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Autore: lilyhachi    15/04/2014    3 recensioni
(Post terza stagione; nessun collegamento con la quarta stagione)
Madison era rotta, come un oggetto di vetro, i cui pezzi erano sparsi chissà dove, eppure Derek non sembrava da meno, solo che nessuno dei due era in grado di vedere le rispettive incrinature.
Derek Hale era spezzato. Tutto il suo dolore era accompagnato da una bellezza suggestiva in grado di annullare tutte quelle scosse che sembravano martoriare il suo sguardo rigido. Tutta la sua sofferenza era perfettamente modellata, come fosse creta, per far in modo che non ci fossero crepe, così da impedire al più flebile spiraglio di luce di entrare. Tutti i suoi tormenti erano pericolosamente allineati come le tessere del domino, e anche il minimo fruscio avrebbe potuto segnare una reazione a catena irreversibile. Da lontano, sembrava tutto in ordine, ma bastava avvicinarsi per riconoscere quelle piccole imperfezioni che lo rendevano rotto…splendidamente rotto.
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Derek Hale, Nuovo personaggio, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I

Heartbeats


“Eyes make their peace in difficulties with wounded lips and salted cheeks.
And finally we step to leave to the departure lounge of disbelief.
And I don’t know where I’m going but I know it’s gonna be a long time.
And I’ll be leaving in the morning, come the white wine bitter sunlight”.
(Ellie Goulding – Beating heart)
 
Odore acre di sudore e di alcool.
Aria così satura che a tratti le sembrava di non respirare.
Luci ad intermittenza che quasi facevano venire il mal di testa.
Musica a palla che le impediva di sentire i suoi stessi pensieri.
Il Wolf’s Strett non era esattamente il tipo di locale in cui Madison avrebbe voluto passare la serata ma quando un’amica aveva bisogno di aiuto non riusciva proprio a tirarsi indietro.
Madison Nolan era più una persona da caffetteria e cappuccino con panna, e il suo lavoro ne era la prova, ma per una sera poteva sicuramente fare un’eccezione.
Pulì l’ultimo bicchiere con uno strofinaccio, mentre Lana le sfrecciò accanto come una trottola per servire i due clienti al bancone con un sorriso coinvolgente sulle labbra. Le ritornò accanto, emettendo uno sbuffo e gettandosi una ciocca di capelli neri dietro l’orecchio per poi buttarle le braccia al collo.
“Madison, sei la migliore!”, urlò, rischiando di farla diventare sorda. “Grazie per aver accettato di darmi una mano…il venerdì qui la situazione è tragica!”.
“Tranquilla, Lana”, la rassicurò, riponendo il bicchiere e lo straccio. “Per te posso sicuramente sopportare un posto simile”.
Ed era indubbiamente vero. Per la sua migliore amica poteva farlo, eccome.
Lana era come la sorella che non aveva mai avuto, la cui presenza l’aveva sempre accompagnata in tutti quegli anni senza mai abbandonarla neanche una volta.
Erano sempre state due amiche con il sogno di partire per andare lontano, e lo avevano realizzato, frequentando lo stesso college e passando il tempo insieme.
Avevano lasciato Beacon Hills per trovare qualcosa di più. Avevano trovato in Berkeley quell’aria di novità che tanto avevano cercato, quell’aria di serenità che forse le avrebbe indirizzate verso un futuro migliore di quello che avrebbero avuto rimanendo nella loro città natale. Inizialmente, Madison proprio non se la sentiva di lasciare i suoi nonni da soli che per ventidue anni di vita l’avevano accudita come fosse figlia loro. Avevano sostituito la madre che non aveva mai avuto tempo di conoscere e quel padre che aveva deciso di lavarsene le mani del fagotto che la mamma aveva tra le braccia, vivendo tranquillo e ignorando una figlia che non aveva voluto riconoscere come tale. Perché lui e sua madre avevano soltanto sedici anni, erano troppo giovani e lui non poteva gestire una bambina. Doveva finire il liceo, prendersi la sua laurea in economia e andare via, sua madre era soltanto un ostacolo, e nella sua tabella di marcia non potevano esserci problemi di questo genere…e così fece. Madison non aveva nulla di suo padre, neanche un nome, ma era meglio così, forse perché sapeva sarebbe stato inutile. I suoi nonni le avevano raccontato solo questa breve storia e lei, per qualche strano motivo, non aveva voluto saperne di più. Si girò verso Lana, sorridendo. La loro differenza di personalità era rimasta intatta nel corso degli anni e si notava tranquillamente dall’ambiente di lavoro: Lana faceva la cameriera in uno dei locali notturni più gettonati della zona per pagarsi il college, Madison lavorava in una caffetteria non molto lontana dall’università. A vederla, nessuno avrebbe mai pensato che Lana studiava per diventare avvocato, mentre lei aveva una passione viscerale per l’archeologia, cosa che, a detta dei suoi nonni, aveva ereditato da sua madre. Lana adorava divertirsi e andare in giro per locali, era selvaggia e impulsiva con un sorriso sulla labbra che non mancava mai e con una vitalità capace di rallegrare chiunque.
Il suo carattere era solo uno dei tanti motivi che spingeva Madison a volerle bene e a ringraziare il cielo di avere un’amica come lei: forte abbastanza per entrambe e leale come nessun altro. Lana versò un po’ di vodka in due bicchieri e gliene offrì uno.
“A noi”, esclamò, rivolgendole una di quelle espressioni gioiose che solo lei sapeva sfoggiare.
Seppur riluttante all’odore fin troppo forte di alcool, Madison alzò il bicchiere e assecondò il suo brindisi, ripetendo a sé stessa che, in fin dei conti, era solo vodka.
Il bruciore le faceva sempre lo stesso effetto spiacevole, portandola a contrarre il viso in una smorfia mentre un leggero calore percorreva tutta la sua gola e Lana sorrideva divertita.
L’arrivo di altri clienti le costrinse ad interrompere quella scenetta assurda che soltanto loro erano in grado di mettere su, così si concentrò sui drink da preparare.
Dopo aver servito gli altri clienti, Madison approfittò del fatto che fossero tutti in pista per gettare un’occhiata alla sala: la musica era praticamente assordante e tutti erano ammassati gli uni sugli altri, saltando e muovendosi a ritmo di musica.
Madison si sentiva fuori luogo, ma il fatto di trovarsi dietro al bancone compensava il tutto, come se fosse protetta, come se fosse un’entità a parte che non era compresa nella scena.
Era dietro al sipario, a guardare ciò che accadeva da dietro le quinte, con indosso i jeans e una semplice camicetta rossa a quadri. Sembrava una perfetta barista, a dirla tutta. Ad un tratto, Lana le rifilò una leggera gomitata, richiamandola.
“Ehi”, cominciò, facendosi vicina a lei come per non farsi sentire da altri. “Ho visto qualcosa che ha sicuramente attirato la mia attenzione”.
Madison seguì il suo sguardo incatenato a tre figure sedute ad un tavolino: erano due ragazzi, o meglio due uomini, di cui uno le dava le spalle, e una ragazza. La sua visuale le concedeva di vedere soltanto uno dei tre, che avrebbe dovuto avere almeno intorno ai trenta anni. Madison si voltò un attimo verso Lana che lo osservava quasi rapita e un sorriso divertito le spuntò sul viso, mentre scuoteva il capo in segno di dissenso.
Aveva la carnagione chiara, i capelli castani e la barba perfettamente curata lo faceva sembrare quasi un uomo d’affari. Nonostante fosse evidente un uomo maturo, riusciva a mimetizzarsi perfettamente nell’ambiente, guardandosi attorno con un aria fintamente distratta mentre gli occhi azzurri esaminavano l’ambiente che lo circondava. Era vestito in maniera molto semplice e sorrise parlando con i suoi interlocutori di cui Madison poteva vedere solo le schiene. Intanto, Lana continuava a guardarlo con aria interessata.
“Fusto”, esclamò in maniera così chiara e diretta che le fece alzare gli occhi al cielo.
Madison si prese qualche istante per osservarlo meglio e poté decretare con estrema facilità che quello non rispecchiava affatto un tipo interessante per lei, nonostante il fascino che sicuramente lo caratterizzava. Il suo fascino poteva essere classificato  “ipnotico”, come le sue movenze, il modo in cui muoveva le mani allo stesso tempo delle labbra che stavano pronunciando chissà quali frasi. Sembrava stesse dicendo qualcosa di interessante, dato che il suo amico era immobile ad ascoltarlo, anche se Madison non poteva guardarlo in viso.
Un serpente, ecco cosa le sembrava quello sconosciuto. Era un serpente che distraeva con i suoi modi di fare magnetici, in attesa di stoccare il colpo finale alla persona ignara che gli stava di fronte, senza avere la minima idea di cosa gli stesse per accadere.
Madison scosse la testa, mettendo da parte quei vaneggiamenti assurdi…quel lavoro da cameriera non faceva bene ai suoi viaggi mentali, portandola ad osservare minuziosamente i clienti che le passavano di fronte. In fin dei conti, le piaceva stare lì a scrutare le persone…era più interessante scandagliare l’animo degli altri che di sé stessa.
Lana sbuffò sonoramente quando vide di dover servire dei clienti e quindi interrompere la sua opera di ammirazione totale e devota di un tizio senza nome.
Madison trattene una risata e continuò il suo lavoro, scuotendo la testa.
“Una vodka con ghiaccio, un whisky e una soda, per favore”.
Madison fermò ciò che stava facendo, mentre una lampadina sembrava accendersi improvvisamente nella sua testa, dopo troppi minuti passati nel buio totale.
Sollevò leggermente lo sguardo, riconoscendo quella voce e con esso anche il suo proprietario che aveva spostato lo sguardo sul resto del locale con aria un po’ annoiata, come se si sentisse un pesce fuor d’acqua per nulla adatto a quell’ambiente.
Ricordò il post it giallo che aveva buttato da qualche parte dopo che i danni alla sua macchina erano stati ampliamente riparati: fra tanti posti, Derek Hale doveva trovarsi proprio al Wolf’s Street.
Derek Hale. Quel Derek Hale che aveva vissuto nella sua città natale, quel Derek Hale che aveva visto da bambina e che aveva frequentato il suo liceo per qualche anno, quel Derek Hale la cui famiglia era bruciata in un incendio che aveva allarmato tutta la città.
Madison bloccò la smorfia in procinto di nascere sul suo viso e si affrettò a servirlo, facendo finta di nulla, mentre una vocina dentro di lei si chiedeva se l’avrebbe riconosciuta o meno.
Mentre lei aveva fatto tutto ciò, Derek aveva tenuto lo sguardo altrove, permettendo a Madison di osservarlo e fare la differenza con la mattina in cui l’aveva visto alla caffetteria.
Una maglietta nera gli fasciava perfettamente i muscoli ben definiti.
Il volto era più disteso e meno stanco da come le era apparso quel giorno, senza occhiaie o segni di spossatezza, mentre la leggera barba era sempre impeccabile.
Derek frullava le ciglia mentre gli occhi si spostavano dal portafoglio in pelle marrone che aveva fra le mani e il tavolo dove era seduto, senza soffermarsi sulla figura dinanzi a lui.
“Ecco a te”, esclamò Madison, poggiando i bicchieri sul bancone, mentre lui alzava il volto di scatto con ancora i soldi fra le mani, ridestandosi.
Derek sollevò lo sguardo e alzò un sopracciglio, mostrando quello che secondo la sua mimica facciale poteva essere classificato come un sorriso, ma che sembrava più una smorfia sorpresa.
“Tu”, disse Derek con un tono di voce rassegnato, guardando il suo interlocutore.
“Il mondo è piccolo a quanto pare”, scherzò Madison, poggiando i gomiti sulla superficie del bancone, laccata di rosso, in tinta con la camicetta che indossava quel giorno.
“Hai intenzione di perseguitarmi, per caso?”, domandò lui, mostrandosi stufo.
Madison rizzò subito la schiena, guardandolo torva e chiedendosi se stesse scherzando o facesse sul serio, mentre la voglia di gettargli la vodka addosso si faceva prominente.
“Fino a prova contraria, sei venuto tu da queste parti”, lo contrastò lei, incrociando le braccia con aria di superiorità. “Io qui ci lavoro, magari sei tu a perseguitarmi”.
“Credimi, ho di meglio da fare…”, la guardò disorientato come se stesse cercando di ricordare qualcosa per completare la frase, precisamente qualcosa come il suo nome.
“Madison”, continuò lei, cercando di non far trapelare il leggero fastidio che aveva iniziato a farsi sentire, a partire dallo stomaco fino a risalire verso la gola. “Credevo ricordassi il nome di quella che ti ha spillato i soldi per riparare la propria macchina”.
Quello che Madison non sapeva, era che a Derek non era sfuggito nulla, cosa che lo portò a sorridere, ma lei era troppo impegnata a cercare di controllarsi per notarlo.
“Ah, Nolan”, dichiarò Derek, fingendo di ricordare un nome che, in realtà, non aveva dimenticato, perché ancora scritto su quel foglietto bianco e stropicciato. “Sai, cercavo di rimuovere quell’evento spiacevole dalla mia testa…unicorni compresi”.
Derek aveva buttato il foglio, non prima di averlo osservato un’ultima volta, ma giaceva ancora nella sua mente, con quella calligrafia così piccola e confusa da costringere un insegnante a prendere appuntamento con un oculista.
“Non hai nulla di meglio da fare?”, chiese lei leggermente irritata. “Come tornare dal tuo ragazzo?”.
Derek sgranò gli occhi, quasi spaventato dall’insinuazione che Madison aveva appena fatto, e scosse la testa, come disgustato per ciò che le sue orecchie avevano udito.
“Io sono suo zio e quella è sua sorella”, quello che Madison aveva classificato come “serpente”, si intromise, afferrando il bicchiere che conteneva il whisky per portarselo alle labbra, ma non prima di averlo alzato verso di lei, come per ringraziarla. “Grazie, bellezza!”.
Madison spostò lo sguardo da lui all’uomo che sembrava troppo giovane per fargli da zio, e la ragazza in loro compagnia, impegnata a parlare con altre persone, con un’espressione decisamente confusa. Lo osservò leggermente sorpresa, mentre l’uomo la guardava con una nota curiosa e vagamente interessata sul viso.
“Non bastano i soldi che mi hai spillato per la macchina?”, domandò Derek, ripetendo le sue stesse parole di prima. “Adesso devo anche darti la mancia?”.
Madison lo fulminò, incassando quella stilettata che il signor Derek “ce l’ho ancora con te per avermi fatto frenare all’improvviso” Hale le aveva appena donato, e decise di rispondere in maniera altrettanto diretta ma con più stile.
Quando Derek fece per pagare i drink, la ragazza lo fermò subito.
Nonostante le avesse rovinato la macchina, motivo valido per far parte della sua lista nera, si sentì costretta a riconoscere che poteva concedergli quei drink gratis, ma soltanto quelli e giusto per dimostrarsi più buona di quanto potesse sembrare.
“Questi li offre la casa”, disse con convinzione, spingendo in avanti il suo bicchiere.
“Stavo scherzando, sul serio”, ribatté Derek con una voce che si era fatta un po’ più seria e quasi…mortificata? Cosa aveva da dispiacersi, poi?
Madison non rispose ed emise un sospiro annoiato, per poi spostare nuovamente il bicchiere verso di lui, cercando di fargli intendere che non aveva alcuna intenzione di cambiare idea, così Derek afferrò il bicchiere, rassegnato.
Madison cercò con tutte le sue forze di non esibire un sorriso vittorioso.
“Ah, io sono Peter!”, intervenne l’altro, beccandosi uno sguardo seccato di Derek.
Madison sorrise a quell’uscita improvvisa di Peter, poiché sembrava proprio che non gradisse quando qualcuno lo ignorava chiaramente, come avevano fatto loro.
Derek la fissò per qualche secondo che sembrò durare ore ed ore interminabili, annullando la musica e tutto l’ambiente intorno, mentre quegli occhi verdi scandagliavano il suo volto stanco, chiedendosi forse il motivo di quel moto di gentilezza.
Aveva lo stesso sguardo di qualche mattina fa.
Madison sostenne quello sguardo, fin quando non venne richiamata da Lana, che stava tornando dalla parte opposta del bancone con dei bicchieri vuoti fra le mani.
L’amica notò subito Peter che ricambiò la sua occhiata a dir poco coinvolta, mentre Derek alzava gli occhi al cielo, per nulla interessato ad assistere alle esibizioni di suo zio.
Il ragazzo gli diede un colpetto sul gomito, richiamandolo all’ordine, così Peter dopo avergli rivolto un sorrisetto sardonico e un occhiolino sia a lei che a Lana, si allontanò.
Derek poggiò il bicchiere sul bancone, per poi rivolgere un cenno con il capo a Madison, lasciandosi distrarre dal sorriso leggermente imbarazzato che lei gli rivolse in saluto.
Avrebbe voluto sorriderle, ma qualcosa lo aveva fermato, forse l’istinto di autoconservazione che gli era rimasto dopo quell'ultimo evento che aveva reso la sua vita ancora più cupa di quanto non fosse già. Quello strano e spiacevole evento portava il nome di Jennifer Blake".
Madison lo osservò mentre usciva dal locale, con suo zio accanto, ancora leggermente stonata per quello strano secondo incontro che sembrava averle lasciato una sorta di inquietudine nell’animo, e senza farle staccare gli occhi dalla sua figura.
“Tu conosci il fusto?”, la domanda meravigliata di Lana le giunse alle orecchie come la campanella del liceo che segnava la fine delle lezioni, ma in quel caso sembrava indicare più la fine dei pensieri strani e incondizionatamente rivolti ad un mezzo sconosciuto.
Madison si abbandonò ad un sospiro e si voltò, pronta non soltanto a finire quella nottata ma anche a rivelare a Lana con chi avevano appena avuto a che fare.
 
Nadia fece un profondo respiro, cercando con tutta sé stessa di scacciare quel dolore che era ancora impresso completamente nelle sue membra, come marchiato a fuoco.
Riusciva a malapena a reggersi in piedi ma non aveva alcuna importanza, avrebbe tenuto duro perché era quello che faceva da una vita.
Non avrebbe permesso che quel bugiardo, quel mostro, mettesse le mani sull’unica cosa preziosa che le era stata donata.
Volse un ultimo sguardo al suo appartamento, giusto per ricordarlo così com’era, rammentando anche tutto il tempo che aveva passato al suo interno e poi guardò i suoi genitori.
Jonathan e Thiana Blanchard erano in piedi nel salotto di quell’appartamento piccolo e accogliente, osservando con espressione preoccupata ciò che la donna stringeva spasmodicamente tra le dita.
Nadia si avvicinò ai due, attirando la loro attenzione: aveva ancora il viso pallido e sconvolto , mentre le pupille erano leggermente dilatate e il petto si alzava e si abbassava freneticamente.
Sua madre, Thiana, poteva dire con certezza di non aver mai visto sua figlia così sconvolta, ma sapeva, così come suo marito, il motivo che le aveva causato tanta agitazione.
Si specchiava in quegli occhi verdi, che sapevano di ricordi felici: le rammentavano il verde dell’erba perfettamente curata in cui Nadia si rotolava da bambina, inseguita da suo padre mentre lei li osservava con un sorriso beato in viso.
Mai come in quel momento, Thiana capì la futilità della vita umana. Ogni cosa poteva esserle strappata da un momento all’altro, senza neanche il tempo di realizzare se stesse accadendo davvero e senza il tempo necessario per dire addio.
Stava perdendo sua figlia e non poteva far altro che guardarla.
“Partite, oggi stesso”, disse, mantenendo un tono calmo, per quanto le fosse possibile e porgendo loro una boccetta dal contenuto sconosciuto. “Questo vi aiuterà a non farvi rintracciare”.
Suo padre, Jonathan, si stava sforzando per assorbire le parole di sua figlia una ad una, chiedendosi perché dovesse capitare proprio a loro. Perché la sua unica figlia stava pregando loro di fuggire, consegnando loro la sua bambina, sapendo di non poterla più rivedere?
“Nadia”, tentò l’uomo, facendo un passo avanti ma la ragazza si ritrasse, con gli occhi colmi di lacrime e un’espressione contrita sul suo bel viso oscurato da quella notte tetra.
“Mi dispiace”, sussurrò lei, udendo la sua voce spezzarsi al pensiero di dover rinunciare alla sua famiglia per una sua azione, alla quale era troppo tardi per porre rimedio. “Vi voglio bene, e ne voglio anche a Madison…prendetevene cura come fosse vostra, so che sarete perfetti. Adesso dovete andare, l’effetto non durerà ancora per molto…il tempo sta finendo”.
I due coniugi si scambiarono un ultimo sguardo preoccupato, ammirando per l’ultima volta la loro unica figlia che li fissava con insistenza e timore.
Nadia avrebbe tanto voluto abbracciarli ma non poteva: quello doveva essere un addio silenzioso, fatto solo di sguardi malinconici e parole sussurrate. Nessuna stretta di mano, nessun abbraccio, nessun contatto…perché in quel caso, anche il più semplice sfioramento poteva essere fatale.
Quella fu l’ultima volta che i signori Blanchard videro la loro unica figlia, la quale, dopo aver aspettato che fossero andati via, si sedette sul divano, in attesa.
La bocca era ridotta ad una linea dura e sottile, gli occhi stanchi rimasero fissi sulla parete dinanzi a lei, mentre il suo volto non mostrava alcun segno di confusione o scompiglio.
Nadia era certa di ciò che aveva fatto e di ciò che sarebbe successo, ma questo non la turbava e nessun senso la ingannava: il battito del suo cuore era perfettamente calmo.
In realtà, si stava arrendendo…non avrebbe combattuto.
Semplicemente attese, fin quando un rumore familiare la costrinse a voltarsi.
“Sapevo che ti avrei trovata qui”, sibilò quella voce che conosceva bene, tanto che era in grado di cogliere ogni sua sfumatura…e sapeva che in quel caso, racchiudeva rabbia e frustrazione, miste ad una leggera ironia.
“E’ tardi”, rispose Nadia, riportando lo sguardo sulla parete tinta di rosso, evitando gli occhi azzurri che l’avevano tratta in inganno fin dal primo momento.
“Oh, io non credo”, la sua voce aveva assunto una sfumatura diretta: più arrogante e consapevole, quasi vittoriosa, come se gli sforzi di Nadia non fossero serviti proprio a niente, pensiero che portò la ragazza a tremare leggermente.
Quella fu l’ultima cosa che udì, dopodiché per Nadia ci fu solo una voragine oscura.
 


Angolo dell’autrice
 
Eccomi qui con il secondo capitolo, puntuale e senza alcun giorno di ritardo. Giuro che non l’avrei mai detto! Il capitolo era scritto ma a causa di un cambiamento improvviso nell’impostazione della storia, ho dovuto rivederlo, quindi non ero sicura di farcela. La storia sarà incentrata non soltanto su Derek e Madison ma anche sui nostri amati adolescenti di Beacon Hills, che appariranno più avanti. Intanto, in questo primo capitolo, vediamo Derek che per un qualche scherzo del destino incontra nuovamente Madison e spero di aver reso Derek abbastanza IC, poiché ho paura ad ogni parola che scrivo. So che forse l’immagine di Derek, Peter e Cora che vanno a bere una cosa insieme può essere abbastanza surreale, ma (per come la vedo io) ci può stare, soprattutto se Derek e Cora si coalizzano contro il loro zio preferito, mandandogli frecciatine. Infine, c’è questo stralcio passato della madre di Madison che la lascia ai suoi nonni per un motivo…secondo voi perché? Direi che questo è quanto, almeno per ora. Grazie a tutti, come sempre!
Alla prossima, un abbraccio!
   
 
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