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Autore: fuoritema    16/04/2014    5 recensioni
{69esimi Hunger Games; OCs; guerra; triste; un po' introspettiva}
***
Camminò a ritroso ancora e ancora, gli occhi aperti come per captare ogni singolo cambiamento del paesaggio, ma il fantasma continuava a incombere su di lui. Era alto quanto bastava per farlo sentire inquieto, perché ricordava – e ne era certo – che Volpe fosse ormai più bassa di lui. Forse la morte rendeva più alti o forse la sua mente gli stava giocando dei brutti scherzi. Il ragazzo strizzò gli occhi nuovamente, convenendo che la seconda ipotesi era la più probabile se non voleva cadere nel sovrannaturale.
"I fantasmi non esistono, idiota."
E i fantasmi non esistevano fino a prova contraria, ma gli Strateghi sì: tra tutte le diavolerie che potevano aver inventato per terrorizzare i Tributi, quella poteva benissimo essere la vincente.
***
I 68esimi Hunger Games visti da Tributi di distretti totalmente diversi. Una delle edizioni dimenticate, una delle edizioni che hanno troncato la vita a ventitré giovani. Perché ci sono giochi a cui è meglio non partecipare.
Mai.
Genere: Avventura, Guerra, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Altri tributi, Finnick Odair, Presidente Snow, Tributi edizioni passate, Vincitori Edizioni Passate
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'We are not iron children, our shields are shattered glass '
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Banner stupenderrimo fatto da ThanatoseHypnos, che ringrazio molto <3

 
 (VI)
La vita è una partita giocata con la Fortuna, spesso persa.
 



«Cosa sono?»
Amethyst indietreggiò con gli occhi viola spalancati, andandosi a schiacciare contro il tronco di un albero. Il suo alleato la guardò sorridendo, per poi indicare gli animaletti che l’avevano tanto spaventata. «Sono coccinelle» le spiegò con calma mentre una si posava su un grande fiore giallo, con delle macchioline rosse sui petali, «portano fortuna.» La ragazzina non accennò a muoversi: era terrorizzata, e poi potevano benissimo essere una trappola degli Strateghi.
«E dai… Non mi dire che ne hai paura!» 
Amethyst scosse la testa lanciandogli un’occhiataccia: quell’esclamazione l’aveva toccata nel vivo del suo orgoglio. «Non ho paura! È solo che dobbiamo andare» esclamò alzando la voce, per poi prendere lo zaino da terra e caricarselo sulle spalle. Colin la seguì sbuffando, «come vuoi tu… Però secondo me eri un po’ spaventata.» 
La ragazzina accelerò il passo lasciandolo indietro: non aveva paura, e se mai ne avesse avuta non l’avrebbe mai detto al suo alleato. Le coccinelle, intanto, continuavano a volare attorno ai due bambini, innocue come solo degli animali così piccoli possono essere.
 
 
Non era mai stato così felice in tutta la sua vita.
Per la prima volta i sorveglianti gli avevano consegnato gli occhiali che tanto gli piacevano: li aveva potuti perfino tenere mentre la solita melodia si diffondeva nell’aria, annunciando la fine del lavoro. Colin pensava fosse antichissima, forse anche più di Panem, e spesso si univa alle Ghiandaie nel tentare di fischiettarla. Congiungeva le labbra, aspirando aria all’interno della bocca, ma non generava alcun suono. Ci aveva provato un milione di volte, senza mai riuscirci.
Sentì la melodia ricominciare per l’ennesima volta e scese, veloce come sempre, da uno dei rami più alti dell’albero. Guardò verso i campi di girasoli vedendo che anche i “dipendenti” della signora Wyatt avevano finito di bruciarsi la pelle sotto il sole cocente e avevano avuto il permesso di tornare a casa. Sentì un fruscio provenire da uno dei rami sopra di lui e si sporse per vedere chi fosse. «Ciao Colin!» vide una bambina pressoché della sua età scendere come una scimmia giù dal tronco.
«Fern!» esclamò il ragazzino sorridendo nel guardare le treccine colorate dell’amica alzarsi per il vento. Era lei quella che saliva sempre più in alto, anche più di lui, e coglieva i frutti più buoni e succosi. «Scendiamo?.» La piccola annuì, togliendosi gli occhiali scuri che le ingrandivano enormemente gli occhi azzurri. Sì, perché Fern era l’unica in tutto il distretto undici ad avere la pelle scura e gli occhi chiari.

Colin fece per scendere dall’albero quando vide la bambina fermarsi su un ramo. «Guarda. Una coccinella! - disse indicando un puntino rosso sul tronco dell’albero - porta fortuna!»
Fern si avvicinò cauta all’animaletto cercando di farlo salire sulla sua mano, non ci riuscì in tempo, l’insetto volò all’istante per andarsi a posare sulla maglietta sdrucita di Colin. «Uffa… Si vede che preferiva portare fortuna a te» sbuffò la bambina, appendendosi a testa in giù al ramo dove prima era seduta. Il ragazzino sorrise e alzò la mano per farla volare via. L’animale si dileguò in un attimo nel cielo, lasciando i due ragazzini a guardarlo felici perché, per una volta, avevano avuto fortuna.
Peccato che non sarebbe durata ancora per molto.
 
 
Colin sapeva che non sarebbe mai più tornato da Fern, che non l’avrebbe mai più vista sorridere, e gli dava un dispiacere immenso. Sperava soltanto di ritardare il più possibile la morte e riuscire a salutare il mondo ricordando il suo amato distretto.
Accelerò il passo per raggiungere la sua alleata che, ferita dall’affermazione precedente, era scappata verso il bosco. «Amethyst! Aspettami!» urlò, non pensando che chiunque avrebbe potuto sentirlo e ucciderlo. La ragazzina si fermò e lo zittì con lo sguardo, pregandolo di stare in silenzio. Continuarono a camminare senza produrre alcun suono se non lo scricchiolare delle foglie sul terreno, ormai quasi privo di ghiaccio. Più si allontanavano dalla Cornucopia, più il freddo diminuiva e gli animali più piccoli si facevano vivi guardandoli con gli occhi spalancati e fuggendo subito dopo. Colin guardava le coccinelle avvicinarsi a lui con un sorriso sulle labbra scure. Una gli si posò addirittura sull’indice della mano destra mentre le altre svolazzavano nelle vicinanze. Inizialmente non si accorse di nulla, ma, dopo che se ne fu volata via, vide un taglietto sul dito. Era piccolo, ma sembrava profondo. Si domandò come se lo fosse fatto, cercando di scorgere Amethyst tra le fronde degli alberi.
Non la vide da nessuna parte: forse era andata più avanti!
Non notò neppure le coccinelle accerchiarlo in una nuvoletta di rosso inframezzato da pallini neri, sentì solamente un gran bruciore a tutto il braccio dove si stavano posando in massa. Cercò di farle andare via, ma si avvinghiarono ancora più strette su di lui. Piangeva, piangeva perché le sue forze lo stavano abbandonando, perché non avrebbe mai più potuto vedere Fern e salutarla per bene. Si ritrovò a pensare a quando gli aveva dato un piccolo trifoglio secco, preso dai campi in un momento di distrazione dei Sorveglianti, supplicandolo di tenerlo ben stretto e tornare a casa. Lo sentiva sul collo, mentre le forze lo lasciavano trasformandolo in un involucro vuoto, dissanguato. Come potevano degli animali così piccoli essere così cattivi? Colin chiuse gli occhi appannati dal suo stesso sangue, ricordando i campi dove era vissuto e cresciuto. Era sicuro che Fern lo stesse guardando, e, forse per rassicurarla, fece un sorriso che lo accompagnò nella morte. Perché non voleva che lo ricordasse così, morto, ma tra i campi, che cercava di fischiettare il motivetto che sentiva ogni giorno alla fine del lavoro.
I suoi respiri si fecero sempre più deboli fino a finire del tutto.
Il cannone suonò un colpo, chiudendo gli occhi del bambino dell’undici per sempre.
 
 
Un quadrifoglio spiccava tra la neve dell’Arena, vicino a lui.
Un dettaglio troppo insignificante perché qualcuno se ne ricordasse.
Ma gli abitanti del distretto undici non lo dimenticarono mai.
Perché, prima o poi, Madama Fortuna si sarebbe accorta di loro.
 
 
 Maple si era fermata nelle vicinanze della Cornucopia, nascosta sotto un ramo di un grande albero. Sapeva di dover abbandonare quel nascondiglio ed era meglio farlo mentre i Favoriti erano ancora al corno, per prendere cibo ed armi e cominciare la “caccia.”  Li vedeva prepararsi all’attacco lanciandosi di tanto in tanto minacce e maledizioni. La ragazza del due stava parlando con quello del quattro, sorridendo leggermente, quasi civettuola, un atteggiamento che sicuramente non le si addiceva per niente. Lui teneva in mano un tridente, sulla schiena uno zaino capiente e pesante. Forse poteva prendere qualcosa lì, quando se ne fossero andati! Il problema era che non accennavano neppure a muoversi. Sentì un colpo del cannone, in lontananza, ma non si chiese neppure chi fosse il morto.
I Favoriti parvero risvegliarsi dal letargo mentre il ragazzo dell’uno, quello dai capelli scuri, sbraitava qualcosa verso di loro. La bambina non provò neppure a scuotersi la neve di dosso, rimase lì, mentre il suo corpo si intorpidiva per il freddo. Aveva gli occhi verdi semichiusi e le orecchie in attesa.
Continuò a guardare i ragazzi, ormai alzati e pronti, che parlavano senza però sentire nulla se non pezzi di un discorso che sembrava essere abbastanza importante. Li vide allontanarsi, in fila, convinti che nessuno si sarebbe avvicinato alle loro provviste. La ragazzina del quattro era l’ultima. Avanzava quasi spaurita, con i capelli bianchi chiusi in una morbida treccia in cui spiccavano di tanto in tanto ciocche argentate. Sembrava una sirena del ghiaccio: era strano da dire ma vedendola sembrava proprio così. Quel soprannome le si addiceva, e anche molto. Portava dei coltelli nella tracolla, quelli che aveva usato per squartare il petto della quindicenne del tre. Maple l’aveva sentita urlare fin da lì, l’aveva immaginata, chiudendo gli occhi sopraffatta dalla stanchezza e l’immagine di quella morte. Aveva chiuso gli occhi, cercando di non immaginare più nulla.
La ragazzina guardò fuori dal suo nascondiglio per vedere se erano andati via, verso il bosco, e, appena accertata la loro partenza, si avvicinò al Corno ghiacciato. Non c’era quasi nulla, se non una fionda, del pane e qualche striscia di carne essiccata. Se le cacciò nello zaino guardandosi attorno furtiva. Le pareti riflettevano la luce in modo strano, generando ombre scure e minacciose, senza che ci fosse un nesso tra la parte che doveva essere riprodotta e il resto. Maple si mise le mani in tasca, rabbrividendo per il freddo che sembrava averla avvolta dalla sua entrata in quel posto. Sentì dei passi e cercò di entrare ancora di più, nascondendosi nel buio contro le pareti, appiattita contro il ghiaccio.
«Strano… Avrei giurato che ci fosse qualcuno» disse una voce maschile mentre lo scricchiolio si fermava, facendo emettere alla piccola del sette un sospiro di sollievo.
«Hazard, ma dai! Che sarebbe così coglione da stare qui?» domandò una femminile, sottile e gelida come la Cornucopia.
Il rumore di qualcosa di caduto per terra li fece voltare ed avvicinare alla parte buia.
«Ehi, scricciolo, cosa credevi di fare qui?» chiese canzonatorio il ragazzo, accarezzando il tridente con la punta delle dita.
La piccola corse verso l’interno, ancora di più, mentre i passi dei due ragazzi la inseguivano per tutta la galleria.
«Vogliamo giocare a nascondino? Giochiamo allora!» esclamò l’altra, con una risata agghiacciante, mentre si addentravano nella caverna.
Maple trattenne le lacrime sforzandosi di andare avanti, anche se ormai non vedeva più nulla: si sentiva debole e stanca, distrutta da quello sforzo minimo che stava facendo per salvarsi. Sentiva i loro respiri sul suo collo, arrancando sul ghiaccio certa che si sarebbe accasciata lì, aspettando che le facessero cosa cazzo volevano. Bastava che raggiungesse Thor, le andava bene così.
«Non arrenderti mai, Mape. Mai.»
Si dice che la mente umana immagazzini tutto per poi farlo ricordare alla mente umana nel momento del bisogno. Per Maple fu così perché quella frase, detta da Thor in una circostanza che non riusciva neppure ad abbozzare, le fece tornare la forza di scappare dai suoi inseguitori. La piccola del sette scivolò sul ghiaccio, facendo appena in tempo ad accorgersi che le sue gambe avevano ceduto, prima di sentire il suo corpo cadere nel nulla.

 

NDA:

In realtà non avrei tanta voglia di fare le Note dell'Autrice, ma credo siano necessarie :3
Partiamo con ordine... Le coccinelle assassine sono state una trovata che mi è venuta tanto tempo fa, quando stavo sulla neve dai miei cugini, e così ho deciso di usarle in questo capitolo, per uccidere Colin. Mi dispiace tantissimo per quello scricciolo, soprattutto per Fern, ma i piccini non sopravvivono agli HG :'( Credo di dover spiegare chi sia la signora Wyatt, perché nessuno di voi l'ha mai sentita nominare. E' una delle proprietarie terriere del distretto 11, che sfrutta i ragazzi e soprattutto i bambini per coltivare i campi. E' stata inventata da "Triscele_Celtica98" e io mi sono presa la libertà di citarla, spero solo che non le dispiaccia. Anche perché, quando farò uno SPIN-OFF su Willow (la sorellina di India) credo verrà nuovamente citata.
Per Maple, invece, la situazione si fa complicata. Come credo abbiate capito, l'Arena si divide in due parti: una superiore e una inferiore. Mape è caduta in quella inferiore, nelle grotte di ghiaccio, e dovrà trovare un modo per uscire da lì, se non vuole finire incornata dal Minotauro, ovviamente.
Mi scuso per le due parolacce contenute nel suo pezzo, ma non volevo (né potevo) ometterle. Se le avessi tolte mi avrebbero più dato una sensazione di aver creato un dialogo poco veritiero, considerando il carattere che hanno i Favoriti.
E niente, vi metto l'elenco dei morti fino ad ora :3

DISTRETTO 1: Nessuno, per il momento.
DISTRETTO 2: Nein.
DISTRETTO 3: Entrambi.
DISTRETTO 4: Nicht.
DISTRETTO 5: Entrambi.
DISTRETTo 6: Solo la femmina.
DISTRETTO 7: Solo Thor.
DISTRETTO 8: Solo il maschio.
DISTRETTO 9: La femmina.
DISTRETTO 10: La femmina.
DISTRETTO 11: Oggi se n'è andato Colin :'(
DISTRETTO 12: Solo il maschio.

Talking Cricket (vi piace come nuovo nick?)

 
  
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