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Autore: aliasNLH    15/04/2014    3 recensioni
«Tu lo sai, vero, che quando un uomo compra dei vestiti alla propria ragazza, lo fa perché vuole toglierglieli personalmente?» mormorò, rispondendo finalmente all’interrogativo.
Max deglutì, improvvisamente accaldato per via del contatto di quella mano – per non dire altro, considerato il fatto che si trovava tra decine di corpi sudati e uno in particolare felicemente spalmato su di lui.
Molto felicemente, in effetti. Avvampò.
«M-ma… io non sono la tua ragazza» cercò di erigere una – blanda – difesa a quello che sembrava qualcosa di inevitabile.
«Questo è vero» gli sussurrò in risposta, sfiorandogli il lobo con le labbra «non sei una donna».
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Attimi dilatati all’infinito
 
 
I’m not a Murderer

09
 
Attimi dilatati all’infinito
 
 
    Tre ore.
    Il periodo di tempo passato seduto – immobile – su quella scomoda sedia di plastica del pronto soccorso.
    Tre fottutissime ore e ancora nessuno che si azzardava ad uscire per dirgli come stesse andando lì dentro.
    Damn Fuck!
    Torturando quel poco di rimasto di non stropicciato della maglia, Max volse l'ennesima occhiata astiosa ad un'infermiera, che aveva avuto la sfortuna di passare in quel momento, come ad accusarla di essere stata lei a cercare di mandare all'altro mondo il suo migliore amico. E, ovviamente, di tenerlo all'oscuro di quanto stava accadendo in sala operatoria.
    La donna non sembrò prendersela, perché in risposta gli sorrise incoraggiante, socchiudendo gli occhi in un'espressione tra l'affranto e lo speranzoso.
    Doveva essere abituata.
    Max distolse immediatamente lo sguardo, sentendosi peggio di prima. Non ebbe nemmeno la forza di spostare il tocco caldo che si sentiva sulla spalla.
    Dal momento stesso in cui era sceso dall'ambulanza – non era sicuro esattamente come, ma era riuscito a salire con l'amico e i paramedici – Castor non lo aveva lasciato un attimo da solo.
    Gli aveva preso la giacca e il cappello non appena se li era tolti, era entrato nell'ala del pronto soccorso, lo aveva seguito come un ombra, rispondendo ti tanto in tanto alle domande dei paramedici sulla dinamica dell'incidente, dove Max non era sicuro di ricordare. Lo aveva costretto a mangiare qualcosa e bere del the zuccherato e gli aveva tenuto la mano quando Bach era entrato in sala operatoria.
    Poi quando Max era andato al bagno, aveva chiamato i suoi compagni di squadra – aveva trovato il cellulare nella tasca interna del giaccone – e gli era stato vicino per tutto il resto del tempo.
    Ed ora, esausto, con gli occhi stranamente asciutti ma allo stesso tempo gonfi, Max non riusciva a credere a quanto quel calore, emanato dall'uomo che si era doppiamente riproposto di odiare, lo facesse stare bene.
    In quel momento un medico uscì dalla Sala, gettando un paio di guanti insanguinati nel cestino accanto e togliendosi la mascherina, guardandosi attorno alla ricerca di qualcuno.
    Il suo sguardo si posò su Max.
    Il ragazzo impallidì e, istintivamente, afferrò la mano libera di Castor, posata mollemente in grembo.
    Il rosso non diede segno di sorpresa e ricambiò prontamente la stretta.
    Le dita di Max erano gelate.
 
°°°
 
    Se doveva essere del tutto sincero, Castor non sapeva dare un nome a quello strano impulso avuto ore prima, che lo aveva spinto a seguire Max e stargli accanto per tutto i tempo.
    Non lo conosceva così bene, nonostante le premesse, e ancora meno provava attaccamento per l'altro – Bach. Quello era stato il primo giorno in cui avevano parlato, eppure, alla vista del volto pallido e sconvolto di Max, non aveva potuto fare a meno di pregare che il giovane dall'altra parte della porta sopravvivesse per insultarlo ancora.
    E in quel momento, sulla porta di casa propria, mentre lottava per sbrogliare la chiave dalla tasca sdrucita, non poteva fare altro se non essere consapevole del ragazzo alle proprie spalle.
    Max non aveva voluto saperne di tornare a casa propria, insistendo per rimanere tutta la notte al capezzale di Bach, ora in coma farmacologico. Fortunatamente, anche grazie all'aiuto di una esausta infermiera, era riuscito a convincerlo ad andare via con lui.
    Aveva una camera per gli ospiti, gli aveva assicurato nel vederlo sussultare alla proposta. Non lo avrebbe nemmeno sfiorato.
    Gli lanciò un'occhiata indagatoria e si fece da parte, per farlo entrare. Casa sua era esattamente come al solito, pulita, ordinata e senza troppi soprammobili, ma sperò che a Max non venisse l'impulso di passare per il salotto e vedere lo scempio che era, dopo essere stato usato come rifugio per l'ultima settimana: libri per terra, cuscini lanciati in tutte le direzioni, abiti spiegazzati sulle lampade e cibo dimenticato nei cartoni.
    Unica prova tangibile del malessere che lo aveva colto.
    E che sul momento sembrava essersi attenuato.
    Evidentemente, averlo vicino portava solo benefici e all'unica risposta che era riuscito a trovare, in spiegazione a tutto.
    Cosa vuoi da Max?, gli aveva chiesto Bach – davvero erano state soltanto poche ore prima?
    Cosa hai da offrirgli?
    Con il senno di poi, avrebbe tanto voluto rispondere sinceramente, infischiandosene dei soliti freni inibitori che gli impedivano di dire quello chiaramente. Era sempre stato un mago nello svicolare.
    In ogni caso, Max si fece guidare fino in cucina.
    «Vuoi qualcosa da bere?»
    Il ragazzo scosse la testa, guardandosi attorno spaesato, e Castor lo guardò a lungo prima di aprire l’anta del frigorifero e afferrare una bottiglia a casaccio. Non riusciva ad allontanare lo sguardo dall’espressione affranta di Max.
    Non riusciva a capire se a farlo stare peggio fosse il fatto che la persona, a cui aveva appena scoperto di tenere più di chiunque altro, stesse tanto male da sorvolare su quanto lo stesso Castor gli aveva fatto e gli si fosse affidato, oppure che Max stesse in quelle condizioni per un altro uomo.
    Nel chiudere il frigorifero e prendere due bicchieri, si accorse di aver tirato fuori del succo di frutta. Rassegnandosi ad abbandonare le recenti abitudini alcoliste, gli mise davanti il tutto.
    «Bevi» lo esortò pacato, evitando di guardarlo «è meglio».
    Max lo guardò storto – in fondo, pensò Castor, gli aveva espressamente detto di non voler niente – ma non fece commenti e prese un sorso, tossendo per quanto la bevanda fosse fredda.
    «Attenzione» mormorò il rosso, con qualche attimo di ritardo, allungandogli un tovagliolo.
    Max non lo notò nemmeno passandosi il palmo della mano sulla bocca, fino alla guancia, sfregando con forza.
    «Non sarebbe dovuto succedere» mormorò a voce tanto bassa da risultare quasi inudibile «mai».
    «I medici hanno detto che non è nulla di troppo grave» tentò di consolarlo «non è in pericolo di vita».
    «I medici, certo…»
    «Andrà tutto bene, Maximillian» affermò nuovamente, convinto, abbozzando un pallido sorriso «sono certo che Bach non finirà certo fuori gioco per così poco!»
    Il moro gli rivolse un’occhiata scettica, le iridi appannate da stanchezza e preoccupazione.
    «Lo conosco da poco» proseguì Castor, incoraggiato dall’attenzione che l’altro gli stava mostrando «ma sembra un tipo determinato. Stai tranquillo e vedrai che domani ci saranno sicuramente buone notizie».
    Gli angoli delle labbra di Max fremettero lievemente, non promettendo nulla di buono, ma nessuna lacrima o risposta penetrò da dietro le iridi azzurre mentre si abbassavano sul tavolo.
    «Ho sonno» disse solamente, alzandosi senza guardarlo negli occhi «scusami».
    «Certo!» Castor si alzò a propria volta, togliendogli il bicchiere dalle mani e facendogli segno di non preoccuparsi, che ci avrebbe pensato lui, sentendosi incredibilmente logorroico «La camera degli ospiti è la seconda porta a destra. Nell’armadio ci sono dei vestiti e sono sicuro che sotto qualche pila troverai una tuta che possa andarti bene. Chiamami se hai bisogno di qualcosa, la mia stanza è…»
    S’interruppe nel vederlo trasalire e si morse un labbro, rimproverandosi per essersi lasciato sfuggire così poca delicatezza.
    Era dannatamente difficile, for Christ sake.
    «Grazie».
    E, mentre Max lasciava la stanza, tutto quello che fu in grado di fare fu osservarlo e lasciare scorrere il tempo.
 
°°°
 
    A svegliarlo non fu il cigolio della porta, e nemmeno lo scrosciare insistente della pioggia sulle tapparelle. A destarlo dal sonno leggero in cui era caduto fu la netta sensazione di non essere più solo nella stanza.
    Allungando cautamente una mano alla ricerca dell'interruttore della lampada da tavolo, si voltò istintivamente verso la porta.
    In piedi, seminascosto nella penombra creata dagli infissi, Max guardava verso di lui, i capelli completamente arruffati, la maglia di traverso e un cuscino stropicciato tra le braccia.
    Gli occhi rossi e spalancati.
    L'immagine era un tale concentrato di dolcezza e disperazione che Castor dovette abbassare le palpebre per calmarsi.
    «Non riesci a dormire?» chiese il più tranquillamente possibile, tirandosi sui gomiti per guardarlo meglio.
    Max non rispose, continuando a malmenare il cuscino.
    Sembrava un bambino che, dopo un incubo, chiede di poter dormire con mamma e papà.
    E Castor – si rese conto, in quel momento più che in tutto il resto della giornata – sarebbe voluto essere tutto quello per lui: un genitore, un amico e una spalla su cui piangere. Sarebbe stato esattamente quello di cui Max avrebbe avuto bisogno.
    Questa seconda realizzazione lo costrinse, nuovamente, a chiudere gli occhi con forza.
    Come era possibile, si chiese, provare qualcosa di tanto devastante per una persona appena conosciuta?
    «Vieni qui» disse solamente, scostando il lenzuolo e spostandosi di lato per lasciargli spazio.
    Max esitò meno di quanto avesse pensato – forse troppo stanco per riflettere su chi e cosa gli stesse offrendo conforto, oppure semplicemente perché era certo che niente e nessuno potesse farlo sentire peggio di quanto già non stesse – e strascicò i piedi, che Castor di accorse essere nudi, fino al letto, raggomitolandosi istintivamente nello spazio che gli stava lasciando.
    Con un gesto più paterno che altro, Castor infilò una mano sotto il piumone e gli afferrò le caviglie, mettendosi i piedi gelidi tra le cosce – cercando di non rabbrividire al contatto – e gli infilò l’altra mano nei capelli, arruffandoglieli gentilmente.
    Max lo lasciò fare senza un suono, pur rimanendo più rigido del normale.
    Castor sospirò, a disagio.
    «Sei molto… affezionato a Bach» si forzò a lasciar uscire le parole nel modo più naturale possibile.
    «Bach è stato il primo amico qui» forse quella era la prima frase completa che lo sentiva pronunciare da ore «il mio compagno di squadra e il mio confidente. Certo che ci tengo lui…»
    Il silenzio, dopo quell’affermazione, si protrasse più di quanto Castor sentisse di poter sopportare, mentre il fruscio agitato delle lenzuola faceva da unico spettatore al disagio sempre più crescente che quelle parole gli avevano aperto nel cuore.
    Lui, che nemmeno pensava di averlo, si era ritrovato il petto sanguinante.
    Max era veramente una persona piena di sorprese.
    Anche troppe.
    Anche in quel momento, mentre sentiva il proprio petto solo sfiorare la sua schiena, si sentiva meglio di quanto non gli fosse mai successo. E nello stesso tempo peggio che mai.
    «Lo ami?» gli chiese di bruciapelo, stringendo a pugno la mano nascosta sotto il cuscino. Non sapeva se voleva sentire quella risposta ad alta voce. Ma non poteva nemmeno far finta di nulla.
    Era palese, per lui.
    Avrebbe dovuto accorgersene prima, molto prima. Quando in piscina Bach gli aveva passato l’asciugamano, alla fine della competizione, e Max si era piegato per poterlo guardare negli occhi e rispondere a chissà quale domanda. Quando, nell’atelier, erano uno affianco all’altro.
    C’erano stati, in ogni occasione, momenti in cui Max si rivolgeva a Bach prima di fare qualunque cosa. Prima di comprare i vestiti che lui aveva scelto, prima di allontanarsi con lui nel locale, prima di scappare per strada.
    Lo vide abbassare lo sguardo e irrigidirsi.
    Sentendosi per la prima volta, completamente gelare, cercò di non lasciar trasparire nulla mentre aspettava che il ragazzo finisse di realizzare il tutto.
    Con uno scatto repentino, Max si alzò a sedere, facendo scivolare le coperte indietro, guardando finalmente Castor negli occhi.
    L’azzurro terso del secondo si scontrò con quello sgranato e lucido del primo, in un cenno di comprensione che non si sarebbe mai aspettato.
    Possibile che lui…? Che in tutto quel tempo non se ne fosse mai accorto?
    Una lacrima, lenta, bollente e solitaria, scese piano, prima sullo zigomo, restando poi impigliata nella piega delle labbra.
    Castor non riuscì a sopportare oltre quell’immagine e afferrò il braccio di Max, tirandoselo con forza addosso e lasciando che gli affondasse il viso nell’incavo del collo.
    «Oddio…» sembrava stesse tremando, Max, mentre chiudeva i pugni nella maglia del rosso.
    In tutta risposta Castor alzò una spalla, per farlo cadere più comodamente tra le sue braccia, mormorando qualcosa di inintelligibile, chiudendosi su di lui.
    «Tu stai facendo tutto questo per me… e io sono solo capace di darti del bastardo» un singulto più forte dei precedenti soffocò il resto della frase «mi faccio schifo».
    Nonostante il dolore e il disagio, Castor sentiva di non dover appartenere più a nessun altro luogo, che non si sarebbe dovuto trovare da nessun’altra parte, in quel momento.
    Quello era il suo posto, e lì sarebbe rimasto, ad abbracciare la persona che sentiva di amare e che stava piangendo per la salvezza di un altro.
    «Mi dispiace» aggiunse Max, come se ce ne fosse davvero bisogno.
    «Ssh» gli passò una mano sui capelli, cullandolo «va tutto bene…»
    «Scusami» lo sentì mormorare ancora, tra i singhiozzi «scusami davvero. Per tutto quello che ti ho detto. Mi dispiace. Scusa…»
    Inspirando a pieni polmoni quell'odore particolare, che tanto lo aveva ossessionato, Castor lo strinse con maggiore forza, raccogliendo ogni singola lacrima che si sentiva scorrere sulla pelle, sentendosi di meritare ogni singola ferita che quelle stille gli stavano scavando dentro.
    «Non sei tu a doverti scusare…»
 
 
Sì, infatti… a scusarsi dovrei essere io immagino…
Per il ritardo e… la novità da infarto. Immagino XD
 
Cmq tesori miei, ho una bella notizia e un brutta notizia. Quale volete sentire per prima?
Va bene, mi sottometto alla maggioranza:
Brutta notizia!!!
 
La mia fida Beta è sotto esame e non può seguirmi per questo periodo (I nostri cuori saranno con lei in questo momento difficile), quindi mi toccherà controllare da sola di non aver fatto errori ahaha.
Perciò perdonatemi eventuali imprecisioni (siete liberissimi di farmele notare sapete?)
 
Quindi veniamo alla Bella notizia.
Manca poco alla fine (e questa sarebbe una bella notizia!??!?), all'incirca cinque o sei capitoli.
E quindi, nel bene o nel male le cose finiranno.
Per ora.
 
Infatti ho appena iniziato a scrivere una storia che ha Bach come protagonista!!! Lo amo.
Il titolo è Subdolamente Adorabile e sarà prossimamente sui vostri schermi XD
 
E aspettatevi che ve lo ricordi ahah Sono curiosa di sapere cosa ne pensate.
 
Alla prossima
 
baci
NLH
  
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