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Autore: Some kind of sociopath    16/04/2014    2 recensioni
Anno 1769: Haytham E. Kenway, dopo il suicidio dell'amico Jim Holden e la morte della sorella Jenny è tornato a Boston alla ricerca di Tiio. Lei è sopravvissuta all'incendio del villaggio, nonostante il figlio non lo sappia, e Haytham ha intenzione di ricucire la sua famiglia, quella che non è riuscito ad avere nella propria gioventù. Ma non ha messo in conto gli altri Templari, il suo vecchio Gran Maestro Reginald Birch e la piccola e fastidiosissima Confraternita degli Assassini...
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Il testo dei primi due capitoli è stato rivisto e modificato. Mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate al riguardo e quale "versione" preferite, ;)
 
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Achille Davenport, Altro personaggio, Connor Kenway, Haytham Kenway
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Da ex-soldato posso dire che non esiste risveglio peggiore del caos della battaglia. Alzarsi di scatto con gli occhi ancora incollati dal sonno, perché si è stati così sfortunati da addormentarsi proprio in quel momento, afferrare il fucile più vicino, sollevarsi i pantaloni e affondare la baionetta in qualunque cosa si muova, dato che magari i nemici sono già nell’accampamento e forse hanno già ammazzato l’uomo accanto al quale si stava dormendo. Spesso qualcuno uccide un compagno, altre volte si viene uccisi non appena si aprono gli occhi, succede. È la guerra.
Dal giorno dopo le battaglie, il venti aprile del 1775, fu una frase che sentii troppe volte. È la guerra, è la guerra. Qualcuno muore? È la guerra. Il raccolto è scarso? È la guerra. Il camino esplode e una casa brucia completamente? È la guerra. Sempre colpa della guerra. Ciò che odiavo di più era sentire quelle parole in bocca a Connor, che non aveva mai vissuto una guerra e non poteva sapere come fosse.
Quando arrivò non sapevo se ringraziare Minerva e Giunone o darmi un pugno in testa per la mia idiozia. Avrei preferito non salvarlo.
Robert Newman mi svegliò strillando come un ossesso, affacciato alla finestra della torre campanaria. – Sono tornati! Signor Kenway, svegliatevi, sono tornati! E c’è anche il signor Revere!
Ma che gioia. Grugnendo, mi puntellai sui gomiti e mi alzai: ero steso sul davanzale del lato nord della chiesa mentre Newman saltellava su e giù per la stanzetta infilandosi gli stivali e il cappello. – Dio, il signor Revere è stato liberato! Rendiamo grazie!
Sospirando, lanciai un’occhiata lungo la strada. Connor avanzava verso la chiesa su un cavallo affiancato da Paul Revere e William Dawes, manco fosse Gesù Cristo accolto a Gerusalemme. Disgustoso. Il giovane sagrestano uscì a tutta velocità dalla chiesa, come un topolino eccitato, e stropicciò il cappello tra le mani mentre Revere scivolava giù da cavallo quasi a passo di danza. Connor si limitò a stringergli la mano, sorpassandolo e varcando la soglia della Christ Church con ampie falcate. Aveva vinto e stava cercando me. E, in quello stesso istante, ricordai cosa era davvero andato a fare a Lexington e Concord.
Mi trovò là, seduto sul davanzale con aria scioccata, incapace di dire qualsiasi cosa. – Haytham – esclamò serio. Partecipa a due battaglie e chissà chi crede di essere.
Mi voltai a guardarlo con tanto d’occhi. – L’hai ucciso? – chiesi piano. No, non doveva ucciderlo. Perché non ero andato con lui, perché dovevo sempre svenire nei momenti sbagliati? Cazzo.
– Non ce l’ho fatta – mugugnò senza espressione. – Ma i patrioti hanno vinto e John Pitcairn s’è ritirato con l’esercito. Un passo avanti.
Sogghignai, sollevato. – E quanti ne sono morti?
– Una cinquantina. Nemmeno troppi. – Il suo sguardo sembrava ancora più duro dell’ultima volta che l’avevo visto. – Haytham, è ufficiale. Gli strilloni hanno già diffuso la notizia. Siamo in guerra. Le colonie vogliono l’indipendenza e io darò una mano.
– Auguri. È una causa persa.
Alzò gli occhi al cielo, sollevando le mani. Per te sono tutte cause perse.
– Non è vero. Le cause perse sono quelle prive di qualsiasi realismo. Da’ la libertà ai coloni e la toglierai a qualcun altro. L’uomo non è fatto per la pace. – Sono il più grande idiota che sia mai esistito. Nella mia prossima vita, se mai ce ne sarà una, giuro di non avere mai contatti con un Assassino. Parola del signorino Haytham E. Kenway. – Sai, credo che un morto se ne sarebbe accorto da più tempo di te.
Il ragazzo scrollò le spalle. – Dipende da quand’è morto.
– Fai del sarcasmo?
– Perché, è vietato?
– Va’ in battaglia più spesso, ti fa bene – replicai gelido. Quei due giorni in compagnia dei Figli della Libertà parevano oro in confronto alla prospettiva di chissà quanti mesi di stressante collaborazione con gli Assassini. – A dimostrazione di quanto dicevo prima, hai combattuto per due giorni senza ottenere nulla. E poi dimmi che non è una causa persa.
Scivolai giù dal davanzale e stirai la redingote con una mano, passandogli accanto. – Allora, ragazzo? – chiesi con un sorrisetto impertinente. – Quale sarà la tua prossima mossa?
Mi seguì con lo sguardo, la stessa emozione di un ciocco di legno. – Qualunque cosa possa aiutare George Washington.
Gli voltai le spalle, ricordando il mio ultimo incontro con lui. Mi aveva guardato dall’alto in basso, lo sguardo che parlava per lui. “So chi sei e cos’hai fatto”, sembrava dire. “Sei un traditore della peggiore specie, hai ucciso il tuo tenente colonnello assieme ad una donna indiana, tutto solo per te stesso. Un maledetto bastardo, ecco cosa sei, e per quanto tu mi sia contro devi ricordarti che sono il Comandante in Capo di un esercito. Uno schiocco delle mie dita e centinaia di uomini ti punteranno contro le armi.”
Sospirai. – Bene. Sappi che non sarò dalla tua parte, allora. – Aprii la porta che portava di sotto e feci per scendere le scale.
– Che significa? – sussurrò tenendo la porta aperta dietro le mie spalle.
– Significa che non avrai il mio appoggio – dissi semplicemente, voltandomi a guardarlo. – Non ne hai bisogno, giusto? Hai la tua Confraternita. E poi non è una causa persa.
Tenne gli occhi fissi nei miei, due fessure traboccanti rabbia. – Non ho mai avuto il tuo appoggio – ringhiò. – Smettila di tirare in ballo il fatto che Washington abbia dato fuoco al mio villaggio. – Perché tanto non ci credi nemmeno, giusto? – Tu non vuoi aiutarlo perché vuoi il potere su questa terra.
Scossi la testa. – Sei incredibilmente stupido. Quell’uomo mi odia. – Ridacchiai. – Sai, Connor, in un certo senso sono stato io a spianargli la strada per il comando dell’esercito. Ho ucciso il suo diretto superiore, il tenente colonnello Braddock. Assieme a tua madre, per la cronaca. – Il suo sguardo si fece sospettoso. – Ho fatto in modo che prendesse il posto di Edward, che avanzasse nella gerarchia militare.
Lui scrollò le spalle con noncuranza. – Potevi evitare di ucciderlo.
– Oh, certo. Così tua madre avrebbe lavorato come schiava in una piantagione e Connor, il difensore del primo imbecille che gli passa davanti al naso dicendo di aver subito chissà quale grande ingiustizia, non sarebbe nemmeno nato. Sarebbe stato un bel mondo, in un certo senso.
– Smettila. – Passò accanto a me e fece per darmi una spallata, che evitai scostandomi appena. Cercava di usare i trucchi con un maestro, il ragazzino. – Ucciderò John Pitcairn, se sarà necessario. Sappilo, Haytham.
Lo presi per il cappuccio della giubba da Assassino, tirandolo indietro e rischiando di soffocarlo. – Tu non ucciderai nessuno – esclamai spingendolo contro il muro. – I patrioti sono senza speranza in qualsiasi caso.
– Però non puoi agire a favore della Corona. – Sospirò. – Sei ad un punto morto anche tu, vedo.
– Quindi ammetti di essere ad un punto morto?
– Non ho detto questo.
Feci spallucce con un mezzo sorriso. – Non aiuterò te e Washington, se è questo che vuoi sapere. E non aiuterò la Corona.
Mi guardò con aria di sfida. – Allora cosa vuoi fare?
– Oh, ho una mezza idea. – Con un gran sorriso, gli diedi una spintarella e scesi le scale due gradini alla volta. Avevo un lavoro da fare. 

Stavo slegando un cavallo fuori da una locanda quando Connor venne a farmi visita con i Figli della Libertà. – Dove stai andando?
Sbuffai. – A New York – risposi montando in sella. – Vuoi venire con me?
Indicò Paul Revere con un cenno della testa. – Ho un po’ da fare. E perché a New York?
Scrollai le spalle. – Qui non ho niente da fare, non ti sarei utile.
– Sì, e a chi saresti utile a New York? Ai… – si diede un colpetto sulla testa – …nostri amici?
Sogghignai, tirando le redini del cavallo che sembrava decisamente più ansioso di me di andarsene da quel posto. Non si era ancora reso conto di quanto fosse fortunato, dato che Giunone aveva piantato i paletti della tenda dentro la mia, di testa. – Ci vediamo – risposi ambiguo. – Presto.
Incrociò le braccia e mi guardò affondare i talloni nei fianchi del cavallo senza dire una parola, statico come sempre, la bocca stesa in una linea dritta ed inespressiva. Non lo sopportavo. Non volevo che si gettasse ai miei piedi implorando un abbraccio, ma sarebbe stato più normale. Almeno salutarmi.
La locanda era già lontana quando mi voltai, e Connor era sparito.
 
Seduto nel bel mezzo del nulla, chiunque avrebbe potuto scambiarmi per un malvivente. Magari il fuoco avrebbe attirato qualche aragosta o animali in cerca di cibo, ma era l’ultimo dei miei problemi. Avevo troppo freddo per restare senza fuoco in piena notte. Il cavallo, legato al ramo di un albero, emetteva piccole nuvole di condensa dal naso ogni volta che respirava. Faceva un freddo maledetto, per essere aprile. – Sapete che ho un piano? – sussurrai, stretto nella mia redingote e con le gambe tese accanto al fuoco per ricevere quanto più calore possibile. – Ehi, dico a voi. Cos’è, siete sempre pronte a darmi fastidio ma disdegnate una banale conversazione? Sto solo cercando di essere amichevole.
– Umpf. – Giunone continuava a rivolgersi a me con quel tono di sufficienza, come se stare nella mia testa gli facesse schifo. Poteva benissimo tornare dal suo Assassino, nessun problema. – Sei solo irritante, servo della Croce. Noi abbiamo fatto il possibile per te. Ora devi fare la tua parte. Da solo.
Aggrottai la fronte, lanciando uno sguardo confuso verso il cielo. – Che vuoi dire?
– Abbiamo protetto tuo figlio durante la battaglia. Ciò che volevi. Ora, un riscatto.
– Giunone! – Minerva, chissà perché, era sempre pronta a fermare l’altra, specie quando cominciava a parlare in quel modo. Ci capivo meno di prima e mi pentivo ogni volta che provavo ad aprire un dialogo con quelle due inquiline. Però, insomma, se dovevano vivere nella mia testa senza nemmeno pagare l’affitto, tanto valeva farlo per bene. – Non dobbiamo parlarne. Lo sai.
Agitai una mano in aria. – Ah, fate pure – grugnii. – Io non sono qui. Va tutto benissimo.
Minerva sbuffò. – Chiudi il becco, dannato idiota.
– Sempre gentile. – Quelle due non erano certo le migliori coinquiline di sempre, ma che avrei dovuto fare? La solitudine gioca brutti scherzi. – Dicevo, ho un piano.
Dio, ma con chi credi di parlare, con tuo padre? Questa non era né Minerva né Giunone, solo una vocina nella mia testa, forse l’ultima parte di me rimasta mentalmente sana. A queste due non frega niente del tuo piano. Sai cosa fare, no? Che ti importa di loro? Ti senti solo e hai bisogno di compagnia? Certo che sei un bel controsenso, tu. Reginald poteva darti tutta la compagnia che vuoi e…
Zittii quell’esserino con la sola forza di volontà, mollandomi uno schiaffo sulla fronte. – Chiudi il becco. Sto diventando pazzo.
– Allora parti avvantaggiato. Tutti impazziscono prima di finire sulla forca.
Trasalii, e quando alzai la testa di scatto per poco non l’infilzai sulla punta di una baionetta. – Dio! – sibilai, percorrendo il fucile con lo sguardo. Era retto da una mano pallida e tozza, infilata a sua volta in un polsino bianco chiuso da dei bottoni familiari. Salendo ancora, la manica diventava rossa. Ecco cosa si ottiene a parlare da solo in mezzo ad un bosco con un fuoco acceso. – Mi… Mi dispiace.
Il soldato davanti a me sorrise con aria sprezzante. – Ti dispiace? Sai che siamo in guerra, amico? Fai il finto tonto, dico bene? Sei una spia dei patrioti? – Per poco non scoppiai a ridere. Io? Un patriota? – Rispondi, figlio di puttana!
Sollevai le mani aperte nel banale tentativo di levarmelo di dosso. – Non sono un patriota, posso giurarlo sulla mia stessa vita – mormorai indietreggiando.
– Però giri armato – grugnì il soldato, facendo cenno a qualcuno alle sue spalle di avanzare. Un'altra giubba rossa, un tipo più massiccio e con una faccia crudele, lanciò uno sguardo divertito al mio focolare e al cavallo, manco fosse un asino.
Scrollata di spalle. – Siamo in guerra. L’avete detto voi. – Colpito e affondato. A volte la diplomazia è utile, devo ammetterlo.
– Non fare lo spiritoso con me – sibilò quello, sfiorandomi il collo con la punta della baionetta. – Duke, prendilo. Vediamo se gli torna in mente qualcosa con un occhio nero.
Deglutii, fingendo di essere terrorizzato da quelle femminucce. – Per piacere, signore, non mi sembra il caso di essere così violenti! Io non so nulla, lo posso assicurare! – Feci per coprirmi la faccia con le mani e quei due subito scoppiarono a ridere. – Per piacere, ho un figlio. Io non c’entro niente con questa guerra. Re Giorgio è un grand’uomo, un grandissimo uomo. Lo venero al pari di Dio!
Va bene, glielo concedo, era decisamente troppo, perché il soldato mi mollò uno schiaffo. – Piantala, buffone. Duke, questo è meglio farlo fuori.
Duke il bestione sembrava non essere molto interessato al sottoscritto. Si limitò a grugnire. – E se sa qualcosa? – A dispetto del grugnito, aveva una ridicola voce acuta. Capii perché fino a quel momento aveva parlato il meno possibile. – Sai cosa ci ha detto il comandante. Chiunque sappia qualcosa sui patrioti deve essere interrogato.
Il soldato più smilzo sollevò le spalle. – Che vuoi che ti dica, Duke? Questo ci sta prendendo per il culo, per me possiamo anche farlo secco. Un po’ di sangue farà bene alla terra, con questo gelo.
Aveva pure grandi competenze in campo botanico, Smilzo. Complimenti. – Signore, per favore… Abbassai le mani, accostandole alle mie ginocchia. – Ho una famiglia, sono solo qui per cacciare, non hanno altro con cui sfamarsi!
Fu il bestione a sollevare il fucile, stavolta. – Vorrà dire che finiranno a morire di fame in un vicolo.
Finsi un singhiozzo e proprio mentre Duke controllava il proiettile sguainai la spada corta e scattai in piedi di colpo, infilandola fino all’elsa nello stomaco di Smilzo. Così pieno di sé, eppure cadde a terra come un qualunque poveraccio, la giubba ancor più rossa. Duke mi puntò il fucile contro e tirai il corpo di Smilzo verso di me con uno strattone, assieme alla spada. Il proiettile rimase incastrato nel cadavere e quando lasciai afflosciare a terra il corpo c’era solo furia sul viso di Duke. Aveva sprecato il suo unico colpo. Imbecille. Non sono un patriota – dissi con un mezzo sorriso, avanzando verso di lui. – E non ho nemmeno un figlio. Re Giorgio potrebbe marcire all’Inferno, per quanto mi riguarda, e non sono qui per cacciare. – Il bestione sembrava non capire bene cosa volessi dire. Scattò in avanti senza lasciarmi finire il discorsetto – peccato, sul serio – e provò a trapassarmi con la baionetta. Deviai il colpo con la lama celata, spingendolo indietro, dritto sul focolare. – Oh.
Non ebbi bisogno di fare nient’altro, perché crollò di schiena sul fuoco cominciò a strillare qualche secondo dopo, alzandosi e correndo in cerchio come un ossesso. Non avevo nemmeno dell’acqua. Sollevai la pistola con noncuranza e gli sparai un paio di colpi nello stomaco. – Ringraziami, Duke. Non sono spesso così misericordioso. – Ma era già morto, e avevo imparato a mie spese che parlare quando si è da soli non era un buon affare. Mi lasciai cadere a terra. Ero stanco. Non avevo più voglia di combattere, nemmeno contro due idioti come questi. Sentivo di aver combattuto pure troppo, e adesso, attorno a me, la gente ricominciava a sparare solo perché il rampollo della casa accanto indossava una divisa rossa o blu. Scrollai il capo e riposi la spada, afferrando Smilzo sotto le ascelle e trascinandolo verso un mucchio di foglie vecchie. Lo stesso destino toccò a Duke.
Saltai di nuovo in groppa al cavallo e ricominciai il mio viaggio verso New York. Ho un piano, pensai di nuovo. Che vogliate ascoltarlo o no, non potrete fermarmi.
Non rispose nessuno. Nemmeno alle voci nella mia testa importava più.
 
Il resto della cavalcata fu più tranquillo. Non era certo una passeggiata, ma me l’ero cavata cacciando qualcosa lungo la strada e accendendo fuochi solo dopo un’adeguata perlustrazione. Non volevo altre baionette alla gola, non senza un motivo valido.
Stranamente, non incontrai nemmeno patrioti. Forse mio figlio li stava aiutando a scolpire un monumentale colosso di George Washington. Stupido fanatico, lui come tutti gli altri. Quella guerra non avrebbe portato a niente. Per questo volevo fermarla da subito.
Quando arrivai alle porte di New York dovetti sganciare qualche sterlina alle guardie per passare, ma niente che non succedesse già prima. Una cosa era cambiata in città, ed era la presenza dei soldati. Se prima ne erano piene solo le zone del porto e i forti, dopo qualche settimana era possibile vedere almeno due giubbe rosse in ogni strada. Persino all’imbocco dei vicoli. Ovunque. Mi sentivo osservato, perché qualcuno di loro poteva conoscere Charles. Questo pensiero pungolò più volte la mia mente, trasformandosi in un’idea. Potevo benissimo prendere uno di quegli imbecilli e interrogarlo su Lee, ma dopo? Ucciderlo e attirare l’attenzione? E perché? Perché dovevo lasciarmi condizionare? Volevo sapere dov’era Charles, ovvio, ma se il mio piano fosse andato in porto sarebbe arrivato lui. E al galoppo.
Mollato il cavallo davanti ad una locanda, mi arrampicai non senza fatica – avevo pur sempre un dito in meno – su per l’unico lato scoperto della Trinity Church, sperando che il mio talento non mi avesse abbandonato. E non parlo di quello per l’arrampicata.
Non avevo nemmeno troppo fiatone quando arrivai sulla cima, in bilico con le piante dei piedi fisse sui bracci della croce. Presi un gran respiro e lasciai scorrere lo sguardo sul forte piantato proprio lì, di fronte al mare. Andiamo. Non posso essere così arrugginito. Aggrottai la fronte fin quasi a farmi venire mal di testa, ma ad un tratto accadde. Tutto si scurì. I soldati brillavano scarlatti contro il buio del paesaggio e dei passanti, qualche puttana era illuminata d’azzurro – chissà perché – ma nessuno dorato. Neanche un’ombra. – Andiamo – grugnii a denti stretti. – Potrebbe essere da qualche altra parte. Eppure era qui. E voi – ringhiai rivolto a Minerva e Giunone – potreste anche essere d’aiuto, di tanto in tanto.
– Che cosa ti serve? – sibilò Minerva.
– Se ti scoccio tanto puoi anche sloggiare da là dentro, sai? Cercati un altro cervello.
Ridacchiò. – Non ce ne sono tanti come il tuo – rispose. Sembrava mi stesse facendo delle avance. – Ti serve altro aiuto, servo della Croce?
Sollevai gli occhi al cielo e quella strana luminescenza, l’occhio dell’aquila, sparì. – Solo sapere dov’è.
– Dov’è chi?
Avevo voglia di urlarle contro. – Sai benissimo di chi sto parlando. George Washington. Dov’è?
– Non possiamo dirtelo – intervenne Giunone.
– Ecco, ci mancava l’altra. Tu vuoi solo proteggere gli Assassini e i loro interessi. Ditemi dov’è.
– Altrimenti, servo della Croce?
Cos’era, una provocazione? – Altrimenti mi lancio. E potrete dire addio al mio cervello. – Mi colpii la tempia con un dito e sorrisi. – Andiamo, cosa vi costa? Vi ripagherò. Magari vi offro una birra. – Per una volta nessuna delle due mi fulminò. Progressi.
Sentii Minerva sbuffare. – Cerca bene. Forse troverai ciò a cui aspiri.
Scrollai le spalle, un po’ scocciato, e mi concentrai. L’occhio dell’aquila si attivò di nuovo, e per poco non caddi dalla chiesa quando una figura tra le mille altre nel centro del forte s’illuminò d’oro, come quella volta a teatro. Miko. – Merda! – grugnii, reggendomi con più forza alla croce metallica. – Perché prima non l’ho visto?
– Perché non hai cercato bene.
– Mi piaci quando hai il senso dell’umorismo, Minerva. – Con una mano sugli occhi riuscivo persino a vedere i ciuffi di capelli bianchi che spuntavano dal suo tricorno. Lurido bastardo. – Bene. Grazie.
E cominciai a scendere.
 
L’ultima volta che mi ero intrufolato in un forte non era andata esattamente bene, così decisi di tentare con un approccio più discreto. E c’è qualcosa di più discreto di un soldato in un forte? Un trucco vecchio come il mondo, che avevo già usato, ma la storia è fatta per ripetersi, no?
– Scusa, amico – grugnii dopo aver mollato una botta in testa alla giubba rossa più vicina, trascinando il poveretto dietro una casa e spogliandolo. Mi assicurai che fosse svenuto per bene, almeno non avrei dovuto preoccuparmi per lui. Gli infilai persino i miei abiti, con un certo dispiacere. Ero un perfetto soldato britannico. Un’altra volta.
I soldati di guardia mi fecero entrare senza dire una parola, mi bastò fare il saluto militare. Avevo l’uniforme giusta, quindi tutte le porte erano aperte per me. Il forte era pieno di soldati, tipico dei tempi di guerra: giovanotti che affondavano baionette a vuoto, altri che caricavano e scaricavano i fucili, gente più esperta che girava con un sigaro tra le labbra e gli artiglieri che guardavano dall’alto in basso le reclute. La loro grande conoscenza delle armi da fuoco li rende molto mal disposti nei confronti di chi usa principalmente le lame. Qualcosa dell’essere soldato mi mancava. Non le guerriglie, gli appostamenti o l’essere spronati a suon di minacce e imprecazioni, ma il cameratismo. Qualcuno accanto anche davanti alla morte. Poi c’erano i cagasotto, certo, quelli che non voleva nessuno, ma è un’altra storia. – Dicono che voglia disertare.
Rizzai le orecchie, quasi trasalendo. Un paio di Jäger davanti a me stavano parlottando fittamente, ma quelle parole giunsero chiarissime alle mie orecchie, facendomi tremare d’eccitazione. – Credi sia per questo che è entrato lì dentro in tutta fretta? Vuole mollare? E perché non se ne va e basta? – chiese uno dei due. Con quei giganteschi zaini e visti di spalle, i due potevano anche essere la stessa persona, quindi li chiamerò Destra e Sinistra.
Destra sollevò una mano. – Che vuoi che ti dica? A me hanno detto così. Che vuole passare dalla parte del Continentale.
– Maledizione! Washington vuole farsi ammazzare? – Sinistra sembrava agitato, ogni quattro parole guardava il gabinetto come se avesse un tic. – Quell’uomo sta rischiando grosso.
– Che ci vuoi fare? Se muore è solo meglio per noi. – E anche per me. Destra cominciava a piacermi. – Era un bravo generale, dall’altra parte non ci farebbe comodo. – Ritiro tutto. Avrebbero dovuto torturarmi molto pesantemente prima di far uscire dalla mia bocca le parole bravo generale e George Washington nella stessa frase.
Seguii lo sguardo di Sinistra. Il gabinetto era arroccato sopra i depositi d’artiglieria. Mi sarebbe bastato salire sulle mura, il problema era che non potevo dare nell’occhio, e un soldato che non sa dove si trovino le scale è un tantino sospetto. – Dannazione. – Una porta. Mi serviva solo una porta. Lasciai perdere gli Jäger e costeggiai le mura alla ricerca di un varco. E dovevo pure fare in fretta.
Ripassai mentalmente le armi che avevo addosso. La spada corta, lama celata, due pistole cariche, qualche proiettile in tasca, il moschetto caricato in spalla e un paio di coltelli da lancio sulla schiena. Nella bisaccia che avevo rubato alla giubba rossa c’era anche una corda. Non il massimo, ma decisamente buono. – Permesso – sibilai all’omone piazzato davanti ad una delle porte. Quello mi squadrò dalla testa ai piedi senza l’intenzione di muoversi. – Dovrei…
– Di qua non può passare nessuno. Ordini del generale.
Sollevai un sopracciglio. A quale generale ti riferisci? Al disertore? – D’accordo. Scusa. Gli ordini sono ordini. – Mi allontanai con un sospiro e imprecai a mezza voce. – Ci sarà un’altra entrata, no? – sussurrai. Doveva esserci un’altra entrata.
Quando la trovai, e per di più scoperta, per poco non lanciai un gridolino. Avevo perso fin troppo tempo lì dentro e sentivo l’ansia montarmi nel petto. Se un mio compagno d’arme fosse stato lì sarei morto. Già immaginavo l’incontro. Oh, ma io ti conosco! Tu sei Kenway! E che ci fai di nuovo qui? Dopo aver ammazzato Braddock… Allarme! Non esattamente un bentornato coi fiocchi. O, peggio ancora!, se ci fosse stato qualcuno che mi avesse riconosciuto durante l’ultima cavalcata del vecchio tenente colonnello Braddock? Non potevo correre il rischio.
Aprii la porta incassata nelle mura e le scale due gradini alla volta, sperando di arrivare sulle mura in tempo. Forza. Appoggiato al parapetto, mi concentrai di nuovo su quello stupido gabinetto per dare una spronata all’occhio dell’aquila. Non lo usavo spesso, ma quando lo facevo dovevo sforzarmi come uno schiavo. Maledizione. Attraverso una finestrella di vetro potevo scorgere l’alone dorato del generale Washington, tutto intento a parlare con un altro soldato. Una finestra. Questo non era previsto. – Cazzo. – Dovevo fare qualcosa. Niente che desse troppo nell’occhio, o il mio piano sarebbe crollato come un vecchio muro. Infilai la mano in tasca e ne tirai fuori un proiettile, solo una pallina di piombo. – Speriamo in bene.
Strinsi il proiettile nella mano destra e un pugnale da lancio nella sinistra, prendendo la mira.
Se Connor voleva appoggiare George Washington, avrebbe dovuto seguirlo all’altro mondo.
Scagliai la sferetta di piombo con un grugnito. Il rumore dei vetri infranti allarmò qualcuno, ma il proiettile aveva colpito la testa del bastardo, appena sotto l’orecchio.
Non potevo perdere tempo. Passai il pugnale alla mano destra e mirai alla schiena del generale. – O la va o la spacca – sussurrai prima di lanciarlo.
Lo vidi affondare accanto alla scapola destra di Washington, che cadde a terra con la faccia in avanti. – Generale? – gridò qualcuno. – Un attentato! Il generale è stato colpito!
Cazzo. Avevo le mani serrate attorno al parapetto, le nocche bianche per quanto stringevo, i denti che tremavano. Due uomini aiutarono George Washington ad alzarsi, uno indossava la divisa rossa adornata come quella di un comandante, l’altro aveva una redingote beige e i capelli ricci, un po’ unti, il lungo naso familiare. Mi parve quasi di sentirlo parlare. – Vi sentite bene? Vi sentite bene? – diceva.
Non avevo parole. Potevo solo agire. – Merda! – sibilai tra i denti, tirando fuori la pistola già carica.
Ero pronto a premere il grilletto quando qualcuno mi mise una mano sulla bocca e sul naso, impedendomi di respirare. Bang! Il colpo partì a vuoto, tutto il forte si voltò verso di me, ma l’uomo che cercava di soffocarmi sembrava non avere nessuna fretta di lasciarmi andare. – Calmati, Haytham. – Oddio. No. Non la sua voce. Non di nuovo. – Alla fine era destino che ci incontrassimo ancora, no?
Se avessi avuto un briciolo di fiato gli avrei urlato contro, se fossi stato colto meno di sorpresa sarei riuscito a respingerlo, ma aveva vinto lui. Come tutte le altre volte, era stato più furbo di me, perché mi conosceva troppo bene. Meglio di chiunque altro.
Vinceva sempre lui.
L’ultima cosa che vidi fu lo spigolo del parapetto che si avvicinava alla mia testa, poi udii un tonfo e la sua risata. 
  
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