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Autore: lauramelzi    14/04/2014    28 recensioni
"I-io non penso sia una buona idea.." lei sussurrò piano.
La dolcezza del suo smarrimento era quasi tangibile. Stefano le sorrise, bastardo.
L'alito del fascista le accarezzava le labbra, e Gaia sentiva il suo cuore batterle come impazzito nelle orecchie.
Annegò nei suoi occhi, oltre che nella vergogna, e come ogni volta in cui i loro sguardi si incatenavano, si creò un'elettricità che pregava di essere liberata.
Perché non voleva ascoltarla ora? Perché la stava ... perché si comportava così?
Confusamente Gaia si rese conto dell'inevitabile fine che le sue labbra avrebbero fatto di lì a poco.
Doveva fermarlo, pensò sconcertata.
... faceva così con tutte, era un montato, inafferrabile e irresponsabile.
lui, lui..
Lui la guardò.
La guardò e vide sotto la fievole luce della bajour quegli occhi nocciola, così sinceri, e con essi tutte le difese che la ragazza avrebbe voluto erigere contro di lui se avesse potuto, e le fece capire immediatamente che le avrebbe annientate se mai ci fossero state, che le avrebbe fatto ciò che era inevitabile, ciò che spingeva entrambi a stuzzicarsi ogni giorno, a essere così suscettibili, vulnerabili e ... duri.
"Non è mai una buona idea a fare la differenza."
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico, Universitario
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Gaia notò subito a ricreazione il fascista che insonnolito era appoggiato con i gomiti al muretto in una mossa disinteressata e rilassata, che di naturale aveva ben poco.
 
Tutti gli sguardi delle ragazze nel raggio di una ventina di metri frecciavano dalla sua parte.
 
Alcune arrossivano, altre si sistemavano i capelli, alcune alzavano il tono della voce per farsi notare.
 
La Lunghini, sbucata dalla porta principale, gli si avvicinò melliflua, muovendo le anche eccessivamente.
 
Gaia represse a stento una risata divertita.
 
Intanto la bionda aveva afferrato il braccio di Ste' non pensano minimamente che gli avrebbe tolto l'equilibrio. Il fascista, che spaesato aveva aperto gli occhi, sbuffò contrariato, riacquistando immediatamente stabilità.
 
Sembrava infastidito da qualcosa, frustrato.
 
In più, con quella smorfia contrariata stampata in faccia, sembrava un bambino a cui avevano tolto il lecca-lecca.
 
Oddio, quanto tempo era che non ne mangiava uno? Le venne l'acquolina in bocca solo al pensiero di panna e fragola. Cavolo.
 
"Ehy Gaia" una voce familiare e femminile la richiamò da dietro.
 
Gaia notò che il fascista, sentendo il richiamo, si era girato nella sua direzione ma tentò di ignorare il pensiero (e la sensazione) dei suoi occhi sulla schiena.
 
Sorrise intanto ad Anita che raggiante la stava raggiungendo saltellando.
 
"Come è andata ieri sera alla fine? La festa? Assurda, vero?" iniziò a domandare a mitraglietta Anny dopo averle scoccato un rumoroso bacio sulla guancia.
 
Gaia nervosa spostò il peso da un piede all'altro. La .. festa? Benino, quasi.
 
Sera? Non notte per caso?
 
Non potè resistere di dare un'occhiata al fascista, per accertarsi che non stesse guardando dalla loro parte.
 
Improvvisamente aveva voglia di confidarsi, di dire tutto e liberarsi di quel peso che le opprimeva il respiro. E chi meglio di un'amica per un problema? Anita avrebbe potuto aiutarla a capire come doveva comportarsi, cosa dire e via dicendo. Qualcosa distraé i suoi pensieri.
 
Jessica era sola, o meglio si era -già- aggrappata al braccio di Marco.
 
Questo era un Problema con la P maiuscola, .. lui dov'era?
 
Il suo sguardo continuò a vagare per il cortile ma del fascista nessuna traccia.
 
Quando ritornò con gli occhi in quelli dell'amica, si accorse che la guardava confusa più che mai. Poi la sua espressione variò di colpo, da confusa a sorpresa.
 
Ma non stava guardando lei, bensì qualcuno alle sue spalle, forse un po' più alto vista l'inclinatura della testa.
 
No! Non poteva essere come nei film, lo rifiutava.
 
Non poteva, non doveva ..
 
"Ebrea mi sembri un po' rigida, non trovi anche tu Anita?" proruppe una voce roca dietro di lei
 
... essere lui.
 
Anita non batté ciglio, ma aggrottò la fronte. chiaramente non aveva capito.
 
"Non sarà ancora per ieri sera che ora mi eviti" chiese direttamente all'ebrea con lo sguardo divertito.
 
Già la sapeva la risposta, maledetto.
 
"Non ti sto evitando" buttò giù Gaia innervosita.
 
Si incrociò le braccia al petto e spostò il peso nell'altra gamba, in modo da stargli più lontano.
 
Ancora non lo guardava.
 
I suoi occhi vagavano su tutto e tutti nell'arco di 310°, approssimativamente.
 
Quanto saranno state grandi le sue spalle? 50° bastavano per ignorarlo?
 
".. ieri sera?" chiese con non-chalance Anita, velando la sua evidente curiosità.
 
Le risposte arrivarono in contemporanea. Un "no" stizzito di Gaia e un "si" furbo e sornione del fascista.
 
Gaia lo fulminò con un'occhiata. Perché la voleva mettere in imbarazzo proprio ora? Davanti alla sua amica e tutto il cortile? Iniziò a battere la scarpa sinistra sull'asfalto per il nervoso.
 
Ste' parve ridere sommessamente.
 
Lo incenerì con lo sguardo. Che aveva da ridere?
 
"Avevo solo voglia di figa e lei era nei paraggi e disponibile" proruppe con un sorriso sbarazzino il fascista "solo che evidentemente ero più ubriaco del solito, vista la soggetta che avevo iniziato a ingraziarmi"
 
Gaia inspirò ossigeno.
 
Si, quello che le serviva per stare calma ... cal...
 
Osservò basita il sorriso raggiante di Ste' e per un attimo pensò se prenderlo a badilate tra i denti in quel momento, ma cercò di trattenersi.
 
"Non eri ubriaco!" sbraitò. Poi si rese conto che doveva chiarire un'altra parte della frase di accusa, e non pensare solo al suo orgoglio ferito che gridava vendetta " E io non ero disponibile!" aggiunse scandalizzata velocemente dopo pochi secondi e con lo stesso tono.
 
Quella pausa però c'era stata, e l'avevano notata tutti e tre. Ste' la fissò divertito, non cercando neanche di reprimere un sorriso.
 
Anita si schiarì la voce imbarazzata.
 
Tutte le orecchie del cortile, grazie a lui, ora erano tese e pronte a recepire ogni singola parola del discorso.
 
" E poi taci sfigato, che ci credono" si allontanò inviperita la mora a passo di marcia, non riuscendo più a sopportare il peso di tutti quegli sguardi pettegoli, invidiosi e accusatori.
 
Ste' scoppiò a ridere e Anita, suo malgrado non riuscì a trattenere un sorriso.
 
La bionda guardò Ste', che ancora ridacchiava di gusto.
 
Anita si incamminò verso le classi a passo scandito da un ritmo frizzante, i capelli lunghi e biondi che le incorniciavano un volto pensieroso.
 
Ora sembrava meno scocciato di prima, decisamente.
 
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
 
Giorgio stava aspettando una figura femminile, dalla corporatura sottile e dagli occhioni verdi. Un'ebrea. Non ci poteva credere che lo stava davvero facendo.
 
Appoggiò la schiena al muro della scuola, facendo un'altro tiro alla marlboro e assaporando il sapore familiare del fumo.
 
Quanto ci avrebbe messo la ragazzina ad uscire? Ancora molto? Cazzo, non era disposto ad attenderla tutto il pomeriggio. Eppure qualcosa lo tratteneva lì, ad accertarsi di una cosa.
 
In fondo è per liberarmi da un senso di inquietudine, sono comunque egoista, pensò tra il rassicurato e il compiaciuto il ragazzo.
 
Erano le tre e qualche minuto, i corsi di giornalismo in genere oggi terminavano verso quell'ora.
 
Assaporò un'altro tiro e chiuse gli occhi, cercando di trattenere il fumo il più possibile.
 
Elle si irrigidì sulla soglia dell'uscita.
 
C-che diavolo voleva quel fascista? Inspirando, cercò di calmarsi. Magari non era lì per lei, era solo ansia la sua.
 
Giustificata, però.
 
Giorgio senti un ciabattare incerto e frettoloso, e schiudendo gli occhi inquadrò dapprima un paio di ballerine rosse consumate, poi un visino terrorizzato.
 
Decise di godersi la sua paura.
 
Fissandola, espirò il fumo da un lato della bocca, provocandola.
 
Guardinga, Elle si mosse il più lontano possibile da lui e quasi rasentò il muro mentre tentava di superare quelle mura.
 
"Ebrea vieni qui" la richiamò beffardo lui.
 
Elle deglutì in preda all'ansia. Mosse piccoli passi incerti, come un pettirosso verso una mano umana.
 
Diffidente e pronta a scappare al minimo segno di pericolo.
 
Lo guardò di nuovo. Sapeva che il vederla spaventata gli piaceva, ma non poteva evitare di essere così terrorizzata.
 
Giorgio era quello che nelle punizioni di gruppo ci andava più pesante. Forse per sfogare una rabbia interiore, ma tutto ciò lei l'aveva imparato a sue spese.
 
"Cosa fai oggi pomeriggio?" chiese il fascista non guardandola neanche e buttando la sigaretta a terra.
 
Elle automaticamente vi posò sopra la suola rovinata della ballerina, non sopportando l'idea del fumo che inutilmente inquinava l'ambiente. Oggi il corso di giornalismo era stato proprio su quello. in più l'odore le faceva risalire la nausea.
 
Il fascista notò il suo gesto e sorrise sghembo, derisorio.
 
"Vado da Anita" rispose con un filo di voce la ragazza che si sistemò meglio lo zaino in spalla "Poi da Liuk a portargli la cena" confessò dopo qualche secondo.
 
-Portami qualcosa da mangiare verso sette. poi dormi qui.- quel messaggio parlava chiaro, chiarissimo. eppure lei aveva avuto i brividi mentre leggeva quelle due frasi a pranzo. Neanche più chiedeva, ordinava. Non gliela poteva portare la ragazza rossa la cena?
 
" Quando arrivi mandami un messaggio" le disse con un tono di voce piatto, annoiato "quando arrivi da Anita" precisò
 
Sembrava graziarla di quelle poche e inutili parole senza senso.
 
"P-perché?" chiese stupita Elle
 
Giorgio la guardò, stavolta negli occhi. Elle non abbassò lo sguardo, curiosa di capirci qualcosa.
 
Perché al momento non ci capiva niente di niente.
 
"Fammi sapere solo se è tutto normale" ribattè secco dopo qualche istante.
 
"Oh. ..ok " rispose incerta Elle.
 
"Dammi il tuo numero" la riprese lui mentre già lei si allontanava. Non ci aveva pensato, che stupida.
 
Un rossore improvviso alle guance la imbarazzò non poco.
 
Giorgio sembrò deriderla nuovamente con lo sguardo, mentre lei incespicava nel dettargli il numero.
 
Il fascista memorizzò quella decina di cifre nell' iphone nero lucido, poi se lo mise in tasca e senza salutare - e tanto meno ringraziare - si voltò e se ne andò.
 
 
 
 
****
 
 
 
 
Il suo umore non era nero, forse qualcosa di più.
 
Quel bastardo, quel bugiardo ... Dio! Come si era permesso?
 
Gaia poggiò la penna sui due quaderni (si, perché in tutto questo doveva anche fargli i compiti di matematica a quel deficiente) e sbuffò nervosa.
 
Che figuraccia, che figuraccia colossale.
 
Si era ritrovata parte del cavallo dei pantaloni e della sedia sporchi di rosso, keciap probabilmente, ed era rimasta spaesata e imbarazzata come poche volte. I suoi muscoli si erano contratti nell'immediato, sapendo che se si fosse mossa troppo avrebbe attirato attenzione su di se.
 
Tutto ciò che ora non voleva accadesse.
 
Tutto ciò che Ste' aveva fatto.
 
I suoi occhi si erano alzati per pochi istanti, giusto per godersi la faccia di lei, rossa peperone.
 
Gaia aveva visto quella scintilla di vittoria nei suoi occhi anche prima che aprisse bocca.
 
Il fascista le aveva sorriso, mostrandole in un ghigno quei denti perfetti, poi aveva esalato un respiro e con fare teatrale si era dipinto in faccia un'espressione schifata.
 
Gaia si era domandata se sedersi e fare finta di nulla sarebbe stata una buona soluzione, ma alla fine aveva optato verso un'altra possibilità. Affrontare quel casino.
 
Così quando le parole del fascista riecheggiarono nella classe, lei era ancora in piedi, impalata e ancora imbarazzata.
 
"Spero che tu stanotte non mi abbia sporcato le lenzuola, tesoro"
 
Gaia rimase basita. Si girò immediatamente verso la cattedra. La professoressa non diede segno di aver sentito, e francamente per quanto vecchia fosse, la ragazza ne dubitava.
 
Un piccolo sussulto di sollievo le attraversò la mente, poi notò tutti gli occhi dei compagni su di lei, sui suoi pantaloni, sulla sua sedia, infine sul fascista. Sembravano piccoli insettini che man mano memorizzavano e apprendevano ogni dettaglio della situazione. Gaia ebbe l'impulso violento di staccare la testa a qualcuno.
 
"Divertente fascista, davvero. Ah Ah." rise ironica "Pure questo deduco sia opera tua? " indicò incavolata la sedia sporca e, ormai, inutile.
 
"Angelo mio, io opero da molte parti" l'insinuazione era chiara. troppo chiara. Le biondine in penultima fila ridacchiarono. Jessica sembrava contrariata, pensava che le stesse rubando il giocattolino?
 
"Finiscila con i giri di .."
 
"Cerchi, ovali, tondi, si ecco.. giri tondi! Dove possiamo trovare qualcosa con dei giri di ovali? Su cui IO possa lavorare ovviamente" la provocò.
 
Gaia sgranò gli occhi, poi deglutì faticosamente.
 
Ste' ridacchio.
 
Poi qualcuno scoppiò in una risata, un amico di Giorgio, e facendoci caso anche lui si stava trattenendo.
 
"Senti un po' brutto im.." partì alla carica la ragazza
 
"Immacolato?" la riprese Ste', guardandole i pantaloni e facendo sì che nuovamente tutta l'attenzione si posasse lì.
 
"No! imbecille, ro.."
 
"Rosso?" le chiese divertito
 
"No! Volevo dire rompiscatole! Mi lasci almeno finire le pa.."
 
"Ah si, ho capito!" la fermò di nuovo lui 
 
Gaia interdetta era rimasta con la fine della frase in bocca, ma se aveva capito, la scenetta comica per lei poteva anche terminare lì.
 
"Pantaloni, giusto?" le chiese innocentemente con una nota di scherno. alcuni erano scoppiati a ridere.
 
Lo odiava, lo aveva odiato, e sempre lo avrebbe odiato. si era seduta, richiamata da una professoressa raggrinzita che uscendo dal paese delle nuvole l'aveva trovata in piedi e con un'aria minacciosa in faccia.
 
L'aveva anche pregata, tra le risate generali, di andare a cambiarsi in bagno.
 
Il colmo.
 
Per staccare un po' la spina si alzò dallo sgabello scomodo e duro, e subito la maglietta larga le scese a coprirle la pelle abbronzata fino alle cosce. Posò un piede sul divano morbido e vi si accoccolò chiudendo per pochi secondi gli occhi.
 
La sua mano raggiunse automaticamente la cornetta del telefono fisso.
 
Compose a memoria il numero, quasi inconsciamente.
 
"Pronto" rispose una vocina al secondo squillo
 
Per un attimo rimase impalata, troppo sollevata anche solo per aver sentito quella voce "ei patatina" ridacchiò alla cornetta
 
" Sorellinaaa " esclamò la bambina sorpresa
 
"Cosa mi racconti campionessa?" sapeva che adorava essere chiamata così.
 
Un sorriso leggero alleggiava sulle sue labbra.
 
Un sorriso nostalgico.
 
E il pomeriggio in quei pochi minuti divenne sera.
 
 
 
****
 
 
 
 
Liuk si muoveva velocemente con ampie falcate per tornare a casa. Con tutto ciò che era successo sul campo da calcio si era dimenticato di lasciare alla piccola ebrea le chiavi per entrare al caldo nell'appartamento.
 
Sicuramente la ragazzina era andata senza alcun ripensamento da Anita. Si rilassò un po' a quel pensiero.
 
Durante tutto il tardo pomeriggio aveva avuto come un mattone sul petto, angosciante e fisso.
 
La sola ipotesi che quell'incosciente scricciolo si sarebbe ritrovato di nuovo in quei vicoli bui tipici di alcune zone di Roma, come di ogni grande città, lo faceva tendere come una corda di violino.
 
In pochi minuti arrivò al suo cancello chiuso e cercò le chiavi nella tasca.
 
Scrutò l'entrata a occhi socchiusi in cerca di un qualsiasi movimento.
 
D'un tratto notò una piccola nuvoletta bianca che apariva lentamente e spariva nell'aria dissolvendosi dopo pochi secondi. Il suo cuore perse un battito.
 
Lasciando perdere le chiavi, scavalcò in un balzo il cancelletto e a gran passi salì i gradini.
 
Una piccola figura si stringeva in se stessa, dondolandosi leggermente con la testa tra le ginocchia strette al petto e un cappuccio del kiwey tirato su.
 
Piccole ciocche di capelli castani sfuggivano sulle gambe.
 
La riconobbe subito, da quel tremolio noto che ogni volta la avvolgeva, da quelle piccole manine chiaramente intorpidite dal freddo della notte, dallo sguardo spaventato che la ragazza gli riservò sentendo i suoi passi.
 
Elle non ebbe neanche la forza di aprirsi in un flebile sorriso, tanto che ne uscì una mezza smorfia, e forse questo il fascista lo comprese all'istante. Tirò su con il naso, ormai raffreddata dalle ore. Non ebbe neanche il tempo per provare ad alzarsi poiché Liuk la prese in braccio e la strinse contro di se.
 
Elle posò frastornata il viso gelido contro il petto del ragazzo, sentendo chiaramente un vivo calore permearle il viso.
 
Liuk aprì velocemente la porta, e velocemente portò la ragazza tremante tra le sue braccia vicino al camino. Quella sera sua madre era uscita, e come ogni volta premurosamente gli aveva lasciato il fuoco acceso. E così Elle non aveva neanche potuto bussare, perché in casa non c'era nessuno.
 
"A-avevi..  eri .. preoccupato?" farfugliò Elle guardandolo dal basso verso l'alto.
 
Liuk la squadrò duramente prima di risponderle.  Era sicuro che si fosse trattenuta dal pronunciare quelle poche sillabe . "per me".
 
"Per il mio maglione" ribattè secco
 
La faccia della ragazza passò in pochi istanti dalla confusione alla rassegnazione, e la sua espressione fu così penosa che a Liuk venne l'inconcepibile desiderio di abbracciarla, di cullarla tra le sue braccia e confortarla. 
 
Sistemò invece un cuscino e una coperta sul divano, al momento era nei suoi interessi che la ragazza non prendesse freddo dormendo per terra.
 
Quando si girò verso lo scricciolo, lo trovò appoggiato al bordo in pietra del camino, con gli occhi socchiusi e le lunghe ciglia ad accarezzarle le guance.
 
Stringendo la mascella, la prese tra le braccia una seconda volta, inerme.
 
La testa della ragazza andò all'indietro e una striscia candida di collo venne esposta alla luce tremolante del fuoco. La mente del fascista attirata involontariamente da quell'anfratto di pelle, registrò a malapena che ora la ragazzina indossava non più la giacchetta leggera, ma solo il suo maglione. Quello di cui un tempo era gelosissimo, quello che non prestava neanche ai suoi amici.
 
Elle borbottò qualcosa nel dormiveglia, e tirando su il viso, forse per scomodità, lo appoggiò inconsciamente tra la spalla e il collo del fascista.
 
Liuk trattenne per un istante il fiato, poi lo rilasciò lento.
 
Scosse la testa innervosito. Adagiò l'ebrea sul divano, e subito la ragazza si rannicchiò contro i cuscini, abbracciandoli e attirandoli a se. Con un sorriso di rassegnazione, perché sarebbe sempre rimasta una bambina innocente a discapito di ogni situazione, la coprì con il plaid nero. 
 
Quasi inconsciamente osservò di nuovo il suo volto per ultimi pochi secondi, prima di voltarsi e uscire.
 
Salì le scale senza fare rumore e raggiunse la propria camera. Si svestì velocemente, scoprendo le ampie spalle e il fisico allenato. la luce della luna illuminò flebilmente la sua schiena. Come tre volte a settimana prese l'asciugamano dall'armadio e andò in bagno per una doccia.
 
Chiuse la porta e entrò nel box di vetro.
 
Regolò l'acqua sul bollino rosso e tirò a se la manopola. Un getto d'acqua calda lo permeò.
 
Che doveva farci con lei? 
 
Era troppo debole, insicura, ... e ancora debole maledizione!
 
Se gli altri avessero ripreso con le punizioni di gruppo lei non avrebbe resistito. Solo negli ultimi giorni si era reso conto di quanto fosse fragile e onestamente, non era ancora riuscito a capire come diavolo era riuscita a resistere l'ultima volta.
 
Però dentro di lui .. questo senso di protezione lo disgustava. Perché? Perché diavolo si preoccupava di un'ebrea?
 
Forse perché era solo lei.
 
Solo lo scricciolo indifeso e innocente, cocciuto ma fragile.
 
Solo Elle. 
 
Cazzo. Ora gli veniva difficile pure insultarla. Era molto meglio quando non la conosceva, era più facile farla stare male. Ora ogni cosa .. 
 
Anche quando l'aveva scorta nel corridoio, il volto amareggiato e sorpreso.. si era ingelosita?
 
Ne era convinto, o meglio, cazzo ci sperava.
 
E non ne sapeva neanche il perché.
 
Ma capire che il vederlo con un'altra le avesse dato fastidio lo .. sollevava?
 
Gli venne voglia di dare una testata contro le mattonelle.
 
Ma non c'entravano niente uno con l'altro.
 
E così sarebbe stato per sempre.
 
Non avevano niente in comune, ne lui voleva averne con un'ebrea.
  
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