aveva sibilato poi, assorto, stringendo forte i pugni e
fulminando con lo sguardo Lev.
Nessun fratello lo voleva,
ma loro abitavano a Nostal’hiya.
-Non guardarmi così, Lev.
O la ami o non la ami. E se la ami glielo devi dire!-
Per David bisognava dire
tutto, fare tutto, sempre.
Come lui.
Lev era il suo migliore
amico, e non gliel’aveva mai detto di Sonja, neanche a Nasten’ka, lui non lo
diceva a nessuno.
Ma guardava Sonja come lui
guardava Viktorija, e comunque non si aspettava certo una confidenza, non da
uno come Lev Nikolaevič Gončarov, il figlio di Nikolaj e Zinaida.
David però non lo sapeva,
quello che Michail aveva detto a Sonja dopo averla spinta.
-Non lo sai che Gončarov sta con la
Pugačëva?-
Lo sguardo disperato che
gli aveva lanciato Sonja gli aveva precluso qualsiasi pentimento.
Ma certo, la piccola
Puškina e Gončarov.
Patetici, oltre che
banali.
Idi gde hoćeš, ljubi sve živo
Vai dove vuoi, bacia tutte
(Idi dok si
mlad, Ceca)
-Riferito
a Sonja e Lev-
Lev, certe cose, a Sonja,
non pensava di poterle dire.
Fare sì.
Baciarla a tempo
indeterminato, per esempio.
Stordirla di carezze e
giurarglielo così, tutto quello che provava.
E allora sì che sarebbe
stato appassionato come David, i suoi occhi si sarebbero infuocati e avrebbe
fatto bruciare tutto intorno a loro, tranne le loro dita intrecciate, quelle
dovevano rimanere.
E allora sì che le avrebbe
confessato quante volte era morto di gelosia, ma era sempre stato bravo a
gelare le scintille e, come faceva suo padre, a ficcarsi in tasca i pugni che
avrebbe voluto dare in faccia a quei ragazzi che non si vergognavano a
mangiarla con gli occhi e a confessare i loro desideri, seppur molto spesso con
le parole sbagliate.
Lev non voleva usare le
parole sbagliate.
Dirle quanto se la sarebbe
voluta portare a letto, ed era maledettamente vero, ma non solo questo, non
così.
Però lui voleva fare il
reporter di guerra, non lo scrittore come Dav.
Quella poesia non ce l’aveva.
Con Anastasija, la sua
migliore amica, non aveva problemi di parole.
Le diceva le cose così
come gli venivano, le diceva tutto tranne che di Sonja, che ce l’aveva proprio
incastrata nel cuore e dopo aver saputo quello che era successo con Michail e
averla riaccompagnata a casa aveva quasi pianto di rabbia e perché quel
maledetto si era permesso di toccarla e farle male, e comunque lui gliel’aveva
detto, che voleva uscire con lei e non solo.
Lei però non voleva,
chissà con chi voleva uscire, lei.
Neodoljiv, neumoljiv
Voleh te i suviše
Takvi kao ti me, dušo, ubiše
Irresistibile, impietosa
Ti ho amata troppo
Come tu, tesoro, mi hai ucciso
(Neodoljiv, neumoljiv, Ceca)
-Riferito
a Lev e Sonja-
-Sonja...-
L’aveva incrociata nel
corridoio di casa sua un giorno che era andata a studiare con Evelina e Lidija,
e lei aveva deglutito e gli aveva sorriso, per poi cominciare a toccarsi
nervosamente i capelli, passandosi le unghie smaltate di acquamarina traslucido
tra le seriche ciocche color oro.
Poi Lyn e Lidočka
erano uscite con Zinaida per andare all’Accademia di Danza e lei stava per
tornare a casa, ma Lev l’aveva fermata ancora, sentendosi un totale cretino.
Chissà se era quello che
provavano i rappresentanti di aspirapolvere porta a porta.
Ma quella era casa sua,
Khristos.
-Sonja! Sonja...-
Le aveva preso una mano e
gliel’aveva stretta e accarezzata a lungo, e forse grazie a qualcosa di
indefinito che brillava negli occhi azzurri della piccola Sof’ja Elizaveta,
bruciante speranza e trepidazione, gli era svanito il complesso del venditore
di aspirapolvere porta a porta.
Lui avrebbe fatto il
reporter di guerra, punto.
-Ti amo-
gli disse lei all’improvviso, e poi serrò gli occhi e lo strinse a sé,
lasciandosi accarezzare i capelli e la schiena.
Lev e Nikolaj
Gončarov erano gli unici uomini più alti di suo fratello David, ma glielo
poteva anche perdonare.
Dopo lui la baciò e non
poté più fermarlo, era così innamorato di lei e non sapeva spiegarglielo, ma la
stringeva tanto forte da non lasciarla respirare, e quando la portò in camera
sua e girò la chiave, e sul letto le rubò i suoi sorrisi più tremanti e il
celeste più limpido dei suoi occhi, riuscì a sussurrarle tra i baci ogni parola
e si convinse che, a patto che Sonja non facesse caso alla forma e alla sua
voce come disperata, erano tutte giuste.
Sonja. Ti. Amo. Punto.
Questo era il concetto
principale.
Telegrafico, ma era lui.
-Sonja, ti amo, ti amo...-
Con le labbra sulla sua
spalla, con una mano che forse le aveva tirato i capelli e l'altra stretta
intorno alla sua.
Non gliela poteva
lasciare, no.
Era la sua promessa.
La sua Sonja.
Davvero.
-Ti amo...-
Bella
Lei mi porta via con gli occhi e la magia
E non so se sia vergine o non lo sia
C’è sotto Venere e la gonna sua lo sa
Mi fa scoprire il monte e non l’aldilà
Chi
È l’uomo vivo che potrebbe rinunciare
Sotto il castigo, poi, di tramutarsi in sale?
(Bella, Notre Dame de
Paris)
Я душу
дьяволу
продам за
ночь с тобой
Ya
dushu d’yavolu prodam za noch’ s toboy
Venderei l’anima al diavolo per una
notte con te
(Belle
-Russian Version-, Notre Dame de Paris)
-Riferito a Sonja e Lev-
Adesso riusciva a dirle
tutto.
Se la teneva stretta a un
respiro dal cuore e non riusciva a smettere di parlare, spiegare e raccontare,
e lei lo ascoltava con un sorriso che non poteva più andare via e lo riempiva
di baci che rallentavano un po’ i suoi discorsi.
Suo padre non molto tempo
prima parlando di Sonja gli aveva detto: “Lei
è la figlia di Lev, ti dirà sempre la verità”.
Lui era il figlio di
Nikolaj ed era altrettanto sincero, ma aveva dovuto capire che dichiararsi era
legale, prima di riuscire a dirle la verità.
Ora nessuno gli avrebbe
impedito di baciarla davanti al Ginnasio, che lui aveva finito da un anno, fino
all’ultimissimo istante dell’ultima campanella, anche davanti alle sue sorelle,
e aspettarla fuori sul motorino alle due, sentirla stringersi a sé e portarla
via, era sua, era la sua fidanzata.
Michail non le poteva fare
più niente di male, nessun altro avrebbe potuto più dire una sola parola su di
lei, la più piccola dei Puškin, coi fratelli che avevano finito la scuola già da
un pezzo, uno dei quali faceva una paura tremenda, e lo sapeva bene quel
teppistello che l’aveva spinta giù dalle scale e forse aveva creduto davvero
che senza i suoi fratelli maggiori e suo padre nei paraggi poteva prendersi
certe libertà, che non sarebbe venuto nessuno a difenderla, la figlia del
professore pregiudicato.
Quella sera l’aveva
portata a cena alla crêperia e l’aveva baciata davanti a tutti facendola quasi
soffocare con il boccone di crêpe che non le aveva lasciato finire di
masticare, da tanto che era incapace di resistere.
Ma adesso non doveva più
resistere.
La gente si girava a
guardarli dagli altri tavoli mentre Lev, la testa di Sonja contro il suo petto,
le accarezzava i capelli e le parlava all’orecchio.
Avevano avvicinato
talmente tanto i loro sgabelli che le gambe di questi ultimi si erano incastrate
tra loro e se avessero provato a spostarne uno si sarebbero ribaltati entrambi.
Lev era sempre stato un
ragazzo fin troppo riservato, ma Sonja, Sonja, beh...
Con la sua bellezza
splendente e il suo visino raggiante che non riusciva proprio a smettere di
guardare, e dir guardare era ancora poco...
Gli aveva fatto perdere la
testa e ogni stilla di lucidità, e ora lo poteva ammettere.
-Sai, ti ho sempre trovata
meravigliosa. Così meravigliosa da farmi innervosire, ogni volta pensavo su chi
diamine volessi fare colpo con quei vestiti, quella pettinatura e quel sorriso,
e non capivo che eri tu e basta, e non volevi attirare le attenzioni di
nessuno, ero io che non riuscivo a smettere di guardarti... E non riuscivo a
perdonarmelo. E poi a un certo punto ho pensato che ti piacesse, Michail, col
suo dimostrarti sempre la sua ammirazione. Pensavo che ti piacessero i tipi
così, e sentivo dentro una furia... Poi mi dicevo: “Vabbé, è troppo bella, è
anche normale che sia così”. Ma non mi sembrava normale per niente, mio Dio...
Perché ero io, alla fine. Ero io quello
che ti amava-
-Lev, io Michail non l’ho
mai sopportato-
-Ma eri gentile con lui,
all’inizio-
-Gentile, sì, ma...-
-Più di quanto lo fossi
con me-
-Tu eri troppo
imbarazzante-
-In che senso?-
-Troppo bello, troppo
alto, troppo silenzioso. E io, troppo innamorata-
-Di me?-
-Eh-
-Ma Khristos...-
-Ascolta, non te lo potevo
dire! Tu stavi sempre con Anastasija, e ridevi sempre quando eri con lei, eri
sempre felice...-
-Ma era evidente che lei
era solo la mia migliore amica!-
-Ma evidente dove?-
-Vabbé. Mi dispiace-
-Anche a me...-
-Sonjetschka...-
Lev le accarezzò una
guancia e le sorrise, facendola sorridere.
-Domani vieni da me,
appena finisci gli esercizi al violoncello? Lyn e Lid saranno a danza, e anche
la mamma...-
-Certo che vengo da te-
-Davvero?-
-Lev...-
-Sei straordinaria. Non so
perché credevo che se te l’avessi detto mi sarei sentito un cretino, però è
questo che sei...-
-Hai tanti altri motivi
per sentirti un cretino, Levočka. Io non lo dicevo a nessuno, ma morivo
per te-
David lo sapeva, sapeva di
entrambi, senza che nessuno dei due gliene avesse mai parlato, ma voleva
proteggere sua sorella ed era convinto che, finché Lev non avesse avuto il
coraggio di dichiararsi, non avrebbe avuto il coraggio di amare Sonja.
E avrebbe dovuto essere
amata davvero, la sorella di David Puškin.
Sonja aveva chiamato sua
madre e le aveva detto che quella sera sarebbe rimasta a dormire a casa di
David.
A mezzanotte meno un
quarto aveva suonato il campanello e suo fratello le aveva aperto con una
sigaretta tra le dita e i capelli arruffatissimi, ma appena l’aveva vista aveva
sorriso.
-Ehi, eccoti qui...-
Aveva inclinato la testa
da un lato e l’aveva osservata attentamente, gli occhi chiarissimi quasi
liquidi dallo sguardo trasognato e i capelli che le piovevano lungo il fianco
sinistro, alta solo tre centimetri in meno di lui nonostante i sei anni di
differenza, ma questa non era certo una novità.
Si avvicinò e le sfiorò
una guancia con le dita, la sua adorabile piccola Sonjetschka, e così era
successo, Lev ce l’aveva fatta, a rubarle definitivamente il cuore.
E poi, in un impeto di
gelosia, le sussurrò:
-Non ti vorrà mai bene quanto te ne voglio io-
Ma sorrideva, David
sorrideva sempre, e la strinse a sé e la prese per mano.
-Andiamo di là? Poi se ti
va racconti, se no parliamo d’altro, se no dormiamo-
-Ma è presto...-
-Per noi sì-
Sonja rise e lo abbracciò
di nuovo.
-Che stavi facendo?-
-Fumavo, leggevo,
scrivevo-
-E non hai bruciato i
fogli?-
-Nah-
-Meglio. Mi fai una
treccia?-
-Come quando eri piccola?-
-Sono ancora piccola-
-Non per Lev-
-Questa è un’altra storia-
-Mica tanto-
A Sonja piaceva da morire
la casa di Dav, dormire con lui, nella sua tenda da Cosacco e tutti quegli
scaffali in posizioni assurde traboccanti di libri, millemila foto della loro
famiglia alle pareti e quella sensazione che tutto intorno a lei sorridesse
come David.
Quando fu sdraiata accanto
a suo fratello nella tenda, con i capelli biondi sparsi sul cuscino -la treccia
alla fine avevano deciso di farla il mattino dopo- e lo sguardo perso nel buio,
sussurrò:
-Dav, io lo amo-
-Lo so-
-E...-
-E va bene così-
Sonja lo abbracciò e
rimase con la testa sul suo petto e le dita intrecciate alle sue finché non si
addormentò.
-Dormi bene, stellina- le
sussurrò David all’orecchio un attimo prima.
Note
Neodoljiv, neumoljiv: titolo di
una canzone di Ceca. Letteralmente Irresistibile,
impietoso, nel titolo è al femminile perché è riferito a Sonja.
Buonasera a tutti ;)
In questo capitolo abbiamo
conosciuto Sonja e Lev, l’ultima figlia di Lev e Al e il primogenito di
Nikolaj, e la loro storia...
Non aggiungo altro, ma
sono curiosa di sapere cosa pensate di loro ;)
A presto!
Marty