Il vento penetrava nella mia camera, sollevando e agitando le
mie coperte di seta, che ballavano sul mio semi nudo
corpo, solleticandomi, tenendomi sveglia, in vita.
Chiudevo gli occhi al mondo, ma ogni
mio senso era teso a rendermene parte.
Con le mie lunghe dita incominciai ad
accarezzare il lenzuolo che mi ricopriva.
Sdraiata, il petto che premeva sul materasso, accorciandomi il
fiato; il vento che trascinava le gocce del mio sudore lungo la mia schiena.
Come il soffio del vento percorreva il mio
corpo, la mia mente riviveva gli avvenimenti di quel lungo giorno senza
fine.
Come spesso accade, però il fluire dei pensieri non è scandito
da nessuna razionalità e ci si ritrova a passare di pensiero in pensiero, come
molte donne fanno passando di uomo in uomo, di letto
in letto. Molte donne, ma non io.
Mi girai, e lasciai che la schiena si
abituasse al materasso.
Avevo i seni scoperti, i capezzoli induriti dal fresco vento, il
lenzuolo aderente alle mie cosce. Con una mano iniziai a solleticarmi il
ventre, per risalire sul mio petto, poi ripercorrere la circonferenza del mio
ombelico, e giunsi lungo le mie braccia: mi fermai
poco sotto il mio gomito destro, dove incontrai una delle mie prime cicatrici.
Una delle più sofferte.
Incominciai a ricordarmi di quel giorno di decine di anni prima, quando durante un quotidiano giro in bici
inciampai in un sasso e caddi: cercai di ripararmi con le braccia e finii per
tagliarmi, finii sanguinante e piangente a terra e tu scendesti dalla tua bici
e mi raggiungesti, ti chinasti, e soffiasti sulla mia ferita. Ti guardai
incuriosita, con gli occhi gonfi di lacrime. Tu ricambiasti il mio sguardo
pieno di curiosità per poi tornare a soffiare sopra la mia ferita.
Il dolore aumentava ad ogni tuo soffio, ma avevo paura di
piangere, avevo paura di deluderti, avevo paura di
quello che avresti potuto pensare di me, ma poi tu mi sorridesti e alzandoti mi
offristi la tua mano dicendomi: “Sollevati e risali in bici, la ferita guarirà
in breve tempo. Soffiandoti sulla ferita, ho allontanato i demoni del dolore, e
chiamato in tuo aiuto i venti propizi della guarigione”.
Afferrai la tua mano e continuai con te in bici il nostro giro,
in silenzio, perché tu eri il genio del villaggio, perché avevi deciso di
aiutarmi e proteggermi.
Molte donne si sarebbero innamorate di te per
questo, ma io non sono molte donne.
Aprii per la prima volta gli occhi e le miei
azzurre iridi incontrarono la luce della luna: la osservai illuminarmi e
con un dito ripercorsi i confini tra luce e ombra che la luna creava sulla mia
pelle.
La luna era così bella, piena e rotonda, calma e sicura di se
stessa, della sua posizione nel mondo, ma troppo pigra o stanca per mostrarsi
sempre tutta: proprio come te.
Per te stare seduto a osservare
l'infinito era il paradiso, non un semplice modo per defilarti dal mondo, non
un gesto codardo o vigliacco…per te era così facile essere etichettato “il
pigro, lo scansafatiche” perché tu non vi vedevi nessuna malignità o vergogna,
perché tu eri fiero di essere semplicemente te stesso.
Molte donne ti hanno trovato affascinante per
questo, ma io non sono molte donne.
Il vento cessò e ora il caldo sembrava insopportabile, o forse
era solamente il pensiero di te che riesce sempre a
rendermi inquieta.
Siamo stati tutto quello che due persone possono essere una
per l'altra.
Sei stato il mio migliore amico.
Ricordo
da bambina le nostre corse, le nostre risate, e i
mille segreti che ci scambiavamo pensando che fossero le uniche verità
esistenti.
Siamo stati compagni di scuola, di squadra.
Ricordo
le lunghe serate a studiare a casa tua, quando cercavi di spigarmi un semplice
e comune fatto per te, ma un insormontabile incomprensione
umana per me, quando passavamo i pomeriggi come InoShikaCho
ad allenarci, fantasticando di essere il primo team di Konoha,
di essere stati inviati in una pericolosa missione, in una dove la morte era la
migliore soluzione.
Mi
ricordo il giorno prima del mio incontro con Sakura,
mi ricordo il mio pianto disperato, mi ricordo un sasso contro la mia finestra,
poi il tuo viso comparire sul mio balcone, le tue braccia stringermi. Mi ascoltasti per ore, sopportasti ogni mio ricordo, ogni mio
rancore, e sfogo, ogni mia recriminazione su un altro ragazzo, fisicamente
simile a te, ma spiritualemente così diametralmente
opposti.
Siamo stati amanti.
Nacque
tutto in segreto, un bacio rubato alla mia fronte e poi uno vero, di quelli
romantici che si vedono solo nei film, dove i due eroi
disperati, prima della conclusione, si promettono amore eterno.
Ma la cosa più ironica fu che era tutta colpa di Sasuke, della sua fuga. Tu troppo giovane per abbandonarmi, ma al contempo troppo abile per stare con
me, conducesti i giovani ninja del nostro villaggio
al suo dannato inseguimento, pensai che forse non ti avrei mai più rivisto,
pensai che forse di quel dannato Uchiha non me ne
fregava poi più di tanto, ma che se non avessi più rivisto te, se non ti avessi
più avuto nella mia vita, allora sì, sarei morta.
Ma tutto doveva essere un segreto, non ero pronta a rivelare al
mondo che mi ero innamorata, che avevo donato il mio cuore ad un ragazzo. Dovevo
competere ancora una volta con Sakura, la vedova affranta: avevo lottato per Sasuke e non potevo abbandonarlo in così poco tempo. Tu sopportasti, ed io sopportai
i tuoi continui rapporti con Temari della sabbia. Tuo
padre, la tua famiglia, l'Hokage ogni giorno ti spingevano sempre più verso di lei, e lei non sarebbe stata
contraria, lo leggevo nei suoi occhi ogni volta che la incontravo. Ma tu eri mio, soltanto mio.
Te
lo facevo dire ad ogni più piccola occasione, dovevo
sentirtelo ripetere per potermi sentire al sicuro.
Poi
venne il giorno in cui lo gridai al mondo in cui dicemmo a tutti del nostro
piccolo segreto.
Ma poi la vita prese il sopravvento e noi Siamo stati anche
nemici.
Perché solo una persona che hai amato totalmente, disperatamente,
follemente può trasformarsi in cinque minuti nella persona più odiata.
C'è
una sottile linea fra odio e amore.
Mi
hai aspettato, mi hai atteso, ma io ero troppo orgogliosa per
mostrarmi, e tu hai continuato ad inseguirmi e infine mi hai afferrata e
catturata…ma io non potevo non avere l'ultima parola.
Accettai
di sposarti, perché senza di te non avrei potuto vivere, ma non mi sono mai
presentata all'altare perché la paura di vivere con te è
stata più forte e mi ha sopraffatto, ha vinto.
Posso
solo immaginare la delusione e il dolore dipinti sul tuo viso, posso solo
lontanamente capire l'imbarazzo che ti ho creato, e mi dispiace, ma è per questo che sono dovuta scappare il più lontano
possibile…
Ino
Mi sollevai dal letto, e uscii dalla camera, seguii con il cuore
impazzito la scia di sangue vivo che era impressa sul pavimento della mia
camera, passai la cucina; pochi gradini e l'aria mi colpì
come pugno. Istintivamente mi strinsi fra le mie braccia per ripararmi, ma
qualcuno da dietro mi posò una coperta sulle spalle.
“Ti avevo detto di non sporcare” dissi.
“Lo so, ma non l'ho fatto apposta” rispose.
“Shikamaru” dissi mentre mi stringeva a
sé incominciando a baciarmi il collo, spostandomi i capelli sulla spalla
sinistra.
“Non è colpa mia se mi hanno sparato quei poliziotti!” mi disse.
“Lo so, lo so, è solo che la barca non
è nostra” risposi.
“Ino, non credo che restituiremo mai questa barca”
“Shika, cosa siamo diventati?”
“Ladri” mi rispose, semplicemente.
“Prima la rapina in banca, poi la barca su cui siamo ora” dissi
amaramente.
“Non c'era altro modo per arrivare fino in Australia” cercò di
spiegarmi per l'ennesima volta.
“Mi dispiace averti ferito” gli dissi.
“Ti ho chiesto io di farlo” .
“Lo so. Ed è' stato davvero un piano
brillante. Io che ti abbandono sull'altare, tu che disperato
scompari. Chi mai il giorno che viene
abbandonato sull'altare andrebbe a rapinare una banca?
La lettera che i miei hanno trovato indirizzata a te, in
cui ti spiego che ti amo troppo e che per questo devo scappare. Nessuno potrà mai
ricollegarci a quel furto in banca. Ora siamo davvero liberi”
gli dissi.
“La morte rende liberi”
“O schiavi” aggiungo alla sua frase.
“Che senso avrebbe avuto restare a Konoha?” mi chiese.
“Nessuno” semplice fu la mia risposta.
“Dopo la morte di Asuma
e quella di Choji, e poi quella di Sakura…che senso
aveva restare?” ritornò a chiedermi.
“Nessuno” risposi nuovamente.
“Sasuke come Hokage…si
è preso quel titolo con la forza. Ha dovuto ferire a morte Naruto...” disse interrompendosi quando la
rabbia e la frustrazione divennero troppe.
“Shika, calmati, non ne vale la pena.
Un giorno torneremo, ma non ora. Ora basta fingere, ora basta
mentire, ora basta nascondersi. Io voglio te, io voglio una famiglia con te,
voglio dei figli, voglio uno vita normale, niente più
missioni pericolose, niente più lotte fra amici, solo pace e calma. Voglio un
lavoro, voglio rientrare a casa la sera e ti voglio trovare impegnato
mentre giochi con i nostri bambini, voglio vederti sorridere di nuovo.
Ora…c'è solo il futuro” dissi mentre gli prendevo una
mano e la portavo sul mio ventre.
Sentii le sue labbra incurvarsi in un sorriso sulla mia pelle.
Molte donne non hanno potuto averti. Ma io non sono molte donne: Io sono Ino Nara.
Finita! Chiedo scusa a tutte le vere Shika/Ino,
ma ci ho provato, spero che siano abbastanza in carachter.
Shika/Ino comunque
e sempre: “The night is white!”