Buongiorno a tutti!
Oggi posto nel pomeridiano, un autentico evento!
Visto che la storia avrà solamente 25 capitoli, iniziamo con
il conto alla rovescia!
Questo è un poco più movimentato dell’altro, diciamo un
preambolo ai guai che arriveranno presto *Grazie Al Rahim*.
Mi ha stranita non poco descrivere un litigio di Bea e
Giuliano, visto che loro due sono il cardine della famiglia de’Medici.
Altra comparsata di Levi! Io adoro quel ragazzo e ringrazio
Lechatvert non solo per la betatura ma anche per
avermelo prestato v.v
Che altro posso aggiungere, se non ringraziare per le tre
recensioni?
Ah sì! Buona lettura :D
Jessy
Ps: per chi fosse curioso, eccovi la storia citata
nel capitolo precedente, su Orso e Beatrice: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2549227
No Good Deed
Goes Unpunished.
Parte XXII: I
Fratelli.
Il fumo invadeva la
stanza, profumando l’aria e colorandola dei toni del grigio perlato.
Beatrice si mise seduta,
sentendosi ancora intontita dal sonno. Quella in cui si trovava non era più la
sua stanza a Palazzo della Signoria, bensì una tenda dai toni caldi, illuminata
con qualche lampada ad olio disposta qua e la.
Oltre una delle molte
tende trasparenti, proprio innanzi a lei, sedeva a gambe incrociate un uomo.
In un primo istante,
Beatrice si stupì della sua presenza, prima di realizzare chi esso fosse. Chi
altri doveva essere, dopotutto?
Si alzò dal triclino su
cui era stesa, camminando a piedi nudi sino alla tenda e superandola. Il suo
vestito danzava insieme alla luce delle lampade, sospinto dal vento leggero del
deserto che li circondava.
Tutto attorno a lei, notò,
non vi era altro che deserto avvolto dalla notte più nera che avesse mai visto.
E pace, molta pace.
Si sedette davanti
all’uomo, notando che teneva gli occhi chiusi e un respiro basso e costante.
Attese che fosse lui a parlare, abbracciandosi le ginocchia e stringendole al
petto, mentre un ennesimo soffio di gelida aria notturna le faceva accapponare
la pelle della schiena.
Quando Al Rahim prese infine la parola, lo fece senza aprire le
palpebre e parlando con tono basso e dimesso. Pareva stanco.
“Il bocciolo del tempo ha
preso a schiudersi, Beatrice de’Medici, ma prima che ogni petalo si sia
disteso, voi dovrete fare ancora qualcosa per noi.”
La mora abbassò lo sguardo
sul tappeto sotto di loro, perdendo uno sguardo sarcastico in quel dedalo di
colorati fili intrecciati con perizia “Non mi stupisce.” Ammise un po’
amaramente “Sono pronta a mettere a rischio la mia vita un’altra volta.”
Il Turco aprì gli occhi,
fissandola intensamente. Non vi era rabbia nel suo sguardo, ma nemmeno la
solita spensierata sapienza “Vi abbiamo permesso di salvare l’uomo che amate,
che ora diverrà per voi un ostacolo quasi invalicabile. Trovo doveroso che voi
facciate ciò che vi viere richiesto dalla congrega. O state forse pensando di
passare dall’altra parte, così come un tempo fecero altri?”
“Sono ancora fedele alla
mia missione, non intendo deludere ne voi ne mio nonno, Al Rahim.”
Disse lei spicciola, prima di storcere il naso con disapprovazione “Ma, come
avete detto voi, io amo quell’ostacolo: agire nell’ombra, alle sue spalle, mi
sembra quasi come il volerlo accoltellare nella schiena giorno dopo giorno.”
“Vi sarà chiesto di fare
altre scelte, ma non adesso.”
La Contessa alzò lo
sguardo, fiero e deciso come sempre, in quello di smeraldo del Turco. Si
studiarono per alcuni istanti, poi lei chinò il capo arrendevole “Cosa devo
fare?” domandò, con determinazione.
Lui sorrise appena,
compiaciuto, prima di chiudere gli occhi nuovamente.
Lei si sentì come invitata
a fare lo stesso e comprese di aver fatto bene quando, nel buio, vide qualcosa.
Un luogo che mai aveva
veduto prima, ma che al contempo aveva un che di famigliare. Sembrava un
immensa libreria una sorta di archivio che…
La ragazza interruppe il
flusso di pensieri, riaprendo gli occhi e sbarrandoli.
“Non vorrete che io…?”
“Ciò che dovete recuperare
è un libro.” Disse pacatamente il Turco, invitandola a richiudere gli occhi.
Beatrice lo fece con un sospiro accondiscendente e lo vide. Grande, ma non
troppo spesso, dalla copertina grigia e le pagine ingiallite dal tempo. Dentro,
i caratteri erano di una lingua che lei non sapeva tradurre ma che sapeva
riconoscere: l’ebraico antico. “Quando lo troverete, sarete la sola che potrete
riaprirlo dopo quasi un secolo. È necessario che voi lo portiate fuori dal
luogo in cui è custodito e che lo nascondiate. Verrò io da voi a prelevarlo.”
La mora si morse le
labbra, tesa.
“Non si entra con facilità
negli archivi vaticani, Al Rahim. Non so se riuscirò
a farcela, tenendo mio marito lontano da me abbastanza a lungo. Senza contare
le guardie che li sorvegliano e la presenza di Mercuri, che perennemente entra
ed esce da Castel Sant’Angelo.”
“Partire entro due giorni
da Firenze, Beatrice, e il momento propizio si manifesterà.”
La giovane annuì risoluta,
prima di alzarsi.
“Farò come mi chiedete,
allora. Attenderò il vostro arrivo a Roma per prendervi il libro.”
Al Rahim
si limitò a fare un cenno, salutandola con un piccolo inchino del capo.
Beatrice tornò a stendersi
sul triclinio, attendendo di svegliarsi di nuovo nella sua stanza.
Con il solo rumore del
vento nel deserto a coprire l’incalzare dei suoi pensieri, si domandò cosa
avrebbe detto a Giuliano l’indomani…
Trovare suo fratello fu,
di base, assai semplice.
Camilla e altre tre dame
della corte se ne stavano affacciate nel porticato interno, troppo prese da
qualcosa che stava avvenendo in giardino. Peccato che quello non fu l’indizio
più evidente.
Olivieri risolse l’arcano,
cadendo a carponi innanzi a Beatrice, giunta lì. Troneggiante su di lui, un
Giuliano a petto nudo, stava dando bella mostra di sé e del suo fisico, mente
s’allenava insieme al forlivese e a Bertino.
“Stai cercando di uccidere
il capitano della mia scorta, Eccellenza?” domandò la Contessa, porgendo la
mano al rosso che, paonazzo, la accettò.
“Sei più brava di lui con
la spada, non sarebbe una così grande perdita.” Ammise divertito Giuliano, rinfoderando
l’arma mentre alludeva a quella che Beatrice portava sull’abito da dama, legata
in vita da una cinta di cuoio. Ridacchiò, aggiungendo poi sbrigativo un “Senza
offesa, Olivieri.”
Edoardo incassò con un
piccolo cenno reverenziale del capo, prima di rinfoderare a sua volta la spada.
Beatrice alzò gli occhi al
cielo, sorridendo poi verso il suo capitano “Non offenderti, visto che in
intelligenza lo batterebbe una porta.” Si rivolse poi al fratello, che la
guardava a braccia conserte, indeciso se essere divertito o offeso “Vieni
dentro? Voglio parlare a te e a Lorenzo.”
Giuliano annuì, prendendo
la camicia che ancora se ne stava appoggiata alla fontana al centro del
giardino per poterla indossare. La allacciò velocemente, salutando le donne al
porticato mentre lo lasciava per entrare nel palazzo.
Una serie di risatine
partì dal gruppetto, con Camilla in testa.
“Dovresti seriamente
smetterla di far così il farfallone.” Lo rimproverò la ragazza, mentre lui
rideva divertito “Soprattutto con la mia prediletta.”
“Chissà se sei più gelosa
tu o il tuo capitano, di lei…”
Beatrice preferì
soprassedere, soprattutto alla luce di ciò che stava per dirgli.
Entrarono nello studio di
Lorenzo e subito Becchi fece per lasciarli soli, ma lei appoggiò una mano sul
suo braccio, invitandolo a rimanere con loro.
“Volevo dirlo ad entrambi,
così che poi possiamo goderci il resto della serata in pace.” Disse la
Contessa, affiancandosi a Giuliano innanzi alla scrivania alla quale era seduto
il Magnifico.
Fu il più giovane dei due
uomini a interromperla “Non sarai incinta di quella serpe di tuo marito, vero?
Beatrice, non credo che dal tuo ventre uscirebbe un bambino.”
Lei lo guardò
profondamente offesa “E cosa dovrebbe uscire? Un cavallo?”
“Direi più un corvo, visto
il becco di Riario.”
Lorenzo portò il pugno
chiuso alle labbra con la scusa di tossire, trattenendo così un sorriso
soddisfatto “Avanti, Giuliano.” Disse poi, in totale antitesi con i suoi
pensieri “Porta rispetto e falla parlare.”
Con un profondo respiro,
la giovane proseguì “Mi duole molto dovervi salutare così presto, ma ho deciso
di far ritorno a Roma. Partirò domani mattina, così che possiamo salutarci a
dovere a cena, stasera, poiché alle prime luci dell’alba desidero mettermi in
viaggio.”
Lorenzo annuì,
comprensivo. Aveva sul volto un’espressione di chi l’aveva capito nell’esatto
istante in cui sua sorella aveva chiesto di portargli parlare, dopo pranzo.
Giuliano, al contrario, parve del tutto scioccato dalla notizia.
Nemmeno gli avessero
riferito che Brunelleschi aveva utilizzato dello sterco di ratto per tenere
uniti i coppi della cupola.
“Così presto?” domandò,
socchiudendo la bocca e corrucciandosi, come se davvero non potesse comprendere
il motivo di quella scelta “Sono passati appena dieci giorni, Beatrice!”
“Infatti, dieci giorni
lontana da mio marito iniziano a pesarmi, Giuliano.” Disse lei, incrociando le
mani sul ventre e chiudendosi un poco. Con le spalle curve, si sentì un poco in
colpa ad usare quella scusa.
Certo, Girolamo le mancava
molto e non avevano scambiato che un pugno di lettere in quella lontananza, ma
avrebbe più che volentieri fatto ancora qualche giorno a Firenze. Magari
partendo con più calma e non con tutta quella fretta.
“Come fa a pesarti?!
Dovresti chiedere asilo a nostro fratello e rimanere qui invece!” insistette
Giuliano, iniziando ad infervorarsi. La guardava come se davvero non riuscisse
a capire cosa avesse per la testa “Quel … ‘Uomo’ è un mostro, Beatrice! Non
dirmi che ti manca perché non ti crederei!”
Alla sorella pareva di
parlare con un idiota. Più cercava di convincere suo fratello riguardo i suoi
sentimenti verso il consorte, meno lui comprendeva.
“Non lo farei mai perché
in primo luogo non arrischierei una guerra tra Firenze e Roma.” Disse
cautamente, cercando di non alzare la voce.
“Il che è un ottimo punto
di partenza.” Aggiunse concitato Lorenzo, mentre anche Becchi alzava gli occhi
verso il soffitto della stanza, esasperato da quei litigi.
“Punto secondo, Giuliano,
devi smetterla di parlare così di Girolamo.” avanzò quasi minacciosa verso di
lui, puntandogli un dito al petto “Manchi di rispetto a me, infangando il nome
di mio marito così!”
“Dici che è possibile
infangarlo più di quanto sia già, Beatrice?”
La contessa perse del tutto le staffe. I litigi fra lei e il
fratello erano tristemente famosi a palazzo, ma raramente avevano raggiunto un
tale livello di cronicità riguardo all’argomento. Lui non accettava che lei
ritenesse suo marito un uomo da bene, se e quando aveva voglia di esserlo?
Ottimo! Lei non avrebbe smesso di ripeterglielo fino a stordirlo.
“So cosa ti rode
dall’interno, Giuliano.” Iniziò, stringendo le mani fin quasi a ferirsi con le
unghie. Se le avesse riaperte lo avrebbe preso a sberle “Io ora vivo a Roma. Io
sono felice a Roma! Questa non è più la mia casa, Firenze non è più la mia
città perché –esattamente come mi hanno sempre detto durante tutta la mia
maledetta vita da ‘quasi prigioniera’ in questo palazzo – una volta sposata non
sono più proprietà di mio fratello maggiore ma di mio marito! Vuoi saperla,
però, la differenza? Girolamo mi permette di soggiornare qui, a Forlì, a Imola…. Mi permette di andare a caccia anche senza di lui,
di girare per la città se con qualche guardia al seguito e di sentirmi viva e
libera come in questo luogo non mi sono mai sentita! Ti ricordi quando sono
scappata, Giuliano? Avevo quattordici anni e una voglia matta di respirare per
soli due o tre giorni la libertà! Per quanto il mio cuore rimarrà sempre
relegato in parte a questa Repubblica, essa ormai non mi appartiene più. Io non
appartengo più a lei e tu devi accettarlo, dannazione!”
Il silenzio che cadde fra
i quattro era assordante.
Giuliano teneva il capo
basso e i denti così digrignati da irrigidire la mascella.
Beatrice era ansante,
tanto era la collera.
Dal canto loro, Lorenzo e
Becchi si limitavano a passare lo sguardo da uno all’altro, quasi spaventati.
Il primo a rompere il
ghiaccio fu proprio il Magnifico “Credo che sia meglio ritirarci a riposare e
riflettere. A cena sistemeremo tutto.”
Giuliano diede segno di
non averlo affatto udito. Camminò verso la sorella, parlandole a pochi
centimetri dal viso “La prossima volta che rischierai la vita mentre saltelli
libera per un campo di battaglia, fatti bastare l’amore di tuo marito. Io non
correrò più per te.” Sbattè così tanto violentemente
la porta, uscendo dalla stanza, da far tramare i vetri delle finestre.
Becchi si scusò,
sbrigandosi a seguirlo e non chiudendo più dolcemente l’uscio.
Rimasta solo con Lorenzo,
Beatrice portò una mano alla fronte, esasperata.
Sentì il fratello alzarsi
e spostarsi per la stanza, portandole quindi le mani al viso per farglielo
alzare. Le sorrise bonario, prima di baciarle la fronte “Sono fiero di te.” Le
disse con tono dolce, lasciandola senza fiato.
Non se lo aspettava,
semplicemente, eppure quelle parole arrivarono come una dolce litania alle sue
orecchie. In un certo senso, non si sarebbe mai immaginata di udirle, visto che
per tutta la sua vita le era sempre parso di essere più un peso che un vanto,
in famiglia.
“Cosa vi rende fiero,
esattamente, Vostra Eccellenza?” chiese, riprendendosi da quello stato di
grazia in cui era caduta.
“Non so cosa il tuo cuore
davvero aneli, sorella.” Ammise il Magnifico, portando le mani dal volto alle
spalle di Beatrice, senza smettere di sorridere “Ma so che fai anche l’interesse di Firenze. Hai
sposato un uomo di cui non avevi mai sentito parlar bene, per salvarla.
Cos’altro dovrei ricercare, in un
consanguineo, se non la più cieca lealtà?”
“Anche un pizzico di buon
senso.” Rispose lei, scostandosi da lui. Sciolse la fibbia della cinta,
porgendogli poi la spada di Cosimo. Lorenzo parve non capire, così ci pensò lei
a fugare ogni dubbio “Questa deve rimanere a Firenze, Lorenzo.”
“Nostro nonno l’ha
affidata a me, dicendomi di dividerla con Giuliano. Poi mi chiese di usarla per
proteggerti, Beatrice.” Rispose lui a tono, non accettando l’arma “Io non posso
venire con te a Roma, devi continuare a usarla tu.”
“Non mi ha protetto dal
cianuro di Caterina Sforza” commentò lei con un sorriso sghembo, porgendogliela
nuovamente. “Poi è pesante, una lama di una lega più leggera andrà anche meglio…” cercò di ironizzare, sperando di vederlo cedere,
ma così non fu. Con un sospiro, Beatrice lo guardò implorante “Vi prego,
fratello mio, tenetela con voi. Appartiene alla nostra famiglia, a questa casa…. Non a me.”
Seppur con riluttanza,
Lorenzo prese fra le mani quella spada, appoggiandola poi sulla sua scrivania.
Quando strinse Beatrice
per la seconda volta, quel giorno, sentì che qualcosa era improvvisamente
cambiato.
Era come se non stesse
stringendo più la piccola Beatrice, dai grandi occhi pieni di speranza e meraviglia…
Ora, fra le braccia, aveva
una donna. Una contessa, una moglie.
Per la prima volta, dopo
mesi, Lorenzo si rese conto che forse, avevano davvero perso Beatrice e che il
suo cuore non apparteneva più a quelle mura come un tempo.
La cena era stata
tristemente rapida ed estremamente silenziosa.
Giuliano non si era
nemmeno presentato. Sicuramente, era andato a ascondersi al Can che Abbaia, una
nota locanda sull’Arno, nella quale si poteva sia godere di un buon pasto che
della compagnia delle prostitute.
Lorenzo aveva brindato in
onore della sorella, augurandole ogni fortuna nel suo viaggio di ritorno a
Roma. L’aveva invitata a far ritorno quando più desiderava, ricordandole che le
porte di Firenze erano sempre aperte per
lei.
Poi tutti si erano
ritirati.
Beatrice era rimasta
ancora un poco alzata insieme a Clarisse, in piedi sulla cima della torre di
Palazzo della Signoria, a guardare la città che si spegneva poco a poco, sotto
al caldo fiato di Morfeo.
Tornando dentro, però, non
se l’era sentita di andare subito a dormire, così si era diretta verso la
cappella di famiglia.
Aveva studiato per
l’ennesima lo splendido affresco che adornava le pareti attorno a lei, prima di
inginocchiarsi sul basamento della tomba di suo nonno Cosimo, per rendergli
omaggio.
Lo aveva fatto ogni sera
prima di coricarsi, così come era sua abitudine quando ancora viveva a Firenze.
Non passava giorno senza che si dirigesse a palazzo per poterlo salutare. Così
come quando era ancora vivo.
Appoggiò la mano su quella
scolpita dalle sapienti mani del Verrocchio,
chiudendo gli occhi e iniziando a pensare fin troppo a tutte le cose che
avrebbe dovuto fare una volta tornata nell’Urbe.
Così persa nel racconto,
si accorse di un rumore di passi per le scale quand’essi erano ormai troppo
vicini. Sperò fosse Giuliano, ma sorrise ugualmente lieta nel trovarsi innanzi
il Conte di Fonterossa.
Levi invece parve stranito
dalla presenza della contessa.
Sicuramente, aveva fatto
tardi, forse più del previsto.
“Conte.” Disse sorpresa,
alzandosi in piedi e camminando verso di lui. Il vestito cremisi le danzò
attorno, mentre lei si avvicinava al ragazzo. “Anche voi non trovate riposo?
Come mai da questa parte del palazzo, però? Vi siete per caso perso?”
“Vorrei aver pronta una scusa per evitarmi così di sfigurare
ai vostri occhi, ma non m’aspettavo di incontrare qualcuno.” Levi si tolse il
cappello, grattandosi imbarazzato la nuca mentre si avvicinava alla contessa
“Non riuscivo a dormire, sicché gironzolavo per il palazzo.”
“Nulla di cui doversi scusare, Conte.” Rispose prontamente
lei, tornando a voltarsi verso l’affresco. “Potete farmi un poco di compagnia,
se ne avete voglia. Magari Morfeo ci troverà prima se siamo insieme.”
A quelle parole, il giovane sorrise. Le si affiancò,
guardando anch’egli la parete. Perso com’era nelle sue elucubrazioni mentali,
si ritrovò a ridacchiare da solo “Perdonatemi” disse poi, arrossendo nuovamente
“Trovo solo ridicolo ch’io conosce molto meglio la famiglia di vostro marito,
rispetto ai de’Medici. Son nato in codesta Repubblica eppure della sua
fondazione so poco o nulla.”
“Mi state domandando una lezione di storia?” s’informò la
contessa.
“Se non è troppo disturbo, Madonna.” Rispose Levi,
guardandola con un gran sorriso, prima di ripuntare
gli occhi davanti a sé.
Beatrice, di certo, non si fece pregare. Avanzò di un passo,
così da poter essere del tutto affiancata con il giovane Levi, prima di
schiarirsi la voce, “I de’Medici sono partiti dal nulla, Vostra Grazia, e sono diventati la Signoria più importante
della città. Se mi perdonate l’ardire, forse la più importante dell’intera
Italia.”
“Non credo che stiate osando poi molto.” Ammise Levi,
pensieroso “Non vi è famiglia in tutta la penisola che possa dirsi famosa o
importante come la vostra. Vi conoscono d’oltralpe sino alla penisola iberica e
oltre Manica.”
“E pensare che tutto è partito da così poco..” commentò quasi
sognante Beatrice, ricordando le molte volte che suo nonno le aveva raccontato
quella storia “Il padre di mio nonno, Giovanni de’Medici, aveva una piccola
banca a conduzione famigliare. Mio nonno mi diceva che era aggressivo come un
venditore, ma cauto come ogni banchiere. Sceglieva i clienti con attenzione,
dicendo che ogni buon imprenditore non deve basarsi solo al profitto, ma anche
alla lealtà. Questa è rimasto il nostro motto ancora oggi, Conte.”
“Un motto che vi rende onore.” Commentò Levi, incrociando le
mani dietro alla schiena e dondolando sui talloni. Vi era qualcosa nei suoi
occhi, una domanda inespressa che voleva ad ogni costo trovar risposta.
Beatrice lo intuì, così con uno sguardo lo invitò a porla “Santa Madre Chiesa,
così presa dal ricordare a noi tutti che bruceremo all’inferno, ha molti pregi,
ma fra di essi non vi è la lealtà. Quando avete preso a far affari con loro?”
“Fu sempre Giovanni a trovare agganci in Vaticano. Iniziò a
lavorare per il clero e mai cosa più fu più giusta ma allo stesso tempo errata,
a mio parere. Sostenne Cossa, il Cardinale fiorentino,
fin dal sacerdozio. Che fossero amici d’infanzia non era un segreto, ma si sa
come finiscono ‘ste storie: Tutti tornano gioviali
come i bimbi quando girano i fiorini. Quando Baldassarre Cossa
salì a soglio pontificio, nonostante sia ora ricordato come l’Antipapa Giovanni
XXIII per ciò che ha fatto, fu un uomo molto influente che non si scordò mai
dei suoi amici Medici. Così abbiamo iniziato ad emergere anche agli occhi del
resto del mondo. La Signoria però divenne ciò che è ora con mio nonno Cosimo. Lui fu il vero
patriarca.”
“Cosimo il Vecchio, tutti sanno chi è.” Ammise Levi,
ridacchiando piano “Mio padre diceva che era un uomo davvero strano, ma strano
in senso buono, Madonna! Di come ormai non ve ne sono più. Ha fatto così tanto
per Fiorenza…”
A quelle parole, gli occhi di Beatrice brillarono. Sì, aveva
fatto moltissimo.
“Il primo grande lavoro di mio nonno fu la cupola del Duomo.
Tutti sostenevano che non fosse possibile costruire una volta portante su una
struttura così grande, ma Brunelleschi, che era il suo grande amico, riuscì
nell’impossibile. Mio nonno era famoso poiché si circondava di grandi artisti
come lui ed egli era in assoluto i miglior architetto. Brunelleschi era di
temperamento poco mansueto, lo ricordo bene anche se ero davvero molto piccola.
A confronto, gli artisti d’ora son tutti mansueti men
che il Da Vinci. Mio fratello dovrebbe tenerselo stretto invece di esorcizzarlo,
dovrebbe prendere spunto da nostro nonno invece di atteggiarsi da Magnifico.”
“Lui è il Magnifico, Madonna.” La corresse bonariamente il
Conte di Fonterossa, prima di passarle alle spalle
per avvicinarsi al lato sinistro dell’affresco. Individuò subito Lorenzo
de’Medici, impettito sul suo cavallo bianco, accanto al fratello Giuliano.
Cercò la contessa, ma non la trovò “Vi prego, andate avanti.” Le disse,
voltandosi verso di lei con rispetto.
“Innovazione ed evoluzione, per i de’Medici, dovevano andare di pari passo. C’era sintonia
perfetta fra Brunelleschi e Cosimo. Erano indirizzati a edificare una città
forte sulle orme dell’antica Roma, non quella dei loro tempi che iniziava già a
prendere una piega poco felice. Mio nonno promuoveva il mecenatismo come metodo
di potere, perchè incoraggiando l’arte e la letteratura non necessitava di imporsi
con la spada. Credo sia stato il primo grande umanista della famiglia. Fu
condannato a morte, esiliato dagli Albizi… Ma poi
richiamato perché senza di lui non esisteva più Firenze. Lui era la città.”
“Esiliato, veramente?” domandò stupito Levi. “E gli fu
permesso di far ritorno?”
“Fu accolto in città dal popolo in festa, volenteroso di
lasciargli le redini della Repubblica.”
“Doveva aver un metodo infallibile, per farsi tanto amare
dalla gente. Al popolo ci vuole così poco per essere insoddisfatto…”
“Le questioni politiche venivano affrontate fra le mura
domestiche e così è ancora. Mio nonno diceva che la città va cresciuta come un
infante, con amore e polso rigido.” Spiegò pratica Beatrice, andando verso la
tomba di suo nonno. Guardò il volto in pietra, sospirando pieno e un po’
triste, riprendendo poi il discorso da dove l’aveva lasciato “La banca si
espanse in tutta l’Europa e aprì addirittura filiali all’estero. Barcellona,
Parigi, Ginevra, il Cairo…. La famiglia sorta dal
nulla ora teneva i conti per Papa e Re.”
“ Notevole.” Commentò il ragazzo, tornando a guardare l’affresco. Avrebbe
trovato Beatrice, se solo si fosse impegnato maggiormente “Sono davvero
ammirato, Madonna.”
“L’arte però veniva sempre prima della ricchezza.”
Puntualizzò la contessa, come se volesse in qualche modo correggere un
messaggio errato che aveva inavvertitamente espresso “Cosimo investì molti
capitali nello sviluppo artistico. Brunelleschi e il Vasari non furono i soli
gioielli sulla corona di artisti di mio nonno. Ha speso più di seicentomila
fiorini d’oro in opere d’arte in tutta la sua vita, un investimento che in
molti videro irrazionale, ma che strategicamente accrebbe il suo potere
politico.”
“Seicentomila fiorini d’oro? Perbacco!” Con un fischio basso
e prolungato, Levi sottolineò tutto il suo stupore, facendo ridere la contessa
che tornò a guardarlo, trovandolo nuovamente fisso sulla parete“Lippi fu uno
dei suoi gioielli?”
“Sì. Era un frate puttaniere ma ha fatto dei dipinti divini.
I capelli delle donne dei suoi dipinti sono così ben fatti che sembrava di
poterne sentire il profumo.”
“E Donatello? Si dice che scolpisse l’anima nel marmo!”
“Altro personaggio di pessimo carattere, che distruggeva i
suoi capolavori per non venderli a coloro che, a detta sua, erano asini e non
le comprendevano. Mio nonno l’ha difeso molte volte, per via del suo carattere
e per lui realizzò uno dei suoi lavori meglio riusciti: Il David, in bronzo,
ancora oggi nelle mani della mia famiglia, proprio nell’atrio di questo palazzo”
“Girano voci che sia sconcia e ardita come opera.” tentò
Levi, cercando di non suonare maleducato.
“Tutti vedono la licenziosità nell’arte, mentre è nei loro
occhi.” rispose con un sorriso la giovane, portandosi alla sua destra “Mio
nonno sosteneva che un artista doveva superare i limiti imposti dalla
tradizione. Anche a costo di contrastare il clero. Ognuno deve esprimersi al
massimo della sua individualità, così Firenze si distingue dal mondo.”
“Un punto di vista assolutamente corretto.” Con un piccolo
inchino, Levi iniziò a congedarsi “Credo sia ora di darci la buonanotte,
Madonna. So che partite, così vi auguro buon viaggio. Io andrò via nel
meriggio, domani.”
“Tornate a Fonterossa?” domandò
Beatrice, allungando la mano che lui subito portò alle labbra per baciarla.
“Invero no, scorto vostro cugino Raffaele a Pisa.” Rispose,
con tono pio da brav’uomo ma gli occhi carichi di licenziosità.
A Beatrice sfuggì un sorrisetto malizioso.
“Confido nella vostra scorta, quindi.”
Lui non colse l’allusione o fu bravo a mascherarla. Indossò
nuovamente il cappello e fece per uscire, ma qualcosa lo trattenne.
“Perdonate la domanda, Vostra Grazia, ma devo sapere….” Si voltò verso l’affresco, indicandolo con un
cenno del capo “Voi dove siete stata rappresentata?”
Gli occhi di Beatrice si schiarirono appena, mentre un poco
commossa riportava alla mente un bellissimo ricordo.
“Sono quella bambina vestita d’azzurro, ritratta senza scarpe
su quella mula dai bardamenti dorati.”
Levi la individuò subito, schiudendo stupito le labbra “E l’uomo…?”
“Mio nonno, Cosimo.”
Con un ultimo sguardo al sarcofago marmoreo, la contessa si
congedò, lasciando solo Levi a fissare l’affresco. Seduta su una mula, una
bambina dai lunghi capelli bruni sorrideva, volgendo il capo verso l’uomo che
cavalcava con lei stringendola a sé amorevolmente.
Cosimo e Beatrice de’Medici avevano una luce negli occhi,
un’adorazione che valeva più di quella dei tre Magi sommata innanzi alla
mangiatoia del Salvatore.